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Violenza ostetrica e dove trovarla: il fenomeno in Italia e...

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Violenza ostetrica e dove trovarla: il fenomeno in Italia e nei Paesi Ue

Una piaga “sistemica”, una “violenza di genere istituzionalizzata”. Così Magali Gay-Berthomieu davanti alla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere del Parlamento europeo giovedì 18 aprile, ha definito la violenza ostetrica e ginecologica nell’Unione europea. La causa principale: “abitudini radicate nei sistemi e nelle società”. Insieme alla collega Silvia Brunello, specialista in questioni di genere della società di consulenza ICF, hanno presentato ai deputati uno studio condotto nei 27 Stati membri, grazie al quale è stato possibile identificare la dimensione del problema e le sfide da affrontare per il futuro.

A partire dal quadro giuridico attualmente applicabile a questa forma di violenza, insieme agli sviluppi politici attualmente in corso, sono state raccolte anche le iniziative portate avanti a livello nazionale per migliorare la comprensione e prevenzione di questa forma di violenza di genere da parte dei professionisti dell’assistenza sanitaria o della società civile. Abuso psicologico, fisico e sessuale durante le consultazioni ostetriche e ginecologiche e l’assenza di supporti in caso di denuncia, oltre alla mancanza di un quadro giuridico uniforme e alla necessità di rendere egualitario il lavoro delle donne nella sanità. Sono questi gli spunti emersi dalla presentazione dello studio. Vediamo insieme una panoramica del fenomeno.

Lo studio

“Le conseguenze della violenza ostetrica e ginecologica possono essere di grave impatto sulla salute fisica, mentale e sociale delle donne – si legge nello studio -. In quanto fenomeno sociale e sistemico, la violenza ostetrica e ginecologica si colloca al primo posto e rappresenta il punto di convergenza di due crisi strutturali: la discriminazione basata sul genere e l’approccio dei sistemi e delle istituzioni sanitarie. Comprendere il fenomeno in una visione sistemica è necessario non solo per intenderlo come una forma di violenza di genere, ma anche riconoscendo che questi atti non sono necessariamente intenzionali e che sono il prodotto di problemi strutturali riguardanti i sistemi sanitari”.

In assenza di definizioni comuni e processi di raccolta di dati standardizzati, è emersa una prima mancanza di dati comparativi sulla violenza ostetrica e ginecologica nell’Ue. A causa di una combinazione di fattori e caratteristiche identitarie (come quelli sociali status, orientamento sessuale, età o deviazione dalle norme di genere dominanti), i diversi Stati membri hanno delle strutture organizzative dei sistemi sanitari che possono incidere sulla prevalenza di alcune forme di violenza. A esacerbare il quadro è stata anche l’improvvisa riorganizzazione delle cure relative alle restrizioni dovute alla pandemia da Covid-19. La pandemia ha quindi avuto una notevole influenza nel rivelare la prevalenza e gravità della violenza ostetrica e ginecologica, e ha contribuito a mettere in luce la situazione.

Basandosi su prove quantitative e qualitative concrete provenienti da dati disponibili, studi e analisi provenienti da varie fonti pubbliche (relazioni politiche dell’UE e degli Stati membri, articoli accademici, documenti delle organizzazioni della società civile, organizzazioni professionali, ecc.), la ricerca condotta nei 27 Stati membri dell’UE ha innanzitutto cercato di valutare il livello di consapevolezza del problema e il modo in cui è stato inquadrato giuridicamente nei diversi Stati membri. Il gruppo di ricerca ha effettuato una serie di interviste con le parti interessate dell’UE e internazionali per raccogliere informazioni sull’ampio contesto politico e sulle questioni in gioco in relazione alla violenza ostetrica e ginecologica. Successivamente, sono stati raccolti ed esaminati dati e informazioni dell’UE, inclusi documenti legali e politici, pubblicazioni accademiche e pubblicazioni emesse da attori non istituzionali, come organizzazioni della società civile e associazioni e federazioni paneuropee.

La dimensione del fenomeno

Sulla base dei risultati di questa ricerca, sono stati individuati numerosi sviluppi interessanti. In sei Stati membri (Belgio, Spagna, Croazia, Polonia, Portogallo, Svezia) in cui sono state svolte ulteriori ricerche, sono presenti dettagli sulla legislazione, le politiche o le iniziative pertinenti sviluppate per migliorare la risposta a questa diffusa forma di violenza di genere. Vediamo alcuni esempi.

In Spagna, ad esempio, su un campione di 17.541 donne intervistate, il 45,9% ha risposto di non essere né informata circa le procedure a cui stava per sottoporsi né le era stato espressamente richiesto di fornire il proprio consenso. Di questi, il 74% ha indicato nei ginecologi, le figure professioniste responsabili della mancata informazione. In Polonia, invece, uno studio ha rilevato che il 71,8% delle attività svolte durante le visite ginecologiche non erano abbastanza delicati, e il 14,6% ricorda una visita ginecologica al pronto soccorso estremamente doloroso e spiacevole.

Un’altra analisi qualitativa è stata effettuata sulla base delle storie di donne condivise nella campagna #breakthesilence del Movimento Birth nei Paesi Bassi. Il tema generale identificato è stato “Left Powerless”, termine usato per descrivere come le donne sentivano che il potere veniva loro tolto o avevano difficoltà a mantenere il controllo a causa della violenza subita. Inoltre, tratti comuni delle testimonianze di 60 donne che hanno contribuito al Me Too durante la campagna per il parto in Finlandia prevedeva la perdita di autodeterminazione, l’esperienza di un dolore atroce e incontrollato, il parto strumentale vissuto come violento, senza supporto e l’essere lasciate sole durante momenti di dolore insopportabile.

Anche un’organizzazione non governativa bulgara ha raccolto oltre 25 racconti di donne sulla loro esperienza di violenza psicologica, fisica e sessuale durante le consultazioni ostetriche e l’uso di procedure dannose non consensuali e non necessarie dal punto di vista medico. Queste narrazioni hanno rivelato casi in cui le donne sono state insultate, picchiate, infantilizzate, ignorate, a cui sono stati negati gli antidolorifici e nascoste informazioni sul loro bambino.

Una tesi di master ha valutato qualitativamente le esperienze di violenza ostetrica delle donne in Grecia. Attraverso un sondaggio online, 63 partecipanti hanno segnalato quanto segue: l’ingiustificabile uso non necessario di vari interventi tecnico-medici (come l’induzione artificiale del travaglio, rottura delle acque e somministrazione di ossitocina); esami vaginali continui; essere legato a letto; divieto di spostamenti; rifiuto di fornire anestesia e/o sollievo dal dolore; la manovra di Kristeller e abuso verbale (ironico, dispregiativo e commenti offensivi).

In Italia

A fotografare il fenomeno in Italia è stata l’indagine Doxa condotta nel nostro Paese, nel 2017. L’11% delle mamme intervistate ha ammesso di aver subito traumi dovuti alle cure ospedaliere e di conseguenza ha preferito rinviare di molti anni la scelta di avere un’altra gravidanza, con conseguenze non indifferenti sulla situazione nazionale. Per il 6% del totale il trauma è stato così grave da decidere di non subirlo con altre gravidanze, con una stima di 20.000 possibili bambini persi all’anno. In una risposta alla denuncia di violenza ostetrica da un forum comunitario online in Italia, i presidenti di tre associazioni di ostetriche e una di ostetriche si sono opposte alle prove, contestando l’uso del termine “deplorevole” poiché è “dannoso” e “allarmante” accostare “violenza” a “ostetrico”. Hanno affermato, come riportato dalla piattaforma Servizio Penale, che i risultati “non tengono conto del potere-dovere dei professionisti di co-decidere, guidare le scelte delle donne, agire con urgenza, anche senza consenso, per evitare gravi pericoli alla vita o all’integrità della persona”.

Le raccomandazioni per gli Stati membri

Le future direttive e raccomandazioni proposte dallo studio dovrebbero mirare a rispondere alle questioni e alle sfide sopra individuate, cioè:

Raccomandazioni per migliorare la comprensione e il riconoscimento delle competenze ostetriche in materia di violenza ginecologica;
Raccomandazioni per migliorare il quadro giuridico applicabile alle attività ostetriche e alla violenza ginecologica, così come garantire un accesso alla filiera della giustizia;
Raccomandazioni per migliorare la prevenzione e fornire cure più rispettose.

La questione, quindi, non beneficia dello stesso livello di interesse in tutti gli Stati membri dell’UE e pertanto, in diversi paesi, le informazioni su questo fenomeno sono limitate. In altri, sebbene la questione sia affrontata da alcuni portatori di interessi non istituzionali (ad esempio organizzazioni della società civile), vengono fornite informazioni limitate sulla questione a livello nazionale e sulle potenziali iniziative intraprese per affrontare il fenomeno.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Due milioni di dollari all’anno per tornare giovane, la...

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Cosa fareste se ogni anno vi avanzassero 2 milioni di dollari? Comprereste una mega villa al mare? Mandereste a quel paese il capo e vi trasferireste sulla famosa spiaggia in Messico? Beh, forse dovreste rivedere le vostre priorità. Potreste piuttosto investirli nella routine per la longevità messa a punto da Bryan Johnson, 47 enne ‘guru del tech’ multimilionario con un chiodo fisso in testa: tornare ad avere il corpo di un 18enne. E che per farlo spende, appunto, 2 mln di dollari all’anno.

Curiosi di sapere in cosa mai consisterà questa costosa e miracolosa (forse) routine? È presto detto.

Il protocollo BluePrint: la giornata-tipo

L’innovativo, diciamo così, protocollo, che si chiama BluePrint, prevede in sintesi una dieta vegana di 2250 calorie assunte nell’arco di sei ore, 1 ora al giorno di ginnastica, 111 integratori, una routine del sonno molto rigida, trasfusioni di sangue da adolescenti, tra cui il figlio di Johnson, monitoraggi e test continui dei vari parametri corporei. Ma andiamo a scoprire nel dettaglio questo protocollo, se vi venisse voglia di seguirlo.

Appena alzato, Johnson procede con la colazione: all’inizio prevedeva di farla bevendo alcol, ma poi ha smesso perché erano troppe calorie inutili. Perciò ha cominciato a bere un succo spremuto a freddo che chiama il “gigante verde”, insieme a 60 pillole. La sua posizione è molto chiara: “Ogni caloria deve lottare per la sua vita“, ha spiegato al podcast ‘The Diary of a CEO’, aggiungendo: “Non c’è una sola caloria in tutto il mio protocollo di vita che esista per qualsiasi motivo diverso dal servire un obiettivo nel corpo”. Johnson ha anche detto che mangia circa 31 kg di verdure al mese. Chissà cosa ne pensa il nutrizionista, ce ne sarà pur uno tra gli oltre 30 medici ed esperti che lo seguono…

Dopodiché si allena per un’ora, poi mangia un pasto ‘super vegetariano’ a base di broccoli, cavolfiori, zenzero, semi di canapa, cioccolato fondente, arricchito da un cucchiaio di olio extra vergine di oliva (ne ha addirittura tre a disposizione ogni giorno). Quanto al cioccolato, deve essere “fondente, non olandese, testato per i metalli pesanti e con un alto numero di polifenoli”, ha detto Johnson al New York Post.

Ma il guru si tratta bene, ed ecco dunque che a metà mattina si concede un dessert, il ‘budino di nocciole’: un mix di noci di macadamia, noci, semi di lino, succo di melograno, cioccolato e frutti di bosco. E un’ora dopo, consuma il suo terzo e ultimo pasto delle 24 ore. Alle 11 in pratica smette di mangiare, se ne riparla la mattina dopo.

Ad ogni modo, a fine giornata gli integratori ingurgitati sono 111, un cocktail che dovrebbe riportare i suoi organi – tra cui cervello, fegato, reni, pene e retto – ma anche denti e pelle, a funzionare come da adolescente.

Johnson ha anche una sua routine notturna: prima di andare a dormire, indossa occhiali che bloccano la luce blu (questo è in effetti un dispositivo normalmente in vendita, anche se è ancora da capire quanto serva realmente). E poi, mentre dorme, è collegato a una macchina che conta il numero di erezioni notturne.

Monitoraggi continui e radiazioni in eccesso

Il protocollo BluePrint stabilisce infatti il monitoraggio costante dei parametri corporei, tra cui peso, indice di massa corporea, grasso corporeo, livelli di glucosio nel sangue, frequenza cardiaca e qualsiasi cosa i moderni dispositivi ‘wearable’ consentano di misurare. Previsti anche continui esami medici quali ecografie, risonanze magnetiche (quindi incamerando quantitativi di radiazioni inutili che bene bene non fanno), colonscopie ed esami del sangue.

Ciliegina sulla torta (di cioccolato olandese e macadamia, ovviamente), il protocollo prevedeva delle trasfusioni dal figlio diciottenne, che ha donato il sangue a Johnson mentre lo stesso Johnson lo donava al padre settantenne. Un triplo scambio di sangue tra generazioni che però non sembrerebbe aver dato risultati tali da far continuare su questa strada. C’è da dire che, se non altro, si tratta di un passo avanti rispetto alla folle idea di Erzsébet Báthory, la contessa ungherese vissuta a fine 1500 la quale, anch’essa ossessionata dal mito dell’eterna giovinezza, ha ucciso centinaia di giovani per fare il bagno nel loro sangue e in questo modo non invecchiare mai.

Even my Face ID is confused. I’m transitioning… pic.twitter.com/6AU5mtU5j6

— Bryan Johnson /dd (@bryan_johnson) April 9, 2024

BluePrint tra ‘scienza’ e marketing

A questo punto la domanda sorge spontanea: questi 2 milioni di dollari all’anno, sono ben spesi? Insomma, BluePrint funziona o no?

Johnson, che si definisce “esploratore delle nuove frontiere dell’essere umano”, è arrivato questa routine per la longevità dopo un decennio di depressione cronica e scarso controllo sulla propria vita; tutti fattori, si è reso conto, che avevano influito negativamente a 360 gradi sul suo benessere. Quindi bisognava reagire, e lui lo ha fatto a modo suo.

Ora, se dovessimo giudicare dalle foto, onestamente rimarremmo un po’ perplessi. Ma il punto centrale del protocollo è che si basa su dati e misurazioni, quindi su un approccio di tipo ‘scientifico’, almeno in teoria, e non solo su una semplice dieta o un programma di attività fisica. Occorre perciò guardare i numeri.

Qualcuno ha provato a replicare il protocollo, ovviamente adattandolo alle proprie possibilità. Come riporta il New York Post, il 23enne Andrew Boyd ha testato il metodo BluePrint per 75 giorni. Ebbene, dopo un mese e mezzo il ragazzo ha sostenuto che la sua età biologica fosse scesa a 19,2 anni. Dal canto suo, anche Johnson sostiene che funzioni: tra le altre cose, dice che 100 marcatori risulterebbero più bassi rispetto all’età che si possiede e che mediamente in 500 giorni si possa ringiovanire di 12 anni.

Quello che, presumiamo, funziona molto bene, è il business sorto attorno a tutto ciò (non dimentichiamo che Johnson è un imprenditore, diventato milionario intorno ai 30 anni quando ha venduto la sua società di elaborazione dei pagamenti Braintree Payment Solutions a EBay per 800 milioni di dollari). Sul suo sito, Johnson vende infatti vari prodotti, dall’olio al cacao, dagli integratori al merchandising (magliette, felpe) fino a uno ‘starter kit’ in arrivo per chi volesse cimentarsi nell’operazione giovinezza. A prezzi calmierati, si spera.

In ogni caso, costi a parte, BluePrint sembra davvero molto faticoso da seguire, anche considerando le probabili ripercussioni sociali di un regime così particolare e così rigido. Forse è meglio guardare ai consigli più accessibili e di maggior buon senso di Gwyneth Paltrow, la quale recentemente si è espressa su come invecchiare in salute.

Ma siamo evidentemente su piani diversi (ringiovanire/invecchiare bene), mentre Jonhson sta spostando l’asticella ancora più in là. Dice sul suo X: “Death is now our only foe”, ovvero ‘La morte è ora la nostra unica nemica’. E come tale va sconfitta: ‘Don’t die’. ‘Non morire’, è il suo pacato invito, ed è anche il titolo di un suo libro in cui presenta le strategie sociali e filosofiche necessarie per gabbare la nera signora, sia individualmente che come specie.

Probabilmente, la nuova frontiera e il nuovo imperativo della società della performance.

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Denatalità, Sistema sanitario nazionale a rischio: analisi...

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“Guardare al Giappone per le politiche sugli anziani e alla Francia per quelle per i giovani”. Questo è quello che propone Walter Ricciardi, docente di Igiene all’Università Cattolica di Roma, in un’intervista all’Adnkronos Salute. A poche settimane dagli Stati generali della natalità 2024, in programma a Roma il 9 e 10 maggio, una riflessione su quello che sta succedendo sul piano demografico in Italia è necessaria anche in relazione ad un “irreversibile declino quantitativo della popolazione” che riguarderà “la sostenibilità di un sistema sanitario pubblico”, le cui conseguenze si prevedono essere “catastrofiche”. Dello stesso pare è Antonello Maruotti, ordinario di Statistica all’Università Lumsa, la preoccupazione cresce: vediamo insieme analisi e previsioni.

“Necessarie misure emergenziali”

A parlare sono i numeri: nel 2050 ci sarà 1 giovani per ogni 3 anziani. Questo apporterà delle conseguenze a sistemi di welfare, compreso quello sanitario. “Qualsiasi Paese prenderebbe misure emergenziali – sostiene il dott. Ricciardi -. Invece concrete iniziative politiche non se ne vedono da noi. Di fatto la famiglia è lasciata sola”. Ma non è così dappertutto, “basterebbe vedere le politiche sociali fatte dai Paesi del Nord Europa”, aggiunge Ricciardi, ribadendo che il fenomeno in Italia “ormai è irreversibile, ma serve mettere mano rapidamente almeno ad azioni per la mitigazione delle conseguenze. In particolare, sostenendo le famiglie, ma con politiche serie complessive: da una parte bisogna incentivare la natalità, dall’altra bisogna mettere in moto dei meccanismi, per esempio di gestione dell’immigrazione”.

La combinazione che mette più a rischio questo tipo di comparto, secondo il dottore, è quella tra fiscalità, demografia e epidemiologia. “L’unico Paese comparabile all’Italia, per l’invecchiamento della popolazione, è il Giappone, ma quel Paese sta combattendo il problema sia con una grande rivoluzione tecnologica, sia con una grande prioritarizzazione dei servizi sociali. Dovremmo guardare al Giappone per quanto riguarda le politiche per gli anziani e alla Francia per le politiche per i giovani e le nuove famiglie“.

Invecchiamento della popolazione

Sulla stessa linea d’onda è l’analisi di Antonello Maruotti, ordinario di Statistica all’Università Lumsa, che all’Adnkronos Salute ha ribadito: “Una famiglia con un over 75 ha un rischio più alto di andare incontro a spese catastrofiche”. L’invecchiamento della popolazione, infatti, è tra le principali cause del presagio negativo che si preannuncia.

Un’Italia con sempre meno figli e una popolazione anziana che aumenta, “avrà un peso determinante sul welfare, ma soprattutto sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale. Quello che oggi conosciamo non reggerà all’impatto e sarà necessario il contributo dell’assistenza complementare che dovrà sopperire alle carenze del Ssn che già oggi è in difficoltà con le liste d’attesa e in futuro dovrà aumentare i servizi del 30-40% per dare una risposta ad una popolazione prevalentemente anziana, si spera in buona salute, ma con malattie croniche”.

“Recentemente abbiamo pubblicato un’analisi sull’impatto delle spese sanitarie delle famiglie quando nel nucleo c’è un over 75 – ha ricordato Maruotti – Esce un quadro molto allarmate: chi ha un anziano a casa ha il 50% di rischio in più di andare incontro a ‘spese catastrofiche’ rispetto – a parità di tutte le altre condizioni – di chi non ne ha. Vuol dire che una fetta importante delle spese mensili per curarsi, al netto di quelle alimentari, vanno sull’assistenza sanitaria”.

Un altro dato sul quale Maruotti ha posto l’attenzione è il rischio d’impoverimento di queste famiglie che, “spendendo di più ‘out of pocket’ per le cure – continua lo statistico – potrebbero scendere sotto la soglia di povertà e questo poi porta a cambiare le abitudini alimentari con evidenti ripercussioni sulla qualità della vita e sul rischio di ammalarsi”.

C’è poi anche un altro fronte: l’indice di diseguaglianza generazionale. Secondo dati Oecd, per ogni euro in welfare per i giovani “ne diamo sette per gli anziani, questo non fa che aumentare il divario tra generazioni”, avverte Maruotti. Come si dovrebbe intervenire per rimettere in equilibrio il sistema?

“Con un welfare più forte, l’assegno unico per i figli indipendente dall’Isee – risponde l’esperto – mettere i giovani in condizioni di fare i figli aiutandoli con asili nido, flessibilità al lavoro. I miei colleghi in Norvegia e in Germania fanno figli, mentre qui in Italia è sempre più difficile. L’Italia sta vivendo un declino demografico e non possiamo far finta che questo non avrà, anzi già ha, un effetto sull’economia e la società”.

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Siamo sempre più miopi, sempre prima: sotto accusa...

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“Non stare troppo davanti alla televisione, non leggere troppo! Ché ti si rovina la vista!” Le nonne avevano -e hanno – ragione. Siamo sempre più miopi, sempre prima. È una vera epidemia quella di questo difetto della vista, che rende difficile o impossibile vedere da lontano e che può diventare un serio problema non solo nel quotidiano ma anche nelle scelte di vita, ad esempio quelle che riguardano il lavoro. Molte occupazioni, infatti, richiedono i famosi 10/10 posseduti da un occhio sano, quindi chi è miope ne è escluso a priori.

Inoltre, e forse questa è una cosa meno conosciuta, oltre le cinque diottrie in meno la miopia si associa a una maggiore incidenza di glaucoma e cataratta e a una maggiore frequenza di distacco della retina, un evento grave che è una delle cause più diffuse di perdita della vista. Secondo uno studio statunitense – pubblicato su ‘Scientific Reports’ – effettuato su oltre 85 milioni di persone, chi ha una miopia elevata il rischio di distacco retinico cresce di 39 volte, nei miopi più lievi è comunque triplo rispetto alla norma. Senza contare infine l’ansia e il disagio che derivano dal vedere male, più o meno sfocato, il mondo intorno a noi: un aspetto questo a volte sottovalutato ma da tenere invece presente.

Cos’è la miopia e quali sono i sintomi

La miopia è il difetto della vista più diffuso: il soggetto vede bene da vicino ma tutto sfocato, in modo più o meno accentuato, da lontano. La causa è un difetto nella rifrazione della luce, che cade su un piano posto davanti alla retina invece che dietro.

Diversi i motivi per cui può accadere ciò:

• bulbo oculare più lungo del normale
• curvatura della cornea o del cristallino maggiore della norma
• eccessivo potere di rifrazione del cristallino
• genetica
• traumi
• farmaci o condizioni cliniche come l’iperglicemia
• stili di vita errati

Quali sono invece i sintomi della miopia?

• visione sfocata guardando lontano
• necessità di strizzare gli occhi per ‘mettere a fuoco’
• col buio il disturbo peggiora
• affaticamento degli occhi con conseguenti mal di testa, bruciori e fastidi di vario genere

Una ‘miopidemia’

Si stima che nel mondo 2,6 miliardi di persone soffrano di questo difetto della vista, il 30% della popolazione europea. Ma la cosa ancora più preoccupante è che se attualmente è miope un under 14 su 3, nel 2050 lo sarà 1 su 2. In pratica è in corso una ‘miopidemia’, ovvero un’epidemia di miopia, come la chiama Paolo Nucci, docente di Oculistica all’università Statale di Milano, che lo ha ribadito recentemente alla conferenza di presentazione del III congresso nazionale della Società italiana di scienze oftalmologiche (Siso) che si è svolta a Roma.

Continua Nucci: “Oggi si stima che il 30-35% dei ragazzi sia miope. Negli ultimi dieci anni il numero dei bambini e degli adolescenti che vede male da lontano è raddoppiato, con una accelerazione improvvisa negli ultimi due anni”.

Ma quali sono le cause di questa impennata?

Le abitudini moderne rovinano la vista

Sembra che la colpa della miopidemia siano alcune abitudini sviluppate dalle civiltà contemporanee, ma anche conquiste come l’istruzione per tutti. “A far male ovviamente è passare troppo tempo concentrati su libri e video, e stare pochissimo all’aperto“, spiega in modo chiaro Nucci. Quindi, sul banco degli imputati c’è anche lo studio, che costringe a leggere per molto tempo.

Ma se questa non è certamente qualcosa su cui si possa tornare indietro, il discorso è ben diverso per quanto riguarda il telefonino, il cui uso si protrae per ore e ore e oltretutto a distanza ravvicinatissima (il che causa anche problemi di postura, costringendo il collo e la testa sempre piegati in giù), o la tv. Ridurre il tempo passato davanti alla televisione, al tablet o al telefonino fa bene da qualsiasi punto di vista, e sarebbe sicuramente possibile farlo visto che spesso si tratta di attività inutili o addirittura dannose. E quindi rinunciabili.

Come contrastare la miopia

Per contrastare la miopia, la soluzione degli oculisti è molto semplice (ma non facile, a quanto pare):

• innanzitutto, è fondamentale stare all’aria aperta, in modo che gli occhi si sforzino meno perché devono guardare lontano e non sono costretti all’iperaccomodazione come accade davanti a un display. Altro vantaggio dell’abbandonare le 4 mura di casa: i raggi del sole stimolano la produzione di dopamina, sostanza in grado di inibire le metalloproteasi, un enzima che rendendo la sclera più elastica favorisce l’allungamento del bulbo oculare e la miopia
fare sport, sempre per agevolare lo sguardo da lontano. Ideale il tanto amato calcio
screeening obbligatori a partire dai tre anni
scuole che stimolino le attività all’aria aperta
• un più largo uso di terapie, ottiche e farmacologiche in grado di frenare l’evoluzione della patologia. A tal proposito specifica Scipione Rossi, segretario Siso e direttore dell’Unità complessa di Oculistica dell’ospedale S. Carlo di Nancy di Roma: “Quando la prevenzione e i comportamenti adatti a evitare l’insorgere della miopia o il suo peggioramento non bastano possiamo ricorrere a speciali lenti da occhiale che servono per bloccare la progressione della miopia: in associazione a un collirio a base di atropina molto diluita possono bloccarne la progressione e – in qualche caso – anche bloccarla. Ma se non si fa nulla, se il difetto non viene scoperto e curato, diventerà miopia degli adulti, con tutti i costi sociali che comporta”
• e per tutti coloro che lavorano al computer, rimane sempre valido il consiglio di fare un quarto d’ora di pausa ogni ora. Se proprio non è possibile, almeno staccare gli occhi dallo schermo per 20 secondi guardando un punto lontano.

Un ultimo aspetto sottolineato dagli esperti riguarda le politiche sanitarie: “Noi oculisti sappiamo cosa sta succedendo. Ma assurdamente non abbiamo dati precisi sull’impennata di miopia infantile, perché nel nostro Paese, e in tutta Europa, non esiste un sistema di sorveglianza epidemiologica del disturbo. Il che è grave, perché finché non si hanno le dimensioni del fenomeno si tende a sottovalutarlo e a non mettere in atto contromisure”, conclude Nucci.

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