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Salute e Benessere

Il Medico risponde: Stenosi Carotidea Ateromatosa

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“Il Medico risponde”

Stenosi Carotidea Ateromatosa

DOMANDA

Professore salve, sono Fabrizio un fedelissimo lettore di Sbircia la notizia magazine. Complimenti per gli argomenti che tratta sempre con grande serietà e oculatezza. Qualche settimana fa ha scritto un articolo sull’attacco ischemico transitorio, il cosiddetto TIA, in riferimento a ciò, mi farebbe chiarezza sulla “Stenosi carotidea ateromatosa“. Grazie e buona giornata.
Fabrizio Lombardo

RISPOSTA

A cura del Dr. Ferdinando Martinez

ATTENZIONE: "Le informazioni contenute in questa rubrica medica, non devono ASSOLUTAMENTE, in alcun modo, sostituire il rapporto Medico di Famiglia/Assistito. Si raccomanda per buona regola, di chiedere SEMPRE il parere del proprio Medico di Famiglia, o Specialista di fiducia, il quale conosce in dettaglio la storia clinica del proprio Paziente. La nostra rubrica, non avendo fatto un'anamnesi di chi ci scrive, impossibile online, ha il solo ed esclusivo scopo  informativo, decliniamo quindi tutte le responsabilità nel mettere in pratica qualsiasi chiarimento o indicazione riportata al solo scopo esplicativo e divulgativo. Qualsiasi domanda umanamente  intrattabile via web, verrà automaticamente cestinata. Grazie per la gentile comprensione."

Salve Fabrizio, grazie per i complimenti, ne sono lusingato e grazie per la fedeltà dimostrataci nel seguirci. Anche lei tocca un tema serio e delicato, al quale risponderò subito e volentieri.

La Stenosi Carotidea Ateromatosa che cos’è?

La stenosi, è un restringimento del calibro di una vena, in questo caso l’arteria della carotide, con grave sofferenza degli organi da essa raggiunti, per carenza di ossigeno e nutrienti trasportati dal sangue.

L’arteria carotidea primaria nasce dall’aorta ascendente e si divide in 2 vasi:
  • L’arteria carotide interna che rifornirà il cervello;
  • L’arteria carotide esterna che rifornirà il collo e il viso.

Quando parliamo di stenosi carotidea, siamo interessati alla carotide interna, quella che alimenta il cervello. Quando questa inizia a intasarsi, c’è il rischio che il cervello non riceva più sangue a sufficienza, questo è chiamato ictus (permanente o reversibile, permanente o transitorio).

La stenosi carotidea è il risultato di una malattia più generale chiamata aterosclerosi, che forma placche di ateroma (cioè grumi di colesterolo e calcio che progrediscono in fibrosi), in luoghi adatti nei vasi. A livello della carotide interna, le placche ateromatose si formano più spesso a livello del bulbo carotideo (cioè all’inizio di questo vaso, nella sua porzione iniziale).

Le pareti dei vasi sono costituite da tre strati, chiamati intima (quello più vicino al lume del vaso, cioè dove scorre il sangue), il mezzo (strato intermedio) e l’avventizio (strato più esterno). La placca di ateroma si forma nei media e cresce negli anni, insidiosamente, favorita da una serie di fattori di rischio (l’ età è quella principale e quella non modificabile). Quando diventa troppo importante e finisce per ostacolare il flusso sanguigno, si parla di stenosi (corrispondente a un restringimento e non al fatto che l’arteria è completamente bloccata).

Quindi, possono verificarsi diversi fenomeni:

  • La placca può rompersi e inviare un “embolo” – una piccola parte – alle arterie del cervello. Le arterie diventando sempre più piccole, finiranno, a seconda delle sue dimensioni, bloccandone completamente una, questo è un ictus (interruzione temporanea del funzionamento o distruzione dei neuroni forniti da questa arteria);
  • La placca può anche crescere, fino a ostruire (o intasare) completamente l’arteria carotide. In questo momento, a seconda della morfologia di ciascuno, si creerà un ictus (stesse conseguenze di prima) oppure no (perché non dimentichiamo che abbiamo 2 carotidi interne, una a destra e una a sinistra, l’altra potendo subentrare quindi se si ha un’arteria comunicante posteriore efficiente, cosa non semplice per tutti).

Fattori di rischio per la stenosi carotidea

  • Ipertensione arteriosa, aumentando la pressione nelle arterie, le irrigidisce e favorisce la formazione di placche ateromatose
  • Il fumo
  • Diabete
  • Obesità o sovrappeso
  • Abuso d’alcol
  • Ipercolesterolemia
  • Stile di vita sedentario
  • Età avanzata
  • Altre cause di stenosi carotidea sono scaturite da:
  • Aneurismi
  • Displasie fibromuscuolari
  • Arteriti
  • Kinking
  • Coiling

Sintomi

Una stenosi carotidea la si evince con l’assenza delle pulsazioni nel vaso interessato. Lo si nota mediante palpazione e possiede un certo grado di insicurezza. Infatti, le pulsazioni possono essere presenti anche in concomitanza di un restringimento della carotide. Il principale segno che caratterizza una stenosi carotidea è il cosiddetto attacco ischemico transitorio, noto anche come TIA.

Un attacco “silenzioso” e senza preavviso alcuno, ma, d’altra parte, sono purtroppo le sue conseguenze che si possono ben “sentire”, cioè i sintomi dell’accidente cerebrovascolare (disturbi del linguaggio, disturbi motori):

  • Difficoltà nel parlare;
  • Emiplegia dal lato opposto alla stenosi, visione dallo stesso lato della stenosi);
  • Paresi del volto;
  • Problemi alla vista;
  • Mancata coordinazione nella deambulazione.

Anche se questi sintomi durano solo pochi minuti, dovresti essere visitato con urgenza. L’attacco ischemico transitorio, TIA infatti, è pericoloso perché in gran parte dei casi si ripresenta, questa volta con il rischio di un accidente cerebrovascolare definitivo.

Esami

  • Ecodoppler, l’ecografia cervicale (accoppiata a un Doppler) rimane l’esame di riferimento. Aiuta a determinare la posizione, l’estensione della placca, la sua struttura e il grado di stenosi che provoca;
  • Angiografia digitale;
  • Angiografia tomografica computerizzata, o angiografia CT;
  • Angio-risonanza magnetica, o angiografia;

Verranno poi eseguiti altri esami, sia nell’ambito di una valutazione più generale in caso di esistenza di placche carotidee, ma anche in caso di indicazione chirurgica . In caso di ictus , la risonanza magnetica rimane il gold standard . Un’angiografia MRI o uno scanner angiografico possono esplorare le arterie intra o extra craniche per avere una valutazione più completa.

A chi rivolgersi

In caso di stenosi carotidea, gli specialisti sono il tuo medico di base (per il trattamento dei fattori di rischio: aiuto per smettere di fumare, astinenza da alcol, equilibrio tra diabete, pressione sanguigna, colesterolo) coadiuvato dal tuo cardiologo, diabetologo a seconda dei fattori di rischio cardiovascolare. In caso di intervento chirurgico da eseguire, si consiglia di chiamare un chirurgo vascolare.

Trattamento

Il trattamento è principalmente medico, con riduzione dei fattori di rischio cardiovascolare, con o senza farmaci a seconda del grado e del tipo di attacco, da concordare con il medico curante. Il trattamento farmacologico consiste in:

  • Per fluidificare il sangue (per limitare il rischio embolico) sia con agenti antipiastrinici che con anticoagulanti;
  • Per ridurre i fattori di rischio assumendo farmaci ipo-lipemici se hai un livello di colesterolo cattivo (LDL) troppo alto, antipertensivi per regolare la pressione sanguigna, un antidiabetico se il tuo livello di zucchero nel sangue è troppo alto;
  • Il trattamento può essere chirurgico a seconda dei casi: l’interesse viene valutato con: lo stato della placca, il suo grado di stenosi, l’esistenza o meno di sintomi (ovvero se si è già avuto un accidente vascolare o meno), la tua morfologia (verrà quindi eseguita una risonanza magnetica cerebrale per vedere se hai un’arteria comunicante posteriore sufficiente). Questa è una decisione che verrà presa tra il medico curante e il chirurgo.

Nel trattamento chirurgico, c’è o l’endoarterectomia, che consiste nell’aprire l’arteria carotide (di solito in anestesia locale) e raschiare la placca aterosclerotica, o l’ angioplastica (stent, cioè – diciamo una molla) a seconda della posizione di questa placca e delle controindicazioni per intervento chirurgico, da discutere con il chirurgo.

Le tecniche chirurgiche per la riparazione delle arterie sono perfettamente sviluppate, a condizione che siano indirizzate a team esperti.

La chirurgia è sempre superiore all’angiopalstia, cioè alla dilatazione. In particolare, il posizionamento di uno stent crea un rischio maggiore di rimuovere un frammento della placca aterosclerotica.

Le tecniche chirurgiche sono state sviluppate perfettamente da molti anni ma, se questo intervento chirurgico non è considerato pesante, rimane delicato. I risultati migliori si ottengono dai chirurghi abituati a eseguirlo, fatto che i pazienti possono verificare prima dell’intervento: il tasso di complicanze legate all’équipe non deve superare il 3%.

Le stenosi carotidee si verificano, nel 95% dei casi, in corrispondenza della biforcazione situata nel collo , appena sotto la pelle. Una semplice incisione consente l’accesso, che lascia la possibilità al chirurgo di scegliere di intervenire in anestesia generale o locoregionale , a volte una combinazione delle due.

Il chirurgo quindi accede all’arteria stenotica attraverso un’incisione nel collo e, prima di incidere l’arteria, deve interrompere l’afflusso di sangue nella zona da pulire . Può quindi scegliere di bloccare l’arteria , vale a dire di pizzicarla per bloccare il passaggio del sangue o di mettere un bypass sull’arteria per mantenere il flusso sanguigno durante la procedura.

Il clamping è ben tollerato dalla maggior parte dei pazienti ma alcuni chirurghi in questo caso preferiscono comunque l’anestesia loco-regionale, perché permette di verificare che l’interruzione temporanea del flusso sanguigno non ha conseguenze neurologiche. Il paziente è vigile e il team può chiedergli di salutarlo o dire qualche parola. Il chirurgo apre quindi l’arteria per poter rimuovere la placca ateromatosa: nella maggior parte dei casi si può estrarre come un nocciolo di ciliegia. Il chirurgo può quindi cucire l’arteria, il più delle volte aggiungendo un cerotto per evitare che l’arteria si restringa.

In alcuni casi, quando la parete interna del vaso sanguigno è gravemente danneggiata, il chirurgo può tagliarne una parte e capovolgerla come una gamba del pigiama prima di ricucirla. Tutte queste scelte dipendono soprattutto dalla squadra che deve privilegiare le tecniche che abitualmente pratica per ottenere i migliori risultati.

Dopo l’operazione, è necessario monitorare che un ematoma significativo non compaia nel collo entro 4-5 giorni, ma il paziente può tornare a casa entro 24-48 ore. La stenosi dovrebbe quindi essere controllata ogni sei mesi per due anni e poi ogni anno. Il successo duraturo dell’intervento dipende anche dalla riduzione dei fattori di rischio.

Prevenzione

La stenosi carotidea è quindi prima di tutto una malattia che si può prevenire con uno stile di vita sano e corretto. È necessario agire prima che si complichi, controllando il più possibile i fattori di rischio cardiovascolare.

Ricordiamo, nuovamente quindi di tenere sotto controllo:
  • L’ipertensione che aumenta la pressione nelle arterie, che le irrigidisce e favorisce la formazione di placche di ateroma. I valori della pressione sanguigna dovrebbero essere inferiori a 140/90 mm Hg o addirittura 130/80 mm Hg in caso di diabete;
  • Il fumo, si raccomanda di smettere di fumare, dove non sia possibile riuscirci, optare verso con adeguati ausili per combattere la dipendenza;
  • Il diabete con valori di HbA1c <6,5%. la normalizzazione dei numeri aiuta ad evitare pericolose complicazioni vascolari;
  • L’obesità e sovrappeso, con circonferenza addominale inferiore a 88 cm nelle donne e 102 cm negli uomini;
  • L’ipercolesterolemia, troppo colesterolo cattivo (colesterolo LDL) è deketerio;
  • Lo stile di vita sedentario, l’assenza di attività fisica hanno un ruolo negativo, ampiamente dimostrato nei fattori di rischio cardiovascolare;
  • Lo smoderato consumo di alcol e affini;
  • Limitare la quantità di sale, insaporendo le pietanze con erbe aromatiche o spezie.

Riguardo i farmaci, i pazienti asintomatici o che presentano una stenosi carotidea di basso grado saranno trattati con un antiaggregante piastrinico, aspirina, ticlopidina o clopidogrel.

Fabrizio le ricordo che la mia risposta non intende in alcun modo sostituirsi all’autorevole parere del Medico di famiglia, Medico Curante o di altre Figure Sanitarie di fiducia, preposte alla corretta interpretazione del problema in oggetto, a cui rimando, rigorosamente, per ottenere una più precisa indicazione incline sulle origini di qualsiasi eventuale sintomo stesso. Le auguro una meravigliosa domenica.

“Perfer et obdura, multo graviora tulisti.” Sopporta e persevera, cose molto più gravi sopportasti. (Publio Ovidio Nasone)

Aspettiamo le vostre domande, inviatecele via mail a info@sbircialanotizia.it

Docente di Medicina Clinica e Chirurgia Generale: si occupa principalmente della nostra rubrica “Il medico risponde”, ma anche della creazione di articoli riguardanti il campo della medicina. Tutti gli articoli vanno considerati a scopo esclusivamente informativo.

Salute e Benessere

Pressione alta, il ruolo del Dna: lo studio

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Maxi-studio internazionale apre a diagnosi di precisione, cure su misura e all'identificazione di nuovi bersagli terapeutici

Uno sfigmomanometro per misurare la pressione - FOTOGRAMMA

La pressione alta dipende certo dai cattivi stili di vita, ma sulla probabilità di ammalarsi di ipertensione - un fattore di rischio chiave per le patologie cardiovascolari - pesa anche il Dna. In un maxi studio sui dati di oltre un milione di persone, il più grande mai condotto finora sull'argomento, ricercatori e collaboratori dei National Institutes of Health-Nih americani hanno scoperto oltre 2mila regioni del genoma umano (loci genomici) legati alla pressione sanguigna, comprese 113 nuove regioni. Il lavoro è pubblicato su 'Nature Genetics' e secondo gli autori permetterà di capire meglio come viene regolata la pressione del sangue, nonché di identificare possibili bersagli per nuovi farmaci.

"Il nostro studio aiuta a spiegare una percentuale molto maggiore di differenze tra la pressione sanguigna di due persone rispetto a quanto precedentemente noto", afferma Jacob Keaton, sezione Informatica sanitaria di precisione del National Human Genome Research Institute (Nhgri), primo autore della ricerca alla quale hanno contribuito più di 140 scienziati di oltre 100 università, istituti e agenzie governative. I ricercatori sono riusciti anche a calcolare un punteggio di rischio poligenico, che combina gli effetti di tutte le varianti genomiche presenti in una persona, per prevederne la pressione e il pericolo ipertensione. "Conoscere il rischio di un paziente di sviluppare ipertensione potrebbe portare a trattamenti su misura, che hanno maggiori probabilità di essere efficaci", sottolinea Keaton.

Tra i nuovi loci genomici scoperti, molti si trovano in geni che svolgono un ruolo nel metabolismo del ferro, confermando precedenti evidenze secondo cui alti livelli di ferro possono contribuire alle malattie cardiovascolari, precisano gli autori. Gli scienziati hanno inoltre confermato l'associazione tra pressione sanguigna e varianti del gene Adra1A, che codifica per un recettore cellulare detto adrenergico, già target di farmaci per la pressione. Ecco perché gli autori ritengono che altre varianti genomiche individuate nella nuova ricerca potrebbero diventare bersagli farmacologici per sviluppare nuove terapie.

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Salute e Benessere

Cardiologi: “Ecg con Ai è salto in avanti, screening...

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Cardiologi:

Lo studio sull'efficacia dell'uso di nuovi Ecg con intelligenza artificiale nel prevenire i decessi individuando pazienti ad alto rischio mortalità, "ci dice che non si deve avere paura e non si deve essere scettici rispetto all'uso dell'Ai nella pratica clinica. Questa ricerca e altre del genere forniscono una indicazione importante sul tema della prevenzione. Se un medico, grazie appunto all'Ai, riceve un alert su un paziente specifico può dedicargli più attenzione, si può identificare uno scompenso cardiaco, si possono usare farmaci antiaritmici in modo selettivo, ma anche individuare aritmie maligne. L'Ecg intelligente ci permette un salto in avanti con uno screening più approfondito rispetto a quello che si esegue di routine, riducendo anche i costi e l'inappropriatezza". Così all'Adnkronos Leonardo De Luca, vice presidente Anmco, l'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri, e direttore della struttura complessa di Cardiologia del Policlinico San Matteo di Pavia.

Rispetto alle innovazioni, in Italia "c'è un problema culturale", avverte De Luca. "Secondo un nostro censimento di tutte le strutture cardiologiche pubbliche, convenzionate e private presenti in Italia - spiega - parliamo di 790 strutture, solo nel 20% sono presenti strumenti di telemedicina, teleconsulto e telerefertazione. Il Pnrr doveva intervenire proprio su queste settore e sull'ammodernamento del parco tecnologico".

Il balzo tecnologico, favorito anche dall'Ai, può essere un rischio nel far aumentare la richiesta di offerta sanitaria 'hi-tech'? "C'è il rischio, come c'è un rischio di esagerare con l'interpretazione dei dati che arrivano dai vari software oggi a disposizione - risponde il primario di Cardiologia - Questo studio dimostra che proprio l'Ai applicata a un esame importante e ormai consolidato come l'Ecg può ridurre la mortalità del paziente ospedalizzato, ma c'è da considerare anche l'effetto Hawthorne, che accade quando c'è una variazione del comportamento in presenza di qualcuno che ti osserva. Questo - chiarisce - potrebbe essere accaduto nello studio quando il medico, che sa di partecipare a un ricerca, è più attento ai dati e all'osservazione clinica del paziente. Magari è più sensibile all'alert dell'Ai e interviene istantaneamente. Ma al di là di questa considerazione, davvero ormai con intelligenze artificiali che passano in rassegna milioni di dati e immagini in pochissimo tempo, siamo in presenza di una rivoluzione nel campo della cardiologia, e non solo".

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Salute e Benessere

Nuovo cancro seno ereditario, Aiom: “Passo avanti per...

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Nuovo cancro seno ereditario, Aiom:

E' "un passo avanti importante sulla strada della diagnosi di precisione" lo studio dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano, pubblicato su 'Jama Network Open', che ha scoperto una nuova forma ereditaria di cancro al seno, associata al gene Cdh1. A spiegare all'Adnkronos Salute il valore del lavoro dei senologi Ieo è Francesco Perrone, presidente dell'Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) e direttore dell'Unità Sperimentazioni cliniche dell'Istituto nazionale tumori Fondazione Pascale di Napoli.

In donne operate per un tumore lobulare del seno, gli autori hanno definito una nuova sindrome chiamata 'carcinoma mammario lobulare ereditario', associata a mutazioni patogenetiche del gene Cdh1. Una forma di cancro e che si differenzia integralmente - sottolineano i ricercatori - dalla classica sindrome del carcinoma mammario ereditario causata dalle note mutazioni dei geni Brca1 e Brca2. I cosiddetti 'geni Jolie', che hanno spinto l'attrice americana e più di recente la supermodella Bianca Balti a ricorrere alla chirurgia preventiva per scongiurare il rischio cancro. Per i senologi Ieo, "le donne con un tumore lobulare, con età sotto i 45 anni, o con storia familiare positiva o con tumore lobulare bilaterale, dovrebbero essere tutte testate per il gene Cdh1".

Su questo punto Perrone precisa: "Non faccio anticipazioni sui contenuti delle future linee guida Aiom, che sono frutto di un processo lungo e complesso, e che sono valide una volta approvate dall'Istituto superiore di sanità e pubblicate". Ciò premesso, lo studio dell'Irccs fondato da Umberto Veronesi indica "una nuova potenziale possibilità di fare diagnosi di precisione", afferma l'oncologo. Le conclusioni del lavoro, puntualizza, aprono all'eventualità di "aggiungere, nei prossimi anni, qualcosa all'armamentario diagnostico già disponibile per cercare di identificare tumori che hanno una causa ereditaria". Un'opportunità molto importante per i pazienti con mutazioni genetiche a rischio cancro, ma anche per i loro familiari, sui quali potrà essere cercata la stessa mutazione, valutando strategie personalizzate di prevenzione.

La nuova ricerca dell'Ieo, commenta il presidente Aiom, "è uno studio sicuramente importante su un tema molto importante che è quello delle forme ereditarie di cancro. In questo caso una forma di cancro della mammella, il carcinoma lobulare, che non è la più frequente", rimarca Perrone. L'oncologo si complimenta pertanto con gli autori anche "per la capacità di mettere insieme una grande casistica, iniziata prima del 2000", così da produrre risultati abbastanza 'pesanti' da poter sperare di orientare in futuro la diagnosi oncologica di precisione.

"Al momento - ribadisce il numero uno dell'associazione oncologi medici - mi sembra che il senso di questa pubblicazione possa essere quello di aggiungere potenzialmente, nei prossimi anni, qualcosa all'armamentario diagnostico di cui disponiamo per individuare i tumori con una causa ereditaria. Che ciò si potrà tradurre in una modifica della terapia o della prognosi è molto presto per dirlo, però è una cosa importante. Con i più noti e importanti 'geni Jolie' - ricorda infatti Perrone - quello che accade" già oggi "è che si fa una diagnosi di un tumore che è legato a un'anomalia di questi geni, e quindi si può poi discutere e ragionare anche per la prevenzione del cancro nei familiari che potrebbero avere la stessa mutazione. Un elemento, questo, molto importante".

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