Economia
Alloggio a Milano resta la meta preferita per il 77% degli...
Alloggio a Milano resta la meta preferita per il 77% degli studenti dell’Università Bicocca, ma l’affitto è troppo oneroso
Queste le esigenze emerse dall’indagine presentata oggi in occasione della Giornata dell’Università
Un’abitazione vicina alla sede del corso di studio, preferibilmente a Milano, ma a costi più accessibili. Per il 77,5 per cento degli studenti la meta preferita rimane la città di Milano, ma il 45 per cento degli studenti in affitto privato lo ritiene troppo oneroso. Queste le esigenze emerse dall’indagine svolta da Milano-Bicocca sulla situazione e i fabbisogni abitativi degli studenti, presentata oggi, in occasione della Giornata dell’Università, durante il seminario “L’emergenza abitativa degli studenti milanesi: un dialogo tra Università, studenti e territorio”.
Al convegno, aperto dall’intervento della rettrice Giovanna Iannantuoni, hanno partecipato Alessandro Fermi (assessore all’Università, ricerca e innovazione, Regione Lombardia), Pierfrancesco Maran (assessore Casa e piano quartieri, Comune di Milano) e Barbara Morandi, studentessa (Rappresentante degli studenti presso il CNSU), in dialogo sulle politiche istituzionali degli Atenei sul tema abitativo.
A questa parte è seguito un dibattito organizzato dal movimento Tende in piazza e dai rappresentanti degli studenti negli organi nazionali. Le conclusioni della giornata, infine, sono state affidate ai rappresentanti dei tre atenei milanesi (Milano-Bicocca, Statale di Milano e Politecnico).
La ricerca sulla condizione abitativa degli studenti di Milano-Bicocca è stata condotta dal gruppo di ricerca del dipartimento di Sociologia e ricerca sociale coordinato da Silvia Mugnano e composto da Igor Costarelli, Fabio Gaspani, Carola Giannotti Mura e Riccardo Ramello.
Questa indagine è la prima ad offrire un quadro della condizione abitativa e dei fabbisogni degli studenti di Milano-Bicocca, attraverso l’analisi di dati raccolti con un questionario - proposto nel periodo compreso tra luglio e ottobre 2023 - a cui hanno risposto 19.401 studentesse e studenti, oltre il 52 per cento della popolazione studentesca dell’Ateneo, per il 59,5 per cento iscritti ad anni successivi al primo.
Tra i risultati, si rimarca l’ampiezza territoriale del bacino di utenza dell’Ateneo: la maggior parte del campione (47,5 per cento) ha la residenza anagrafica in una provincia lombarda fuori dalla Città metropolitana di Milano. La città di Milano resta però la meta preferita degli studenti, come dichiara il 77,5 per cento dei partecipanti.
Tra coloro che vorrebbero cambiare situazione abitativa, circa il 30 per cento indica il comfort abitativo carente, il 16 per cento sottolinea invece il costo eccessivo di locazione. Tra coloro che vorrebbero cambiare zona, la principale ragione è la scomodità rispetto alla sede dei corsi (68,9 per cento).
Altro dato significativo emerso dall’indagine è il numero ancora esiguo degli studenti che vivono in residenze universitarie: questi costituiscono il 6,3 per cento dei partecipanti in possesso dei requisiti economici minimi per l’accesso agli alloggi universitari coperti dal Diritto allo Studio immatricolati al primo anno e il 2,7 per cento degli iscritti ad anni successivi al primo.
Il questionario, infine, si è focalizzato sulle esigenze degli studenti rispetto all’implementazione di un servizio di supporto all’abitare dedicato agli studenti di Milano-Bicocca. Quasi il 60 per cento dei partecipanti ha sottolineato l’estrema importanza di un tale servizio e per la metà di loro (il 50,83 per cento) questo dovrebbe occuparsi di fornire una mediazione tra domanda e offerta del mercato privato. Senza dimenticare però l’implementazione delle residenze universitarie, come sottolinea il 40 per cento degli studenti.
''Agevolare il diritto alla studio di ciascun studente è un compito primario che un ateneo attento alle esigenze dei suoi studenti deve perseguire – ha detto la rettrice Giovanna Iannantuoni – Quest’ indagine di Milano-Bicocca ha sottolineato con chiarezza che per far questo si rende necessaria una forte alleanza tra università, enti locali, regioni e governo. La giornata di oggi, in cui le università si aprono alle città, vuol essere un primo passo verso questa direzione''.
Economia
Webuild, bilancio e nuovo Cda lanciano titolo in Borsa...
Giornata particolarmente brillante in Borsa per Webuild che, dopo l'approvazione del bilancio 2023 e la nomina del nuovo Consiglio di amministrazione, che ha riconfermato Pietro Salini come amministratore delegato, chiude la seduta odierna di scambi in deciso rialzo: il titolo balza a quota +5,17% attestandosi a 2,27 euro per azione.
L'assemblea degli azionisti della società, riunitasi questa mattina, ha approvato anche la distribuzione di un dividendo per un importo pari a 0,071 euro per ciascuna azione ordinaria ed 0,824 euro per ciascuna azione di risparmio esistente ed avente diritto al dividendo alla data di stacco della cedola.
Quanto al nuovo cda, composto da 15 membri, vede Gian Luca Gregori con funzioni di presidente, oltre a Davide Croff, Moroello Diaz della Vittoria Pallavicini, Paola Fandella, Francesca Fonzi, Flavia Mazzarella, Itzik Michael Meghnagi, Francesco Renato Mele, Teresa Naddeo, Alessandro Salini, Pietro Salini, Serena Torielli, Michele Valensise, Laura Zanetti e Francesco Chiappetta.
Economia
Università, Free Academy: “Atenei tradizionali e...
Benché l’Italia abbia un bassissimo numero di laureati (in Europa unicamente la Romania ha risultati peggiori), all’interno del bilancio pubblico il comparto universitario pesa in maniera significativa. Secondo l’ultimo rapporto dell’Anvur, il Fondo per il finanziamento ordinario (Ffo) delle università ammonta a 9,205 miliardi di euro, che vanno a coprire più dei 2/3 delle necessità delle università statali. Di questa somma, soltanto lo 0,73% (68 milioni di euro) è destinato alle università non statali, sia tradizionali sia telematiche.
A giudizio di Aurelio Mustacciuoli, responsabile Studi e Ricerche di Free Academy, “limitandoci a considerare l’Ffo lo studente di un’università statale ogni anno costa al contribuente ben 5.701 euro, mentre di media uno studente delle università private costa 195 euro. Se poi si considerano le università telematiche (lasciando quindi da parte gli atenei privati tradizionali: la Bocconi di Milano, la Luiss di Roma ecc.) le risorse che lo Stato destina alle università online ammontano a soli 2,8 milioni”. Questo significa che uno studente universitario telematico grava sullo Stato per la risibile cifra di 12,5 euro: lo 0,21% di quanto costa in media uno studente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, della Sapienza di Roma o della Federico II di Napoli.
Non basta. La maggior parte delle università telematiche sono fondazioni, ma alcune di loro – quelle più 'sotto attacco' da parte dei difensori dello status quo – sono società di capitali e quindi ogni anno versano somme considerevoli all’erario. Sempre ad avviso di Mustacciuoli, “considerando unicamente il gruppo universitario Multiversity (che è controllato dal fondo Cvc Capital Partners e che include Unipegaso, Mercatorum e San Raffaele Roma) nel 2022 per le sole imposte dirette è stato registrato un esborso di 43 milioni di euro: il che significa che soltanto questi tre atenei online danno allo Stato ben 15 volte quanto tutte le università telematiche nel loro insieme ottengono in forma di Ffo”. Quindi vi sono ben 5050 studenti italiani delle università pubbliche che possono studiare grazie alle entrate fiscali garantite dal gruppo Multiversity.
Da questo punto di vista, una crescita degli atenei privati telematici – la cui retta è mediamente assai inferiore al costo che ogni studente comporta per le casse statali – condurrebbe non soltanto a un minor costo complessivo per ogni studente, ma aiuterebbe anche a ridurre l’esorbitante prelievo fiscale che grava sulle imprese, sulle famiglie e sui lavoratori.
In conclusione, secondo Mustacciuoli, “alla luce dei dati sopra riportati è chiaro che lo studente tradizionale costa allo Stato ben 5.701 euro soltanto per l’Ffo, mentre ognuno degli oltre 144 mila studenti di Unipegaso, Mercatorum e San Raffaele Roma (a.a. 2022-23) porta alle casse statali 331 euro. Si tratta di cifre che devono far riflettere”.
Economia
Qualità dell’aria: polveri sottili alle stelle in...
I risultati di uno studio dell'Università di Orléans
Che nelle metropoli del mondo la qualità dell'aria sia più o meno scadente non è una novità. Ma forse non tutti sanno che anche nell'immediato sottosuolo la situazione non è affatto migliore. Anzi, l'inquinamento da polveri sottili raddoppia in metropolitana. Lo afferma un recente studio dell'Università di Orléans, in Francia, sulla qualità dell'aria nelle underground di Parigi. In sintesi, secondo la ricerca, trascorrere circa 1,5 ore al giorno in metropolitana aumenta l'esposizione media quotidiana di oltre un microgrammo per metro cubo di PM 2,5 le cosiddette polveri sottili. Che in metropolitana l'inquinamento sia maggiore rispetto a quello di superficie è spiegato dal fatto che l'aria presente viene prelevata dall'esterno tramite apposite griglie posizionate a livello della strada e, quindi, risulta già carica di particelle inquinanti. In più, si sommano le polveri sottili generate dal passaggio dei treni della metro olte che attraverso frenate, usura di ruote e rotaie.
Inquinamento raddoppiato
La ricerca sopra citata si è concentrata specie nella metropolitana di Parigi dove negli orari di punta le rilevazioni hanno registrato il doppio di concentrazioni di PM 2,5, ovvero un valore medio di 15 microgrammi per metro cubo prodotto nei sotterranei a cui si aggiunge la stessa quantità proveniente dall'aria esterna. In sintesi, ciò significa che coloro che utilizzano la metropolitana sono esposti a circa il doppio di polveri sottili rispetto a coloro che si muovono in superficie. Trattandosi di un valore medio, potrebbe essere inferiore, ma anche superiore nelle metropolitane più inquinate e nelle stazioni scarsamente ventilate. Un altro studio, pubblicato nel 2021 e incentrato sulla qualità dell'aria della metropolitana di Nanchino, in Cina, ha rilevato quali siano i metalli più presenti nelle particelle. Il ferro con l'80% del totale è risultato quello maggiormente presente, ma nelle particelle sono stati rintracciati anche rame, manganese, stronzio e vanadio sottolineando che gli addetti della metro erano esposti a livelli molto più elevati di tali sostanze rispetto ai passeggeri: 15,5 microgrammi per metro cubo per i primi, 2 microgrammi per metro cubo per i secondi.
I nuovi standard europei
Per soddisfare i nuovi obiettivi fissati dall'Oms in tema di riduzione di polveri sottili nell'atmosfera, la Commissione europea ha ridotto il quantitativo annuale tollerato da 25 microgrammi per metro cubo a 10. Ricordiamo che però tale indicazioni riguardano solo gli ambienti esterni e dunque non comprendono le metropolitane dove invece andrebbero estesi i monitoraggi, in ragione del fatto che ogni giorno milioni di cittadini europei che utilizzano la metro respirano un'aria particolarmente inquinata. Tra le soluzioni che gli esperti indicano per cercare di migliorare almeno in parte la qualità dell'aria nelle metropolitane, si segnalano la riduzione della velocità dei convogli in presenza di curve strette e tratti in pendenza, l'installazione di sistemi di ventilazione intelligenti per gestire al meglio lo scambio di aria con l'esterno utilizzando purificatori d'aria, lo svolgimento di manutenzione e pulizia negli orari notturni. Un altro suggerimento consiste nell'indossare mascherine per proteggere le vie respiratorie dal contatto con le particelle metalliche in sospensione.