Digital Pr Specialist: chi è e di cosa si occupa
L’arrivo e la diffusione della trasformazione digitale hanno fatto sì che l’attività di public relations sia cambiata, con la moltiplicazione nel corso del tempo degli strumenti che vengono impiegati per la promozione di servizi, di prodotti o di marchi. Strumenti digitali, naturalmente, capaci di persuadere e di risultare accattivanti. Come noto, lo scopo delle public relations è proprio promozionale: chi lavora in questo ambito deve favorire un legame soddisfacente tra l’oggetto della pubblicità e il pubblico target. I siti web e i social network sono i canali digitali che vengono adoperati per la promozione online.
Digital pr: a che cosa servono
È finito il tempo in cui la pubblicità era riservata unicamente alla carta stampata e alla televisione, perché oggi grazie all’online il pubblico è molto più vicino e può interagire in modo immediato, per esempio grazie alle live chat e ai chat bot. Le Digital Pr servono ad aumentare il livello di notorietà di un marchio e a migliorare la sua visibilità, e possono essere svolte con modalità differenti: per esempio la ricerca attiva di una copertura mediatica si concretizza con la redazione di articoli, con la creazione di campagne pubblicitarie e con il lancio di comunicati stampa. LinkedIn, Facebook e Google Ads diventano strumenti importanti, mentre le attività vengono ottimizzate grazie al monitoraggio degli analytics.
Quali competenze deve avere un digital pr specialist
Un bravo digital pr specialist deve essere abile nel persuadere e sempre attento ai dettagli, oltre che dotato di una visione strategica. Alle competenze nel campo SEO deve associare una certa capacità di analisi che riguardi i feedback degli utenti. È necessaria, poi, la conoscenza pratica dei social network, che devono essere gestiti con professionalità. Quindi, occorrono capacità comunicative e abilità specifiche nella produzione di contenuti, senza dimenticare una generale ma approfondita conoscenza delle dinamiche del web.
La formazione
Per quel che riguarda la formazione ideale per chi desidera lavorare in qualità di digital pr specialist, va detto che non esiste un unico percorso universitario da seguire, visto che si tratta di un lavoro con un approccio multidisciplinare. Ci sono un sacco di digital pr che provengono da un percorso di studio svolto nel settore umanistico, mentre altri sono esperti di marketing. Di certo è possibile scegliere tra un vasto assortimento di percorsi di specializzazione che riguardano la comunicazione digitale. D’altro canto, lavorare come digital pr specialist vuol dire aggiornarsi di continuo e sottoporsi a un costante apprendimento che non si esaurisce con la fine del percorso di studi tradizionale.
Come lavora un digital pr specialist: hard e soft skill
I digital pr specialist nella maggior parte dei casi lavorano come parte di un team e sono chiamati a collaborare con professionisti come i seo specialist, i web content creator e i web advertising manager. Una figura operativa in questo ambito deve essere in possesso di soft e hard skill, grazie a cui è possibile conoscere e definire la strategia di comunicazione più efficace per un certo marchio. Un digital pr specialist deve essere in grado di usare strumenti per il monitoraggio degli analytics, in modo da capire che cosa fare per ottimizzare la strategia di comunicazione.
Che cosa fa uno specialista di pubbliche relazioni digitali
La progettazione di strategie di content marketing e la successiva realizzazione devono essere sempre mirate ad accrescere il livello di visibilità del marchio. inoltre, è importante che un digital pr specialist sappia come gestire la comunicazione su Facebook e sugli altri social network, anche per poter intervenire in maniera tempestiva nel caso in cui si dovessero verificare degli eventi di crisi. Saper aggiornarsi a proposito dei trend del momento è altrettanto essenziale per riuscire a mettere in atto una strategia di comunicazione innovativa. Attenzione, però: ci sono pratiche come il greenwashing che sono negative per il marchio, e che proprio per questo motivo devono essere evitate.
La reputazione online
Quella del digital pr specialist è una figura che le imprese oggi ricercano sempre di più. Non solo le organizzazioni più grandi, ma anche le aziende di piccole dimensioni hanno bisogno di un esperto di pubbliche relazioni digitali che curi, appunto, le pr in rete e garantisca una gestione ottimale dell’ufficio stampa. La reputazione online di un marchio o di un’azienda deve essere gestita e controllata con la massima attenzione per fare in modo che il pubblico percepisca i servizi e i prodotti offerti nel modo desiderato.
Un obiettivo di marketing per il conseguimento del consenso
Si tratta di un obiettivo di marketing, finalizzato ad aumentare il numero di clienti dell’azienda. Intorno al marchio deve essere generato un consenso il più possibile positivo, ed è a questo che sono mirate le strategie che vengono progettate e implementate dal digital pr specialist, così che l’attenzione del pubblico possa essere stimolata e conquistata.

Cerchi qualcosa in particolare?
Pubblichiamo tantissimi articoli ogni giorno e orientarsi potrebbe risultare complicato.
Usa la barra di ricerca qui sotto per trovare rapidamente ciò che ti interessa. È facile e veloce!
Economia
Lotta al lavoro nero: l’importanza dei pagamenti tracciabili nelle aziende

Il lavoro nero è una piaga che affligge l’economia di molti Paesi, con ripercussioni negative non solo per i lavoratori, ma anche per lo Stato e le imprese che operano in modo regolare. Per contrastare questo fenomeno, le autorità fiscali e legislative stanno promuovendo sempre più l’uso dei pagamenti tracciabili, strumenti essenziali per garantire trasparenza, sicurezza e rispetto delle normative. Ma perché i pagamenti tracciabili sono così importanti nella lotta al lavoro irregolare? Scopriamolo insieme.
Lavoro nero: un problema diffuso e dannoso
Il lavoro nero si verifica quando un dipendente lavora senza un regolare contratto e senza che il datore di lavoro versi i contributi previdenziali e fiscali dovuti. Questo sistema crea numerosi problemi, tra cui:
- Perdita di diritti per il lavoratore: Chi lavora in nero non ha accesso a ferie, malattia, pensione e tutele in caso di infortunio.
- Concorrenza sleale tra aziende: Le imprese che operano legalmente e pagano tasse e contributi si trovano in svantaggio rispetto a chi sfrutta il lavoro nero per abbattere i costi.
- Mancati introiti per lo Stato: L’evasione fiscale e contributiva riduce le risorse disponibili per servizi pubblici come sanità, istruzione e welfare.
Proprio per contrastare questi effetti negativi, negli ultimi anni sono stati introdotti strumenti e normative che favoriscono la trasparenza nei pagamenti.
Pagamenti tracciabili: un’arma contro il lavoro nero
I pagamenti tracciabili sono transazioni effettuate con metodi di pagamento che lasciano una registrazione digitale o cartacea, come bonifici bancari, pagamenti con carta di credito, assegni e strumenti fintech. L’uso di questi sistemi riduce drasticamente il rischio di pagamenti in nero e facilita il controllo da parte delle autorità fiscali.
Vantaggi dei pagamenti tracciabili nella gestione del personale
- Maggiore sicurezza per i lavoratori
- Con pagamenti regolari e tracciabili, i dipendenti hanno la certezza di ricevere lo stipendio nei tempi e nei modi concordati.
- In caso di controversie legali o ritardi nei pagamenti, la tracciabilità offre una prova concreta del rapporto lavorativo.
- Conformità alle normative fiscali e previdenziali
- Le aziende che adottano pagamenti tracciabili evitano il rischio di sanzioni per mancato versamento dei contributi.
- Il Fisco può monitorare le transazioni e verificare eventuali anomalie.
- Riduzione dell’evasione fiscale
- Eliminando i pagamenti in contanti, si riduce la possibilità di nascondere transazioni e stipendi non dichiarati.
- Lo Stato può incassare correttamente imposte e contributi, destinandoli a servizi pubblici.
- Migliore gestione aziendale
- Le imprese possono monitorare con precisione i flussi di cassa e ottimizzare la gestione finanziaria.
- Sistemi di pagamento digitali permettono di automatizzare il pagamento degli stipendi, riducendo errori e ritardi.
Normative sui pagamenti tracciabili per contrastare il lavoro nero
Molti governi stanno introducendo normative che impongono l’uso dei pagamenti tracciabili per il pagamento dei salari e delle collaborazioni professionali. In alcuni Paesi come l’Italia, ad esempio, è vietato il pagamento in contanti degli stipendi, obbligando le aziende a utilizzare bonifici o strumenti elettronici.
In Italia, il divieto di pagamento in contanti degli stipendi è stato introdotto con la nuova Legge di Bilancio del 2025, imponendo l’uso di metodi tracciabili per qualsiasi rapporto di lavoro subordinato. Questa norma ha lo scopo di garantire trasparenza e protezione per i lavoratori, evitando pagamenti parziali o irregolari.
Le nuove tecnologie al servizio della tracciabilità
Oltre ai tradizionali bonifici bancari e carte di pagamento, stanno emergendo nuove tecnologie per rendere le transazioni sempre più sicure e verificabili:
- Pagamenti digitali con app e wallet elettronici, che offrono un’alternativa rapida e certificata al bonifico.
- Blockchain e criptovalute regolamentate, che potrebbero in futuro garantire transazioni sicure e trasparenti.
- Software di gestione paghe integrati con i conti aziendali, che automatizzano il processo di pagamento riducendo il rischio di errori.
Fintech
La nuova moda del momento: che cosa significa fare trading?

Negli ultimi anni, il trading online ha acquisito un’enorme popolarità, attirando sia investitori esperti che principianti alla ricerca di nuove opportunità di guadagno. Ma che cosa significa davvero “fare trading”? È solo una moda passeggera o rappresenta una reale possibilità di crescita finanziaria?
Che cos’è il trading?
Fare trading significa acquistare e vendere strumenti finanziari, come azioni, criptovalute, forex (valute), materie prime o indici di borsa, con l’obiettivo di ottenere un profitto dalle variazioni di prezzo. A differenza dell’investimento tradizionale, che mira a far crescere il capitale nel lungo periodo, il trading è spesso orientato al breve o medio termine e richiede un’analisi costante dei mercati.
Esistono diverse tipologie di trading, ciascuna con caratteristiche e strategie specifiche:
- Day trading: Operazioni aperte e chiuse nella stessa giornata, con l’obiettivo di sfruttare piccole oscillazioni di prezzo.
- Swing trading: Posizioni mantenute per giorni o settimane per approfittare di trend più ampi.
- Scalping: Operazioni molto rapide, della durata di pochi secondi o minuti, per capitalizzare su piccole variazioni di mercato.
- Trading algoritmico: Esecuzione di operazioni automatizzate basate su algoritmi programmati.
Perché il trading è diventato così popolare?
L’interesse per il trading è esploso grazie a diversi fattori:
- Accessibilità – Oggi chiunque può accedere ai mercati finanziari attraverso piattaforme online e app di trading, anche con piccoli capitali.
- Social media e influencer – Molti trader condividono le loro operazioni e strategie sui social, contribuendo a rendere il trading più attraente.
- Criptovalute e asset digitali – L’ascesa di Bitcoin, Ethereum e altri asset digitali ha avvicinato molte persone al mondo del trading.
- Funded trading – Un fenomeno in crescita, il funded trading permette di utilizzare capitali forniti da aziende specializzate, senza dover investire ingenti somme di denaro personale.
I rischi del trading
Nonostante il fascino del trading, è essenziale essere consapevoli dei rischi associati:
- Volatilità del mercato – I prezzi possono cambiare rapidamente, causando perdite significative.
- Effetto leva – Molti broker offrono la possibilità di operare con somme superiori a quelle realmente disponibili, amplificando sia i guadagni che le perdite.
- Emotività – Paura e avidità possono portare a decisioni impulsive, mettendo a rischio il capitale.
Come iniziare a fare trading in modo consapevole
Se vuoi avvicinarti al trading in modo serio e responsabile, segui questi consigli:
- Studia i mercati – Leggi libri, segui corsi e informati sulle diverse strategie di trading.
- Usa un conto demo – Prima di rischiare soldi reali, esercitati con un conto di prova.
- Scegli piattaforme affidabili – Opta per broker regolamentati e trasparenti.
- Gestisci il rischio – Non investire più di quanto puoi permetterti di perdere e utilizza strumenti di protezione come lo stop-loss.
- Valuta il funded trading – Se hai competenze ma poco capitale, considera la possibilità di operare con fondi forniti da società di trading.
Conclusione
Il trading è più di una semplice moda: è una disciplina complessa che richiede studio, strategia e autocontrollo. In più, il trading non è una strada per arricchirsi facilmente, ma un’attività che comporta rischi elevati e richiede un approccio professionale.
Se affrontato con consapevolezza e disciplina, può essere un’opportunità interessante; al contrario, se sottovalutato o approcciato con superficialità, può trasformarsi in una trappola finanziaria. La chiave del successo sta nella formazione e nella gestione del rischio.
Economia
Pensioni in Italia: strategie reali per puntare a 1.500-2.000 euro netti

Sai quella sensazione strana, un misto tra ansia e speranza, quando si parla di pensioni? Ecco, ce l’abbiamo tutti. Prima o poi arriva quel momento in cui ti chiedi: “Ma quello che guadagno adesso… basterà?” E poi, la domanda delle domande: “Come si fa ad arrivare a quei benedetti 1.500, magari 2.000 euro al mese?” Perché sì, di numeri si tratta, ma anche di sogni, di paure, di futuro. Roba seria. Allora proviamo a capirci qualcosa, senza troppi tecnicismi, senza giri di parole. Così, dritti al punto, tra una regola complicata e una realtà che spesso ci coglie impreparati.
L’importanza del metodo di calcolo: la transizione dal retributivo al contributivo
Sappiamo che in Italia la pensione pubblica si è a lungo basata sul sistema retributivo, secondo cui si valutava la media degli ultimi stipendi e si erogava una percentuale (intorno al 2% annuo) per ogni anno di contributi. In pratica, con 40 anni di lavoro, molti potevano raggiungere anche il 70-80% dell’ultimo stipendio. Poi, la riforma del 1995 ha introdotto in modo graduale il sistema contributivo (per i contributi successivi al 1996), che tiene conto dell’intera vita lavorativa. Per capirci: si accumulano contributi (pari al 33% dello stipendio lordo per i dipendenti, in parte versati dal datore di lavoro), questi formano un “montante” che viene rivalutato di anno in anno. Quando si va in pensione, il montante si trasforma in una rendita tramite un coefficiente di trasformazione legato all’età di uscita.
In altre parole, più tardi si decide di smettere di lavorare, più alto sarà il coefficiente e quindi l’assegno annuo. Sembra semplice, ma c’è un rovescio della medaglia: se si hanno buchi di carriera, salari bassi o si va in pensione presto (magari a 62 anni), si rischia di incassare meno. Di conseguenza, i tassi di sostituzione – ossia la percentuale dell’ultima retribuzione sostituita dalla pensione – oggi faticano ad avvicinarsi ai livelli “generosi” di qualche decennio fa.
Quanto serve guadagnare per ottenere 1.500-2.000 euro netti?
Diciamolo in modo schietto: chi ambisce a una pensione sopra i 1.500 euro dovrà aver avuto, in media, stipendi piuttosto alti o aver lavorato senza sosta per molti anni. Secondo simulazioni citate da più fonti, un reddito netto di circa 1.800 euro al mese per 40 anni di contributi potrà generare (andando in pensione a 67 anni) un assegno compreso fra 1.150 e 1.600 euro netti. Per “sfiorare” i 2.000 euro, occorre puntare a retribuzioni ancora più consistenti (per esempio, 3.000 euro netti al mese in media) o a una carriera super-lunga, ritirandosi magari a 69-70 anni, quando il coefficiente di trasformazione diventa più vantaggioso.
Naturalmente, esistono tanti fattori che incidono ma la regola è questa: più anni di versamenti e stipendi più elevati corrispondono a una probabilità maggiore di raggiungere l’obiettivo dei 1.500-2.000 euro. Chi invece sta sui 1.300-1.500 euro netti rischia di fermarsi, senza integrazioni, a una pensione di 800-1.200 euro netti. È duro ammetterlo ma i numeri parlano chiaro.
L’età pensionabile: i 67 anni (e oltre) come punto di riferimento
Al momento, per la pensione di vecchiaia servono 67 anni e almeno 20 anni di contributi. Sì, è possibile andare in pensione prima con misure anticipate come la “Fornero” (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 41 e 10 mesi per le donne) o con formule sperimentali (Quota 100 in passato, Quota 103 nel 2023), ma chi lo fa accetta di accumulare meno anni di versamento e di utilizzare coefficienti di trasformazione meno favorevoli, ottenendo quindi assegni spesso più bassi. Per chi vuole quegli agognati 1.500-2.000 euro netti, l’uscita anticipata diventa un lusso che quasi sempre penalizza in modo significativo.
In più, c’è un altro dettaglio fondamentale: questi requisiti non sono scolpiti nella pietra. Se l’aspettativa di vita crescerà, l’età di pensionamento potrebbe salire ancora, in base agli adeguamenti automatici previsti dalle normative. Già oggi, per chi non raggiunge una soglia minima d’importo (circa 1,5 volte l’assegno sociale), la pensione di vecchiaia può slittare fino a 71 anni.
Variabili che contano: buchi contributivi, rivalutazioni e retribuzione media
Il sistema contributivo valuta ogni singolo euro guadagnato dall’inizio della carriera. Significa che un lavoratore che negli ultimi anni guadagna tanto, ma ha avuto lunghi periodi di stipendio basso o disoccupazione (senza coperture figurative), si troverà comunque un montante contributivo “ridotto”. Da qui la necessità di ridurre il più possibile le interruzioni contributive o provare a riscattare certi periodi, ove conveniente (ad esempio, gli anni di laurea).
Dobbiamo anche considerare la rivalutazione annuale del montante, che dipende principalmente dall’andamento dell’economia italiana (PIL). Se il paese cresce poco, i montanti non si incrementano granché. Questo genera un impatto reale sul futuro assegno, perché dopo 20-30 anni di lavoro le differenze si sentono. E poi ci sono i coefficienti di trasformazione che, essendo collegati alla speranza di vita, sono soggetti a revisioni periodiche. Già tra il 2024 e il 2025 si prevede un taglio di circa il 2% di questi coefficienti, e potrebbe non essere l’ultima volta.
Previdenza integrativa: un sostegno prezioso per colmare il gap
Chiunque stia inseguendo la soglia dei 1.500-2.000 euro conosce l’importanza di una pensione complementare. Non è solo un’opzione da “finanziaristi incalliti”: aderire a un fondo pensione – che sia negoziale (di categoria) o individuale (PIP, fondi aperti) – può incrementare il tasso di sostituzione anche di 7-10 punti percentuali. Tradotto: se un lavoratore arriverebbe da solo al 60% dello stipendio finale, con una buona integrativa potrebbe spingersi al 70% o più. Bastano queste cifre per capire come mai si parli tanto di fondi pensione. Eppure, in Italia, solo un terzo dei lavoratori risulta iscritto a una forma di previdenza complementare. Sembra incredibile ma è così.
C’è poi la questione della tempistica. Partire presto – a 25 o 30 anni – significa versare poco alla volta ma per molto tempo, sfruttando la capitalizzazione composta (gli interessi su interessi). Farlo tardi, invece, costringe a sforzi maggiori in un lasso di tempo ridotto e chiaramente, si perde parte dei benefici fiscali (deducibilità dei contributi, tassazione agevolata sui rendimenti, e così via).
Futuro incerto, ma pianificazione necessaria
Le previsioni dicono che, tra qualche decennio, i tassi di sostituzione potrebbero ridursi ulteriormente. La Ragioneria Generale dello Stato stima che, entro il 2050, un lavoratore dipendente con 38 anni di contributi potrebbe trovarsi intorno a un 59% di sostituzione netta, mentre nel 2020 la media era oltre il 70%. Non serve un genio per capire che chi percepisce salari modesti rischia di trovarsi molto lontano da 1.500-2.000 euro.
D’altro canto, c’è una crescente consapevolezza: possibili riforme future potrebbero introdurre ancora più flessibilità in uscita, ma non è detto che ciò aiuti a raggiungere pensioni alte, anzi. Spesso, la flessibilità si traduce in penalizzazioni: meno anni di contributi o coefficienti penalizzanti. Nel frattempo, si discute anche di “pensione di garanzia” per i giovani con redditi bassi e carriere discontinue ma sono idee in evoluzione, nulla di definitivo.
Verso un traguardo possibile, ma impegnativo
Raccontarlo con onestà è doveroso: non è impossibile mirare a 1.500-2.000 euro netti di pensione, ma occorrono retribuzioni sopra la media, un arco di versamenti piuttosto lungo (idealmente 40 e più anni) e magari un aiuto da un buon fondo pensione. Non vogliamo scoraggiare nessuno: il sistema pubblico offre comunque un sostegno, e certi correttivi (come il posticipo dell’età pensionabile) possono incrementare l’importo.
Tuttavia, non si scappa: serve un piano ragionato che parta fin da quando si è (relativamente) giovani. Andare a tentoni, rimandare la questione o immaginare che “tanto qualcosa arriverà” può portarci ad amari risvegli. Noi, da parte nostra, continueremo ad approfondire e a fare il possibile per tenervi informati nel modo più limpido. L’obiettivo di una pensione dignitosa e adeguata, alla fine, riguarda tutti. E il momento di pensarci, spesso, è proprio adesso.