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Denatalità, Sistema sanitario nazionale a rischio: analisi e previsioni
“Guardare al Giappone per le politiche sugli anziani e alla Francia per quelle per i giovani”. Questo è quello che propone Walter Ricciardi, docente di Igiene all’Università Cattolica di Roma, in un’intervista all’Adnkronos Salute. A poche settimane dagli Stati generali della natalità 2024, in programma a Roma il 9 e 10 maggio, una riflessione su quello che sta succedendo sul piano demografico in Italia è necessaria anche in relazione ad un “irreversibile declino quantitativo della popolazione” che riguarderà “la sostenibilità di un sistema sanitario pubblico”, le cui conseguenze si prevedono essere “catastrofiche”. Dello stesso pare è Antonello Maruotti, ordinario di Statistica all’Università Lumsa, la preoccupazione cresce: vediamo insieme analisi e previsioni.
“Necessarie misure emergenziali”
A parlare sono i numeri: nel 2050 ci sarà 1 giovani per ogni 3 anziani. Questo apporterà delle conseguenze a sistemi di welfare, compreso quello sanitario. “Qualsiasi Paese prenderebbe misure emergenziali – sostiene il dott. Ricciardi -. Invece concrete iniziative politiche non se ne vedono da noi. Di fatto la famiglia è lasciata sola”. Ma non è così dappertutto, “basterebbe vedere le politiche sociali fatte dai Paesi del Nord Europa”, aggiunge Ricciardi, ribadendo che il fenomeno in Italia “ormai è irreversibile, ma serve mettere mano rapidamente almeno ad azioni per la mitigazione delle conseguenze. In particolare, sostenendo le famiglie, ma con politiche serie complessive: da una parte bisogna incentivare la natalità, dall’altra bisogna mettere in moto dei meccanismi, per esempio di gestione dell’immigrazione”.
La combinazione che mette più a rischio questo tipo di comparto, secondo il dottore, è quella tra fiscalità, demografia e epidemiologia. “L’unico Paese comparabile all’Italia, per l’invecchiamento della popolazione, è il Giappone, ma quel Paese sta combattendo il problema sia con una grande rivoluzione tecnologica, sia con una grande prioritarizzazione dei servizi sociali. Dovremmo guardare al Giappone per quanto riguarda le politiche per gli anziani e alla Francia per le politiche per i giovani e le nuove famiglie“.
Invecchiamento della popolazione
Sulla stessa linea d’onda è l’analisi di Antonello Maruotti, ordinario di Statistica all’Università Lumsa, che all’Adnkronos Salute ha ribadito: “Una famiglia con un over 75 ha un rischio più alto di andare incontro a spese catastrofiche”. L’invecchiamento della popolazione, infatti, è tra le principali cause del presagio negativo che si preannuncia.
Un’Italia con sempre meno figli e una popolazione anziana che aumenta, “avrà un peso determinante sul welfare, ma soprattutto sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale. Quello che oggi conosciamo non reggerà all’impatto e sarà necessario il contributo dell’assistenza complementare che dovrà sopperire alle carenze del Ssn che già oggi è in difficoltà con le liste d’attesa e in futuro dovrà aumentare i servizi del 30-40% per dare una risposta ad una popolazione prevalentemente anziana, si spera in buona salute, ma con malattie croniche”.
“Recentemente abbiamo pubblicato un’analisi sull’impatto delle spese sanitarie delle famiglie quando nel nucleo c’è un over 75 – ha ricordato Maruotti – Esce un quadro molto allarmate: chi ha un anziano a casa ha il 50% di rischio in più di andare incontro a ‘spese catastrofiche’ rispetto – a parità di tutte le altre condizioni – di chi non ne ha. Vuol dire che una fetta importante delle spese mensili per curarsi, al netto di quelle alimentari, vanno sull’assistenza sanitaria”.
Un altro dato sul quale Maruotti ha posto l’attenzione è il rischio d’impoverimento di queste famiglie che, “spendendo di più ‘out of pocket’ per le cure – continua lo statistico – potrebbero scendere sotto la soglia di povertà e questo poi porta a cambiare le abitudini alimentari con evidenti ripercussioni sulla qualità della vita e sul rischio di ammalarsi”.
C’è poi anche un altro fronte: l’indice di diseguaglianza generazionale. Secondo dati Oecd, per ogni euro in welfare per i giovani “ne diamo sette per gli anziani, questo non fa che aumentare il divario tra generazioni”, avverte Maruotti. Come si dovrebbe intervenire per rimettere in equilibrio il sistema?
“Con un welfare più forte, l’assegno unico per i figli indipendente dall’Isee – risponde l’esperto – mettere i giovani in condizioni di fare i figli aiutandoli con asili nido, flessibilità al lavoro. I miei colleghi in Norvegia e in Germania fanno figli, mentre qui in Italia è sempre più difficile. L’Italia sta vivendo un declino demografico e non possiamo far finta che questo non avrà, anzi già ha, un effetto sull’economia e la società”.
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Matrimonio, 300 invitati e fino a 50 mila euro di spesa:...
Spendono fino a 50 mila euro per organizzare le nozze dei sogni. In alcuni casi, soprattutto al Sud e nelle Isole, gli invitati possono essere anche 300. Non è un caso che preferiscano sempre più spesso la busta con i soldi, al posto della lista per i regali e il viaggio è sempre più rimandato a data da destinarsi. Questo è il profilo degli sposi italiani emerso dall’Indagine mUp Research e Norstat commissionata da Facile.it e legata agli ultimi 24 mesi.
Quanto costa sposarsi?
In media il costo di un matrimonio è di 13.721 euro. Un costo che negli ultimi anni è cresciuto notevolmente se si pensa che chi si è sposato negli anni Ottanta ha speso poco più di 7mila euro in media. C’è anche chi non bada a spese e nello stesso arco temporale è passata dal 3% al 21% la quota di chi ha pagato tra i 20.000 e i 50.000 euro.
Non è un caso che più di 7 coppie su 10 hanno dovuto chiedere un aiuto. I genitori restano la prima opzione, ma cresce il numero degli sposi che opta per un prestito personale. Se negli anni ’80 e ’90 era una pratica quasi del tutto assente, negli ultimi due anni la percentuale degli sposi che ha chiesto un prestito è arrivata al 10%.
Prestiti per la cerimonia
“Il rapporto degli italiani con il credito al consumo – spiegano gli esperti di Facile.it – è sempre più maturo. Questo tipo di prodotto, se utilizzato con consapevolezza, può essere una soluzione sia per non rinunciare ad un sogno, sia per rendere la spesa più sostenibile sul budget familiare”.
Tra le 200.000 richieste raccolte nell’ultimo anno, chi ha fatto domanda di finanziamento per pagare spese legate a matrimoni o cerimonie ha puntato ad ottenere, in media, poco più di 9.000 euro, con piano di ammortamento pari a 5 anni. L’età media è passata da 39 a 41 anni.
Guardando all’andamento territoriale delle domande di prestito, emerge che le regioni dove il peso percentuale di questo tipo di finanziamento sul totale richieste è maggiore sono la Campania, la Puglia, la Sicilia e la Calabria. Guardando ai risultati dell’indagine emergono alcuni fenomeni interessanti; il budget necessario per la cerimonia, ad esempio, è normalmente più alto nelle regioni del Sud Italia e nelle Isole, dove, in media, si spende tra il 14% e il 17% in più rispetto al Nord.
Una questione territoriale
I costi sono spesso legati alla quantità di invitati con cui si decide di trascorrere questo giorno così importante. Se nel Nord Italia i partecipanti ad un matrimonio sono, sempre in media, meno di 80, al Sud e nelle Isole arrivano a 110, e addirittura nel 10% dei casi prendono parte alla festa tra le 200 e le 300 persone (percentuale che, invece, scende sotto all’1% nel Nord Ovest). Solo il 4% delle coppie, inoltre, sceglie di sposarsi in un territorio diverso da quello d’origine. Tendenzialmente, resiste l’usanza di sposarsi nella regione di origine di almeno uno dei due sposi.
Il viaggio di nozze
Il viaggio di nozze continua ad essere una prerogativa. Dall’indagine è emerso che 8 coppie su 10 lo fanno, ma rimandano la data lontano dalla cerimonia. Che sia un modo per ammortizzare i costi? Cosa certa è che alla luna di miele non si rinuncia e chi può, anche grazie ai soldi regalati alle notte, sceglie sempre e comunque di partire insieme per qualche giorno, nella più classica fuga romantica.
Busta o lista?
La busta con i soldi è il regalo più comune. Solo il 23% degli invitati si presenta con un oggetto fisico. Al pari della busta, resiste anche la lista di nozze (36%). Cresce, inoltre, l’uso del bonifico come contributo al viaggio di nozze: era il 6% a inizio 2000, oggi rappresenta il 26%.
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Quando il nonno diventa ‘nanny’
Con l’arrivo imminente della chiusura delle scuole, il dilemma annuale per molti genitori italiani si presenta ancora una volta: dove far trascorrere le giornate ai propri figli durante l’estate? Mentre il conto alla rovescia per la fine dell’anno scolastico è sempre più vicino, le opzioni come i centri estivi, gli oratori, i campi sportivi e le case vacanze iniziano a dominare le conversazioni familiari.
Ma è durante questo periodo di transizione, tra la routine scolastica e le attese per le vacanze estive in famiglia, che i nonni diventano spesso la risorsa più preziosa: diventano le “nanny” di turno. È in questa cornice che il pediatra Italo Farnetani lancia un appello diretto a loro: “Approfittate di questi giorni e portate i nipoti al mare”.
“Mi rivolgo – afferma il dottor Farnetani – ai 12 milioni di nonni italiani, ricordando loro che ci sono 5 milioni e mezzo di nipoti dai 1 ai 14 anni che sognano già il mare. I nonni possono renderlo realtà, anche solo per un fine settimana o anche per un solo giorno”. Farnetani stima che questo potrebbe tradursi in ben “30 milioni di giornate al mare”, offrendo ai bambini e agli adolescenti un’opportunità preziosa per recuperare energie e socializzare dopo il difficile periodo vissuto durante la pandemia.
È passato un anno dall’annuncio della fine della pandemia, ma i ricordi dei giorni trascorsi in isolamento sono ancora freschi. Il dottor Farnetani sottolinea come questo periodo abbia portato a uno stile di vita più sedentario, con una riduzione dell’attività fisica che potrebbe favorire problemi come sovrappeso e obesità tra i giovani.
“Oggi più che mai, trascorrere del tempo al mare è essenziale per riscoprire il piacere degli incontri, della vita all’aria aperta e dell’attività fisica”, afferma il professore di pediatria. Anche se è importante che i bambini trascorrano le vacanze con i genitori, queste giornate extra al mare possono avere un impatto positivo significativo per il loro benessere fisico e mentale.
Il dottor Farnetani consiglia ai nonni di essere dinamici, allegri e sportivi durante queste giornate, poiché anche il loro atteggiamento influisce positivamente sull’esperienza dei più piccoli. Inoltre, suggerisce di scegliere mete con servizi di animazione per favorire l’aggregazione sociale e di assicurarsi che le spiagge abbiano adeguati sistemi di salvataggio.
In definitiva, queste esperienze al mare non solo offrono ai bambini momenti preziosi di gioia e divertimento, ma contribuiscono anche alla formazione di legami affettivi con i nonni e agli adulti che li accompagnano, creando ricordi che dureranno per sempre.
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Gli stereotipi di genere sono duri a morire, e anche le...
Gli stereotipi di genere sono vivi e vegeti, e ancora condizionano le scelte delle persone. Delle donne, ma anche degli uomini, che spesso pensano che tali questioni non li riguardino ma che invece ne sono anch’essi vittime. Il problema più grande è che nessuno spiraglio di luce sembra venire nemmeno nelle nuove generazioni, immerse fino al collo nei pregiudizi e nei luoghi comuni. Il punto è che non parliamo di una giustizia generica e astratta, ma di qualcosa di molto pratico: i preconcetti pesano e indirizzano le scelte personali e lavorative, e in base ad essi giudichiamo gli altri e quello che fanno.
Una nuova ricerca conferma che il cammino verso l’abbattimento degli stereotipi è ancora lungo: l’Osservatorio Henkel ‘Genere e stereotipi’, in collaborazione con Eumetra, dal 2022 indaga i diversi ruoli nell’organizzazione e nella cura della famiglia su un campione rappresentativo della popolazione italiana, composto da 2.000 individui tra i 18 e i 55 anni appartenenti alla community del magazine ‘DonnaD, Amica Fidata’. In questa edizione, è stato realizzato un approfondimento su come e quanto i pregiudizi di genere influenzino le scelte personali, intervistando 1.000 persone, il 10% delle quali giovani della GenZ tra i 15 e 25 anni.
Intanto quello che emerge è che i preconcetti si abbattono con forza su ogni aspetto della vita: dalla scuola al lavoro al tempo libero, impedendo alle persone di essere realmente se stesse e di seguire i propri desideri e le proprie inclinazioni. Una situazione che va a svantaggio soprattutto delle donne ma che non risparmia nemmeno gli uomini, anch’essi vittime di luoghi comuni e di aspettative sociali che diventano gabbie. In definitiva, possiamo dire che gli stereotipi siano sinonimo di limite.
Ma la cosa davvero preoccupante che emerge dall’analisi è che le donne stesse sono parte attiva degli stereotipi, anche quando gli si ritorcono contro: anche loro infatti dividono il mondo, i gusti, le attività e in definitiva le opportunità tra quelle ’maschili’ e quelle ‘femminili’.
Matematica per i maschi, cura degli altri per le femmine
E si comincia presto, dall’istruzione: la convinzione di base è che ci siano scuole e indirizzi universitari per maschi e altri per femmine, perché fondamentalmente ci sarebbero attitudini diverse tra i due sessi. La pensa così il 53% degli uomini, il 52% delle donne, il 45% dei ragazzi GenZ e il 38% delle ragazze GenZ.
Il problema qui è a monte:
• per il 43% degli uomini, il 33% delle donne, il 42% dei ragazzi GenZ e il 32% delle ragazze GenZ i due sessi hanno capacità pratiche diverse
• per il 27% degli uomini, li 26% delle donne, il 33% dei ragazzi GenZ, e il 25% delle ragazze GenZ hanno capacità cognitive diverse.
Facile immaginare quali siano gli indirizzi abbinati all’uno o all’altro genere: gli stereotipi li conosciamo tutti. Perciò materie scientifiche, tecnologiche o pratiche sono ritenute ‘da maschi’, quelle umanistiche o dedicate alla cura della persona sono ‘da femmine’. E questo per natura. La donna biologicamente non capirebbe la matematica, l’uomo biologicamente non sarebbe portato a cambiare un pannolino, accudire un familiare malato o fare l’educatore d’asilo.
Il risultato è che, nonostante i tanti esempi di papà che riescono benissimo ad occuparsi dei propri figli o dei genitori anziani, e di donne con brillanti menti scientifiche, le ragazze continuano a non iscriversi agli indirizzi STEM (Science (scienza), Technology (tecnologia), Engineering (ingegneria) e Mathematics (matematica)). E questo perché si autolimitano prima, non ritengono di essere in grado semplicemente perché sono femmine, mentre è del tutto naturale che i maschi diventino fisici o ingegneri. Ed è altrettanto ovvio che i ragazzi non si iscrivano a lettere. O, allargando un po’, a danza classica.
Per gli uomini il calcio è uno sport da maschi
Anche lo sport infatti cade sotto la scure del pregiudizio: ci sono quelli da maschi e quelli da femmine. Il che si traduce nel fatto che il calcio è roba da uomini per il 63% di loro, mentre il 76% delle donne lo ritiene adatto a tutti. Lo stesso per la danza, vista come attività femminile dal 64% degli uomini, a fronte dell’83% delle donne che non condivide questa idea. In ogni caso il risultato è che il 18% della Generazione Z sceglie lo sport in base al proprio genere, con il 17% dei ragazzi e il 14% delle ragazze influenzato dalle scelte degli amici maschi o femmine.
La cura della famiglia è cosa da donne, i soldi da uomini
Tornando alle grosse scelte di vita, la musica non cambia: il 62% delle donne pensa che esistano lavori adatti a loro e altri ai maschi, opinione condivisa dal 74% degli uomini. Risultato: il 56% delle donne ritiene di avere una retribuzione più bassa dei colleghi uomini e solo il 38% pensa di ricevere uno stipendio equo. Non solo: il 33% della popolazione femminile afferma di aver dato priorità alla famiglia piuttosto che alla carriera, e potremmo aggiungere al lavoro in generale, visto che il tasso di occupazione femminile italiano tra i 20 e i 64 anni è solo del 55% (IV trimestre 2022) a fronte di una media europea del 69,3%. Il lato interessante è che il 25% degli uomini ritiene di fare rinunce a favore della famiglia, sebbene solo il 5% abbia lasciato il lavoro. Insomma, c’è un problema di percezione ampio, senza nulla togliere a quel 5% che si è effettivamente sacrificato.
D’altronde che il carico familiare e di rinunce sia ancora prerogativa prettamente femminile, lo confermano ulteriori stereotipi: la cura della casa e dei parenti è ancora appannaggio delle donne, mentre di burocrazia e soldi si occupano gli uomini. Attenzione: occuparsi significa anche decidere. E decidere significa potere, e libertà: se non puoi decidere non sei libero, e la mancanza di autonomia finanziaria è uno dei grandi problemi per i quali le donne rimangono in relazioni infelici se non addirittura tossiche. E più in generale spesso non possono determinare la propria vita.
Spiraglio positivo: per l’80% dei giovani della GenZ, ci si deve occupare delle necessità familiari in maniera paritaria. Un passetto avanti rispetto al 18% degli intervistati che pensa che chi guadagna di più debba anche avere voce in capitolo sulle decisioni economiche. Peccato che nella maggior parte dei casi sia l’uomo a portare in casa più soldi, perché hanno lavori meglio retribuiti o perché a parità di mansioni prendono di più, perché le donne lasciano l’impiego per motivi familiari o perché ripiegano sul part time e la carriera spesso è un totale miraggio.
Ma un dato incoraggiante c’è, ed è che per il 68% degli uomini la cura della casa deve essere insegnata anche ai maschi, percentuale che raggiunge addirittura il 100% nella GenZ.
Tuttavia, le ragazze continuano a godere di minor libertà, e dunque di minori opportunità: il 53% di loro riceve una paghetta a fronte del 64% dei fratelli, il 57% non ha un coprifuoco quando esce a fronte del 74% dei ragazzi, il 66% non ha mai nemmeno parlato con i genitori di studiare all’estero mentre il 64% dei maschi ha potuto godere di un periodo formativo fuori dall’Italia.
Gli stereotipi sembrano davvero un circolo vizioso da cui sembra difficile uscire, a maggior ragione perché si tramandano a partire dall’educazione, dal momento apparentemente innocente in cui si scelgono i giocattoli dividendoli in cose da femmine o da maschi (lo fa il 47% dei padri, mentre per il 62% delle madri i giochi non hanno genere). Le disuguaglianze di genere vengono perpetuate così, a vari livelli, anche nella vita quotidiana, attraverso scelte che sembrano banali ma che influiscono sui pensieri e la direzione che prenderà la vita di ognuno. A cominciare da quel vestitino rosa e da quelle scarpe con i dinosauri sopra, da quel bambolotto e da quelle macchinine regalate per Natale.