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G7, Meloni incassa “successo” e ora punta a Ue: “Italia abbia ruolo che le spetta”

Possibilista su von der Leyen la premier tiene le carte coperte: "Quando arriverà la proposta valuteremo"

Giorgia Meloni (Afp)

In passato si è definita una maratoneta, ma in realtà è la corsa a ostacoli la disciplina alla quale Giorgia Meloni sembra più avvezza. Superata la barriera del G7 -“un successo e lo dico senza temere smentite”, si fregia nella conferenza stampa che chiude il summit a Borgo Egnazia- la presidente del Consiglio già punta il prossimo ostacolo da saltare: la trattativa sui nuovi assetti dei vertici europei, in cui lei ‘vede’ un’Italia protagonista. A spiegare che Roma non è disposta ad accontentarsi è la stessa Meloni, sondata dai giornalisti -indispettiti per il numero limitato di domande in conferenza stampa- sulla possibilità che sostenga in Europa Ursula von der Leyen. La freddezza tra le due al vertice di Borgo Egnazia non è passata inosservata, gli abbracci e il calore di un tempo ormai ricordi del passato.

Meloni oggi volerà in Svizzera, a Burgenstock, per prendere parte ai lavori della Conferenza sulla ricostruzione in Ucraina, poi lunedì l’attende la cena informale tra i leader del Consiglio europeo per trovare la quadra sui futuri assetti. Innanzitutto il nome del prossimo presidente della Commissione europea, dal quale, a cascata, arriveranno tutte le altre nomine. Von der Leyen, che prima del voto di inizio giugno vedeva le sue chance in caduta libera, sembra essere tornata di nuovo in pista. Meloni cosa farà, presterà una stampella o ne ostacolerà la corsa? La scelta del candidato “spetta al Ppe: quando la proposta arriverà, noi ovviamente faremo le nostre valutazioni”, risponde la presidente del Consiglio riguardo la spitzenkandidat dei popolari.

“I primi due temi che mi interessano, come governo italiano, è – mette in chiaro – 1: che all'Italia venga riconosciuto il ruolo che le spetta; 2: che l'Europa comprenda il messaggio che è arrivato dai cittadini Ue”. E che hanno generato un terremoto negli equilibri europei, con il belga Alexander De Croo costretto al passo indietro tra le lacrime, Emmanuel Macron a ‘chiamare’ le elezioni, Olaf Scholz sempre più in affanno a Berlino.

E sono proprio il Presidente francese e il Cancelliere tedesco a spingere per chiudere già lunedì sui ‘top jobs’, temendo che dalle urne francesi esca un risultato che renda la partita ancor più difficile e il vento dei sovranisti più forte. Al contrario e non a caso l’Italia è disposta a temporeggiare: “per noi non è una pregiudiziale” attendere le elezioni francesi di inizio luglio, risponde a domanda Meloni, confermando la linea già anticipata da Antonio Tajani.

Quel che conta, per lei, è imprimere un cambio di passo, perché “se vogliamo trarre come insegnamento dal voto delle elezioni europee ‘che andava tutto bene’ sarebbe una lettura un po’ distorta”. Parole, le sue, che potrebbero valere anche per la riconferma di von der Leyen. Ma che, soprattutto, stanno a rimarcare che la premier non è disposta a farsi dettare la linea da un’Europa a trazione franco-tedesca, perché Macron e Scholz, per forza di cose, sederanno al tavolo di Bruxelles con le armi spuntate.

Andare a dama sarà difficilissimo. La Puglia e il clima di apparente serenità tra i leader a Borgo Egnazia sembrano già archiviati. Olaf Scholz, che solo venerdì festeggiava i suoi 66 anni tra gli ulivi mentre i 7 Grandi intonavano ‘happy birthday’, ieri dava l’altolà alla premier: “non è un mistero” che Meloni “sia all’estrema destra dello spettro politico”. Ci sono “differenze abbastanza ovvie e che significano anche che lavoriamo in famiglie di partito molto diverse. Quando si parla di Europa, ad esempio, credo sia molto importante che il futuro presidente della Commissione possa contare sui partiti democratici tradizionali del Parlamento europeo: il Ppe, i socialdemocratici e i liberali. Dopo i risultati delle europee credo possa funzionare”.

Il totonomi

Ma, numeri alla mano, la maggioranza indicata da Scholz vale 406 voti e garantirebbe un equilibrio assai precario vista l’incidenza di franchi tiratori a Strasburgo storicamente alta, stimata tra il 10 e il 15%. Ursula, o chi per lei, avrà bisogno di un ‘aiutino’, che potrebbe arrivare dai Verdi, opzione più probabile, ma anche dalle file dell’Ecr capitanata da Meloni. Che, in cambio, sarebbe legittimata ad alzare la posta, puntando per l’Italia a un commissario di ‘peso’, possibilmente con portafoglio economico viste le difficoltà di Roma con i conti.

La presidente del Consiglio potrebbe tuttavia puntare ancor più in alto - “riconoscere all’Italia il ruolo che le spetta”, riecheggiano le sue parole -, cercando di spuntare a Bruxelles uno dei 5 top jobs sul tavolo, quello dell’Alto rappresentante per la politica estera europea. Tutti gli indizi portano al nome di Elisabetta Belloni, tra i protagonisti indiscussi del G7 in Puglia. Lei, a Borgo Egnazia, scherza con chi già la ‘vede’ nella tolda di comando europeo: “Il mio nome? Lo mettono solo quando c’è uno spazio da riempire…”.

Di certo per ora c’è la soddisfazione della presidente del Consiglio per il G7 a ‘regia’ Belloni. “L’Italia – scandisce Meloni in conferenza stampa - ha dimostrato ancora una volta la sua capacità di essere all'altezza di organizzare eventi di questa straordinaria rilevanza. Spesso ci dimentichiamo di ciò di cui siamo capaci, ma oggi è giusto sottolinearlo perché è sotto gli occhi di tutti”.

Le polemiche

La premier, incalzata dai cronisti, torna anche sui due ‘incidenti’ di percorso che hanno gettato ombre sul ‘suo’ G7: la polemica sull’aborto, con il presunto sgambetto di Macron, e quella sui diritti Lgbt. Dopo aver ribadito di non voler cambiare la legge 194, bolla la vicenda sull’assenza della parola ‘aborto’ nelle conclusioni finali del summit come “artefatta, infatti non è esistita nel vertice, nelle nostre discussioni, proprio perché non c’era nulla su cui litigare”. Quanto ai diritti della comunità ‘arcobaleno’, “non è stato fatto nessun passo indietro” nel summit dei grandi come a Roma, assicura: “in due anni l'Italia non ha” indietreggiato “sui diritti Lgbt", al netto “del racconto falsato che è stato fatto”.

L'impegno per l'Ucraina

Per il resto, Meloni conferma l’impegno al fianco dell’Ucraina, ribadito con forza dal G7: ne è la prova lo “storico” accordo sul prestito garantito dai profitti degli asset russi. La proposta di pace arrivata da Vladimir Putin “mi sembra più un’iniziativa propagandistica che una reale proposta di negoziato”: “se vuole la pace, Putin deve ritirare le truppe dall’Ucraina”. La premier celebra con enfasi l’interesse del summit per l’Africa, l’impegno sui migranti, la presenza del pontefice al summit, presenza che ha reso il G7 un appuntamento “storico, destinato ad essere ricordato”.

La bagarre alla Camera sull’autonomia, che induce Meloni a rimproverare gli esponenti della maggioranza caduti “nelle provocazioni” di chi “dovrebbe mostrare più rispetto per le istituzioni”, non “è riuscita a rovinare l’ottima riuscita di questo vertice”. Per cui la premier ringrazia Belloni, i leader del G7, la squadra che ha lavorato al suo fianco ma ancor prima i pugliesi, che “sono stati molto oltre l'altezza del compito. E' stata la riposta migliore che si poteva dare ai soliti pregiudizi che abbiamo letto in alcuni parte della stampa internazionale".

"Qualcuno può essere arrivato con un'idea, sono certa che tutti sono andati via con un’altra idea. La forza di questa regione - sottolinea Meloni, chiudendo la conferenza stampa con un grazie speciale rivolto alla Puglia - è nella sua capacità e nel suo legame con le tradizioni. Ieri sera quando il vertice è terminato ho voluto una serata tutta tradizionale pugliese".

"C'erano i panzerotti – racconta con un sorriso -, c'erano gli artigiani, c'erano le signore che facevano le orecchiette a mano, c'era la taranta, c’erano le luminarie. C'era la Puglia. C'era la Puglia come la conosciamo noi. Sono davvero fiera di aver visto i leader del G7 rimanere a bocca aperta per i sapori, i gusti e per l'identità del territorio. Vedere i grandi del mondo che parlano delle sfide globali in un borgo mi sembra una giusta sintesi, perché non dobbiamo dimenticare che è la nostra identità che ha fatto la civiltà che siamo. Penso che il messaggio sia arrivato forte e chiaro e sono sicura che diversi leader torneranno a fare le loro vacanze da queste parti". In Puglia, terra di sole e vento, di ulivi e pietra bianca, ‘terra di dove finisce la terra’, come recita un vecchio motivo di Vinicio Capossela che risuona nei pullman dei cronisti che lasciano Borgo Egnazia. (di Ileana Sciarra)

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Esteri

Francia, Macron e le richieste di dimissioni:...

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Il presidente: "Non posso credere a un voto di sfiducia verso il governo"

Emmanuel Macron

Le richiesta di dimissioni sono "fiction politica". Così le ha definite il presidente francese Emmanuel Macron, assicurando di non aver mai pensato di lasciare l'Eliseo prima della scadenza del mandato nel 2027. La Francia sta vivendo ore convulse a livello politico e istituzionale, con il governo guidato da Michel Barnier a rischio sfiducia.

"Non posso credere a un voto di sfiducia" nei confronti dell'esecutivo, dice Macron in un incontro con la stampa a margine della sua visita in Arabia Saudita, aggiungendo di avere "fiducia nella coerenza delle persone". "La mia priorità è la stabilità", afferma. Per il presidente, il Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella sarebbe "insopportabilmente cinico" se votasse a favore della mozione presentata dalla sinistra, "che insulta i suoi elettori", mentre il Partito socialista, e in particolare l'ex presidente François Hollande, mostrerebbe una "totale perdita di orientamento" votando per la sfiducia.

Nessun peso, invece, alle richieste di dimissioni presidenziali. "Non ha senso dire queste cose. Si dà il caso che se sono qui davanti a voi è perché sono stato eletto due volte dal popolo francese. Ne sono estremamente orgoglioso e onorerò questa fiducia con tutta l'energia che mi è propria fino all'ultimo secondo per essere utile al Paese", dice Macron.

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Esteri

Yoon, il presidente che ha proclamato la legge marziale in...

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Nato il 18 dicembre 1960 a Seul, è il primo presidente sudcoreano a proclamare la legge marziale dal 1980

Yoon Suk-yeol (Afp)

Nato il 18 dicembre 1960 a Seul, Yoon Suk-yeol è il primo presidente sudcoreano a proclamare la legge marziale dal 1980. E' diventato presidente della Repubblica di Corea il 10 maggio 2022. Dopo essersi laureato in legge presso l’Università Nazionale di Seul, ha intrapreso una lunga carriera come procuratore, distinguendosi per la sua inflessibilità nei confronti della corruzione e occupandosi di casi di alto profilo, compresi procedimenti contro ex presidenti sudcoreani. Nel 2019 è stato nominato capo della Procura Generale, ma si è dimesso nel 2021 per candidarsi alla presidenza, dopo esser salito alla ribalta come figura critica del governo progressista di Moon Jae-in.

Rapporti con Corea del Nord e Usa

Eletto con i conservatori del Partito del Potere Popolare, Yoon ha focalizzato il suo mandato sul rafforzamento dell’alleanza con gli Stati Uniti, sull’adozione di una linea dura contro la Corea del Nord e sulla promozione della Corea del Sud come attore globale nel commercio e nella tecnologia. Mentre il suo predecessore, Moon Jae-in, aveva favorito la via del dialogo con Pyongyang, Yoon ha assunto una posizione più dura, promettendo di rafforzare le forze armate della Corea del Sud, lasciando intendere che avrebbe lanciato un attacco preventivo se avesse visto segni di un'offensiva contro Seul.

Mentre Moon ha provato a bilanciare la posizione di Seul nel confronto a distanza tra Usa e Cina, Yoon ha sempre ribadito la sua predilezione per Washington. “La Corea del Sud e gli Stati Uniti condividono un'alleanza forgiata nel sangue, poiché abbiamo combattuto insieme per proteggere la libertà contro la tirannia del comunismo”, aveva dichiarato in campagna elettorale. Dopo la rielezione di Donald Trump, l'ufficio presidenziale aveva reso noto che Yoon ha ricominciato a “praticare il golf per la prima volta dopo otto anni", in preparazione della 'diplomazia del golf' con il presidente eletto.

Yoon, di religione cattolica - il terzo dopo Moon e Roh Mo-hyun - ha ereditato un Paese devastato dalla pandemia di Covid-19, oltre che da una politica polarizzata da temi come corruzione e guerra di genere. Soprattutto quest'ultimo è un problema più che mai attuale: di fronte a un mercato del lavoro ipercompetitivo e a prezzi degli alloggi alle stelle, i cosiddetti “antifemministi” hanno sostenuto che il tentativo del Paese di affrontare la disuguaglianza di genere si sia spostato troppo a favore delle donne. Le femministe, invece, criticano il dilagare delle violenze sessuali, le radicate aspettative di genere e la scarsa rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione e in politica come esempi di come la discriminazione contro le donne sia ancora diffusa.

Le accuse alla first lady

A gravare su Yoon sono anche le frequenti accuse alla first lady Kim Keon-hee, che si pensa abbia falsificato il suo curriculum e le sue credenziali per ottenere incarichi lavorativi e accademici. La questione, molto delicata per gli standard morali sudcoreani, ha imbarazzato non poco il presidente, che ha difeso la moglie, ma ha anche cercato di prendere le distanze dal tema per evitare che danneggiasse la sua immagine politica, mentre gli oppositori ne hanno spesso approfittato per attaccare la credibilità del presidente e del suo governo.

Yoon è diventato il primo presidente sudcoreano a proclamare la legge marziale dal 1980, quando il generale Chun Doo Hwan chiuse le università, vietò le attività politiche e limitò la stampa dopo l'uccisione dello spietato dittatore Park Chung Hee. Questo periodo vide la brutale soppressione della Rivolta di Gwangju, in cui i cittadini protestarono contro il governo autoritario di Chun. I soldati sudcoreani furono in prima linea per reprimere le proteste, causando la morte di centinaia di civili. L'evento rimane un capitolo traumatico e controverso della storia del Paese, che aveva già vissuto la legge marziale durante la guerra di Corea e sotto lo stesso Park, che era arrivato al potere nel 1961 con un golpe.

Gli ultimi anni della legge marziale coincisero con la transizione democratica del Paese alla fine degli anni Ottanta. Le proteste di massa del 1987, note come Rivolta Democratica di Giugno, costrinsero il regime militare ad adottare una costituzione più democratica e a indire elezioni presidenziali dirette. Il movimento pro-democrazia è riuscito alla fine a realizzare riforme politiche significative, assicurando che la legge marziale non sarebbe più stata una caratteristica comune del governo sudcoreano e relegandola a retaggio del passato autoritario.

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Esteri

Corea del Sud nel caos, in vigore legge marziale: esercito...

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"Abbiamo ritirato l'esercito che era stato schierato"

Soldati sudcoreani

Il presidente della Corea del Sud Yoon Suk Yeol ha dichiarato che la legge marziale sarà revocata e le truppe ritirate. "L'Assemblea nazionale ha chiesto di revocare lo stato di emergenza e abbiamo ritirato l'esercito che era stato schierato per le operazioni di legge marziale", ha detto Yoon in un discorso televisivo. "Accetteremo la richiesta dell'Assemblea nazionale e revocheremo la legge marziale attraverso la riunione del Consiglio dei ministri".

In un drammatico discorso televisivo d'emergenza alla nazione, Yoon aveva annunciato che avrebbe imposto la legge marziale, accusando l'opposizione di paralizzare il governo con "attività anti-stato". Tuttavia, 190 legislatori sono riusciti a entrare in parlamento, dove hanno votato all'unanimità per bloccare la dichiarazione di legge marziale e chiederne la revoca. Secondo la Costituzione, la legge marziale deve essere revocata quando la maggioranza del parlamento lo richiede.

La giornata

Prima del dietrofront di Yoon, il presidente dell'Assemblea nazionale Woo Son-shik aveva dichiarato "nulla" la legge dopo che la maggioranza dei deputati aveva adottato una risoluzione chiedendo la revoca del provvedimento. Nell'area del Parlamento si sono registrati scontri tra esercito e manifestanti.

Secondo la legge sudcoreana, il governo deve revocare la legge marziale se la maggioranza del Parlamento vota in questo senso. La stessa legge impedisce l'arresto di deputati da parte del comando militare sotto legge marziale. La decisione di Yoon, con la revoce del provvedimento, è in linea con la legge.

Prima del secondo discorso del presidente, l'esercito sudcoreano aveva dichiarato che avrebbe rispettare la legge marziale fino all'eventuale revoca.

Il primo discorso del presidente

Ad aprire la giornata di tensione il primo discorso televisivo a sorpresa di Yoon, con l'annuncio relativo alla legge marziale di emergenza, un passo necessario per proteggere il Paese dalle "forze comuniste", nel mezzo di un braccio di ferro con l'opposizione del Partito democratico, che ha ottenuto la maggioranza in Parlamento nelle elezioni dello scorso aprile, per la legge finanziaria.

"Per salvaguardare una Corea del Sud liberale dalle minacce delle forze comuniste della Corea del Nord ed eliminare elementi anti-stato io qui dichiaro la legge marziale di emergenza - aveva detto - Senza nessun riguardo per la vita delle persone, il partito di opposizione ha paralizzato il governo solo per impeachment, indagini speciali e proteggere il proprio leader dalla giustizia". Immediatamente dopo il suo discorso, forze di sicurezza aveva bloccato l'accesso al Parlamento, con i militari che hanno annunciato la sospensione di tutte le attività parlamentari.

"La nostra Assemblea nazionale è diventata un rifugio per criminali, una tana per una dittatura legislativa che cerca di paralizzare il sistema giudiziario e amministrativo e rovesciare il nostro sistema democratico liberale", aveva detto ancora il presidente giustificando così il ricorso alla misura che prevede che il governo venga temporaneamente affidato alle autorità militari sottraendolo a quelle civili.

"Farò tornare il Paese alla normalità liberandomi delle forze anti-stato al più presto possibile", aveva aggiunto il presidente che aveva accusato l'opposizione di aver tagliato "tutti gli elementi essenziali per il funzionamento chiave del Paese, come la lotta ai crimini di droga e il mantenimento della pubblica sicurezza, trasformando il Paese in un rifugio per la droga". Yoon aveva definito il partito dell'opposizione, che ha una maggioranza di 300 parlamentari, una "forza anti-stato che intende rovesciare il regime" e definito la sua decisione "inevitabile".

Erano 44 anni che in Corea del Sud non veniva dichiarata la legge marziale. L'ultima volta risale al maggio del 1980 a seguito del colpo di Stato militare, il secondo in un anno, guidato alla fine dell'anno precedente dal generale Chun Doo-hwan. Per fermare le manifestazioni del movimento studentesco che chiedeva riforme democratiche, il 17 maggio Chun costrinse il governo a estendere la legge marziale sull'intero Paese. Vennero chiuse le università, vietate le attività politiche e limitata ulteriormente la libertà di stampa. Per far rispettare la legge marziale, i militari furono inviati in varie parti della nazione.

Il 18 maggio 1980, i cittadini di Gwangju si ribellarono alla dittatura militare di Chun e presero il controllo della città. Nel corso della rivolta, i cittadini presero le armi per difendersi, ma alla fine furono schiacciati dall'esercito in un massacro che passò alla storia. Alla fine si contarono almeno centinaia di morti, ma c'è chi parla di migliaia di vittime.

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