Il Medico risponde: Il Rene Policistico
“Il Medico risponde”
Il Rene Policistico
DOMANDA
Dottore buonasera, che bella la sua rubrica interessante davvero!!!
Io sono Caterina fedele lettrice web. Le scrivo per porle delle domande sul rene policistico. Volevo sapere cos’è ? Cosa succede? Cosa si sente, cosa si prova? Quali esami sostenere? Quale decorso?
Quali sono i trattamenti da seguire?
No, no, io non ho il rene policistico, assolutamente no, è solo a titolo informativo che le pongo tutte queste domande. Si sono tante, ma per favore mi risponda se possibile, la prego. Grazie e buona serata a lei e tutto il giornale Sbircia la notizia magazine.
Caterina (fedele lettrice online Sbircia la notizia magazine)
RISPOSTA
A cura del Dr. Ferdinando Martinez
ATTENZIONE: "Le informazioni contenute in questa rubrica medica, non devono ASSOLUTAMENTE, in alcun modo, sostituire il rapporto Medico di Famiglia/Assistito. Si raccomanda per buona regola, di chiedere SEMPRE il parere del proprio Medico di Famiglia, o Specialista di fiducia, il quale conosce in dettaglio la storia clinica del proprio Paziente. La nostra rubrica, non avendo fatto un'anamnesi di chi ci scrive, impossibile online, ha il solo ed esclusivo scopo informativo, decliniamo quindi tutte le responsabilità nel mettere in pratica qualsiasi chiarimento o indicazione riportata al solo scopo esplicativo e divulgativo. Qualsiasi domanda umanamente intrattabile via web, verrà automaticamente cestinata. Grazie per la gentile comprensione."
Salve Caterina, la ringrazio per la sua preferenza al nostro “magazine”, ne siamo orgogliosi. Certo che rispondo volentieri alle sue molteplici questioni, anche perché lei, tocca un argomento, molto serio, delicato e di rilevante importanza. Quindi si accomodi in poltrona e legga tutte le mie risposte che le ricordo sono solo ed esclusivamente a titolo informativo, infatti non intendono in alcun modo sostituirsi all’autorevole parere del Medico di famiglia, Medico Curante o di altre Figure Sanitarie Specialistiche.
Che cos’è il rene policistico?
Caterina, la malattia del rene policistico è una malattia genetica caratterizzata dallo sviluppo di più cisti, soprattutto sui reni e sul fegato.
Esistono diversi tipi di questa malattia:
- La malattia del rene policistico autosomica dominante (PKAD);
- La malattia del rene policistico autosomica recessiva (Pkar).
Sono trasmessi geneticamente in modi diversi e non hanno le stesse conseguenze.
PKAD
E’ un’affezione frequente (da 1/400 a 1/1000 nascite) responsabile di circa il 10% dell’insufficienza renale allo stadio terminale.
Di solito viene rilevato nei giovani adulti ma può essere rilevato a qualsiasi età.
Il PKAR
Si tratta di una malattia rara (1 / 40.000 nascite) che è caratterizzata dall’associazione tra cisti renali, fibrosi epatica e disgenesia biliare (alterazione dei tessuti cellulari che costituiscono il fegato e la cistifellea, in particolare a loro canali di drenaggio). I sintomi possono iniziare prima della nascita o successivamente.
Sono possibili altre cause:
- Nefronoftisi giovanile.
- Malattia midollare cistica renale;
- Sclerosi tuberosa;
- Malattia di Von Hippel- Lindau;
- La sindrome di Meckel.
Cosa succede?
Queste come abbiamo visto Caterina, sono malattie genetiche. Sono le mutazioni nei geni responsabili della produzione di proteine (policistine 1 e 2 per PKAD, fibrocistina per PKAR) coinvolte nel corretto funzionamento delle microstrutture cellulari, in particolare le ciglia, che sono all’origine delle cisti (le ciglia sono coinvolte nella trasmissione di segnali cellulari che portano alla crescita e proliferazione di cellule tubulari).
Le cisti si sviluppano dalle piccole vie urinarie nei reni (i tubi di raccolta distali), da cui si staccano per funzionare in modo indipendente e continuano a crescere. Fanno aumentare le dimensioni dei reni senza distorcere i loro contorni e portano a insufficienza renale.
Uno studio ecografico ha mostrato che la crescita del volume renale sarebbe di circa l’8% all’anno, mentre uno studio MRI (Risonanza magnetica nucleare) ha stimato che l’aumento annuale del volume della cisti sarebbe del 12%.
Malattia del rene policistico autosomica dominante (ADPKD)
È una malattia genetica che si trasmette in modo autosomico dominante (un solo genitore è sufficiente per trasmettere la malattia, un’ecografia permette anche di trovare cisti nei reni del genitore affetto).
È dovuto alla mutazione di due geni: PKAD1 (sul cromosoma 16) in quattro casi su cinque e PKAD2 (sul cromosoma 4) in uno su cinque. La comparsa dei sintomi può essere molto diversa da caso a caso, ma l’aumento delle dimensioni dei reni provoca ipertensione progressiva.
Malattia del rene policistico autosomica recessiva (ARKD)
È una malattia genetica che si trasmette in modo autosomico recessivo, vale a dire che il bambino è affetto dai suoi due genitori che non hanno la malattia ma portano il gene mutato PKHD1 (sul cromosoma 6). Lo sviluppo di cisti nel fegato e le alterazioni del tessuto cellulare (fibrosi epatica) portano anche a ipertensione portale ed al rischio di vene varicose esofagee, ma di solito non a insufficienza epatica. La diagnosi viene spesso fatta prima della nascita dalla visualizzazione, tramite ecografia, di grossi reni a partire dal 2° trimestre di gravidanza (e ancor più chiaramente dal 3° trimestre).
Per l’ADPKD, i criteri diagnostici ecografici sono stati rivisti circa 12 anni addietro (i vecchi criteri risalivano addirittura 27 anni fa, esattamente al 1994). Variano a seconda dell’età del paziente. Si ritiene oggi che la diagnosi richieda, per soggetti di età compresa tra i 15 ed i 39 anni, la presenza di almeno tre cisti distribuite in entrambi i reni o raggruppate in una. Dovrebbero esserci almeno due cisti in ciascun rene per i pazienti di età compresa tra 40 e 59 anni e almeno quattro cisti in ciascun rene per i pazienti di età pari o superiore a 60 anni.
Questi criteri, quando vengono soddisfatti, consentono di confermare la diagnosi con una certezza quasi del 100%. D’altra parte, la loro assenza non consente di eliminare con certezza un ADPKD di tipo 2. Tuttavia, un’ecografia che mostri reni normali o che abbia al massimo una cisti in persone di età superiore ai 40 anni il cui genotipo è sconosciuto consente di escludere un rene policistico con una certezza virtuale.
Cosa si sente, cosa si prova?
Caterina i segni sono variabili a seconda del tipo di policistosi.
- Nell’ADPKD, i sintomi rivelatori possono essere dolore lombare presente nel 71% dei pazienti, dolore addominale nel 61%, ma anche colica renale da compressione, ematuria visibile, infezione cistica. Ma la malattia può anche passare inosservata;
- Nel PKAR, ci sono forme fatali, in circa 3 su 4 casi.
Vengono rilevati durante un’ecografia prenatale del secondo trimestre e di solito portano all’interruzione medica della gravidanza.
A volte la malattia viene rilevata nei neonati durante l’esame del parto (distensione addominale o grande rene o grande fegato) o in presenza di di stress respiratorio. È diventato raro trovare la malattia più tardi durante la fase dell’infanzia.
Quali esami sostenere?
L’ecografia rimane l’esame standard, Caterina.
- Nell’ADPKD, la diagnosi viene fatta dall’ecografia che mostra due grandi reni multi- cistici associati a cisti epatiche. Più vecchia è l’età, maggiore è il numero di cisti (ed eventualmente la presenza di altre caratteristiche come i grandi reni policistici) necessarie per confermare la diagnosi, come la presenza di una o più semplici e banali dopo 50 anni. Una normale ecografia all’età di 30 anni ha escluso la diagnosi di policistosi legata al gene PKD1. Possiamo anche usare lo scanner o la risonanza magnetica, in grado di mostrare cisti più piccole (2 mm di diametro contro 10 mm per gli ultrasuoni). L’esame può essere effettuato a seguito di sintomi urinari o, incidentalmente, durante un’ecografia addominale per esempio. Può anche essere scoperto nel contesto della valutazione dell’insufficienza renale o dell’ipertensione;
- Nel PKAR, la diagnosi è fatta anche mediante imaging, solitamente ultrasuoni, che mostra il notevole aumento delle dimensioni dei reni e varie anomalie (iper- ecogena e dedifferenziate, in particolare a livello del midollo).
Quale decorso?
Purtroppo Caterina, il decorso è spesso grave con complicazioni.
- Nel PKAD, l’insufficienza renale cronica si manifesta gradualmente e, all’età di 70 anni, due pazienti su tre hanno un’insufficienza renale allo stadio terminale (il che significa anche che un paziente su tre non progredirà verso l’insufficienza renale allo stadio terminale). Ove applicabile, l’età media di insorgenza della malattia renale allo stadio terminale è di 54 anni per la forma PKD1 e 74 anni per la forma PKD2. È difficile prevedere l’evoluzione individuale ma, statisticamente, la forma legata alla mutazione di PKAD1 porta quindi a un’insufficienza renale allo stadio terminale in media 20 anni prima della forma PKAD2. A causa delle variazioni da persona a persona, vengono compiuti sforzi per stimare il tasso di progressione dell’insufficienza renale (indirettamente mediante cambiamenti nella dimensione del rene.);
- Alta pressione sanguigna (HTA) si verifica in quasi un terzo dei bambini e due terzi degli adulti. L’ipertensione è tanto più grave quanto più grandi sono i reni, è legata all’attivazione del sistema renina- angiotensina- aldosterone. È accompagnato da un aumento del rischio di insufficienza cardiaca (insufficienza ventricolare sinistra, che colpisce una donna su tre sulla quarantina e quasi un uomo su due). Il rischio di litiasi urica è aumentato. Le complicanze sono frequenti (colica renale, infezioni del tratto urinario inclusa pielonefrite, emorragie intracistiche). È anche possibile avere un’infezione del tratto urinario simile a pielonefrite: febbre, lombalgia, ecc. con, invece, un’analisi delle urine negativa nel caso di una cisti infetta che non è continua con i dotti urinari;
- Anche le cisti epatiche sono comuni: 58% per i 15- 24 anni, 85% per i 25- 34 anni e 94% per i 35- 46 anni (secondo studi certificati MRI). Si sviluppano più tardi e più lentamente delle cisti renali e colpiscono le donne più facilmente degli uomini. Possono indurre danni al fegato: fibrosi, epatomegalia dolorosa, soprattutto nelle donne. Più raramente, le cisti possono comparire nel pancreas (di solito senza sintomi), nella milza o nel cervello. Anche gli aneurismi cerebrali sono più frequenti (8% dei pazienti contro l’1% nella popolazione generale), così come il prolasso della valvola mitrale e la diverticolosi del colon. È importante riconoscere la rottura dell’aneurisma cerebrale a causa dei significativi rischi di morte o di sequele neurologiche: qualsiasi mal di testa a insorgenza improvvisa, localizzato, persistente e insolito dovrebbe richiedere un consulto medico urgente. Le cisti sono anche possibili nelle vescicole seminali per metà degli uomini e l’astenozoospermia (mobilità ridotta degli spermatozoi) è frequente ma generalmente senza disturbi della fertilità;
- Nell’ADPKD di tipo 2 (mutazione del gene PKD2), dove le cisti compaiono più tardi, l’assenza di cisti visibili alla TC all’età di 30 anni è piuttosto rassicurante perché il rischio di insufficienza renale allo stadio terminale è molto basso;
- Nel PKAR, la mortalità perinatale è elevata (circa il 75%) a causa di malformazioni associate (compressione toracica) e insufficienza renale. Quando la compromissione è meno grave, a volte è possibile la sopravvivenza (mortalità del 15% nel primo anno con un picco nel primo mese di vita) ma la compromissione renale porta comunque a insufficienza renale cronica precoce (in media all’età di 4 anni) e ad un tasso di malattia renale allo stadio terminale: più di uno su due a 20 anni. Tre pazienti su quattro sviluppano ipertensione e metà sviluppano fibrosi epatica e talvolta rotture delle varici esofagee.
Quali sono i trattamenti da seguire?
I trattamenti sono vari e dipendono dal tipo di policistosi e dal livello di gravità. Caterina sappi che molti trattamenti “sembrerebbero” ancora in fase di sviluppo o valutazione (tolvaptan, sirolimus) per trattare la malattia. Questi, mirerebbero direttamente ai meccanismi della malattia a livello cellulare.
Diversi trattamenti mirano a trattare invece le conseguenze della malattia:
- Il trattamento della pressione sanguigna alta si basa generalmente su un ACE inibitore (ACE) eventualmente combinato con un antagonista del recettore dell’angiotensina II (ARB2). Fa parte della lotta contro i fattori di rischio cardiovascolare;
- Nel trattamento dell’insufficienza renale, la dialisi peritoneale non viene offerta perché la superficie di scambio si riduce quando i reni sono troppo grandi. In caso di trapianto di rene, è necessario rimuovere anche un rene troppo grande;
- Il trattamento del dolore è spesso delicato, soprattutto perché è necessario evitare i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) in quei pazienti con reni vulnerabili.
A volte viene proposto l’ intervento chirurgico per rimuovere le cisti più grandi, con risultati contrastanti sul dolore.
- In alcuni casi, nella malattia renale allo stadio terminale, a volte è consigliata la nefrectomia;
- Le infezioni da cisti vengono trattate con antibiotici. Tuttavia, devono essere utilizzati antibiotici in grado di diffondersi nelle cisti renali (trimetoprim + sulfametossazolo, fluorochinoloni).
Esiste uno screening prenatale?
Si Caterina, un test prenatale è possibile in determinate condizioni.
- Per l’ADPKD, quando la mutazione è stata identificata in uno dei membri della famiglia o quando il legame genetico è stato stabilito nella famiglia, è possibile il test prenatale. Richiede il prelievo dei villi coriali a 10- 12 settimane di amenorrea o mediante amniocentesi a 15- 18 settimane. Generalmente, la decisione di sottoporsi ad un test viene presa dai genitori dopo la consulenza genetica nelle famiglie in cui si è verificato un caso di mortalità perinatale, displasia, o “rene grande” durante l’infanzia;
- Per il PKAR, test prenatale è possibile per le coppie che hanno avuto in precedenza un figlio con policistosi e il cui studio familiare ha identificato un marker informativo. Anche qui si richiede il prelievo di villi coriali a 10- 12 settimane di amenorrea o mediante amniocentesi a 15- 18 settimane.
La consulenza genetica è essenziale data la prognosi grave della malattia.
Quale branca medica cura il Rene Policistico?
Caterina, la nefrologia è la specialità medica che supporta la diagnosi e il trattamento di tutte le malattie renali (chiamate nefropatie), che influenzano la filtrazione del sangue, la funzione primaria dei reni.
Questa gestione va dai sintomi più elementari e precoci (presenza di sangue o proteine nelle urine, per esempio) alla complicanza più grave, che è l’insufficienza renale cronica. Questa complicanza può comportare la necessità di integrare la funzione renale mediante dialisi, trattamento fornito da ‘nefrologi’ o trapianto renale eseguito da ‘urologi’.
La stretta collaborazione con altre specialisti è essenziale con gli urologi ed i nefrologi che partecipano alla valutazione dei pazienti con calcoli renali (litiasi) o insufficienza renale.
- Con i ‘rianimatori’, il nefrologo partecipa alla diagnosi e al trattamento dell’insufficienza renale acuta;
- In collaborazione con i ‘cardiologi’, il nefrologo può essere coinvolto nella decisione del trattamento in caso di ipertensione arteriosa associata a insufficienza renale o patologia delle arterie renali;
- Con il ‘diabetologo’ interverrà il nefrologo per garantire il follow- up e la cura del paziente diabetico affetto da complicanze renali.
Caterina nel ringraziarla nuovamente per averci preferito la invito a ricontattarmi, senza indugio, quando vuole. Auguro a lei e la sua famiglia una splendida domenica.
“Vivamus dum licet esse bene.” Viviamo bene finché ci è possibile. (Gaio Petronio Arbitro)
Aspettiamo le vostre domande, inviatecele via mail a info@sbircialanotizia.it

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Notizie
Sentirsi a casa lontano da casa: a Roma nuova residenza Ail al Policlinico Tor Vergata

Per offrire supporto ai pazienti dell’Unità di Ematologia del Policlinico Tor Vergata che risiedono fuori dalla Capitale, è stata inaugurata oggi la Casa Ail ‘Residenza Oriana Daniello’, situata in via Cesare Brandi, nelle immediate vicinanze dell’importante centro ospedaliero. La nuova residenza nasce dal dono di una madre in ricordo della figlia. L’immobile, infatti, è stato acquistato da Ail (Associazione italiana contro le leucemie-linfomi e mieloma) Roma nell’aprile 2024, grazie alla generosa donazione della signora Anna Tenore, mamma di Oriana Daniello, giovane paziente scomparsa prematuramente, alla quale sarà intitolata la Casa Ail come segno tangibile dell’atto di sensibilità e solidarietà.
La giornata è iniziata con un incontro, moderato dal giornalista Fabrizio Paladini, sul tema ‘Accoglienza e cura’ nell’aula anfiteatro del Policlinico di Tor Vergata. Dopo i saluti istituzionali di Nathan Levialdi Ghiron, rettore dell’università degli Studi di Roma Tor Vergata, e di Isabella Mastrobuono, commissario straordinario del Policlinico Tor Vergata, hanno presentato il progetto Adriano Venditti, direttore del Dipartimento di Ematologia del Policlinico Tor Vergata; Maria Luisa Viganò, presidente Ail Roma; Giuseppe Toro, presidente nazionale Ail. Sono intervenuti Maria Stella Marchetti, presidente associazione L’arcobaleno della speranza, e Angelica Carnelos, segretario generale Enel Cuore. Anna Tenore, mamma di Oriana Daniello, ha portato la sua preziosa testimonianza.
La nuova residenza è stata realizzata anche grazie al prezioso sostegno di Ail nazionale che ha ricevuto la donazione dalla signora Tenore e destinato i fondi al progetto della Sezione Ail di Roma per l’acquisto dell’immobile. La ristrutturazione e l’adeguamento sono stati finanziati da Ail Roma grazie anche al sostegno di Enel Cuore Onlus, della maratona radiofonica di raccolta fondi ‘Radio Rock for Ail Roma’ e di Ail nazionale. I fondi stanziati complessivamente sono stati pari a 500mila euro.
“La generosità delle donazioni e dei lasciti è il motore che ci consente di realizzare progetti come la Casa Ail Residenza Oriana Daniello – afferma Viganò – Ogni donazione in vita e lascito solidale ad Ail è una promessa di supporto per il futuro. Questi fondi, così vitali, ci consentono di finanziare la ricerca scientifica, migliorare i servizi di assistenza ai pazienti e rafforzare il supporto ai reparti di Ematologia, al personale sanitario e a tutte le attività che quotidianamente aiutano i pazienti nella loro lotta contro le malattie ematologiche”.
“Questa iniziativa ha trovato nella Ematologia e nella direzione del Policlinico una grande accoglienza – dichiara Venditti – L’ospitalità, completamente gratuita e riservata a chi, provenendo da fuori Roma, non ha un reddito sufficiente a sostenere le trasferte onerose necessarie a ricevere cure e assistenza, è una risposta diretta alla presa in carico del paziente ematologico e della famiglia. Ail ha costruito nel tempo e da sempre iniziative realizzate a fianco dei più deboli. Per questo oggi siamo felici che questa Casa abbia scelto i malati del Policlinico Tor Vergata per essere vicino a chi viene da lontano, a chi è costretto a lunghe e ripetute permanenze lontano da casa, per misurarsi con la malattia e tutto ciò che ne consegue. Grazie per questa nuova opportunità di fare ancor meglio il nostro lavoro di curanti”.
La Casa Ail Residenza Oriana Daniello risponde ad una precisa esigenza dell’Unità operativa complessa di Ematologia del Policlinico Tor Vergata, che ha spesso in cura pazienti residenti in province diverse da Roma – da altre regioni e in alcuni casi anche da altre nazioni – per soggiorni anche lunghi, connessi ai cicli di terapia e alla necessità di cure prossimali in stretta contiguità assistenziale. Si tratta di un luogo confortevole e protetto, dove il paziente e il familiare che l’accompagna vengono accolti gratuitamente per tutto il periodo necessario alle cure.
Ospitata in una villetta a schiera con giardino, la nuova residenza replica il modello della casa Ail ‘Residenza Vanessa’ di via Forlì, afferente alla Uoc di Ematologia del Policlinico Umberto I. Potrà accogliere gratuitamente fino a 3 famiglie di pazienti in contemporanea, garantendo ad ognuno un ambiente accogliente e familiare: una camera privata con 2 letti e bagno, e la disponibilità di spazi comuni – angolo cucina, sala soggiorno-pranzo, lavanderia, giardino e terrazzo attrezzati – che permettono una vita di socialità e relazione tanto più necessaria quanto più lunga e complessa è l’esperienza da condividere.
I costi di mantenimento, miglioramento e gestione della residenza sono interamente sostenuti da Ail Roma, così come l’alloggio e tutti i servizi per gli ospiti. Importantissimo nella vita della casa il lavoro dei volontari di Ail Roma e dell’associazione L’Arcobaleno della speranza Odv, prezioso punto di riferimento per gli ospiti della casa.
La nuova Casa Ail Roma si aggiunge al circuito di case alloggio Ail in Italia, modello di accoglienza per i pazienti ematologici e le loro famiglie. Situate nei pressi dei maggiori centri di ematologia, le case alloggio Ail offrono ospitalità gratuita a chi, non residente, deve affrontare lunghi periodi di cura. Attualmente sono 38 le sezioni provinciali che offrono questo servizio, con 128 appartamenti e 5 residenze distribuite in 88 unità immobiliari, per un totale di 670 posti letto. Grazie a questa rete di solidarietà, ogni anno vengono ospitati 1.117 pazienti e 1.278 familiari, per un totale di 62.898 notti offerte.
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Rose Villain e l’odio per i suoni: “Impazzisco”. Cos’è la...

La cantante Rose Villain soffre di misofonia. Lo ha rivelato in un’intervista rilasciata ad Alessandro Cattelan per la nuova puntata di ‘Hot Ones’ che andrà in onda domani su Rai Play: “Io ho un problema con le persone, soffro di misofonia e se la gente fa dei rumori io impazzisco”.
Ma cos’è la misofonia? Letteralmente è l’odio per i suoni: c’è chi non sopporta il rumore della gomma masticata o del gesso sulla lavagna. Ma a livello scientifico è apparsa per la prima volta in un articolo del 2001 che porta la firma di due esperti in disturbi uditivi, Pawel J. Jastreboff e Margaret M Jastreboff. Nell’articolo il disturbo è distinto da altri già noti, come l’iperacusia e la fonofobia. Nell’iperacusia il malessere è causato da un’eccessiva attivazione del sistema uditivo in presenza di moltissimi suoni (anche in soggetti con un livello di udito normale), mentre la fonofobia è la paura di determinati suoni. Nella misofonia, invece, suoni specifici provocano una reazione di fastidio, soprattutto prodotti da bocca e naso. C’è tuttavia anche chi è sensibile a ticchettii ripetuti, come quello di una penna a scatto. Lo spiegano gli esperti dell’Airc nella pagina dedicata ai disturbi e sintomi più curiosi.
La maggior parte degli studi sulla misofonia è stato condotto a partire dal 2013. In quell’anno sono stati pubblicati i risultati delle ricerche premiate poi nel 2020 dall’IgNobel per la Medicina, il riconoscimento satirico alle ricerche più eccentriche e assurde, e anche i media hanno cominciato a interessarsi al problema. Si tratta di un disturbo ancora poco studiato e tante sono le domande rimaste senza risposta. Non sappiamo, per esempio, quale sia la sua prevalenza, cioè quanto sia frequente nella popolazione. Non sappiamo neppure se si manifesti in relazione con altri disturbi, né quale sia di preciso la sua natura. In genere gli specialisti non credono che vi sia implicata una patologia dell’apparato uditivo. Si ipotizza piuttosto che possa trattarsi di un disturbo di natura neurologica o psichiatrica, poiché da alcuni test preliminari sembra che l’ascolto dei suoni in grado di innescare le reazioni attivi precise aree cerebrali.
Tuttavia, sembra esserci anche una componente psicologica. Per esempio, molte delle persone con misofonia dichiarano nei questionari utilizzati dagli studiosi di aver cominciato in tenera età a provare disgusto sentendo i propri familiari masticare. La loro reazione a questi suoni potrebbe sottintendere anche un giudizio ‘morale’ che giustifica il disgusto. In pratica, molti misofonici considerano estremamente maleducato masticare rumorosamente. In altre parole, la misofonia potrebbe essere una forma di ipersensibilità che non riguarda lo stimolo in sé, bensì il significato che chi ne soffre gli attribuisce.
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Acciacchi di primavera? Sui dolori da cambio stagione ‘prove debolissime’

E’ primavera. La stagione dei fiori è cominciata ufficialmente alle 10.01 di oggi, 20 marzo. Un passaggio che per molti si accompagna a disturbi di salute tipici del periodo, dalle prime allergie ai problemi di sonno. Fra gli acciacchi attribuiti al meteo ballerino ci sono anche i dolori articolari, ma è davvero così? Se fa male il ginocchio, duole la spalla o ci si sente incriccati è veramente colpa della ‘maledetta primavera’? “Attribuire alle condizioni meteorologiche il peggioramento dei dolori a ginocchia e altre articolazioni è una credenza molto antica e popolare. Le prove di questa correlazione, però, sono debolissime”, sentenzia un’analisi di ‘Dottore, ma è vero che…?, il portale anti-fake news della Fnomceo, Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.
“L’artrite e le altre patologie reumatiche – spiegano gli esperti – sono malattie complesse e riconducibili a più cause, come il logoramento dei tessuti in età avanzata, oltre a fattori genetici e ambientali. Comprendere i meccanismi biologici coinvolti e valutare l’impatto di fattori come la pressione atmosferica, l’umidità e la temperatura sui sintomi resta un obiettivo della ricerca”, anche allo scopo di “individuare trattamenti specifici per gestire (e prevenire) i dolori articolari e migliorare la qualità della vita dei numerosi soggetti colpiti, soprattutto in età avanzata”. Tuttavia, “la ricerca al momento non ha prodotto prove sul legame di causa-effetto tra il tempo che cambia e i dolori a ossa e articolazioni”.
“La credenza – ricorda il sito anti-bufale – è antica e molto diffusa: ne aveva parlato persino Ippocrate, medico greco vissuto circa 2.500 anni fa. Nel frattempo si sono effettuate moltissime ricerche cercando di capire i meccanismi biologici all’origine dei dolori prima della pioggia. I risultati però restano ipotesi. Una delle più accreditate per spiegare l’influenza del cattivo tempo sul fisico si riferisce alla pressione atmosferica, quella indicata dal barometro. Quando diminuisce, solitamente prima di un temporale, l’aria preme meno sui tessuti del corpo. I muscoli e i tendini, di conseguenza, si espandono irritando le articolazioni. L’umidità e il freddo, poi, agiscono sul liquido sinoviale, un fluido che ha il compito di lubrificare le estremità delle ossa. Se si altera, i legamenti si irrigidiscono. Conta anche la rapidità con cui cambia il tempo: se la pressione cala drasticamente, i dolori possono essere più acuti”. Queste teorie sono state formulate partendo da un dato empirico, ossia “un aumento delle richieste di visite” mediche “o di antidolorifici durante i cambiamenti meteorologici”. Ma per la scienza “tutto ciò non basta a provare che il maltempo influisca significativamente sulla salute di ossa, articolazioni e legamenti. E, purtroppo, non è sufficiente per individuare trattamenti specifici o strategie di prevenzione”.
“Molti studi – prosegue l’analisi – oggi sfruttano la tecnologia per coinvolgere decine di migliaia di pazienti per comprendere l’eventuale legame di causa-effetto” tra meteo e dolorini. Qualche esempio: “Nel Regno Unito oltre 10mila partecipanti avevano aderito a un progetto di lunga durata per comunicare il proprio stato di salute e la posizione geografica, giorno dopo giorno. Secondo gli autori dello studio esiste una relazione tra i dati di umidità, pressione atmosferica e vento e il malessere percepito. Si tratta però di autovalutazioni del paziente, che non consentono di conoscere come altri fattori possono aver scatenato il dolore. Un altro studio, condotto negli Stati Uniti, ha seguito oltre 1 milione e mezzo di pazienti anziani nell’arco di 4 anni. Non si è riscontrato alcun aumento delle visite ambulatoriali per dolori a ossa e articolazioni nei giorni di pioggia, rispetto alle giornate serene e di alta pressione. Ogni collegamento, quindi, ancora una volta, sarebbe casuale”.
Alcune abitudini adottate per il timore di un presunto ‘dolore da maltempo’ rischiano di peggiorare le cose, avvertono i medici. “In previsione di un peggioramento del tempo”, per esempio, “chi può si concede una giornata più sedentaria che però concorre a peggiorare la mobilità delle articolazioni. In più, temendo di soffrire, dopo aver dato un’occhiata al meteo si tende a notare fastidi sui quali prima non ci si sarebbe soffermati troppo”. Addirittura “esistono negli Stati Uniti siti che, insieme alle previsioni meteo, danno un bollettino sul rischio di peggioramento dell’artrite”. Ma “non essendoci nessuna convalida scientifica, consultarli può essere controproducente”.
Come si possono prevenire o lenire questi dolori? “Essere attivi mantiene muscoli, tendini e legamenti elastici e mobili”, è la prima raccomandazione. “Si può praticare stretching o yoga per aumentarne la flessibilità ed evitare di sentirsi ‘scricchiolanti’. Quando non si può fare esercizio fisico – suggeriscono gli esperti – è utile mantenere il corpo al caldo: una doccia o un cuscinetto riscaldante possono calmare il dolore lieve. Non esiste, però, una cura risolutiva per le artriti. Si ricorre perciò a trattamenti di diverso tipo (gli antinfiammatori da assumere per bocca o da applicare sulla parte interessata, la fisioterapia) che leniscono i sintomi e migliorano la mobilità”, ma “è sempre bene consultare il medico per evitare di prolungare troppo terapie che potrebbero essere nocive. Nei casi più gravi, infine, si procede con la sostituzione chirurgica dell’articolazione”.