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Primarie Usa 2024, Alegi: “Se Haley perde in New...
Primarie Usa 2024, Alegi: “Se Haley perde in New Hampshire, Trump verso nomination”
Ma per il docente della Luiss l'estremismo del tycoon può spaventare elettorato generale e favorire Biden a novembre. Definisce poi "destabilizzanti" le dichiarazioni che fa su disimpegno Usa per Nato e difesa Europa, ma ricorda: "la Ue ha capacità tecnica difesa ma non volontà politica"
Sono appena iniziate, ma le primarie repubblicane sono già arrivate "in modo inconsueto" con il voto di domani in New Hampshire "ad un punto di svolta". Così Gregory Alegi, docente di Storia e Politica degli Usa all'Università Luiss, spiega all'Adnkronos che - ora che le primarie si sono ridotte ad un duello tra Donald Trump e Nikki Haley - "se la repubblicana verrà battuta in un territorio sulla carta molto favorevole", come lo stato del New England dove l'elettorato non ha posizioni estremiste, "è lecito aspettarsi per lei grandissime difficoltà nel resto degli Stati Uniti e quindi la sconfitta".
Ma "paradossalmente" una così anticipata e netta vittoria di Trump della nuova nomination potrebbe non essere una notizia negativa per Joe Biden e i democratici: come spesso accade negli Stati Uniti infatti "le primarie tendono a premiare i candidati identitari, non i candidati appetibili a tutti, quindi Trump è vero che piace ai repubblicani però incontra sempre difficoltà a livello nazionale".
Non a caso, i sondaggi indicano che Haley, che è su posizioni più moderate ed appetibili per gli indipendenti, "qualora candidata vincerebbe a mani basse con Biden, mentre Biden-Trump è una competizione ad armi pari", a prescindere dal fatto che ora ci sono 5-6 punti di vantaggi per Trump e il basso tasso di popolarità del presidente "che ancora non ha iniziato a fare campagna elettorale", vera e propria.
"L'estremismo di Trump, che traspare da dichiarazioni paradossali, spaventa, paradossalmente la vittoria a man bassa per Trump è un pessimo segnale in vista di novembre quando si dovrà scontrare con Biden", continua il professore affermando che "ancora una volta il presidente, che più un tecnico che un carismatico, potrebbe intercettare il voto di chi ha paura di un nuovo quadriennio di Trump".
La nomination di Trump disinnescherebbe un'altra mina pericolosa per l'80enne Biden, quella dell'età: "Sarebbe stata più chiaro se il candidato repubblicano fosse stato qualcun altro - spiega Alegi - Trump ha 77 anni e comincia visibilmente a perdere colpi, scambia nomi, non ricorda circostanze cosa che in una persona che già prima era predisposta all'esagerazione o alla bugia è un problema serio".
Nonostante la carta dell'età, comunque, tutti gli altri repubblicani - a parte Haley che di anni ne ha 52 e propone test cognitivi per tutti i candidati over 75 - si sono ritirati, ultimo tra i quali, ieri, Ron DeSantis, il governatore della Florida che quest'estate sembrava destinato ad essere l'avversario più temibile di Trump. La sua uscita di scena è "un segnale molto chiaro perché sia DeSantis che Rasmaswamy - conclude Aelgi riferendosi al miliardario di origine indiana che si è ritirato dopo i caucus dell'Iowa - correvano come dei Trump 2.0, senza piattaforma ma con solo 20-30 anni in meno, in politica l'elettore preferisce l'originale al clone".
L'ipotesi di una candidatura di Trump, ed un suo eventuale ritorno alla Casa Bianca, stanno facendo già discutere in Europa soprattutto per le dichiarazioni fa di disimpegno, in caso di suo ritorno nei confronti della Nato e della difesa dell'Europa, che sono, "come quelle su Taiwan", sono "indubbiamente destabilizzanti perché mandano messaggi ai revisionisti dell'ordine mondiale", aggiunge il docente della Luiss, sottolineando che comunque queste rivelano allo stesso tempo "una totale miopia" dell'ex presidente che "è ben chiara alla comunità che si occupa di affari internazionali sia in Europa che negli Stati Uniti".
Una miopia perché "il rafforzamento della difesa europea chiesto da Trump in termini economici non può avvenire solo dal punto di vista tecnico, perché necessariamente si porta dietro questioni di impiego che necessariamente si portano dietro delle decisioni politiche, che necessariamente si traducono in un rafforzamento dell'identità europea come competitore e non come alleato degli Usa". Per Alegi è importante ricordare che a differenza di "quello che pensano molti, la difesa comune europea non è un problema di tipologia di carri armati, ma della volontà comune di usarli: dal punto di visto pratico, dei sistemi d'arma, l'Europa è assolutamente allo stesso livello degli Usa e quello che succede in Ucraina ce lo dimostra, i sistemi europei funzionano benissimo".
"L'Europa è sicuramente in grado di difendersi da sola sotto un profilo tecnico - continua - quello che preoccupa molto è la mancanza di unità politica. Il nostro problema non sono i carri armati, il problema è se si vuole impiegarli e, come diceva l'indimenticabile Henry Kissinger "qual è il numero di telefono dell'Europa?, l'incapacità dell'Europa di parlare con una voce sola".
Tornando invece al rischio di un disimpegno americano in Europa, ventilato da Trump, il professore spiega che "il contributo di difesa Usa nell'Europa è in ambiti molto specifici, uno, extrema ratio, l'ombrello atomico, uno più quotidiano con le informazioni e sistemi cyber, dai satelliti ai computer", sottolineando che "un conto è dire non mando i marine in Europa, un altro è dire non condividere più le informazioni. Nel secondo caso il costo è piuttosto basso, anche dal punto di vista politico essendo sistemi invisibili". Piuttosto, aggiunge, dal punto di vista ideale, "se ci trovassimo ad un livello da 1939, morire per Danzica, la mancanza di stimolo americano, di direzione americana potrebbe essere grave più grave della mancanza dei materiali".
"Vedremo come andrà a finire - prosegue Alegi per il quale, se a livello di primarie sarà decisivo il risultato del duello ormai rimasto a due tra Trump e Nikki Haley domani in New Hampshire, per le elezioni di novembre la partita è ancora tutta da giocare - il quadriennio di Trump è stato dannosissimo per la posizione degli Stati Uniti nel mondo".
Questo ha portato Washington ad un "isolamento totale", che "in parte spiega perché la Russia fosse convinta di poter invadere l'Ucraina senza una reazione americana: scommettevano sul fatto che gli Usa non avrebbero potuto raccogliere il consenso, formare una coalizione". Mentre invece su questo fronte Joe Biden ha incassato "uno straordinario successo".
A fronte di questo la nuova ascesa politica di Trump può essere considerata sintomo di una sorta di malattia dell'Occidente e dei suoi valori? "Assolutamente sì, non ci scordiamo della grande lezione di Popper secondo il quale le regole e i privilegi della democrazia non si applicano a coloro che vogliono usarli per demolire la democrazia stessa", risponde Alegi ricordando il ruolo di Trump nell'assalto al Congresso, in cui si è passati dall'espressione della critica "all'azione violenta che per definizione è antidemocratica".
Non bisogna dimenticare, conclude, che già "nell'estate del 2017 Trump normalizzò le manifestazione violente razziste a Charleston dicendo che ci sono brave persone da entrambe le parti, ma questo non è vero, esistono valori di riferimento: lo sdoganamento di certi comportamenti è quello che quattro anni dopo porta all'assalto al Congresso, a rifiutare il risultato democratico delle elezioni".
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Usa, Urbinati (Columbia): ”La rettrice ha scatenato...
La docente di Teoria politica difende la protesta pacifica degli studenti e sostiene il dialogo senza toni aggressivi in spazi dedicati. Occorre portare avanti una trattativa che permetta il ritorno alla normalità ed eviti un grave danno di immagine per il campus, sostiene.
E' stata una ''reazione folle'' quella della rettrice della Columbia University, Nemat Shafik, di chiamare la polizia per rimuovere la manifestazione studentesca contro Israele. ''Era una protesta pacifica, fatta a suon di rap con giochi, canti e balli'', ma lei ''l'ha trasformata in un inferno''. Per fortuna, anche grazie ''a un documento di appello al dialogo che ho firmato anche io'', ora ''il clima è molto cambiato'' e si è aperto ''un tavolo di trattativa e negoziazione tra i rappresentanti degli studenti, il corpo docente, i dipendenti e l'ammnistrazione dell'università''. L'obiettivo è quello di rientrare in un ''clima di trattativa per riportare la normalità'', altrimenti ''c'è il rischio che salti il semestre'', ma ''nessuno vuole che si arrivi a tanto, sarebbe un danno di immagine incredibile, una rovina enorme''. Nadia Urbinati, che dal 1996 insegna Teoria politica alla Columbia University di New York, racconta ad Adnkronos dall'interno le contestazioni. ''Si tratta di un accampamento pacifico, gli studenti sono molto più moderati della rettrice, ma sono stati trattati da criminali e questo non è possibile'', ha aggiunto Urbinati.
Lei stessa ha avuto contatti con gli studenti, ''hanno scritto un documento bellissimo e molto moderato rivolto alla rettrice che ho firmato insieme a colleghi del mio dipartimento. Un documento in cui chiedevano di tenere in considerazione il problema della violenza che si amplifica se si chiama la polizia''. Tra i suoi studenti, racconta, ''uno che aveva fatto con me un corso sulla retorica è stato arrestato ieri per uso sconsiderato del linguaggio. Ha detto che i sionisti dovrebbero sparire dalla faccia della terra... Ma a parte questo caso nessuno mio studente è stato sospeso o arrestato''. Sottolineando che ''il 20 per cento degli studenti della Columbia arrestati sono ebrei'', Urbinati racconta anche il caso di ''uno studente ebreo israeliano che ha chiesto di non venire in classe per non attraversare il campus in quanto si sente a disagio''. La sua richiesta è stata accolta, ''un caso eccezionale risolto permettendogli di seguire le lezioni tramite Zoom''.
Urbinati racconta poi che in questi giorni hanno visitato la protesta al campus ''il rappresentante repubblicano e quello democratico. Entrambi sono stati ottusamente arroganti. L'esponente repubblicano ha proposto di chiamare guardia nazionale, il che avrebbe riportato il campus a livelli raggiunti solo nel '68''. Secondo la politologa, quindi, è stata ''la rettrice che ha radicalizzato'' la manifestazione. Shafik, spiega Urbinati, ''è alla Columbia da nove mesi e si è dimostrata molto inadeguata. Viene dal mondo delle finanza e ha dimostrato totale incapacità di comprendere che qui non si tratta di dipendenti di una banca, ma di persone varie con le quali occorre entrare in contatto''. E invece, durante la protesta, ''la rettrice è rimasta sempre chiusa nel suo ufficio o nella sua casa. Non ha mai interagito con gli studenti''.
L'auspicio, ora, è che ''vengano messi a disposizione degli spazi, delle aule, dove poter proseguire il dibattito sulla guerra e sui rapporti con Israele''. Perché, prosegue Urbinati, ''se c'è libertà di insegnamento, se si studiano argomenti come la guerra e la pace, gli stati nazione, è evidente che ne esca un dibattito''. Anzi, aggiunge, ''ben venga il dialogo e la riflessione promossi dagli studenti, certo senza usare toni aggressivi''.
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Elezioni Usa, Biden prende in giro Trump: “Sono in...
Durante la cena annuale con i corrispondenti accreditati alla Casa Bianca
''Sono un uomo adulto e sono in corsa contro un bambino di sei anni''. Così il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha preso il giro l'ex inquilino della Casa Bianca e suo rivale alle prossime elezioni americane Donald Trump. ''L'unica cosa che abbiamo in comune è l'età'', ha aggiunto Biden durante la cena annuale con i corrispondenti accreditati alla Casa Bianca. Anche se, età anagrafica alla mano, Biden ha 81 anni contro i 77 di Trump. ''Le elezioni del 2024 sono in pieno svolgimento e sì, l'età è un argomento - ha detto Joe Biden - Sono un adulto che corre contro un bambino di sei anni''.
Molti gli ospiti illustri, giornalisti e celebrità presenti all'hotel Hilton di Washington mentre all'esterno un centinaio di manifestanti hanno scandito slogan contro la guerra di Israele nella Striscia di Gaza e sventolato una bandiera palestinese lunga diversi metri. Ma all'interno il conflitto in Medioriente non è stato al centro della scena, soppiantato appunto dalle battute sull'età dei candidati alla presidenza Usa.
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Re Carlo torna agli impegni pubblici, martedì la visita a...
Buckingham Palace: "Medici incoraggiati dai suoi progressi"
Buckingham Palace mette fine alle congetture sullo stato di salute di Re Carlo. Il sovrano, malato di cancro, da martedì riprenderà i suoi impegni pubblici. Con la regina Camilla si recherà in visita a un centro di cure per i tumori. "Il team medico di Sua Maestà - fa sapere una nota della Casa Reale - è molto incoraggiato dai progressi compiuti finora e rimane positivo quanto al continuo recupero del re".