Il medico risponde: Depressione e alimentazione
“Il Medico risponde”
Depressione e alimentazione
DOMANDA
Professore buonasera. Soffro di depressione occasionale e volevo sapere se ci sono alimenti che possono aiutare a sollevare il morale. Per favore mi direbbe cosa mangiare? Grazie della risposta e buona serata.
Ludovico (Orvieto)
RISPOSTA
A cura del Dr. Ferdinando Martinez
ATTENZIONE: "Le informazioni contenute in questa rubrica medica, non devono ASSOLUTAMENTE, in alcun modo, sostituire il rapporto Medico di Famiglia/Assistito. Si raccomanda per buona regola, di chiedere SEMPRE il parere del proprio Medico di Famiglia, o Specialista di fiducia, il quale conosce in dettaglio la storia clinica del proprio Paziente. La nostra rubrica, non avendo fatto un'anamnesi di chi ci scrive, impossibile online, ha il solo ed esclusivo scopo informativo, decliniamo quindi tutte le responsabilità nel mettere in pratica qualsiasi chiarimento o indicazione riportata al solo scopo esplicativo e divulgativo. Qualsiasi domanda umanamente intrattabile via web, verrà automaticamente cestinata. Grazie per la gentile comprensione."
Salve Ludovico e grazie per l’interessante mail alla quale mi accingo volentieri, subito a dare seguito.
Depressione occasionale, stanchezza, perdita di energie, motivazione, in effetti, Ludovico, ci sarebbero cibi che permetterebbero di ritrovare buon umore ed entusiasmo. Per sollevare il morale e combattere la depressione caratterizzata da una minore voglia di fare, abbassando il morale, è opportuno prestare attenzione alla propria alimentazione, perché, sembrerebbe esserci un legame tra ciò che si mangia e il funzionamento del cervello. È quindi importante avere sempre i giusti livelli sufficienti di serotonina e dopamina.
Alcuni alimenti contengono micronutrienti che agiscono su questi due neurotrasmettitori e Modificando la nostra dieta, ma anche il nostro stile di vita generale, potremmo ottenere i primi effetti popositivi nel giro di qualche settimana.
Alimenti ricchi di omega-3 e 6 per stabilizzare l’umore
Gli omega-3 non sono prodotti dal nostro organismo, dobbiamo quindi assumerli con la dieta. L’apporto nutritivo giornaliero raccomandato si aggirerebbe intorno all’ 1,6 g di acido alfa-linolenico (ALA) e in 500 mg in totale di acido docosaesaenoico (DHA) e acido eicosapentaenoico (EPA).
Diversi studi dimostrano che le persone che soffrono di depressione o baby blues cioè un tipo di depressione e, raramente, psicosi che possono colpire la mamma durante la gravidanza e nel post partum, hanno livelli di omega-3 inferiori rispetto a quelli che non lamentano alcun tipo di problema e si sentono bene. Questo perché gli acidi grassi essenziali hanno diverse azioni a livello del morale: fanno parte dei costituenti delle membrane cellulari dei neuroni e giocano un importante ruolo sulla loro fluidità e, sono coinvolti nella “comunicazione” tra i neuroni. Peraltro, sono necessari anche gli acidi grassi omega-6. L’assunzione totale dei due dovrebbe aggirarsi intorno ai 10 g per un adulto.
Ma quali alimenti sono ricchi di omega-3 e 6?
Per fare il pieno di omega-3 possiamo orientarci verso il pesce azzurro e gli oli vegetali. Comunque, gli omega-3 di origine animale vengono assorbiti meglio di quelli vegetali.
Ma Ludovico, vediamo qualche esempio per una porzione da 100 g di:
- Sgombro fornisce 1,9 g di DHA e 1 g di EPA
- Aringa fornisce 1,1 g di DHA e 0,9 g di EPA
- Acciuga 1,2 g di DHA e 0,7 g di EPA
- Salmone 1,5 g di DHA e 0,7 g di EPA
- Sardine 0,5 g di DHA ed EPA
Vediamo ora per 100 ml di - Olio di lino, carmelina, noce e colza forniscono tra 56 ge 9 g a seconda della varietà. Va precisato che se l’olio di semi di lino è il più ricco di omega-3, è meno ben bilanciato in omega 6 e 9 e non contiene vitamina E, che lo rende più facilmente rancido.
Per quanto riguarda gli acidi grassi omega-6, si trovano nelle uova, nel burro, nell’olio di pino mugo, ecc.
Alimenti ricchi di magnesio per la depressione
Il magnesio è necessario per la sintesi della serotonina, un ormone cerebrale che è in quantità insufficiente in caso di depressione da stress. La mancanza di magnesio potrebbe favorire e causare ansia o addirittura promuovere attacchi di ansia.
Va ricordato che il suo assorbimento varia a seconda della maggiore o minore permeabilità intestinale e del grado di acidificazione dell’organismo.
Ma quali alimenti sono ricchi di magnesio? Gli alimenti più ricchi di magnesio sono i seguenti per 100 g di:
- Crusca di frumento: 611 mg
- Semi di zucca: 550 mg
- Sarde: 467 mg
- Cacao e Noci del Brasile: 376 mg
- Semi di chia: 335 mg
- Mandorle: 270 mg
- Grano saraceno: 230 mg
- Cioccolato fondente 70% minimo di cacao: 228 mg
- Farro: 136 mg
- Frutti oleosi (pinoli, noci, nocciole, noci di macadamia, noci pecan): tra 77 e 108 mg
- Acetosa: 89 mg
- Spinaci: 54 mg
- Lenticchie: 35 mg
- Banana: 34 mg
Alimenti ricchi di vitamina B6 per aiutare il triptofano a funzionare
Il triptofano, funziona in associazione con il magnesio. La combinazione di magnesio / vitamina B6 consente al triptofano, un amminoacido essenziale, di trasformarsi in serotonina. Questo amminoacido ha un effetto calmante e sedativo. Il fabbisogno giornaliero di vitamina B6 è stimato all’incirca 1,3 mg negli adulti.
Quali alimenti sono ricchi di vitamina B6? Gli alimenti più ricchi sono la carne, il pesce, i cereali integrali, la frutta secca, i semi oleosi.
- Una cotoletta di tacchino da 100 g fornisce 1,3 mg
- Una porzione da 100 g di tonno, fegato di manzo o di agnello 1 g
- Una fetta di salmone da 100 g: 0,9 g
- Un mezzo di patate o 100 g di nocciole: 0,6
- Una banana o 1 / 2 tazze di pistacchi: 0,4 g.
- Alimenti ricchi di vitamina D. La vitamina D non è solo utile per la salute delle ossa. Infatti un legame tra la carenza di vitamina D e la depressione sembrerebbe ben documentato.
Quali alimenti sono ricchi di vitamina D? Principalmente nel pesce grasso ci sono 11 microgrammi di vitamina D
- Una porzione da 100 g di trota iridea, circa 7 microgrammi
- Una porzione da 100 g di salmone cotto o aringa di mare 3 microgrammi
- Un bicchiere da 250 ml di latte vaccino
Alimenti ricchi di aminoacidi
Il triptofano è un amminoacido essenziale che non viene prodotto dall’organismo, ma fornito solo dal cibo. Contribuisce alla regolazione del nostro umore, aiutando a produrre serotonina che ha un effetto sedativo e che agisce come un antidepressivo naturale, limitando lo stress e l’ansia. Il triptofano è quindi importante per l’equilibrio emotivo. Anche un altro amminoacido è importante: la tirosina che fa parte della composizione della dopamina. Una mancanza di dopamina può portare a malumore e persino depressione.
Quali alimenti sono ricchi di aminoacidi?
Gli alimenti ricchi di tirosina sono gli stessi che contengono triptofano come uova, carne, pesce, ma anche noci, anacardi, mandorle, avocad
Alimenti ricchi di vitamina C
La vitamina C è importante per fornire energia al nostro organismo, aiuta anche a combattere lo stress ossidativo e danni cerebrali
Quali alimenti sono ricchi di vitamina C
Gli agrumi per eccellenza, ma anche il kiwi, i cavoletti di Bruxelles…
Cibi da evitare
Se certi cibi come abbiamo notato, ci aiuterebbero a risollevarci, altri, al contrario, possono buttarci giù. Evitiamo di bere più di 3 tazze di caffè o tè al giorno . La caffeina, psicostimolante, può causare una certa irritabilità, deleteria a lungo termine. Attenzione anche alle bevande psicostimolanti che dovrebbero essere bevute occasionalmente, l’alcol ad esempio. Provocano una stimolazione cronica che mantiene sveglio il cervello quando, invece, avrebbe bisogno di rilassarsi.
Ludovico le ricordo che la mia risposta non intende in alcun modo sostituirsi all’autorevole parere del suo Medico di famiglia, del suo Medico Curante o di altre Figure Sanitarie di fiducia, preposte alla corretta interpretazione del problema in oggetto da lei sollevato, a cui rimando, rigorosamente, per ottenere una più precisa indicazione incline sulle origini di qualsiasi sintomo stesso, inerente alla questione postami. Non esiti a ricontattarmi per qualsiasi chiarimento o dubbio a scopo puramente informativo
Auguro a lei un’ottima serena domenica.
“Aequam memento servare mentem” Ricordati di mantenere la mente serena (Quinto Orazio Flacco)
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Strategie per migliorare la qualità della vita dei pazienti con epilessie rare

Garantire una migliore qualità della vita ai soggetti affetti da epilessie rare e alle loro famiglie richiede l’adozione urgente di un quadro normativo capace di integrare le dimensioni sanitarie, sociali e assistenziali in un sistema unico di supporto. Questo tema centrale è stato discusso durante l’incontro intitolato “Oltre l’epilessia: le sfide delle epilessie rare e complesse”, tenutosi a Roma, dove esperti, istituzioni e rappresentanti delle famiglie hanno condiviso riflessioni e proposte per affrontare le difficoltà legate a queste patologie spesso trascurate. L’evento, patrocinato da Fondazione Epilessia Lice e Alleanza Epilessie Rare e Complesse, e sostenuto da Jazz Pharmaceuticals, ha evidenziato le criticità che i pazienti affrontano quotidianamente nel contesto di un sistema sanitario nazionale ancora poco preparato.
La partecipazione di una rappresentanza politica trasversale, inclusi l’onorevole Boschi e i senatori Lorenzin, Zullo e Ternullo, ha sottolineato il interesse bipartisan verso la problematica. Inoltre, i contributi del senatore De Poli, della vicepresidente Ronzulli e del ministro per le Disabilità, Alessandra Locatelli, hanno ribadito l’importanza di affrontare le sfide poste dalle epilessie rare sul piano medico, sociale, educativo e psicologico. Locatelli ha sottolineato la necessità di collaborazioni sinergiche tra istituzioni, comunità scientifica, associazioni e famiglie, per garantire un pieno accesso alle cure, politiche di sostegno adeguate e una maggiore inclusione sociale per le persone con disabilità.
Le epilessie rare rappresentano un insieme di condizioni patologiche complesse, spesso caratterizzate da crisi epilettiche farmaco-resistenti, che si accompagnano a disturbi cognitivi, neurologici e psichiatrici. Queste patologie, che si manifestano principalmente in età pediatrica, richiedono una gestione sanitaria multidisciplinare, prolungata anche nell’età adulta. Tuttavia, uno dei principali ostacoli è la difficile transizione dal trattamento pediatrico a quello per adulti. Attualmente, il tema delle epilessie rare e farmaco-resistenti è oggetto di discussione in Senato, dove diverse proposte di legge mirano a migliorare la diagnosi e la tutela della salute. L’approvazione di tali normative potrebbe rappresentare un passo significativo verso l’adozione di misure più efficaci, inclusa la formazione degli operatori e il potenziamento dell’assistenza.
Secondo Oriano Mecarelli, presidente della Fondazione Epilessia Lice, una diagnosi tempestiva, associata a un supporto continuo durante tutto il percorso di vita del paziente, è essenziale per migliorare la qualità della vita sia dei pazienti che delle loro famiglie. Mecarelli ha evidenziato la necessità di un approccio integrato, che garantisca un’assistenza personalizzata e affronti in modo efficace la delicata transizione dall’età pediatrica a quella adulta. Tale transizione richiede una rivalutazione della diagnosi e dei trattamenti terapeutici, spesso fonte di disagi e ritardi. Inoltre, ha sottolineato le difficoltà di accesso alle tecnologie diagnostiche avanzate e alle terapie innovative, che risultano maggiormente disponibili nei grandi centri urbani rispetto alle aree periferiche, incentivando così la migrazione sanitaria. Mecarelli ha ribadito l’importanza di sostenere la ricerca scientifica nel campo delle epilessie rare attraverso il potenziamento delle strutture nazionali e il collegamento con le Reti di riferimento europee (Ern).
Laura Tassi, past president di Lice, ha sottolineato l’urgenza di sviluppare linee guida specifiche per i casi di farmaco-resistenza, promuovendo un approccio integrato e garantendo continuità assistenziale, soprattutto durante la transizione dall’infanzia all’età adulta. Secondo Tassi, è indispensabile implementare percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali (Pdta) che accompagnino i pazienti sin dalla diagnosi pediatrica. Nei casi di epilessie rare e complesse, l’approccio deve coinvolgere una multidisciplinarità di specialisti, tra cui neurologi, psicologi, logopedisti, neuroradiologi e fisiatri, al fine di gestire non solo le crisi epilettiche, ma anche i disturbi del neurosviluppo e le eventuali patologie multiorgano.
Flavio Villani, vicepresidente Lice, ha posto l’accento sulla necessità di costruire una rete capillare e integrata di centri specializzati, strutturati secondo criteri di qualità rigorosi per garantire diagnosi e trattamenti tempestivi e affidabili. Villani ha evidenziato la disomogeneità territoriale nell’accesso alle cure e la necessità di riconoscere le epilessie rare nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea). Ogni regione dovrebbe disporre di centri di riferimento che coordinino i servizi sanitari locali e collaborino con gli enti del terzo settore, fornendo anche assistenza complementare come riabilitazione, formazione e supporto psicologico.
Isabella Brambilla, presidente dell’Alleanza Epilessie Rare e Complesse, ha evidenziato il ruolo essenziale dei caregiver, spesso familiari, che affrontano enormi difficoltà nella gestione quotidiana delle patologie. La cronicità e la varietà delle manifestazioni cliniche delle epilessie rare richiedono un intervento coordinato di specialisti diversi e l’adozione di percorsi multidisciplinari condivisi, sia per l’età pediatrica che adulta. Brambilla ha sottolineato l’importanza di un quadro legislativo chiaro per garantire cure adeguate e supporto ai caregiver, pilastri fondamentali nella vita dei pazienti.
Durante il dibattito si è discusso anche delle proposte di legge bipartisan attualmente in corso, che includono l’istituzione dell’Osservatorio Nazionale Permanente sull’Epilessia (Onpe). Questo emendamento, approvato in commissione al Senato, rappresenta un importante progresso per assicurare maggiore attenzione e risorse dedicate alle epilessie rare. L’Osservatorio, con sede presso il Ministero della Salute, avrà il compito di rafforzare la tutela dei pazienti, migliorando l’accesso alle prestazioni di prevenzione, diagnosi e cura, oltre che agli interventi assistenziali per le fragilità correlate.
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Dialoghi con Mister Parkinson: un viaggio attraverso la complessità della malattia

È stato definito un essere detestabile, Mister Parkinson, capace di invadere il corpo con i suoi effetti speciali, come racconta il giornalista Vincenzo Mollica. Per molti, tra cui una persona su tre che ha ricevuto questa diagnosi, è un infiltrato pronto a sconvolgere la quotidianità. Sorprendentemente, però, il tremore, che si associa comunemente al Parkinson, non è sempre un sintomo distintivo: metà dei pazienti non lo manifesta o lo sperimenta solo sporadicamente. Inoltre, per il 58% dei malati, il tremore non rappresenta il sintomo più fastidioso, né il più imbarazzante per il 50% di loro.
Attraverso il documentario Dialoghi con Mr. Parkinson, realizzato in occasione della Giornata Mondiale del Parkinson dell’11 aprile dalla Confederazione Parkinson Italia con il supporto di Zambon, si svela la vera natura di questa malattia neurodegenerativa multiforme. Un disturbo che colpisce oltre 300.000 italiani con una varietà di sintomi, più di 40, che si combinano in modo diverso per ogni individuo. Secondo l’indagine Parkinson: uno, nessuno e centomila, condotta su oltre 500 pazienti e caregiver, il Parkinson ha un impatto significativo sul quotidiano per più di una persona su due. I ritmi rallentano (67%), i movimenti diventano difficoltosi (59%) e la stanchezza spesso risulta invalidante (54%). Inoltre, il tempo libero, i viaggi (53%) e persino l’ambito lavorativo (23%) ne risentono profondamente.
Il documentario, trasmesso in prima visione il 12 aprile alle 13:45 su La7d e successivamente disponibile online sui canali della Confederazione Parkinson Italia, personifica la malattia e la mette in dialogo con tre pazienti, un medico e una caregiver. Nel corso delle conversazioni, Mister Parkinson, inizialmente rappresentato in maniera cinica e irridente, si trasforma in un intruso meno ostile, rivelando persino una certa ammirazione per le storie di coraggio di Giangi, Valentina e Roberto. Tocca con mano l’amore incondizionato di Rossana per suo marito Alberto e riconosce l’impegno clinico del professor Paolo Calabresi. Vincenzo Mollica, inoltre, gli dedica una lettera speciale: “Detestabile Mister Parkinson. Inizio così questa lettera perché lei non merita le tipiche cortesie epistolari, non è né ‘Caro’ né ‘Gentile’. Da quando è entrato nel mio corpaccione e lo abita con tutti i suoi effetti speciali, ho capito una sola cosa: che lei non sparirà mai e che io posso al massimo rallentare la sua presenza. Forse l’unico modo per combatterla è cercare la serenità, non smettere di usare l’arma dell’ironia e avere in tasca sempre qualche sorriso da usare nei momenti più bui.”
Giangi Milesi, presidente della Confederazione Parkinson Italia, spiega che il documentario è stato concepito per offrire una rappresentazione autentica della malattia e della sua complessità, andando oltre i sintomi più visibili quali tremori e difficoltà motorie. “Abbiamo voluto celebrare la capacità dei pazienti, dei caregiver e della scienza di reagire a questa invadenza“, afferma Milesi.
Secondo Milesi, convivere con il Parkinson somiglia a una partita a scacchi, in cui ogni volta che si crede di aver trovato un equilibrio, un nuovo sintomo scombina i piani. La chiave per affrontarlo risiede nel riconoscere la sua natura e nel trovare un nuovo equilibrio, facendo leva sulle proprie risorse interiori e sul sostegno di chi è vicino.
Come evidenziato dall’indagine, la maggior parte dei pazienti (79%) conosceva poco o nulla del Parkinson prima della diagnosi, e molti non si aspettavano la sua molteplicità di sintomi (63%). Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il tremore non è il sintomo più frequente per oltre metà dei pazienti. Altri sintomi, come la lentezza nei movimenti (72%), la rigidità muscolare (62%), le difficoltà nella scrittura (58%) e la perdita di equilibrio (45%), sono invece molto comuni. Inoltre, sintomi non motori come disturbi del sonno (54%), problemi alla voce (50%), dolore (47%), stanchezza (46%) e impatti sull’umore (44%) rappresentano delle sfide quotidiane significative.
Il professor Paolo Calabresi, direttore della Uoc Neurologia al Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs, sottolinea il pesante impatto del Parkinson sulla qualità di vita, dovuto alla sua varietà di manifestazioni motorie e non motorie. Calabresi evidenzia l’importanza di un approccio multidisciplinare e invita i pazienti a coltivare momenti di socialità, a praticare attività fisica leggera, come le camminate aerobiche, e a dedicarsi a passatempi creativi come la danza, il teatro, l’ascolto di musica e la pittura.
Con il numero di casi di Parkinson in rapida crescita, la malattia si conferma come la patologia neurodegenerativa con il più alto incremento degli ultimi 25 anni. Rossella Balsamo, di Zambon Italia e Svizzera, sottolinea l’importanza di una corretta informazione: il 62% dei pazienti ritiene che i propri amici non conoscano completamente il Parkinson, percentuale che sale all’88% quando si parla di estranei. Inoltre, l’84% degli intervistati ritiene essenziale discutere della molteplicità dei sintomi per offrire una visione più realistica della malattia. Balsamo conclude esprimendo soddisfazione per il supporto fornito alla Confederazione Parkinson Italia nella realizzazione del documentario, che per la prima volta porta sugli schermi la complessità della malattia e la forza di chi la affronta, contribuendo a una rappresentazione veritiera.
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La circonferenza della vita come indicatore di rischio oncologico negli uomini

Le dimensioni corporee e il sovrappeso, tradizionalmente valutati mediante l’indice di massa corporea (BMI), sono da tempo riconosciuti come fattori di rischio per numerosi tipi di tumore. Tuttavia, il ruolo predominante del BMI viene nuovamente messo in discussione. Una recente ricerca, presentata al Congresso europeo sull’obesità (ECO 2025) che si terrà a Malaga, in Spagna, dall’11 al 14 maggio, suggerisce che la circonferenza della vita potrebbe rappresentare un indicatore di rischio più affidabile per gli uomini, ma non per le donne, relativamente ai tumori correlati all’obesità.
Lo studio, pubblicato su The Journal of the National Cancer Institute, è stato condotto da Ming Sun, Josef Fritz e Tanja Stocks dell’Università di Lund di Malmö, in Svezia, insieme ad altri ricercatori. L’analisi si basa su dati relativi a 339.190 individui, raccolti tra il 1981 e il 2019, che includevano valutazioni di BMI e circonferenza della vita. Di questi dati, il 61% è stato misurato oggettivamente, mentre il 39% è stato auto-riportato. L’età media dei partecipanti era di 51,4 anni. Le informazioni sulle diagnosi tumorali derivano dal registro svedese dei tumori e lo studio si concentra sui tumori associati all’obesità, identificati dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC).
Tra le neoplasie esaminate figurano tumori dell’esofago (adenocarcinoma), dello stomaco (cardia), del colon, del retto, del fegato, della cistifellea, del pancreas, del seno (postmenopausale), dell’endometrio, dell’ovaio, del carcinoma renale, del meningioma, della tiroide e del mieloma multiplo. I ricercatori hanno calcolato i rischi relativi associati sia al BMI che alla circonferenza della vita, considerando una vasta gamma di fattori, quali età, abitudini al fumo, livello di istruzione, reddito, paese di nascita e stato civile, al fine di ottenere risultati comparabili.
Nel corso di un follow-up mediano di 14 anni, sono stati registrati 18.185 tumori correlati all’obesità. Tra gli uomini, un aumento della circonferenza della vita di circa 11 cm (ad esempio, da 90 cm a 100,8 cm) è risultato associato a un incremento del 25% del rischio di sviluppare tumori correlati all’obesità. In confronto, un aumento del BMI di 3,7 kg/m² (da 24 kg/m² a 27,7 kg/m²) ha mostrato un incremento del rischio pari al 19%. Anche dopo aver considerato il BMI, una circonferenza della vita elevata si è confermata come un fattore di rischio indipendente per i tumori associati all’obesità negli uomini. Questo risultato suggerisce che il grasso addominale rappresenta un rischio specifico, non completamente spiegabile dalle dimensioni corporee complessive misurate dal BMI.
Tra le donne, i dati hanno evidenziato associazioni meno marcate. Sia un aumento della circonferenza della vita di circa 12 cm (da 80,0 cm a 91,8 cm), sia un incremento del BMI di 4,3 kg/m² (da 24 kg/m² a 28,3 kg/m²) si sono associati a un aumento del rischio del 13% per lo sviluppo di tumori correlati all’obesità. In generale, le associazioni tra BMI, circonferenza della vita e rischio di tumore si sono rivelate più deboli nelle donne rispetto agli uomini.
Secondo gli autori, il BMI rappresenta una misura generale delle dimensioni corporee ma non fornisce informazioni sulla distribuzione del grasso. La circonferenza della vita, invece, è un indicatore strettamente correlato al grasso viscerale, che si accumula attorno agli organi interni. Questo tipo di grasso, più metabolicamente attivo, è stato associato a effetti negativi sulla salute, quali resistenza all’insulina, infiammazione e anomalie nei livelli di grassi nel sangue. Pertanto, individui con BMI simili potrebbero avere rischi differenti di sviluppare tumori, a seconda della distribuzione del grasso corporeo.
Per quanto riguarda le differenze di genere, gli uomini tendono ad accumulare più grasso viscerale, mentre le donne accumulano prevalentemente grasso sottocutaneo. Questo spiega perché la circonferenza della vita sia un indicatore più accurato del grasso viscerale negli uomini. Gli esperti suggeriscono che includere la circonferenza dell’anca nei modelli di valutazione del rischio potrebbe fornire ulteriori informazioni, soprattutto nelle donne. La combinazione di queste due misure potrebbe rivelarsi più efficace rispetto all’uso esclusivo della circonferenza della vita.
Gli autori auspicano ulteriori studi che integrino misurazioni più precise dell’adiposità e considerino tutti i potenziali fattori confondenti. Una comprensione più approfondita della relazione tra distribuzione del grasso corporeo e rischio oncologico potrebbe offrire nuove prospettive per la prevenzione e la diagnosi precoce dei tumori correlati all’obesità.