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Su Gaza l’ombra della carestia, l’allarme Onu

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Esiste una "definizione concordata": cosa si intende e in che modo viene classificata

Palestinesi fuggono dopo un bombardamento israeliano nel centro di Gaza City AFP

Insieme alle bombe, la fame. E mentre la comunità regionale e internazionale preme su Israele perché permetta l'ingresso di più aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, la popolazione dell'enclave fa i conti con quelle che le Nazioni Unite hanno descritto come ''condizioni simili alla carestia''.

Carestia, cosa si intende

Ma cosa si intende, esattamente, per carestia? Per capirlo occorre affidarsi a un sistema di cinque livelli di una scala di insicurezza alimentare elaborato da un gruppo di organizzazioni internazionali ed enti di beneficenza noto come 'Integrated Food Security Phase Classification'. Quando si arriva al quinto livello, allora si ha una carestia, mentre al terzo si parla di ''crisi'' e al quarto di ''emergenza''. Le Nazioni Unite e gli esperti della 'Famine Review Committee' affiliata parlano di carestia quando, in una determinata area, almeno il 20 per cento delle famiglie si trova a dover affrontare una mancanza di cibo estrema, almeno il 30 per cento dei bambini soffre di malnutrizione acuta e due persone ogni 10mila muoiono ogni giorno a causa della fame o per malattie in qualche modo riconducibili alla mancanza di una alimentazione adeguata.

Per capire se nella Striscia di Gaza sia in corso una carestia occorre tornare alla fine dello scorso anno quando funzionari delle Nazioni Unite hanno dichiarato che circa 377.800 persone, ovvero circa il 17% della popolazione della Striscia di Gaza, dovrebbero essere considerate al quinto livello della scala di insicurezza alimentare. Ciò significa che si trovavano ad affrontare le stesse condizioni delle persone che vivevano in aree precedentemente dichiarate zone di carestia. Come poteva essere la Somalia nel 2011 o il Sud Sudan nel 2017.

L'''uso di una definizione concordata'' di carestia ''è uno sviluppo abbastanza recente. Prima del Duemila, non avevamo una definizione tecnica'', ha spiegato al Washington Post via mail Paul Howe, direttore del Feinstein International Center presso la Tufts University ed ex funzionario del World Food Program. A renderla necessaria sono state le preoccupazioni che ''la mancanza di una definizione condivisa potesse rinviare le risposte umanitarie, rendere difficile stabilire le priorità delle risorse nei diversi contesti e complicare gli sforzi per scoraggiare future carestie'', ha precisato Howe. Tuttavia la dichiarazione di carestia, fatta dal governo locale o da un alto funzionario delle Nazioni Unite nella zona, non comporta obblighi vincolanti. In ogni caso, serve come un modo per aumentare la consapevolezza globale sulla gravità di una crisi alimentare.

Fame, malnutrizione e inedia

Oltre alla carestia, ci sono la ''fame'', la ''malnutrizione'' e ''l'inedia''. Per ''fame'' si può intendere una condizione di breve o anche lungo termine. Una persona può avere fame se non mangia per tutto il giorno, mentre un bambino può avere fame se ha saltato i pasti o se ha avuto poco cibo per un lungo periodo di tempo, come spiega Catherine Bertini, professore emerito di Affari internazionali presso la Syracuse University. Invece la ''malnutrizione è quando si ha una cattiva alimentazione - prosegue Bertini - Una persona può essere malnutrita sia perché mangia troppo cibo non salutare, sia perché non ha abbastanza cibo con cui sfamarsi''. Invece ''l'inedia'' è un processo che porta alla morte nel caso in cui qualcuno non abbia calorie a sufficienza o una dieta equilibrata, precisa.

''Quindi la fame può diventare malnutrizione grave che porta all'inedia, che a sua volta porta alla morte. Quando le morti si registrano in una determinata popolazione, in particolare nei bambini, a causa dell'inedia, allora potrebbe trattarsi di una carestia'', spiega al Washington Post.

Ed è quello che starebbe affrontando la popolazione della Striscia di Gaza che, come hanno rilevato le Nazioni Unite, soffre di una grave carenza di cibo. Dall'inizio della rappresaglia israeliana il 7 ottobre, le spedizioni quotidiane di cibo e di aiuti sono scese molto al di sotto dei 500 camion di forniture necessari ogni giorno per soddisfare i bisogni di base dei due milioni di palestinesi che vivono nell'enclave. Si parla di una ventina di camion di aiuti in sette giorni a febbraio, con un solo record di 300 camion il 28 novembre. Per gli aiuti si guarda ora al mare, dove sabato è approdata la prima nave di Open Arrms e World Central Kitchen, mentre una seconda è pronta a salpare da Cipro.

''Il problema è che la carestia, come anche la risposta ad essa, è diventata una questione politica. Dichiarare la carestia porrebbe fine alle condizioni che la determinano? No. La guerra è la causa della carestia, e finché continua, lo sarà anche la fame'', ha affermato Tylor Brand, professore di Studi sul Vicino e Medio Oriente al Trinity College di Dublino in Irlanda.

La prima volta che, basandosi sul quinto livello di insicurezza alimentare, le Nazioni Unite hanno definito tecnicamente un Paese colpito dalla carestia è stato nel luglio del 2011, la Somalia. Almeno 250mila persone, la metà delle quali con meno di cinque anni, sono morte a causa della carestia, secondo quanto riportò il Washington Post. In alcune zone della Somalia, i bambini con meno di cinque anni morti ogni giorno superava i sei ogni 10mila, secondo l'allora funzionario dell'Onu Mark Bowden. Nel febbraio del 2017 l'Onu ha dichiarato una carestia in Sud Sudan, dicendo che 100mila persone soffrivano di inedia. La peggiore crisi alimentare nella storia moderna dell'umanità è stata la carestia del 1959-61 in Cina dove morirono oltre 20 milioni di persone, secondo stime del governo di Pechino.

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Proteste università Usa, analista iraniana:...

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La riformista Afifeh Abedi, candidata alle ultime elezioni, "velo non può essere imposto alle donne"

Proteste università Usa, analista iraniana:

"Il trattamento violento degli agenti di polizia americani nei confronti di studenti e professori consapevoli dei crimini di Israele, combinato con il pieno sostegno dell'Amministrazione Biden alla guerra a Gaza, indebolirà senza dubbio la sua posizione alle elezioni presidenziali americane". Lo afferma in un'intervista all'Adnkronos Afifeh Abedi, ricercatrice su questioni di politica estera presso il Center for Strategic Research (Csr) di Teheran, uno dei principali think tank della Repubblica islamica, commentando le proteste contro Israele nei campus universitari americani.

"Il numero crescente di vittime dei crimini israeliani a Gaza, almeno due terzi delle quali sono donne e bambini, ha allarmato la comunità internazionale. Tuttavia, Washington continua a fornire pieno sostegno politico e militare a Israele. L'America rifiuta di accettare una soluzione politica per un cessate il fuoco a Gaza, cosa che fa arrabbiare ogni coscienza sveglia", prosegue la ricercatrice, che alle ultime elezioni parlamentari in Iran si è candidata con la lista 'Sade Mellat', sostenuta dai riformisti moderati. Secondo Abedi, "l'Amministrazione Biden ha mostrato una significativa debolezza anche nell'affrontare altre questioni mondiali".

La candidata riformista lancia quindi l'allarme sull'annunciata operazione militare israeliana a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, che a suo parere "ha il potenziale per scatenare una guerra regionale" dal momento che "incita le opinioni pubbliche nei Paesi arabi contro i loro leader", mentre si moltiplicano gli appelli internazionali al governo Netanyahu a desistere dall'avviare un attacco contro Rafah.

Secondo Abedi, l'obiettivo di Israele è di "occupare Gaza e trasformare le sue strutture sociali, economiche e politiche in quelle israeliane". L'operazione prevista a Rafah fa parte degli "sforzi in corso di Israele per indebolire Hamas e garantirsi l'accesso a Gaza", spiega l'analista, secondo cui, tuttavia, l'emergere di "una nuova dimensione di crimini", come la scoperta di fosse comuni, rende "sempre più difficile la capacità di Washington di continuare a sostenere Israele".

Per quanto riguarda l'Iran, precisa, le sue richieste sono sempre quelle che Israele cessi i suoi attacchi contro Gaza e Rafah, che si ritiri completamente da Gaza e che gli abitanti di Gaza ritornino nelle loro case. "Su questa base continuerà a tenere consultazioni regionali e internazionali".

Abedi commenta quindi la denunciata stretta ulteriore da parte della cosiddetta 'polizia morale' (Gasht-e Ershad) sull'obbligo di indossare il velo in pubblico. Stretta che è sfociata in una campagna sui social con l'hashtag 'Guerra contro le donne'.

"Credo che l'hijab sia una questione consuetudinaria, culturale e religiosa che non possa essere imposta alle persone", afferma, ricordando che il ministero dell'Interno ha il compito di far rispettare l'obbligo e confermando che gli agenti della Gasht-e Ershad hanno recentemente ripreso le operazioni.

"Tuttavia, l'attuazione della legge sull'hijab è ancora monitorata" su pressione della "parte tradizionale e religiosa della società", sottolinea Abedi, che dice di essersi candidata per sostenere una maggiore libertà sociale per le donne, la riforma delle leggi a favore delle donne e l'aumento della percentuale di donne al potere.

"L'ingerenza straniera in questa questione sociale ha aumentato l'importanza dell'hijab in Iran - aggiunge - Gli oppositori dell'Iran, così come alcune istituzioni americane e occidentali, hanno effettuato investimenti finanziari per rimuovere l'hijab dall'Iran. Usano media e persone speciali per fare pubblicità contro l'hijab. Secondo i social trend in Iran, c'è una divisione sull'hijab. Tuttavia, il problema principale è che si tratta di una questione sociale e i rappresentanti delle varie classi sociali dovrebbero lavorare per promulgare leggi che tutelino gli interessi di tutte le donne".

Nell'ultima parte dell'intervista Abedi parla dei rapporti tra Iran e Italia, evidenziando che da un punto di vista politico ""sono stati più stabili di quelli tra l'Iran ed altri Paesi dell'Unione Europea". La ricercatrice rimarca che la Repubblica islamica "vuole rafforzare i rapporti con l'Italia". A questo proposito riporta alla memoria che il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian ha dichiarato, durante un recente incontro con la nuova ambasciatrice italiana in Iran, Paola Amadei, che spera di aprire "un nuovo capitolo nello sviluppo delle relazioni bilaterali", denunciando che "le sanzioni degli Stati Uniti e dell'Ue contro l'Iran hanno un impatto sulle relazioni economiche bilaterali".

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Russia, Tajani convoca ambasciatore a Roma per vicenda...

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L'annuncio del ministro degli Esteri, dopo che le filiali russe di Ariston e Bosch sono state trasferite in gestione temporanea al gruppo Gazprom

Antonio Tajani (Fotogramma)

"Ho dato mandato al segretario generale della Farnesina di convocare l'ambasciatore della Federazione russa in Italia. Il Governo chiede chiarimenti sulla vicenda della nazionalizzazione dell'Ariston Thermo Group. Al lavoro anche con Bruxelles, in raccordo con la Germania". Lo ha annunciato sul social X il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, dopo che le filiali russe di Ariston e Bosch sono state trasferite in gestione temporanea al gruppo Gazprom.

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Russia, domiciliari per il giornalista di Forbes arrestato

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Sergei Mingazov era stato fermato ieri nella città di Khabarovsk con l'accusa di aver rilanciato un post su Telegram sugli abusi commessi a Bucha dalle forze russe

Polizia russa - Fotogramma /Ipa

E' stato messo agli arresti domiciliari il giornalista di Forbes, Sergei Mingazov, arrestato ieri nella città russa di Khabarovsk con l'accusa di aver diffuso notizie false sull'esercito russo per aver rilanciato un post su Telegram sugli abusi commessi a Bucha dalle forze russe. Lo ha riferito l'agenzia Ria Novosti, citando fonti giudiziarie di Khabarovsk.

Il giornalista è stato arrestato con l'accusa di aver diffuso notizie false sulle forze militari, con le aggravanti dell'odio e dell'inimicizia, ha denunciato il suo avvocato, Kostantin Bubon, citato da Rbk. Mingazov aveva lavorato in precedenza per il quotidiano Vedomosti e anche per la Tass. Sono già numerose le condanne 'fotocopia' in Russia per la diffusione delle notizie su Bucha.

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