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Roma, turista messicano aggredito e rapinato del Rolex da 30mila euro

E' accaduto ieri notte sul lungotevere Raffaello Sanzio, vicino a piazza Trilussa

Polizia - Fotogramma

Aggredito e rapinato del Rolex da 30mila euro. E' accaduto ieri notte a sul lungotevere Raffaello Sanzio, vicino a piazza Trilussa, a Roma. La vittima è un turista messicano di 29 anni. Sul posto, dopo aver ricevuto la segnalazione di una rapina, è intervenuta la polizia. Da una prima ricostruzione, il 29enne è stato avvicinato da due italiani che, dopo averlo aggredito, gli hanno strappato l'orologio per poi scappare. Il turista è stato medicato in ospedale in codice verde.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Esteri

Ucraina, in Svizzera primo summit sulla pace: “Inizio...

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Zelensky punta sulla "pace giusta": "Credo che faremo la storia, qui al summit"

(Afp)

Nessuno si illude che il summit sulla pace in Ucraina che si è aperto al Buergenstock, un resort di lusso con vista sul Lago dei Quattro Cantoni, in Svizzera, possa porre fine ad una guerra che infuria da oltre due anni inzuppando di sangue di nuovo il suolo europeo, dopo il mattatoio delle guerre che accompagnarono il collasso della Jugoslavia. Ma forse, per dirla con il presidente della Finlandia Alexander Stubb, per arrivare alla pace da qualche parte bisogna pur cominciare. "Non riusciremo a negoziare la pace in Ucraina qui al Buergenstock, ma desideriamo ispirare un processo che porti ad una pace giusta e duratura”, ha sintetizzato la presidente della Confederazione Svizzera Viola Amherd nel resort circondato da pascoli popolati da brune alpine e sorvolati da nibbi bruni.

Per il ministro degli Esteri svizzero, Ignazio Cassis, il summit "è un momento importante, perché è la più grande conferenza sulla pace da quando è scoppiato il conflitto in Ucraina. Significa dare la speranza agli ucraini e a tutto il pianeta che anche questa guerra" può finire. L’Ucraina, che ha chiesto espressamente alla Svizzera di organizzare questo summit, sfrutta a fondo l’occasione, dimostrando ancora una volta di essere particolarmente abile anche nella guerra delle parole, oltre che in quella combattuta con le armi. Il presidente Volodymyr Zelensky ha sottolineato che “ogni nazione è ugualmente importante per noi e tutto quello che verrà deciso qui sarà parte del processo di pace che è necessario. Credo che faremo la storia, qui al summit".

Russia non invitata

Al vertice, che si tiene in un Paese storicamente neutrale come la Svizzera, sono presenti 92 Stati, 57 dei quali rappresentati a livello di capi di Stato e di governo, 30 a livello ministeriale, mentre 5 hanno inviato solo dei diplomatici. Questi ultimi sono tutti Paesi di un certo peso: il Brasile, il Sudafrica, gli Emirati Arabi Uniti, Israele e l’Indonesia. La Russia non è stata neppure invitata, secondo la stampa svizzera perché il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha chiarito al collega svizzero Cassis che Mosca non avrebbe accettato l’invito in ogni caso, sicché Berna avrebbe deciso di non invitare i russi per non irritarli ulteriormente.

La Cina, senza il cui aiuto l’apparato militare-industriale russo avrebbe maggiori difficoltà ad alimentare lo sforzo bellico in Ucraina, non è presente. Il cosiddetto Sud Globale ha reagito in modo abbastanza freddo alla conferenza di pace in Svizzera: le medie potenze che intendono mantenere buone relazioni anche con Mosca, come Brasile, India, Indonesia, Sudafrica, Arabia Saudita, tutti Paesi rilevanti se l’Occidente vuole isolare il nascente asse Russia-Cina-Iran-Corea del Nord, hanno scelto di partecipare, ma a un livello basso. E chi ha partecipato al massimo livello, come il presidente del Kenya William Ruto, ha parlato chiaro: la Russia, ha detto, “dev’essere al tavolo” e “l’appropriazione degli asset russi” decisa dal G7 è “illegale” e “inaccettabile”.

Malgrado le assenze, però, per una volta si dovrebbe iniziare a parlare di pace, di come arrivare a porre fine a una guerra che va avanti da oltre due anni, con costi umani ed economici altissimi. La reazione del Cremlino al summit sulle rive del Lago dei Quattro Cantoni è stata gelida. “La Russia non ha nulla da trasmettere ai partecipanti al vertice svizzero sull'Ucraina e spera che la prossima volta il conflitto venga discusso in un evento più costruttivo”, ha dichiarato all'agenzia Tass il portavoce Dmitry Peskov.

Tuttavia, a Mosca l’iniziativa della Svizzera deve aver procurato qualche fastidio, se venerdì il presidente Vladimir Putin ha dettato condizioni di pace che implicherebbero una resa totale dell’Ucraina, che dovrebbe lasciare a Mosca quattro regioni che l’esercito russo non controlla completamente. Per la vicepresidente Usa Kamala Harris, Mosca non vuole negoziare con Kiev, ma vuole semplicemente “la resa” degli ucraini. A spiegare che cosa significhi il vertice svizzero per Kiev è il capo dell’ufficio di presidenza dell’Ucraina, Andriy Yermak: una volta che sarà approntato un "piano" per la pace in Ucraina con il contributo della comunità internazionale, dice, Kiev cercherà di presentarlo alla Russia in un "secondo summit, a livello di leader". Ma Kiev, chiarisce, non accetterà “alcun compromesso sull'indipendenza, sulla sovranità e sull'integrità territoriale”. Integrità territoriale che è uno dei nodi del conflitto Russia-Ucraina, dato che, a rigore, comprende anche la Crimea, occupata da Putin nel 2014, con una reazione debole dell'Occidente.

E’ dunque un tentativo di definire il terreno per le trattative che dovrebbero svolgersi in futuro. Come hanno documentato in aprile su Foreign Affairs Samuel Charap e Sergey Radchenko, nella primavera del 2022 Russia e Ucraina erano molto vicine a concludere un accordo che avrebbe posto fine alla guerra, dando prova entrambe di essere disponibili a fare concessioni. Non riuscirono per una serie di ragioni, non ultima l’indisponibilità dell’Occidente a fornire a Kiev garanzie vincolanti di sicurezza che avrebbero implicato il rischio, in futuro, di uno scontro diretto con la Russia. Uno dei nodi principali, che Putin ha ripetuto anche venerdì, è proprio la potenziale adesione dell’Ucraina alla Nato, che Mosca vive come una minaccia diretta. Kiev, al contrario, la considera l’unica vera garanzia di sicurezza.

Ora Zelensky punta sulla “pace giusta”, nel tentativo di delimitare il terreno di gioco, con l’appoggio di un numero consistente di Paesi. "Siamo riusciti a riportare nel mondo l'idea che gli sforzi congiunti possono fermare la guerra e stabilire una pace giusta. Questa idea funzionerà sicuramente, perché il mondo ha potere”, ha detto. In Ucraina, ha ricordato Yermak, "purtroppo la guerra continua, i nostri soldati continuano a combattere. Due anni sono un tempo sufficiente a dimostrare che l'Ucraina non è in grado solo di difendersi, ma di vincere e di ottenere una pace giusta". Il summit si tiene in Svizzera, ma l’Ucraina è molto interessata al suo successo: il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, arrivando, ha ringraziato sia la presidente della Confederazione, Viola Amherd, la padrona di casa, che il presidente ucraino Zelensky.

La dichiarazione finale

Oggi si tratterà di diversi temi che riguardano il conflitto in Ucraina, tra cui le questioni umanitarie, come lo scambio dei prigionieri e i bambini ucraini deportati, le minacce nucleari avanzate dalla Russia e le implicazioni della guerra per la sicurezza alimentare. Il summit sulla pace in Ucraina dovrebbe concludersi con una dichiarazione finale: la Svizzera guida e coordina il lavoro sul testo. La dichiarazione dovrebbe essere focalizzata, ha spiegato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, “su tre punti fondamentali. Io credo che si potrebbe partire dalla centrale nucleare di Zaporizhzhia per farne una zona franca. Poi c’è la questione del grano, che è anch’essa di grande importanza, perché ne fanno le spese anche i Paesi africani. E c’è la questione degli ostaggi, dei prigionieri”. Il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha sottolineato che il documento sarà centrato anche sul rispetto dei principi chiave della Carta delle Nazioni Unite.

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Esteri

G7, Meloni incassa “successo” e ora punta a Ue:...

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Possibilista su von der Leyen la premier tiene le carte coperte: "Quando arriverà la proposta valuteremo"

Giorgia Meloni (Afp)

In passato si è definita una maratoneta, ma in realtà è la corsa a ostacoli la disciplina alla quale Giorgia Meloni sembra più avvezza. Superata la barriera del G7 -“un successo e lo dico senza temere smentite”, si fregia nella conferenza stampa che chiude il summit a Borgo Egnazia- la presidente del Consiglio già punta il prossimo ostacolo da saltare: la trattativa sui nuovi assetti dei vertici europei, in cui lei ‘vede’ un’Italia protagonista. A spiegare che Roma non è disposta ad accontentarsi è la stessa Meloni, sondata dai giornalisti -indispettiti per il numero limitato di domande in conferenza stampa- sulla possibilità che sostenga in Europa Ursula von der Leyen. La freddezza tra le due al vertice di Borgo Egnazia non è passata inosservata, gli abbracci e il calore di un tempo ormai ricordi del passato.

Meloni oggi volerà in Svizzera, a Burgenstock, per prendere parte ai lavori della Conferenza sulla ricostruzione in Ucraina, poi lunedì l’attende la cena informale tra i leader del Consiglio europeo per trovare la quadra sui futuri assetti. Innanzitutto il nome del prossimo presidente della Commissione europea, dal quale, a cascata, arriveranno tutte le altre nomine. Von der Leyen, che prima del voto di inizio giugno vedeva le sue chance in caduta libera, sembra essere tornata di nuovo in pista. Meloni cosa farà, presterà una stampella o ne ostacolerà la corsa? La scelta del candidato “spetta al Ppe: quando la proposta arriverà, noi ovviamente faremo le nostre valutazioni”, risponde la presidente del Consiglio riguardo la spitzenkandidat dei popolari.

“I primi due temi che mi interessano, come governo italiano, è – mette in chiaro – 1: che all'Italia venga riconosciuto il ruolo che le spetta; 2: che l'Europa comprenda il messaggio che è arrivato dai cittadini Ue”. E che hanno generato un terremoto negli equilibri europei, con il belga Alexander De Croo costretto al passo indietro tra le lacrime, Emmanuel Macron a ‘chiamare’ le elezioni, Olaf Scholz sempre più in affanno a Berlino.

E sono proprio il Presidente francese e il Cancelliere tedesco a spingere per chiudere già lunedì sui ‘top jobs’, temendo che dalle urne francesi esca un risultato che renda la partita ancor più difficile e il vento dei sovranisti più forte. Al contrario e non a caso l’Italia è disposta a temporeggiare: “per noi non è una pregiudiziale” attendere le elezioni francesi di inizio luglio, risponde a domanda Meloni, confermando la linea già anticipata da Antonio Tajani.

Quel che conta, per lei, è imprimere un cambio di passo, perché “se vogliamo trarre come insegnamento dal voto delle elezioni europee ‘che andava tutto bene’ sarebbe una lettura un po’ distorta”. Parole, le sue, che potrebbero valere anche per la riconferma di von der Leyen. Ma che, soprattutto, stanno a rimarcare che la premier non è disposta a farsi dettare la linea da un’Europa a trazione franco-tedesca, perché Macron e Scholz, per forza di cose, sederanno al tavolo di Bruxelles con le armi spuntate.

Andare a dama sarà difficilissimo. La Puglia e il clima di apparente serenità tra i leader a Borgo Egnazia sembrano già archiviati. Olaf Scholz, che solo venerdì festeggiava i suoi 66 anni tra gli ulivi mentre i 7 Grandi intonavano ‘happy birthday’, ieri dava l’altolà alla premier: “non è un mistero” che Meloni “sia all’estrema destra dello spettro politico”. Ci sono “differenze abbastanza ovvie e che significano anche che lavoriamo in famiglie di partito molto diverse. Quando si parla di Europa, ad esempio, credo sia molto importante che il futuro presidente della Commissione possa contare sui partiti democratici tradizionali del Parlamento europeo: il Ppe, i socialdemocratici e i liberali. Dopo i risultati delle europee credo possa funzionare”.

Il totonomi

Ma, numeri alla mano, la maggioranza indicata da Scholz vale 406 voti e garantirebbe un equilibrio assai precario vista l’incidenza di franchi tiratori a Strasburgo storicamente alta, stimata tra il 10 e il 15%. Ursula, o chi per lei, avrà bisogno di un ‘aiutino’, che potrebbe arrivare dai Verdi, opzione più probabile, ma anche dalle file dell’Ecr capitanata da Meloni. Che, in cambio, sarebbe legittimata ad alzare la posta, puntando per l’Italia a un commissario di ‘peso’, possibilmente con portafoglio economico viste le difficoltà di Roma con i conti.

La presidente del Consiglio potrebbe tuttavia puntare ancor più in alto - “riconoscere all’Italia il ruolo che le spetta”, riecheggiano le sue parole -, cercando di spuntare a Bruxelles uno dei 5 top jobs sul tavolo, quello dell’Alto rappresentante per la politica estera europea. Tutti gli indizi portano al nome di Elisabetta Belloni, tra i protagonisti indiscussi del G7 in Puglia. Lei, a Borgo Egnazia, scherza con chi già la ‘vede’ nella tolda di comando europeo: “Il mio nome? Lo mettono solo quando c’è uno spazio da riempire…”.

Di certo per ora c’è la soddisfazione della presidente del Consiglio per il G7 a ‘regia’ Belloni. “L’Italia – scandisce Meloni in conferenza stampa - ha dimostrato ancora una volta la sua capacità di essere all'altezza di organizzare eventi di questa straordinaria rilevanza. Spesso ci dimentichiamo di ciò di cui siamo capaci, ma oggi è giusto sottolinearlo perché è sotto gli occhi di tutti”.

Le polemiche

La premier, incalzata dai cronisti, torna anche sui due ‘incidenti’ di percorso che hanno gettato ombre sul ‘suo’ G7: la polemica sull’aborto, con il presunto sgambetto di Macron, e quella sui diritti Lgbt. Dopo aver ribadito di non voler cambiare la legge 194, bolla la vicenda sull’assenza della parola ‘aborto’ nelle conclusioni finali del summit come “artefatta, infatti non è esistita nel vertice, nelle nostre discussioni, proprio perché non c’era nulla su cui litigare”. Quanto ai diritti della comunità ‘arcobaleno’, “non è stato fatto nessun passo indietro” nel summit dei grandi come a Roma, assicura: “in due anni l'Italia non ha” indietreggiato “sui diritti Lgbt", al netto “del racconto falsato che è stato fatto”.

L'impegno per l'Ucraina

Per il resto, Meloni conferma l’impegno al fianco dell’Ucraina, ribadito con forza dal G7: ne è la prova lo “storico” accordo sul prestito garantito dai profitti degli asset russi. La proposta di pace arrivata da Vladimir Putin “mi sembra più un’iniziativa propagandistica che una reale proposta di negoziato”: “se vuole la pace, Putin deve ritirare le truppe dall’Ucraina”. La premier celebra con enfasi l’interesse del summit per l’Africa, l’impegno sui migranti, la presenza del pontefice al summit, presenza che ha reso il G7 un appuntamento “storico, destinato ad essere ricordato”.

La bagarre alla Camera sull’autonomia, che induce Meloni a rimproverare gli esponenti della maggioranza caduti “nelle provocazioni” di chi “dovrebbe mostrare più rispetto per le istituzioni”, non “è riuscita a rovinare l’ottima riuscita di questo vertice”. Per cui la premier ringrazia Belloni, i leader del G7, la squadra che ha lavorato al suo fianco ma ancor prima i pugliesi, che “sono stati molto oltre l'altezza del compito. E' stata la riposta migliore che si poteva dare ai soliti pregiudizi che abbiamo letto in alcuni parte della stampa internazionale".

"Qualcuno può essere arrivato con un'idea, sono certa che tutti sono andati via con un’altra idea. La forza di questa regione - sottolinea Meloni, chiudendo la conferenza stampa con un grazie speciale rivolto alla Puglia - è nella sua capacità e nel suo legame con le tradizioni. Ieri sera quando il vertice è terminato ho voluto una serata tutta tradizionale pugliese".

"C'erano i panzerotti – racconta con un sorriso -, c'erano gli artigiani, c'erano le signore che facevano le orecchiette a mano, c'era la taranta, c’erano le luminarie. C'era la Puglia. C'era la Puglia come la conosciamo noi. Sono davvero fiera di aver visto i leader del G7 rimanere a bocca aperta per i sapori, i gusti e per l'identità del territorio. Vedere i grandi del mondo che parlano delle sfide globali in un borgo mi sembra una giusta sintesi, perché non dobbiamo dimenticare che è la nostra identità che ha fatto la civiltà che siamo. Penso che il messaggio sia arrivato forte e chiaro e sono sicura che diversi leader torneranno a fare le loro vacanze da queste parti". In Puglia, terra di sole e vento, di ulivi e pietra bianca, ‘terra di dove finisce la terra’, come recita un vecchio motivo di Vinicio Capossela che risuona nei pullman dei cronisti che lasciano Borgo Egnazia. (di Ileana Sciarra)

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Cultura

Matteotti, la ‘verità’ di No reporter:...

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Il network che vede tra i suoi fondatori l'ex leader di Terza posizione Gabriele Adinolfi: "Non fu un delitto di regime"

Matteotti, la 'verità' di No reporter:

Nel centenario della morte di Giacomo Matteotti, un dossier del reparto Studi Storico-Scientifici di Noreporter, network di informazione e comunicazione che vede tra i suoi fondatori l'ex leader di Terza posizione Gabriele Adinolfi, si interroga sull'omicidio e si chiede se effettivamente quello del leader del Partito Socialista Unitario fu un delitto di regime.  "Ha davvero senso sostenere che Matteotti morì per le parole pronunciate e che il Regime ne aveva paura?" l'incipit del dossier. Che evidenzia come i colpevoli non restarono impuniti: "Il processo si svolse e decretò tre condanne per omicidio preterintenzionale tutte a cinque anni, undici mesi e venti giorni. Si stabilì che il 10 giugno 1924 Arrigo Dumini, insieme a Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo, sequestrò Giacomo Matteotti, cui si voleva 'impartire una lezione'. La reazione di Matteotti, cui non si può non riconoscere il coraggio fisico, fece degenerare il tutto".

Nel dopoguerra, ricorda poi No reporter, "calpestando il principio giuridico del Non bis in idem, venne riaperto il processo ad Arrigo Dumini che fu condannato all'ergastolo per un omicidio premeditato che, tecnicamente, non stava in piedi. Tant'è che per scelta salomonica venne graziato sei anni dopo". E "si noti che a battersi per la revisione processuale e poi per la grazia fu l'avvocato Casimiro Wronowsky che era anche il legale della famiglia Matteotti", oltre a essere "cognato della moglie di Matteotti, Velia Titta", e "tutore dei suoi due figli".

Insomma, secondo il dossier, "l'omicidio fu palesemente preterintenzionale e fu opera di una bravata finita male", ad opera non degli squadristi fascisti ("le Squadre d'Azione essendo state sciolte da Mussolini il 1 febbraio 1923 perché entrassero a far parte della neonata Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale") ma di un gruppo "civile, spontaneista e ribelle. Fascista, ma non squadrista". L'estraneità di Mussolini, per No reporter, è desumibile non solo dal fatto che "nel 1926 i responsabili vennero condannati, cosa che si sarebbe potuta evitare senza problemi se soltanto il Capo del Governo, detentore dei pieni poteri, lo avesse deciso, ma anche perché, durante la Repubblica Sociale, uno dei figli di Matteotti andava a trovare il Duce a Villa Feltrinelli a Gargnano, sul Lago di Garda", essendo "evidentemente grato dell'aiuto economico concesso, sotto forma di vitalizio, alla madre da Mussolini".

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