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Cronaca

Allevi e la malattia: “E’ stato un viaggio...

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Allevi e la malattia: “E’ stato un viaggio all’inferno”

Il racconto del musicista a 6mila studenti: "Da tredici globuli bianchi la mia botta di felicità"

Giovanni Allevi (Fotogramma/Ipa)

"Pronti per un piccolo viaggio nell'inferno?", chiede Giovanni Allevi, poco dopo essere stato accolto da un'ovazione di 6mila studenti riuniti al Forum di Assago per celebrare la Giornata mondiale della felicità, partecipando all'evento motivazionale gratuito 'Happiness on Tour. Vite - Storie di Felicità', promosso dalla Fondazione della felicità presieduta da Walter Rolfo. Una proposta, quella del musicista, che sembra stridere con il tema della giornata. Ma la meta d'arrivo del viaggio farà capire che non è così. E a imprimere una svolta saranno "13 globuli bianchi" che all'artista delle note hanno regalato "una botta di felicità, come essere investiti da un camion di felicità", sono le parole che usa. Un picco al quale seguirà quella che lui definisce una "fascia costante e compatta di gratitudine, indipendentemente da ciò che sarebbe accaduto. Questa fascia la chiamiamo: profonda gioia di vivere".

"Ecco - spiegherà al termine Allevi, con voce rotta dall'emozione - vi ho portato in dono, in offerta, la mia vita, la mia sofferenza e la mia felicità. E spero che possiate farne tesoro". L'inizio del viaggio da lui raccontato è una carrellata di immagini scintillanti: Allevi che gira il mondo, che suona davanti a distese di persone, che stringe la mano al Papa, sorride, fa conferenze stampa e interviste. "Quella che avete visto - dice ai ragazzi - era la mia vita fino a 2 anni fa. Poi una malattia terribile ha spazzato via tutto. Tanto che oggi mi chiedo: magari è venuta apposta? Nel giorno della felicità voglio fare un esperimento e raccontarvi l'ultimo giorno della mia vita recente in cui sono stato immensamente felice, ma prima devo raccontarvi alcune fasi di tipo medico, di avvicinamento a quel giorno".

"Le staminali? Sono il futuro della Medicina"

I ragazzi lo applaudono, lo incitano. Allevi continua: "Un giorno mi dicono che devo fare una decina di punture sulla pancia. E io penso che non ne ho voglia, che è difficile con la neuropatia e il dolore alle mani. Poi ci rifletto e mi dico: va bene. Lo faccio con risolutezza, non rassegnazione. La parola resilienza non mi è mai piaciuta, mi fa pensare a un'accettazione passiva, io invece ho uno spirito combattivo. Dalle pagine di un libro uscito poco tempo fa, 'Imperium' di Giovanni Brizzi, apprendo che nell'antica Roma le persone destinate al comando dovevano avere tre doti: auctoritas, dignitas e gratia. Le prime due le immaginavo, ma ciò che davvero mi ha sorpreso è la grazia. Grazia nel parlare, nei gesti, nei movimenti, nelle intenzioni. Bellissimo. E ho fatto mie queste parole durante la malattia. Io non sono destinato al comando, sono una persona delicatissima e non riesco a dire agli altri cosa devono fare, come insegnante di scuola media ero un disastro. Ma nella malattia ho dovuto assumere il comando più importante: il dominio su me stesso e sulle mie paure e ansie, ho dovuto mantenere lo sguardo dritto sui fiori mentre camminavo sull'inferno e regalare un sorriso anche quando soffrivo".

Durante questo percorso i dottori spiegano al paziente che esistono delle sostanze chiamate "fattori di crescita', servono a stimolare il midollo a produrre staminali. "Cosa sono le staminali? Una meraviglia - dice Allevi - Sono il futuro della medicina. Tutti noi siamo in grado di produrle, o possiamo indurne la produzione con quelle punture sulla pancia. E te ne accorgi, perché senti un dolore pazzesco. Ma io di quel dolore dovevo essere contento perché significava che stava funzionando. Poi le cellule bisogna raccoglierle e mi portano in uno stanzone pieno di letti separati da teli. Mi tirano via il sangue. Il sangue entra in una macchina che lo centrifuga, separa le staminali. Si chiama aferesi e potrebbe non funzionare. C'era un telo e io non la vedevo, ma vicino a me c'era una bambina, avrà avuto 7 anni e piangeva. Dio, perché permetti queste cose? Io ho dato, lei è una bimba. Ma andiamo avanti. La mia sacchetta di staminali va in emoteca e inizia una fase apparentemente distruttiva, non potete capire il dolore. Il midollo deve essere distrutto" e "la scienza ha inventato la chemio per farlo".

Una flebo di 20 minuti, "nel pomeriggio mi addormento e mi sveglio il giorno dopo. Sul tavolo la cena del giorno prima e la colazione del mattino. Divento immunodepresso, senza difese verso l'esterno, potrei morire per un raffreddore", continua l'artista. I medici ora sono bardati. In una decina di giorni l'effetto collaterale classico, la perdita dei capelli, per Allevi arriva con "un bruciore. Sono caduti tutti insieme, come una parrucca che mi toglievo. Mi sono ritrovato calvo, imbottito di oppioidi che mi davano la sensazione di avere la febbre a 39, dimagrito. Lì ho capito che bastava che decidessi di lasciarmi andare e mi sarei spento. Cosa mi ha dato forza? Il non voler dare un dolore ai miei familiari e poi la cultura - spiega - In quei giorni ho visto conferenze di filosofia, di letteratura classica, ho scoperto che la fragilità umana è una costante dell'umanità e mi sono sentito meno solo".

A quel punto, prosegue il racconto, "arriva la fase geniale. Portano in stanza la sacchetta di staminali, è arancione - descrive Allevi - Me l'hanno infusa nel braccio sinistro. Le staminali entrano nel corpo e dicono: c'è da ricostruire un midollo. E magari producono globuli bianchi buoni e forti in grado di attaccare anche le cellule cancerogene. Inizia un'attesa snervante. L'infermiera Tiziana fa il prelievo, i medici dicono che non si vede niente. L'attesa, dicono i giapponesi, è disciplina, fa parte dell'arte del vivere. Poi una mattina un giovane dottore entra con veemenza, senza tuta, guanti, mascherina. Agita dei fogli, mi dice: 'Maestro, ha 13 globuli bianchi'. Con senso di umorismo gli rispondo che forse sono un po' pochini. In realtà erano 13 globuli bianchi per millimetro cubo, la bilancia iniziava a pendere di nuovo verso la vita. Vengo investito da una felicità allo stato puro. Non una sensazione effimera, mi è venuto addosso un treno, un grattacielo. Semplicemente perché ero vivo, non per un concerto o per il numero di follower. Ho provato un profondo senso di gratitudine per il talento dei medici, l'affetto degli infermieri, per il cibo lasciato sul tavolo, il rosso dell'alba che è diverso dal rosso tramonto". Dopo quel picco di felicità, conclude Allevi, è tornata la normalità, gli eventi che si susseguono quasi con noia. "Ma quel picco è rimasto alto" ed è iniziata quella che descrive come "una fascia compatta. La gioia di vivere".

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Cronaca

“Sono malato, ho un cancro”: chi è Franco Di...

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Il giornalista in collegamento con Fabio Fazio

Franco Di Mare

Franco Di Mare, 68 anni, annuncia a Che tempo che fa di essere malato. "Ho un mesotelioma, un tumore molto cattivo", dice il giornalista. Di Mare è un nome e un volto notissimo per i telespettatori italiani. La sua carriera comincia negli anni '80, con una serie di collaborazioni prima dell'assunzione a L'Unità, presso cui diventa inviato e caporedattore. Nel 1991 Di Mare approda in Rai e dal 1995 diventa inviato Speciale per il Tg2. Nel 2002 il passaggio al Tg1.

Nel 2003 diventa conduttore televisivo con Unomattina Estate prima di Uno Mattina week end . Dal 2004 diventa il volto di Uno Mattina. Il curriculum comprende programmi di informazione e attualità nella fascia mattutina e una serie di serate su Rai1. Nel 2019 diventa vicedirettore di Raiuno, con delega ad approfondimenti ed inchieste, e l'anno successivo viene nominato direttore generale dei programmi del giorno della Rai prima di assumere la direzione di Raitre il 15 maggio 2020.

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Cronaca

G7, corteo di protesta a Torino: manifestanti bloccano...

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Avrebbero dovuto sfilare per le vie del capoluogo piemontese, ma a sorpresa hanno cambiato percorso. Bruciate le gigantografie dei leader dei sette Paesi più industrializzati

La tangenziale di Torino bloccata dai manifestanti

È durato una decina di minuti il blocco della tangenziale da parte dei manifestanti che hanno sfilato nel corteo di protesta contro il G7 di domani e martedì a Venaria Reale. Hanno, infatti, cambiato percorso all'improvviso e scavalcato il guardrail, bloccando il traffico con lancio di fumogeni e lo sventolio delle bandiere. Dopo aver ribadito al megafono che "chi blocca il nostro futuro si troverà centinaia di blocchi come questo di persone non disposte a far decidere sulla propria testa", i manifestanti stanno ora tornando sui propri passi verso Venaria. "Siamo stati bravissimi ci siamo ripresi la città ma non ci fermiamo qui continueremo, non abbasseremo la testa", hanno scandito dal megafono mentre continuavano a sfilare.

Arrivati nel viale che conduce alla Reggia di Venaria, i manifestanti dopo aver posizionato davanti al cordone di forze dell’ordine grandi foto dei leader dei sette paesi più industrializzati hanno acceso un falò sul quale hanno bruciato le gigantografie. “Siamo qui non per dialogare ma per protestare per dire no al modello di sviluppo che ci vuole imporre il G7”. Così i manifestanti dal megafono poco aver dato alle fiamme le gigantografie dei leader dei sette paesi più industrializzati. “Continueremo la nostra lotta per i nostri territori, per la libertà del popolo palestinese e di tutti i popoli oppressi, per un futuro degno di questo nome, per garantire una vita che non sia solo sopravvivenza”.

Si è conclusa con gli ultimi interventi dei manifestanti la protesta popolare a Venaria Reale contro il G7 ambiente, clima ed energia in programma domani e martedì alla Reggia. Prima di concludere la manifestazione, gli organizzatori si sono dati appuntamento per domani sera alle 19 a Torino davanti a Palazzo. Nuovo per una nuova iniziativa di mobilitazione mentre Ultima Generazione ha annunciato per domattina a Venaria un’assemblea popolare in piazza.

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Cronaca

Il Papa oggi a Venezia, le tappe della visita lampo

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Il Pontefice alle detenute della Giudecca: "Vi ricorderò, non mollate". Poi gli incontri con gli artisti e i giovani e la messa a Piazza San Marco

Papa Francesco durante la sua visita a Venezia - (Afp)

Visita lampo di Papa Francesco oggi a Venezia. E' la prima volta di un Pontefice alla Biennale. Bergoglio è atterrato con l'elicottero alle 7.55 nel piazzale interno della Casa di Reclusione all’Isola della Giudecca. Ad accoglierlo Papa Francesco il Patriarca di Venezia, Mons. Francesco Moraglia, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il provveditore Rosella Santoro, la direttrice della struttura, Mariagrazia Felicita Bregoli e il comandante della Polizia penitenziaria, Lara Boco.

"Venezia sia accessibile a tutti"

"Se oggi guardiamo a questa città di Venezia, ammiriamo la sua incantevole bellezza, ma siamo anche preoccupati per le tante problematiche che la minacciano" ha osservato il Papa nel corso della messa in Piazza San Marco.

Bergoglio ha elencato i problemi che affliggono la città lagunare: “I cambiamenti climatici, che hanno un impatto sulle acque della Laguna e sul territorio; la fragilità delle costruzioni, dei beni culturali, ma anche quella delle persone; la difficoltà di creare un ambiente che sia a misura d’uomo attraverso un’adeguata gestione del turismo; e inoltre tutto ciò che queste realtà rischiano di generare in termini di relazioni sociali sfilacciate, di individualismo e solitudine”. Un passaggio applaudito dai 10mila fedeli in Piazza San Marco.

Bergoglio chiama in causa i cristiani: "E noi, che siamo tralci uniti alla vite, vigna del Dio che ha cura dell’umanità e ha creato il mondo come un giardino perché noi possiamo fiorirvi e farlo fiorire, come rispondiamo? Restando uniti a Cristo potremo portare i frutti del Vangelo dentro la realtà che abitiamo: frutti di giustizia e di pace, frutti di solidarietà e di cura vicendevole; scelte di attenzione per la salvaguardia del patrimonio ambientale ma anche di quello umano: abbiamo bisogno che le nostre comunità cristiane, i nostri quartieri, le città, diventino luoghi ospitali, accoglienti, inclusivi. E Venezia, che da sempre è luogo di incontro e di scambio culturale, è chiamata a essere segno di bellezza accessibile a tutti, a partire dagli ultimi, segno di fraternità e di cura per la nostra casa comune. Venezia che fa fratelli”.

L'incontro con le detenute

Bergoglio, sulla sedia a rotelle, ha salutato le detenute del carcere della Giudecca all’interno del quale è stato allestito il Padiglione della Santa Sede per la Biennale. “Vi ricorderò, non mollate”, è stato l’incoraggiamento. “Non isolare la dignità, dare nuove possibilità” a chi è recluso in carcere, ha detto nel corso della visita. “Care sorelle e fratelli, tutti siamo fratelli, nessuno può rinnegare l’altro. Ho desiderato incontrarvi all’inizio della mia visita a Venezia per dirvi che avete un posto speciale nel mio cuore - ha affermato - il carcere è una realtà dura, e problemi come il sovraffollamento, la carenza di strutture e di risorse, gli episodi di violenza, vi generano tanta sofferenza. Però può anche diventare un luogo di rinascita, morale e materiale, in cui la dignità di donne e uomini non è 'messa in isolamento', ma promossa attraverso il rispetto reciproco e la cura di talenti e capacità, magari rimaste sopite o imprigionate dalle vicende della vita, ma che possono riemergere per il bene di tutti e che meritano attenzione e fiducia. Nessuno toglie la dignità di una persona”.

“Non dimentichiamo che tutti abbiamo errori di cui farci perdonare e ferite da curare, io anche, e che tutti possiamo diventare guariti che portano guarigione, perdonati che portano perdono, rinati che portano rinascita”, è stato un altro dei passaggi del discorso.

L'incontro con gli artisti

Concluso l’incontro con le detenute, Bergoglio ha raggiunto la Chiesa della Maddalena (Cappella del Carcere). Qui l'incontro con gli artisti che hanno realizzato le loro opere per il Padiglione. Sia valorizzato adeguatamente il contributo delle donne nell’arte, è stato il mandato che il Papa ha affidato agli artisti: “Oggi abbiamo scelto di ritrovarci tutti insieme qui, nel carcere femminile della Giudecca. È vero che nessuno ha il monopolio del dolore umano. Ma ci sono una gioia e una sofferenza che si uniscono nel femminile in una forma unica e di cui dobbiamo metterci in ascolto, perché hanno qualcosa di importante da insegnarci. Penso ad artiste come Frida Khalo, Corita Kent o Louise Bourgeois e tante altre”.

I giovani e la messa in Piazza San Marco

E dopo avere incontrato le detenute e gli artisti, in motovedetta è arrivato alla Basilica della Salute per incontrare i giovani di Venezia e delle Diocesi del Veneto.

“Andate controcorrente. E insieme: il 'fai da te' nelle grandi cose non funziona. Per questo vi dico: non isolatevi, cercate gli altri, fate esperienza di Dio assieme, seguite cammini di gruppo senza stancarvi”, è stato il mandato che il Papa ha consegnato ai giovani. Bergoglio ha incoraggiato i giovani a creare: “Pensiamo al nostro Padre, che ha creato tutto per noi: e noi, suoi figli, per chi creiamo qualcosa di bello? La bellezza della gioventù quando diventa paternità e maternità. Pensate ai figli che avrete. Non siate professionisti del digitare compulsivo, ma creatori di novità! Siate creativi con gratuità, date vita a una sinfonia di gratuità in un mondo che cerca l’utile! Allora sarete rivoluzionari. Andate, donatevi senza paura! Alzati e vai!”.

Dopo aver rivolto ai presenti il suo discorso, il Papa, accompagnato da una delegazione di giovani, ha attraversato il ponte di barche che collega la Basilica della Salute con Piazza San Marco da dove ha presieduto la messa e il Regina Coeli.

In Piazza San Marco circa 10.500 fedeli secondo la stima del Vaticano. “Se oggi guardiamo a questa città di Venezia, ammiriamo la sua incantevole bellezza, ma siamo anche preoccupati per le tante problematiche che la minacciano”, ha osservato.

Bergoglio ha quindi elencato i problemi che affliggono la città lagunare: “I cambiamenti climatici, che hanno un impatto sulle acque della Laguna e sul territorio; la fragilità delle costruzioni, dei beni culturali, ma anche quella delle persone; la difficoltà di creare un ambiente che sia a misura d’uomo attraverso un’adeguata gestione del turismo; e inoltre tutto ciò che queste realtà rischiano di generare in termini di relazioni sociali sfilacciate, di individualismo e solitudine”.

Il ritorno in Vaticano

Papa Francesco, in elicottero, è tornato in Vaticano alle 14,40 e ha fatto rientro a Casa Santa Marta dopo la visita lampo a Venezia.

Zaia: "Con la sua visita ha portato un segnale di pace"

"È stato un privilegio oggi aver ricevuto la visita di papa Francesco a Venezia, la capitale del Veneto con i suoi 1.100 anni di storia e la meravigliosa Basilica di San Marco, simbolo di tutto ciò che rappresenta questa città". . Lo ha detto Luca Zaia, presidente della Regione del Veneto in occasione della visita a Venezia di Papa Francesco. "Con la sua visita pastorale il Papa ha portato un segnale di pace, invocandola non solo per il Medio Oriente e l'Ucraina, due terre segnate da pesanti conflitti, ma anche per tutte quelle zone del mondo, oltre una sessantina, in cui si continua a morire".

"Come diceva Hemingway, la guerra è il luogo dove gli uomini peggiori mandano a morire gli uomini migliori. Dobbiamo lavorare tutti per la pace. Qui in Veneto esiste una comunità dalle profonde radici cristiane, dove credenti e non credenti si riconoscono uniti da un carattere comune, la solidarietà. Basti pensare che un veneto su cinque, credente e non credente, è impegnato in attività di volontariato. Una regione, la nostra, che è non solo cosmopolita ma anche inclusiva, come ha auspicato il Papa. Un Pontefice - sottolinea - che ha sempre saputo parlare agli ultimi, con quella particolare attenzione che non siano lasciate indietro persone per scelte di vita o condizioni di disagio. Mi sono sentito particolarmente orgoglioso quando il Santo Padre ha definito Venezia una 'terra che fa fratelli': un riconoscimento a questa Regione che da sempre è un crocevia tra Oriente e Occidente, quindi luogo ideale per parlare di pace. A Papa Francesco un grande grazie e un arrivederci a Verona il prossimo 18 maggio”.

Il presidente della Regione Veneto ha voluto ricordare che "oltre all'Ucraina e alla crisi israelo-palestinese, nel mondo ci sono 60 guerre di cui non si parla mai e dobbiamo tutti lavorare per la pace". Ha sottolineato, inoltre, come le radici cristiane della regione siano alla base della dimensione solidale del Veneto "dove 1 veneto su 5 fa volontariato, a prescindere se sia credente o meno, secondo una prospettiva inclusiva e cosmopolita e anche il Veneto sta andando in questa direzione". Al presidente Zaia piace questo Papa che "parla agli ultimi, che è attento a che non ci siano persone lasciate indietro".

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