I diritti del feto, tra storia, attualità e futuro
Oggigiorno, il concetto della gravidanza e, più nello specifico, quello di un feto ancora in sviluppo all’interno dell’utero materno, è diventato un argomento di discussione abbastanza attuale, visti i recenti dibattiti, anche piuttosto accesi, riguardanti la tutela dei diritti del feto in contrasto con quella che è la vita delle donne che li portano in grembo.
Pochi mesi fa, una donna texana incinta è stata multata per aver guidato nella corsia riservata alle autovetture che trasportano almeno un passeggero; tuttavia, per annullare tale sanzione è bastata la spiegazione della donna stessa, la quale affermava che il feto che portava in grembo rappresentava per lei il secondo passeggero. Questo avvenimento induce a chiedersi: come si dovrebbe considerare il feto e la sua vita?
Cenni storici sulla considerazione del feto umano
Il concetto che porta a considerare un embrione e un feto una reale persona affonda le proprie radici non molto indietro nel tempo. Basti pensare che solo negli ultimi decenni si possiede una conoscenza piuttosto dettagliata a livello biologico e fisiologico sul feto e sul suo concepimento: fino all’Ottocento, infatti, le conoscenze a riguardo erano ancora piuttosto vaghe, sino al 1827, anno in cui venne scoperto l’ovulo.
Nei decenni successivi, con lo sviluppo di una vera e propria branca che studiasse tale meccanismo biologico, l’embriologia, il feto era considerato dai più come un’escrescenza della madre, una sorte di appendice che si distaccava da essa nel momento esatto del parto.
Nonostante questo, l’aborto era considerato una pratica totalmente illegale, ma di certo non era un argomento di discussione come lo è oggi, considerando anche la posizione abbastanza vaga che assumeva la Chiesa cattolica nei confronti di tale questione.
In alcuni testi dei padri della Chiesa, infatti, viene specificatamente detto che l’aborto di un feto non ancora del tutto formato non si può considerare omicidio in quanto esso è sostanzialmente un organismo privo di anima, presa di posizione che cambiò radicalmente quando venne sostituita dalla concezione secondo la quale la vita inizia dal concepimento.
Il tutto proseguì in tempi moderni e più precisamente nel 1968, quando Paolo VI emanò l’enciclica Humane Vitae riguardante la sessualità e la liberazione delle donne. Gli anni 80′ furono caratterizzati dalla nascita dei primissimi movimenti antiabortisti, chiamati pro life, i quali sostenevano a gran voce la similitudine tra omicidio e aborto, affiancati dal conflitto nato e consolidatosi in quel famigerato decennio tra i diritti del feto e quelli della donna.
Tale movimento, nel corso del tempo, si radicalizza sempre di più e trova un esponente importante in Ronald Reagan: insieme a ciò, si rafforza l’idea secondo la quale il feto è una persona a tutti gli effetti e interrompere la sua vita equivale ad un omicidio volontario.
Le prese di posizione degli USA
Tra gli esponenti principali delle primissime leggi varate a difesa del diritto della vita dei feti vi sono proprio gli Stati Uniti, i quali iniziarono a varare le prime norme che andavano a tutelare la vita del feto tramite i divieti riguardanti la sperimentazione medica su di essi, sull‘uso di strumenti diagnostici o farmacologici, sulle misure di sicurezza lavorative per le donne incinte e sentenze contro coloro che assumevano droga o alcol pur essendo incinte.
Tutto ciò fu avvalorato in corrispondenza dell’epidemia di crack che si diffuse negli anni Ottanta, particolare periodo nel quale si consolidarono i diritti del feto a scapito di quelli della madre.
Oggi, infatti, l’Unborn Victims of Violence Act del 2004 tutela gli interessi del feto anche in ambito legale, proteggendolo grazie ad un tutore che può fare le sue veci in tribunale.
La situazione in Italia
I diritti del feto sono stati al centro del dibattito anche nel nostro paese: una prima testimonianza la si ebbe nella legge 40 del 2004, la quale garantiva il rispetto dei diritti di tutti, compreso il feto, nella procreazione assistita.
Il feto, infatti, aveva diritto a ricevere un’eredità o ad essere destinatario di una qualche donazione, concetto che si basava sulla concezione secondo la quale si acquista la capacità giuridica al momento della nascita.
Il progresso dei movimenti antiabortisti è proseguito sino ai nostri giorni, grazie al disegno di legge promulgato dal Movimento per la vita e portato in Parlamento in più occasioni, dal 2008 sino all’anno scorso, quando la senatrice dell’Udc Paola Binetti ha presentato una legge per la modifica dell’articolo 1 del Codice Civile.
Ad oggi, non si è ancora arrivati al punto di riconoscere totalmente i diritti giuridici del feto, ma la direzione intrapresa sembra proprio essere quella: i segnali sono evidenti, dalla legalizzazione dell’adozione del concepito alle leggi sulla tutela della vita nascente.
Insomma, le strategie dei movimenti antiabortisti e di quelli politici stanno spostando l’attenzione nel campo giuridico, dato che non si riesce a trovare un accordo sul momento esatto in cui inizia la vita umana.
Basta aspettare e vedere che piega legale prenderà questo dibattito che sembra non avere mai una fine.

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Attualità
Maestra su OnlyFans, la storia di Elena e la sfida tra privacy e professione

Un racconto di passione, diritti e responsabilità condivise…
Abbiamo riflettuto a lungo sulla linea sottile che separa la vita privata di un docente dall’immagine pubblica che l’istituto scolastico richiede. Voi, probabilmente, vi starete chiedendo se sia giusto tracciare un confine netto o se esista uno spazio di libertà in cui ognuno può costruire la propria identità senza temere ripercussioni sul lavoro. È una domanda scomoda. Eppure, il caso di Elena Maraga, maestra di 29 anni in una scuola dell’infanzia cattolica nel trevigiano, ci costringe a guardare la realtà da prospettive che non sempre coincidono con i regolamenti o con l’opinione pubblica.
Da un asilo cattolico a una piattaforma per adulti: il fatto che divide
Prima di entrare nel vivo, è essenziale ricostruire a grandi linee la vicenda. Secondo diverse fonti, una madre ha scoperto che la maestra pubblicava contenuti osé su OnlyFans, un sito per adulti con contenuti a pagamento. La donna ha avvisato la scuola, che ha immediatamente chiesto a Elena di cancellare il profilo. Lei ha detto no. Ha ribadito che l’impegno in classe era sempre stato serio e che la vita privata non intaccava il suo modo di educare i bambini.
Il passo successivo è stato drastico: sospensione e blocco dello stipendio. L’istituto si è appellato ai valori religiosi e alle clausole sulla “condotta morale” presenti nel contratto. Così, da un giorno all’altro, Elena si è ritrovata a dover difendere la propria professionalità in pubblico. Abbiamo letto di reazioni furiose, ma anche di genitori pronti a sostenerla. Ed è proprio questo sostegno che fa riflettere sulla complessità del caso.
Il sostegno dei genitori e l’amore per i bambini
Voi, al posto loro, come avreste reagito? In questo contesto, molte famiglie hanno scelto di scendere in campo a favore della maestra, definendola “fantastica” e sottolineando il suo impegno costante in classe. Circa una trentina di genitori (stando a vari resoconti) si sono uniti per firmare una lettera indirizzata alla parrocchia, chiedendo con fermezza di non allontanarla. “I bambini le vogliono bene”, hanno riferito alcuni. Per noi, questo ci dice tantissimo: il suo ruolo educativo è stato apprezzato dai più piccoli e, di conseguenza, dai loro genitori. È un punto cruciale che la stessa Elena ha ribadito: i bimbi non dovrebbero pagare il prezzo di una scelta privata.
Una clausola morale e il dibattito etico: dove finisce la libertà?
Le voci della scuola parlano di incompatibilità con i principi di un asilo d’ispirazione cattolica. Noi comprendiamo che ogni istituto abbia delle linee guida, ma siamo di fronte a un interrogativo importante: quanto può incidere un’attività personale, magari considerata inopportuna, sul diritto di insegnare? Soprattutto se non si commette alcun reato e non si infrangono norme palesi. È vero che esiste una clausola “generica” sulla condotta morale e la direzione scolastica l’ha interpretata in modo rigido, sostenendo che la presenza su OnlyFans macchi l’immagine dell’istituto.
Elena, dal canto suo, ha spiegato che non condivide contenuti pornografici e che, anzi, non ha mai promosso apertamente il suo profilo. È stato un genitore a far emergere la questione. Alcuni riferiscono che la docente fosse pienamente consapevole dei rischi, ma ciò non la distoglieva dal ritenere di essere nel giusto: “Non ho fatto nulla di male, visto che il mio dovere a scuola l’ho sempre svolto con rigore”, ha confidato in diverse interviste riportate dai media.
La posizione dei sindacati: diritti e tutele per ogni lavoratore
Mentre l’istituto difende la propria immagine, la CGIL si è schierata apertamente a favore di Elena. Il sindacato ha ricordato che non esiste alcuna norma legale che impedisca a un insegnante di svolgere attività private a pagamento, purché la sfera professionale non risulti compromessa. “Chi intende licenziarla non ha la legge dalla sua parte”, ha detto un rappresentante locale, rimarcando l’assenza di specifici divieti contrattuali. Una presa di posizione piuttosto netta, che ha aperto la strada a un possibile conflitto legale, e noi ci domandiamo come si concilieranno queste due esigenze: da un lato il diritto alla vita privata, dall’altro le regole della scuola religiosa.
La tempesta mediatica e il timore per il futuro
Il rientro di Elena era previsto il 19 marzo, ma la sospensione ha bloccato tutto. Ora si trova in una situazione d’incertezza. Nessun licenziamento formale, nessuna lettera di dimissioni, almeno per il momento. Lei spera di tornare in classe, o di trovare comunque un accordo con la scuola per uscirne in modo dignitoso. Le sue parole dicono una cosa semplice: “Mi dispiace per i bambini, non vorrei che perdessero una figura di riferimento.” Noi crediamo che questa vicenda vada oltre la singola controversia. Riflette qualcosa di più grande: l’idea che un docente debba essere valutato dal lavoro che fa tra i banchi, non da ciò che fa altrove (ammesso che non violi la legge o clausole chiaramente esplicitate).
Una possibile evoluzione: codici etici più rigidi?
In alcuni comunicati, si legge che la Federazione Italiana Scuole Materne (FISM) starebbe vagliando un codice etico più stringente. Il Ministero dell’Istruzione – a sua volta – sembrerebbe intenzionato a rivedere le linee guida sull’uso dei social media per il personale scolastico. Questo dibattito, che ci coinvolge tutti, apre uno scenario in cui i confini tra pubblico e privato potrebbero diventare sempre più sfumati. Vi chiediamo: siete convinti che bastino regole più dure per tutelare i bambini, o si rischia di limitare eccessivamente le libertà individuali?
Un messaggio finale: libertà, responsabilità e il valore di insegnare
Alla fine, resta forte la consapevolezza che chiunque, nella propria vita, possa intraprendere scelte discutibili per alcuni e naturali per altri. Ciò che conta, nel contesto lavorativo, è la professionalità. Se un insegnante rispetta i doveri, ama i bambini e li segue con dedizione, forse non dovrebbe essere condannato per attività personali che non ledono diritti altrui. Questa è la lezione che sentiamo di cogliere.
Noi, come giornalisti e osservatori, vorremmo vedere Elena riconosciuta per il suo impegno in aula, senza che un profilo online – certo, difficile da conciliare con la morale religiosa di un asilo – possa offuscare la sua capacità di educare. Ognuno di noi può scegliere come arrotondare lo stipendio o esprimere una parte di sé, purché siano rispettate le regole e i valori fondamentali del vivere civile. Se la maestra ha sempre fornito ai piccoli l’attenzione e l’amore necessari, se non ha infranto alcuna norma giuridica concreta, perché condannarla senza appello?
Concludiamo con una riflessione che ci auguriamo possa coinvolgervi: siamo convinti che la società abbia bisogno di educatori appassionati, pronti a dare il meglio ai bambini, indipendentemente dal modo in cui trascorrono il proprio tempo libero. Sì, ci sono scelte personali che possono apparire scomode, ma la professionalità dovrebbe stare al primo posto. La storia di Elena ci insegna che la dignità di una persona va misurata sul campo, nella passione che mette nel proprio lavoro. E se la passione c’è, ha senso punirla solo per qualche fotografia ritenuta inopportuna? A voi la riflessione.
Attualità
Truman Capote e la ferita di un delitto: il nuovo sguardo di “Pagine” su Rai 5

Avvertiamo sempre un brivido, quasi un sussurro inquieto, quando pensiamo a quei delitti che scuotono intere comunità. Voi vi siete mai chiesti che cosa spinga uno scrittore a immergersi così a fondo in un omicidio da farne un romanzo-capolavoro? In “A sangue freddo” Truman Capote fece esattamente questo, scavando nella tragica vicenda della famiglia Clutter e finendo per portarsi dietro un peso enorme. Adesso, questo stesso racconto torna sotto i riflettori grazie al documentario di Julien Gaurichon e Frédéric Bas, che lunedì 24 marzo verrà proposto in seconda serata su Rai 5, all’interno di “Pagine”.
La voce di Federica Sciarelli: dal crimine narrato al crimine reale
Nel nuovo programma di Rai Cultura, ci affacciamo su scenari di letteratura che spesso s’intrecciano con la cronaca. Ed è proprio Federica Sciarelli, popolare volto di “Chi l’ha visto”, a introdurre il mondo di “A sangue freddo”. Sentiamo tutta l’intensità di chi ha familiarità con storie difficili, perché la Sciarelli di crimini ne ha raccontati tanti e sa bene quanto possa pesare l’eco di un fatto violento.
Noi immaginiamo la vita a Holcomb, in Kansas, nel 1959. Un posto tranquillo dove improvvisamente accade qualcosa di mostruoso: quattro membri della famiglia Clutter vengono trovati assassinati il 15 novembre. Capote, ancora noto soprattutto per “Colazione da Tiffany”, resta catturato dalla notizia letta sul “New York Times”. Un crimine così efferato lo spinge a passare cinque anni tra interviste e ricerche, fino alla pubblicazione di “A sangue freddo” nel 1965 sulle pagine del “New Yorker”. Nel 1966 esce il romanzo completo, e quel successo esplode al punto da cambiare la sua vita e quella di una certa narrativa true crime.
Le ombre dei colpevoli e le ferite interiori
Vi siete mai chiesti come reagiremmo davanti a chi ha commesso un massacro? Capote incontrò più volte i due responsabili, Perry Smith e Dick Hickock, ex pregiudicati in libertà vigilata. Ci sconvolge sentire che lui descriveva Perry come colto e sensibile, mentre Dick sembrava incredibilmente pacato. Eppure, nel 1960 furono entrambi arrestati e poi condannati a morte. Cinque anni dopo, Capote assistette alle impiccagioni. Da lì la ferita, un vuoto che lui stesso definì insopportabile: “Nessuno conoscerà mai il vuoto che A sangue freddo ha scavato in me. In qualche modo credo che questo libro mi abbia ucciso”.
Con filmati d’archivio e testimonianze, Gaurichon e Bas riportano alla luce la forza devastante di quella storia e mostrano quanto abbia segnato Capote. Noi ci ritroviamo quasi senza fiato, perché scopriamo un autore diviso fra la voglia di raccontare e il peso di un’esperienza troppo intensa. “Pagine” – curato da Silvia De Felice, Emanuela Avallone e Alessandra Urbani, per la regia di Laura Vitali – ci accompagna lungo questo percorso fra parole e immagini, invitandoci a esplorare la letteratura come specchio della realtà più crudele.
Non sappiamo se avremo mai risposte definitive, ma restiamo uniti in questa riflessione collettiva, mentre la Sciarelli ci introduce a un racconto che vibra ancora di tensione. E forse, alla fine, ci rendiamo conto che l’anima di Capote aleggia ancora su quelle pagine, come se il crimine avesse stretto uno strano patto con la sua penna.
Attualità
Processo Priebke: l’ombra del passato che ci parla ancora

Ci sentiamo afferrare alla gola ogni volta che riemerge un episodio legato ai crimini nazisti. Non è semplice, vero? Molti di voi, probabilmente, preferirebbero non rivivere certi ricordi. Eppure sentiamo il dovere di ripercorrere fatti come l’eccidio delle Fosse Ardeatine, perché non possiamo permettere che scivolino nell’oblio.
Un processo fra indignazione e memoria
Il nome di Erich Priebke rimane un simbolo del male: ex ufficiale delle SS, coinvolto in uno dei massacri più atroci del nostro Paese. Nel 1996 lo arrestano in Argentina e lo trasferiscono in Italia. Sembra quasi un film, ma è tutto drammaticamente reale. Il tribunale militare di Roma, in un’aula piccola e soffocante, diventa il palcoscenico di un dibattito giuridico infuocato. La prima sentenza riconosce la colpevolezza di Priebke ma, incredibilmente, dichiara prescritto il reato.
Vi immaginate la rabbia? Familiari delle vittime che protestano, che occupano l’aula, che non riescono ad accettare una conclusione tanto assurda. Eppure quei momenti di tensione hanno contribuito a riaccendere l’attenzione collettiva su un capitolo oscuro della nostra storia. Nel 1997, alla fine, arriva la condanna definitiva all’ergastolo, con un principio che ormai conosciamo bene: i crimini di guerra non vanno in prescrizione.
Sentiamo un fremito nel presentarvi La verità del male – Il processo Priebke, un documentario prodotto da Golem Multimedia, in collaborazione con Rai Documentari e Fondazione Museo della Shoah, che va in onda venerdì 21 marzo in seconda serata su Rai 3. Il racconto, scritto da Giancarlo De Cataldo e Alberto Ferrari, e diretto dallo stesso Ferrari, mette in scena le voci di chi ha vissuto quei giorni intensi: Francesco Albertelli (ANFIM), Giovanni Maria Flick (Ministro della Giustizia di allora), Antonino Intelisano (pubblico ministero del Tribunale Militare) e Riccardo Pacifici, protagonista delle proteste e oggi vice presidente della European Jewish Association. La narrazione di De Cataldo penetra nelle pieghe del passato, mentre la colonna sonora, firmata da Gabriele De Cataldo e il montaggio di Luca Mariani completano un quadro crudo e necessario.
Siamo convinti che un lavoro del genere non sia solo un prodotto televisivo. È un richiamo collettivo a guardare in faccia l’orrore e a non smettere di fare i conti con ciò che è stato. Voi siete pronti a rivivere tutto questo? Noi crediamo che non ci sia scelta: occorre ricordare, sempre.