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Salute e Benessere

Terapia genica, mRna e le sfide per la medicina del futuro....

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Terapia genica, mRna e le sfide per la medicina del futuro. Parla Auricchio, direttore Tigem

Dai progetti dell'Istituto Telethon di Pozzuoli al nodo della sostenibilità delle terapie per i malati rari. Gli studi sul taglia e incolla del Dna, ma anche il lavoro per trovare nuove missioni a 'vecchi' farmaci. "Vogliamo spingere per portare l'innovazione fino al paziente"

Alberto Auricchio da metà aprile è il nuovo direttore dell'Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem)

Era fine gennaio 2024 quando sul 'New York Times' veniva raccontata la storia di Aissam Dam, 11enne cresciuto in un abisso di silenzio che aveva potuto sentire la voce del papà per la prima volta, emozionandosi. Affetto da una forma di sordità ereditaria, Aissam è diventato la prima persona a ricevere negli Stati Uniti la terapia genica per questa patologia. Tutto ciò è stato possibile anche perché dall'altra parte dell'Oceano a diverse migliaia di chilometri di distanza - per la precisione in Italia al Tigem di Pozzuoli (Napoli) - un gruppo di scienziati si è messo al bancone del laboratorio e ha studiato un modo per superare uno dei limiti della terapia genica: l'impossibilità per i piccoli vettori virali utilizzati per il 'trasporto' di impacchettare geni di grandi dimensioni per portarli a destinazione dove dovranno correggere il difetto all'origine della patologia.

Fra quegli scienziati c'era anche Alberto Auricchio, che da metà aprile è il nuovo direttore dell'Istituto Telethon di genetica e medicina (il Tigem, appunto). E superare gli ostacoli e le questioni di 'taglia' che impediscono alla terapia genica in vivo di ampliare i suoi orizzonti è una delle scommesse del centro. Insieme a un'altra frontiera su cui si sta "investendo tanto": l'editing genomico, le famose 'forbici molecolari' per il taglia e incolla del Dna. Un ulteriore filone promettente, spiega ancora Auricchio all'Adnkronos Salute, è quello delle ricerche che puntano a trovare nuove missioni per 'vecchi' farmaci, molecole già approvate per le quali al Tigem si studia un riposizionamento. "Abbiamo gruppi di ricerca che si occupano di capire se farmaci già approvati per alcune malattie possano avere un effetto benefico anche in modelli cellulari di malattie genetiche di nostro interesse. E' il caso di alcune malattie del metabolismo che potrebbero beneficiare di alcune di queste piccole molecole di sintesi chimica. Ci sono diversi farmaci al vaglio, ma tre di questi stiamo considerando di portarli avanti, sottoponendoli a delle prove successive con l'eventualità di arrivare poi ai pazienti".

La ricerca in Istituto, racconta Auricchio, è organizzata in tre aree in cui lavorano gruppi di ricerca indipendenti. "Sono programmi che fondamentalmente ripercorrono i passaggi cruciali della ricerca sulle malattie genetiche. La prima area è 'Medicina genomica', e si occupa di comprendere le basi genetiche delle malattie ereditarie di nostro interesse con degli approcci innovativi di omica (genomica, trascrittomica, proteomica). Poi c'è l'area 'Biologia cellulare delle malattie genetiche' che invece si concentra su quali sono i meccanismi che vengono alterati come conseguenza della mutazione genetica in una specifica malattia. Infine, il terzo programma è quello della 'Terapia molecolare'", che si occupa proprio di sviluppare nuove opzioni terapeutiche, "è un programma principalmente di terapia genica ma anche di terapie farmacologiche", illustra l'esperto.

Si comincia dunque identificando la mutazione genetica, poi si studia il meccanismo della malattia, per poi arrivare alla terapia. Questo lo stato dell'arte oggi. "Da medico pediatra esperto di terapia genica ora vorrei poter fare la differenza su un aspetto: quello di spingere sulla parte traslazionale, cioè cercare di fare uno sforzo all'interno dell'istituto per identificare le scoperte fatte all'interno delle prime due aree, che possano avere maggiori possibilità di trasformarsi in terapie e aiutare anche a sviluppare queste terapie fino alle sperimentazioni cliniche", dice Auricchio.

I campi più promettenti in cui si intravede ulteriore sviluppo? "Ce n'è uno che è relativamente recente ma in enorme espansione: l'editing genomico, sul quale anche noi stiamo facendo un investimento ingente", evidenzia. "Crispr-Cas e nucleasi simili possono andare in maniera molto mirata a tagliare il Dna in punti specifici e poi con interventi diversi si può correggere il Dna nel punto in cui è stato tagliato. Questo editing genomico lo definiamo 'in vivo' e anche la terapia genica che noi facciamo è fatta in vivo, cioè direttamente nel contesto di un tessuto di un paziente. Un esempio di questo approccio è l'editing genomico che facciamo per alcune malattie della retina, per alcune forme di cecità ereditarie che prevedono che gli strumenti per l'editing vengano introdotti attraverso dei vettori per terapia genica direttamente nella retina. Stesso discorso per il fegato. Sono i due organi target e i gruppi di malattie sono la cecità ereditaria e le malattie ereditarie del metabolismo".

Per il resto, continua lo scienziato a capo del Tigem "continuiamo a dedicarci alla terapia genica con delle piattaforme innovative. In altre parole, cerchiamo di sfruttare la nostra esperienza per mettere a punto delle piattaforme di terapia genica che superino alcuni ostacoli. Per esempio, il vettore che oggi in terapia genica si utilizza di più in vivo deriva da un virus che si chiama adeno-associato, è molto efficiente e contenuto in vari prodotti già approvati di terapia genica. Ma uno dei limiti di questo sistema - chiarisce - è che si tratta di una piccola particella che non può contenere grossi pezzi di Dna, è come se fosse un piccolo guscio all'interno del quale è difficile fare impacchettare un grosso pezzo di Dna".

Riuscirci è stata una sfida: "Abbiamo messo a punto delle piattaforme che ci permettono di utilizzare il vettore adeno-associato trasportando geni di grosse dimensioni, le stiamo utilizzando in laboratorio ma una in particolare sta per entrare in clinica per una cecità ereditaria. E' una sperimentazione che stiamo portando avanti in collaborazione con l'università Vanvitelli di Napoli e la Fondazione Telethon l'ha data in licenza a un'azienda americana che si chiama Akouos, di Boston", che l'ha già utilizzata per il caso di Aissam e la sordità ereditaria. Quindi questa realtà Usa ha fatto una sperimentazione "utilizzando una piattaforma che noi abbiamo messo a punto".

Trasportare geni di grandi dimensioni è una delle sfide, "non è l'unico limite - precisa Auricchio - però è un limite importante perché chiaramente se la mutazione" problematica su cui intervenire "è in un gene di grosse dimensioni, e se non c'è una maniera per farlo entrare efficientemente nelle cellule per poter restituire la funzione persa, non si riesce a fare la terapia genica".

MRna e forbici molecolari, le promesse di un inedito 'mix' - Dopo essersi guadagnata fama planetaria con i vaccini Covid, la tecnologia dell'Rna messaggero torna sotto i riflettori, in questi giorni, in una veste inedita: alcuni risultati scientifici hanno infatti acceso la speranza per una futura applicazione nelle malattie rare, la speranza che l'mRna possa realizzare la tanto attesa promessa di generare proteine ​​terapeutiche direttamente nell'organismo. Uno scenario esplorato di recente sulla rivista 'Nature' che ha guardato alle prospettive di questa scoperta da Nobel andando oltre i vaccini, ma evidenziando anche le sfide che restano (natura 'fugace' dell'mRna ed effetti collaterali sono quelle accennate). Sul fronte delle malattie rare, ragiona Auricchio, "ci sono due aspetti nei quali la terapia con mRna può essere utile".

Uno di questi in particolare è di interesse anche per gli scienziati del centro, spiega, cioè l'applicazione dell'Rna alle cosiddette 'forbici molecolari' che si usano per correggere il Dna in un preciso punto con un'operazione di taglia e incolla. Questa strategia potrebbe ovviare a un problema. L'ideale sarebbe che queste forbici molecolari quando hanno esaurito il loro compito svaniscano, non siano più operative. L'Rna in questo potrebbe aiutare, sarebbe strategico per un'attivazione 'a tempo'. "Se è un filone promettente? Assolutamente sì e anche noi al Tigem stiamo cominciando a utilizzare Rna con nanoparticelle proprio per l'editing del genoma al quale siamo interessati".

Tornando alle due vie che potrebbe seguire lo sviluppo dell'mRna in ambito di malattie genetiche rare, Auricchio approfondisce: "Da una parte l'mRna può essere utilizzato al posto del Dna. Cioè noi con la terapia genica mettiamo una copia del gene corretto all'interno delle cellule, mentre con la particella lipidica che contiene l'Rna metteremmo l'Rna per quella proteina. Qual è la differenza? Che con la terapia genica, mettendo il Dna, l'espressione della proteina durerà per molti anni o anche a vita. Se invece mettiamo l'Rna questa espressione durerà di meno perché questo verrà tradotto in proteina ma entrambi poi andranno via e non c'è il Dna che supporta la produzione successiva di Rna e proteine".

Questo significa però anche che operazioni di addizione o sostituzione "fatte con Rna per una patologia cronica come le malattie genetiche richiederanno più di una somministrazione. E' un po' un limite rispetto alla terapia genica", riflette Auricchio. Nature riporta il caso di una terapia progettata da Moderna che utilizza la tecnologia dell'mRna per ripristinare la funzione metabolica nelle persone affette da una patologia rara, l'acidemia propionica. Il farmaco che contiene due sequenze di mRna che producono ciascuna parti dell'enzima altrimenti difettoso va somministrato con infusioni ogni 2 o 3 settimane. In un piccolo studio i risultati iniziali appaiono incoraggianti. Andranno ora visti gli esiti di sperimentazioni più ampie.

"L'altro tipo di utilizzo per le malattie genetiche ha a che fare con l'editing del genoma - continua Auricchio - In altre parole se si vuole fare editing genomico e dare Crispr Cas alle cellule per curarle, in vivo o ex vivo che sia, se lo si fa con un vettore virale si avrà Crispr Cas espresso molto a lungo da queste cellule e non è una cosa buona. Perché Crispr Cas è un enzima che una volta che ha fatto la modificazione del Dna, che è una modificazione permanente, potrebbe tranquillamente andar via, scomparire, non c'è necessità che rimanga. Anzi al contrario la sua permanenza potrebbe creare dei danni 'off-target', in contesti che non sono quelli desiderati. Quindi si è pensato che se Crispr Cas lo si dà attraverso Rna questo garantirebbe che venga espresso in una finestra di tempo breve. Per cui fa quello che deve fare e poi l'Rna e la proteina vengono degradati. A mio avviso per le malattie genetiche l'applicazione principe dell'Rna è proprio questa: nel campo del genome editing". Insomma c'è ancora da lavorare, concordano tutti gli esperti. Ma, come afferma su 'Nature' la pioniera delle tecnologia a mRna, il premio Nobel Katalin Karikó, "è un primo passo nella giusta direzione".

Malattie rare e cure a rischio - Ma all'orizzonte non ci sono solo sfide e rebus scientifici. "La sostenibilità dei farmaci per le malattie rare e ultra rare, e in particolare dei prodotti di terapia genica, sta diventando un problema importante per il quale non esiste una soluzione univoca. Da una parte si può intervenire abbattendo i costi dello sviluppo clinico di questi farmaci, dall'altro si possono adottare modelli nuovi a valle dell'approvazione, dopo cioè che un prodotto è andato sul mercato. C'è molta discussione al riguardo, sui modelli da mettere in campo. Gli ingenti fondi messi a disposizione dal Pnrr", Piano nazionale di ripresa e resilienza, "potrebbero essere usati proprio in questa direzione, ma questo è avvenuto solo in parte", spiega Auricchio.

Partiamo dal primo punto, l'abbattimento dei costi di sviluppo: come si fa? "Una possibilità - risponde Auricchio - sono i progetti cosiddetti 'piattaforma', che cioè usano uno stesso approccio, ad esempio lo stesso tipo di vettore per terapia genica, per più malattie contemporaneamente, permettendo di abbattere alcuni costi di sviluppo, seguendo una strategia concordata con le agenzie regolatorie".

"L'altro problema, inaspettato fino a poco fa - continua il direttore del Tigem - è quello osservato in alcuni casi, a valle dell'approvazione, con aziende che dismettono farmaci approvati perché non più sostenibili per loro, considerato il ristretto numero di malati che ne beneficiano. E' stato questo - ricorda - il caso recente di un farmaco di terapia genica che la Fondazione Telethon, in particolare il Tiget, aveva sviluppato per una malattie rara e che è stato dato in licenza ad un'azienda che aveva il compito di produrlo e distribuirlo dopo l'autorizzazione. Questa azienda lo ha poi dismesso e la Fondazione, in maniera coraggiosa ed assolutamente innovativa, si è ripresa in carico il farmaco organizzandone la produzione e distribuzione, e rendendolo quindi disponibile di nuovo ai pazienti. Questa iniziativa ha avuto una grossa risonanza nel mondo scientifico ed anche imprenditoriale. Sebbene la Fondazione stia per seguire lo stesso percorso anche per un secondo prodotto simile, dubito che riesca a farlo per molti altri ancora - osserva Auricchio - essendo una organizzazione non-profit e non un'azienda".

Insomma, il dibattito resta aperto. E per quanto riguarda i finanziamenti alla ricerca, ammette lo scienziato, "la situazione nel nostro Paese non è rosea, l'Italia non è un Paese che investe in ricerca e non offre possibilità di accedere a fondi in maniera programmata e competitiva. Al Tigem siamo fortunati - evidenzia il direttore - in quanto applichiamo a fondi che la Fondazione Telethon ci mette a disposizione dopo una valutazione rigorosa fatta da una commissione internazionale di esperti. Inoltre ci impegniamo nel procurarci fondi esterni, soprattutto provenienti dalla Comunità europea. Negli anni siamo diventati sempre più efficaci in questo senso grazie al nostro Ufficio scientifico che supporta i nostri ricercatori nella stesura dei progetti di ricerca. In particolare i grant della Comunità europea 'a cordata', che prevedono la partecipazione allo stesso grosso progetto di più ricercatori di diverse nazioni europee. Siamo stati anche bravi ad assicurarci i prestigiosi e competitivi fondi dell'Erc (European Research Council): ad oggi al Tigem abbiamo vinto 16 finanziamenti dell'Erc, un numero non comune considerate le dimensioni del nostro istituto".

"Stiamo parlando comunque di fondi adatti a portare avanti ricerca di base e preclinica. Ma non quella ricerca traslazionale, che prevede poi uno sviluppo clinico. In quel caso - conclude Auricchio - bisogna trovare dei modelli diversi. Uno che la Fondazione ha recentemente adottato è la partnership con il fondo di investimento Sofinnova-Telethon che ha selezionato alcune delle ricerche fatte all'interno dell'ecosistema Telethon, principalmente Tigem a Napoli e Tiget a Milano, e ha investito creando delle spin-off, cioè delle piccole biotech che hanno spesso questo obiettivo di portare in clinica alcune delle nostre ricerche più avanzate, utilizzando fondi e competenze che non sono tipici di ambienti di ricerca accademica".

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Aviaria, gli Usa si preparano al contagio uomo-uomo

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Negli Stati Uniti si lavora a un piano per fronteggiare lo scenario peggiore, l'esperto: "Oggi molto improbabile, ma più il virus si diffonde e più il rischio cresce"

Test aviaria - Fotogramma /Ipa

"Esiste conferma della trasmissione" del virus dell'influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità "tra bovino e bovino e da bovino a pollame", secondo quando emerge "dal sequenziamento" virale. "Sono inoltre confermati casi di bovini da latte asintomatici", ma "con infezione da H5N1", anche se "l'entità dei test non è chiara". Lo evidenzia lo scienziato americano Eric Topol, vice presidente esecutivo Scripps Research, fondatore e direttore Scripps Research Translational Institute, in un'analisi sui risultati del vertice a porte chiuse organizzato nei giorni scorsi dal Dipartimento dell'Agricoltura (Usda), dai Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) e dalla Food and Drug Administration (Fda), per fare il punto sull'emergenza aviaria nelle mucche da latte negli Stati Uniti.

Oltreoceano i timori per il diffondersi del patogeno di origine aviaria negli allevamenti crescono, tanto che già si lavora a un "piano di preparazione nel caso in cui si verificasse una trasmissione umana" del virus, finora mai confermata. I funzionari federali, riporta Topol, "hanno spiegato che il Tamiflu", il farmaco antivirale oseltamivir, "sarebbe efficace" per contrastare l'infezione nell'uomo "e che ne sono state accumulate scorte". Inoltre, "se necessario gli Usa potrebbero dirottare la produzione annuale di vaccini antinfluenzali per fabbricare vaccini anti-H5N1 su larga scala". Sono disponibili al momento "2 vaccini candidati contro l'H5N1 che si concordano bene con la sequenza attuale" del virus, e sfruttando la tecnologia dell'mRna "esiste la possibilità di aumentare la fornitura di vaccino" in caso di bisogno. Oggi "sembra molto improbabile" che si debba arrivare a tanto, ossia a dover fronteggiare un'epidemia di aviaria nell'uomo, "ma quanto più il virus H5N1 si diffonde incontrollato - avvertono gli esperti - tanto maggiori sono i serbatoi" in cui può proliferare "e le possibilità che si verifichino ulteriori mutazioni funzionali. Dunque è meglio pianificare lo scenario peggiore".

Al momento l'unico caso umano di infezione da H5N1 ad alta patogenicità documentato nell'ambito dell'epidemia fra i bovini è quello di un lavoratore del settore lattiero-caseario, che in Texas si è contagiato per contatto diretto con gli animali e ha presentato come unico sintomo una congiuntivite. Per contenere un'ulteriore diffusione dell'epidemia è stata emessa un'ordinanza federale che impone di effettuare test e segnalare i capi infetti. Quanto ai test di routine sui suini, 'osservati speciali' perché potrebbero rappresentare per il virus un ponte verso l'uomo, "finora sono risultati negativi".

"Epidemia più estesa di quanto si pensi"

L'epidemia di virus dell'influenza aviaria H5N1 ad alta patogenicità in corso tra le mucche da latte negli Stati Uniti sarebbe cominciata già alla fine dell'anno scorso, quindi diversi mesi in anticipo rispetto al primo caso confermato dalle autorità sanitarie a fine marzo 2024, e probabilmente è più estesa di quanto si pensi, sottolinea ancora.

Casi di infezione sono stati registrati finora in 8 stati Usa, ricorda Topol. Ma il recente report della Fda sulla positività al virus di diversi campioni di latte pastorizzato in commercio, evidenzia lo scienziato, supporta "fortemente" l'ipotesi che la diffusione dell'infezione negli allevamenti "sia molto più ampia" e vada "oltre questi 8 stati". Per Topol è "importante evidenziare che il test Pcr" utilizzato nelle analisi sul latte cerca "frammenti di virus, non il virus vivo" la cui presenza nell'alimento sarebbe "improbabile dopo la pastorizzazione". Per valutare la presenza di virus vivo la Fda dovrà effettuare altri esami di tipo colturale, ma quelli condotti finora - seppur "limitati" - sono "ad oggi tutti negativi per qualsiasi virus vivo nel latte".

Un altro dato rimarcato dallo scienziato americano riguarda l'esito del "grande lavoro" fatto dal biologo evoluzionista dell'Arizona Michael Worobey, che "eroicamente ha analizzato le 239 sequenze H5N1 rilasciate per la prima volta domenica notte", concludendo che l'epidemia deriva probabilmente da "un unico inizio della trasmissione virale dagli uccelli alle mucche. L'Usda ha dichiarato" inoltre "di ritenere che l'epidemia tra i bovini da latte negli Stati Uniti sia cominciata alla fine del 2023, inizialmente in Texas".

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Cancro, in Italia “avanti con test su vaccino...

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L'oncologo del Pascale di Napoli Ascierto: "Arruolati già una cinquantina di pazienti, se si confermano risultati positivi inizia era immunoterapia 4.0'"

Vaccinazione - Afp

"C'è molta attesa" per i risultati che emergeranno dai test in corso sul vaccino a mRna personalizzato contro il melanoma, cioè costruito su misura per il tumore del singolo paziente. Anche il Regno Unito sta trattando i suoi primi pazienti. "La notizia riportata in Uk" racconta "del processo di uno studio di fase 3 che adesso sta cominciando nei vari Paesi. Noi in Italia abbiamo iniziato a dicembre 2023, lo studio sta andando avanti. Nel nostro Paese ci sono 5 centri coinvolti, l'arruolamento procede e sta andando molto bene. Molti pazienti stanno partecipando e quindi contiamo di avere i risultati nel giro di 3 anni". A prospettarlo all'Adnkronos Salute è l'oncologo dell'Istituto nazionale tumori Irccs Fondazione Pascale di Napoli, Paolo Ascierto, direttore del Dipartimento che si occupa di tumori cutanei, immunoterapia oncologica sperimentale e terapie innovative.

"La tabella di marcia viene rispettata - fa il punto l'esperto - e probabilmente l'arruolamento si può chiudere anche prima. Il processo verrà ulteriormente velocizzato adesso con l'aggiunta del Regno Unito, perché così avremo più pazienti e questo significa senz'altro una velocità maggiore" nella raccolta dei dati. "In Italia credo siano già stati arruolati una cinquantina di pazienti, siamo avanti e ci sono tanti altri che sono in screening, in attesa di verificare se possono entrare nello studio. La performance del nostro Paese è importante" su questo fronte.

Entrando nel merito del vaccino, "si aspetta questa ulteriore novità" nel mondo dell'oncologia, ragiona lo specialista. "I dati dello studio di fase 2 sono molto promettenti e quindi c'è molta attesa. E se lo studio dovesse essere positivo, da un lato cambia lo standard del trattamento adiuvante" per il melanoma, "ma si apre anche la porta a ulteriori sperimentazioni per altri tipi di tumori. Già ce ne sono alcune in corso, anche queste importanti. Quindi vedremo. E' un approccio sicuramente molto interessante quello di personalizzare l'attività del sistema immunitario".

Questo di Moderna, "che al momento ha un processo di sviluppo più avanzato, sarebbe il primo vaccino terapeutico" se i dati positivi saranno confermati. "La sua caratteristica", spiega Ascierto, "è che il vaccino viene prodotto direttamente dal tumore del paziente. Il campione tumorale, dopo che è stato tolto e analizzato, viene mandato in un laboratorio centralizzato che estrae tutto il Dna. Il tumore ha tante proteine mutate, diverse da quelle normali. E a ogni proteina mutata corrisponde un gene mutato. Quindi dal Dna del campione tumorale un algoritmo seleziona i neoantigeni, ovvero i geni di quelle proteine mutate tipici del tumore. L'algoritmo ne seleziona 34 fra quelli più immunogenici, cioè capaci di attivare maggiormente la difesa immunitaria. Viene poi prodotto l'Rna messaggero di questi 34 antigeni che diventa il vaccino. Un processo dunque personalizzato".

E' il percorso seguito anche per i pazienti italiani che sono stati presi in carico dai centri coinvolti nel trial internazionale in corso. "Noi non sappiamo chi ha fatto il vaccino e chi il placebo, perché lo studio di fase 3 prevede l'arruolamento di 1.000 pazienti che fanno il vaccino e l'immunoterapia e 500 che fanno placebo e immunoterapia". Il medico 71enne Alfredo "è stato il primo paziente italiano trattato, sapremo al termine in che modalità". Che prospettive si aprono ora? "Per il melanoma, se si conferma il dato di fase 2" reso noto da Moderna e Msd, "cioè una riduzione del rischio di recidiva del 44% e addirittura del 76% per la comparsa di metastasi a distanza, è chiaro che sarà un ulteriore passo in avanti" per il futuro del trattamento e le prospettive di questi pazienti, ragiona l'oncologo.

"Al tempo stesso - continua - questo dato incoraggerà ulteriori studi clinici nel setting adiuvante, cioè dopo intervento chirurgico in collaborazione con l'immunoterapia classica, con l'obiettivo di poter avere risultati migliori anche per altri tumori". Una svolta quella che si prospetta con i vaccini sperimentali anticancro allo studio? "Di svolte ne stiamo vedendo diverse - puntualizza Ascierto - Se dovessi definire questo vaccino lo definirei 'immunoterapia 4.0', perché abbiamo gli inibitori dei checkpoint, abbiamo le Car-T, abbiamo i Til (linfociti infiltranti il tumore)". E il quarto 'pilastro' potrebbero dunque diventare i vaccini su misura.

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In 10 anni +34% allergie alimentari per i piccoli italiani,...

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In 10 anni +34% allergie alimentari per i piccoli italiani, +120% in 'under 3'

Crescono le allergie alimentari in Italia, con un incremento del 34% in 10 anni che arriva al +120,8% per i bambini sotto i 3 anni. I 'responsabili' principali sono il latte (55%), le uova (33%) e la frutta secca (24%). Un problema che nei bimbi aumenta in tutto il mondo ma per la prima volta un’indagine tutta italiana, condotta nella regione Campania, fotografa l’andamento del fenomeno negli ultimi 10 anni nel nostro Paese. I risultati dello studio Epifa (Epidemiology of Paediatric Italian Food Allergy), promosso dalla Società italiana di gastroenterologia, epatologia e nutrizione pediatrica (Sigenp) e coordinato da Roberto Berni Canani, docente di pediatria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, sono stati pubblicati sull’ultimo numero del 'Journal of Allergy and Clinical Immunology Global', organo ufficiale dell’Accademia americana di allergologia e immunologia clinica.

"Sono sempre maggiori le evidenze che fattori ambientali legati all’eccessivo uso di farmaci antibiotici e di cibi ultra processati possono essere responsabili dell’aumento di prevalenza e gravità delle allergie alimentari e di tante altre patologie croniche dell’età pediatrici", evidenzia Claudio Romano, presidente Sigenp. I dati sono preoccupanti: "il nostro studio, condotto dal 2009 al 2021 in tutte le province della Campania - sottolinea Berni Canani - è stato realizzato grazie alla collaborazione di 10 pediatri di famiglia sul territorio, 2 per ogni provincia. Monitorando per un decennio (2009-2021) un campione di 105.151 bambini di età compresa tra 0 e 14 anni è stato osservato un aumento progressivo della prevalenza delle allergie alimentari in età pediatrica, con un aumento maggiore nei bambini di età inferiore ai 3 anni".

"Un bambino su 4, tra quelli che hanno sviluppato allergia alimentare - continua l'esperto - ha presentato storia di shock anafilattico confermando un trend in aumento non solo della prevalenza ma anche della severità delle allergie alimentari in età pediatrica nel nostro Paese, in linea con precedenti dati ottenuti dal medesimo gruppo di ricerca interrogando il database del ministero della Salute dove si era rilevato un aumento del 400% dei casi di accessi in pronto soccorso in Italia per anafilassi da cibo nell’ultimo decennio".

Si stima che attualmente ne soffrano oltre 92.000 bambini in Italia

I risultati ottenuti con la ricerca in Campania, secondo Roberto Berni Canani, rispecchiano la realtà delle altre regioni italiane. "Estendendo questi risultati alla popolazione pediatrica generale italiana per un totale di 7.636.545 bambini e ragazzi fino ai 14 anni, stimiamo che attualmente vi siano oltre 92.000 bambini in Italia affetti da allergia alimentare"

Alla base dell'aumento vertiginoso di questo fenomeno ci sono "cause molteplici, da una eccessiva prescrizione di antibiotici e farmaci inibitori dell’acidità gastrica, all’uso di disinfettanti e antisettici. Ma un ruolo di grande importanza nel favorire la comparsa di allergie alimentari è dato dall’aumento continuo e inarrestabile del consumo di alimenti ultraprocessati in età pediatrica già a partire dal primo anno di vita. Questi alimenti ultraprocessati, il cosiddetto 'cibo spazzatura' che in Italia, così come in altri paesi come gli Stati Uniti o l’Australia, viene consumato sempre di più dai bambini, anche dai più piccoli, sono in grado di alterare il sistema immunitario e scatenare la comparsa di allergie", conclude Berni Canani.

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