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Cronaca

L’ex pm Principato: “Con Giammanco la Procura...

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L’ex pm Principato: “Con Giammanco la Procura nel baratro”

Teresa Principato (a sinistra)

Le discussioni con l'ex Procuratore Pietro Giammanco che "mortificò e ostacolò" il lavoro di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e "che non aveva a cuore la loro sicurezza", ma anche il momento più doloroso, al Palazzo di giustizia, quando davanti al picchetto d'onore per Giovanni Falcone, Borsellino le disse: "Ragazzi, chi vuole continuare continui, ma questa è la fine che faremo...". E, ancora, le indagini per l'arresto del boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro "aiutato durante la sua latitanza anche da 'talpe' d Stato". Un racconto, a tratti pieno di dolore, quello di Teresa Principato, l'ex Procuratore aggiunto di Palermo ed ex componente della Direzione nazionale antimafia, durante la presentazione del suo libro, 'Siciliana', in cui ripercorre la sua vita, la sua carriera, da prima donna a entrare in Italia in una Direzione distrettuale antimafia. Principato, rispondendo alle domande della giornalista Adnkronos, Elvira Terranova, ha ricordato il periodo del 1992, poco prima che Cosa nostra uccidesse i due giudici antimafia Falcone e Borsellino, con Francesca Morvillo e gli agenti di scorta.

"L'ex Procuratore di Palermo Pietro Giammanco, a capo della Dda ai tempi delle stragi mafiose del 1992 in cui furono uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, "stava portando la Procura di Palermo verso il baratro, dopo avere mortificato e ostacolato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino". "Tra l'altro non aveva a cuore la sicurezza di suoi sostituti, che trattava con la politica delle ''carte a posto''; ecco perché un gruppo di pm decise di scrivergli una lettera per sfiduciarlo e prenderne le distanze". Eccolo, il racconto di Teresa Principato alla Biblioteca Fardelliana di Trapani. Presente anche l'ex Procuratore aggiunto di Palermo, Dino Petralia.

Dopo la strage di Capaci "in Procura eravamo distrutti, non sapevamo cosa fare, dove andare, se valeva ancora la pena continuare. C'era una sorta di inquietudine che attraversava tutti. Si può capire cosa significa perdere un uomo che era un vero punto di riferimento. E 57 giorni dopo la strage, a questa angoscia si è aggiunta la morte di Paolo Borsellino che ha aumentato la nostra angoscia", dice. "Per me è stata devastante, ma tutti, io credo, avevamo perso ogni speranza. Lo stesso Antonino Caponnetto lo disse: "E' tutto finito". Insomma, fu un momento di vero e proprio sfacelo. Non volevamo continuare a lavorare con Giammanco, una persona che aveva già dimostrato di non lavorare soltanto per lo Stato: non sapevamo se, continuando, avremmo lavorato per lo Stato, considerati i personaggi politici che lui frequentava", spiega ancora Principato. "Ricordo che Roberto Scarpinato", il suo ex marito, oggi senatore del M5S, "la sera dopo avere visto il corpo di Paolo Borsellino in via D'Amelio, ridotto ad un tronco, a cui erano rimasti integri solo i baffetti che avevano resistito al fuoco, d'accordo con Alfredo Morvillo (fratello della moglie di Falcone, Francesca Morvillo morta nella strage ndr) scrisse la lettera a Pietro Giammanco in cui esprimeva con chiarezza che non avevamo più fiducia in lui e che lasciavamo il pool antimafia".

'Nei confronti di Borsellino adottò una indifferenza scandalosa'

"Giammanco, che non si era mai occupato dei problemi della sicurezza di nessuno di noi, nei confronti di Paolo adottò un'indifferenza scandalosa - prosegue Principato - Non ci fu nessuna strategia per assicurare la sua sicurezza. Non ci fu un momento di vera organizzazione. Tutti noi ci aspettavamo che dopo Giovanni toccasse a Paolo. Lui voleva andare a Caltanissetta per partecipare alle indagini, cosa impossibile. Disse in un convegno pubblico, al quale non si sottrasse, che lui era un magistrato e avrebbe parlato solo con i magistrati ai quali aveva molto da dire, ma non fu mai chiamato dalla Procura di Caltanissetta. Fu citato per il giorno successivo alla sua morte, un po' troppo tardi...".

"Ecco perché Giammanco era una persona che non poteva stare in quel posto; lui era un manager che si occupava del funzionamento dell'Ufficio, delle segreterie, del personale. E dei suoi 'amici'", dice l'ex Procuratore aggiunto Teresa Principato, che poi racconta un aneddoto: "Subito dopo la morte di Salvo Lima, io stessa vidi entrare nella sua stanza, anzi irrompere nella sua stanza, Mario D'Aquisto, il quale era stato fino a 50 minuti prima con Salvo Lima. E Giammanco, per la solita strategia delle ''carte a posto'' poiché non voleva mostrare alcun orientamento politico, mandò a sostituti di ogni corrente, io di Md, Pignatone di Mi ed altri che non ricordo, a fare la perquisizione a casa e nell'ufficio di Lima. Poi ci trovammo in una riunione e all'improvviso Giammanco si alzò di scatto e disse 'Devo andare' e noi: 'Ma stiamo discutendo di cose importanti, non puoi andare via' e lui rispose: 'Devo andare al funerale di Lima'. Una cosa che avrebbe dato un'immagine della Procura devastante".

"Ed ecco perché al funerale di Paolo Borsellino le persone che stavano in prima fila, dopo essersela presa con le autorità, se la presero con Giammanco", dice. Per Principato, "la gente aveva capito che questi due martiri non erano stati presi nella giusta considerazione da Giammanco che li aveva ostacolati, mortificati, che non gli aveva consentito di lavorare ed espletare un lavoro prezioso, come quello che loro potevano fare". Così la gente cominciò "a insultarlo e a lanciargli delle monetine, come accadde con Bettino Craxi. E il procuratore fu costretto a rinchiudersi in una macchina e dopo si finse malato perché non poteva più partecipare a nessuna funzione pubblica". Così, il 23 luglio otto componenti della DDA di Palermo (Ignazio De Francisci, Giovanni Ilarda, Antonio Ingroia, Alfredo Morvillo, Antonio Napoli, Teresa Principato, Roberto Scarpinato e Vittorio Teresi) redassero la lettera per mettere nero su bianco le criticità che affliggevano la procura retta da Giammanco e le condizioni di "assoluta insicurezza" in cui si svolgeva il loro lavoro. Lo fecero mettendo nero su bianco le proprie dimissioni dall'ufficio, affinché fosse chiara a tutti la gravità delle loro rimostranze e l'urgenza delle preoccupazioni".

'Dopo le stragi non avrei mai potuto abbandonare quello che stavo facendo'

"Noi ci andammo di persona, perché non volevamo essere vigliacchi, ma volevamo dirgli 'Non sei stato 'capace'. E Giammanco ci disse: "Allora io sono un'altra vittima delle stragi". E guardando verso me, disse: 'Teresa, pure tu?...'. Ce ne siamo andati da lì con il cuore stretto. Ma era troppo lo smarrimento per la morte dei nostri due amici, Giovanni e Paolo'', racconta ancora Teresa Principato, che si è occupata per molti anni di inchieste antimafia a Palermo, Trapani, Caltanissetta e, infine, alla Direzione nazionale antimafia. Poi, un altro aneddoto: "Durante il picchetto d'onore per Giovanni Falcone e le altre vittime della strage di Capaci al Palazzo di giustizia, Paolo Borsellino ci disse: 'Ragazzi, chi vuole continuare continui ma sappiate che è così che finiremo', indicando le bare. Dopo la morte di Giovanni Falcone prima e di Paolo Borsellino poi, alcuni colleghi se ne andarono dalla Procura, ma io decisi subito di continuare. Non per coraggio, ma per amore e rimpianto di Giovanni., di quello che mi aveva dato, per gratitudine. Io non avrei mai potuto abbandonare. Sarebbe stata una sorta di tradimento", racconta visibilmente commossa. "Io avevo ancora il sogno di cambiare molte cose. Sono stata una sognatrice, così come lo era stato lui e come era Paolo - dice - Io ritengo che quelle persone che hanno trovato la morte per perseguire e realizzare un ideale fossero tutte sognatori che pensavano di cambiare con il loro esempio questa Sicilia".

Poi, alcuni aneddoti sull'inchiesta che ha coordinato per la ricerca dell'allora latitante Matteo Messina Denaro, poi arrestato, il 16 gennaio 2023 in una clinica a Palermo e morto pochi mesi dopo. "Potrei raccontare decine di episodi in cui noi stavamo per arrivare a Matteo Messina Denaro: ogni volta, se n'era andato da poco, perché lo avevano avvertito del pericolo. Non posso e non voglio dimenticare che io sono arrivata a fare personalmente una denuncia contro il Procuratore dell'epoca, Francesco Messineo, al Csm, per il suo comportamento", dice Principato. "Nei giorni in cui noi aspettavamo da un momento all'altro la sua cattura, e non dormivamo, perché si era trovato il collegamento tra Messina Denaro e i palermitani che lui voleva incontrare, questo collegamento - Leo Sutera- fu all'improvviso tranciato dal Procuratore Messineo - spiega - senza una vera spiegazione, ma con comportamenti equivoci".

"Messineo però non venne trasferito dal Csm perché si disse che anche se 'censurabile', tuttavia rientrava nei suoi poteri il fatto di scegliere tra l'arresto di Leo Sutera quale capo di una gang agrigentina, il cui arresto non fu peraltro convalidato, e l'arresto di Matteo Messina Denaro. Certo, è 'censurabile' ma aveva il potere di farlo. E' chiaro che questa cosa ha rotto il 'gioco', perché ha demotivato la Polizia giudiziaria che lavorava con me, cioè il Ros. Non posso esprimere il dolore che io ho provato per questa cosa, il dolore per essere stata interrotta non da una talpa, come sempre, ma dal mio Procuratore. Dallo Stato. Altre volte l'arresto di Messina Denaro era stato interrotto da talpe, da carabinieri, da rappresentanti dello Stato", racconta la ex pm. "Messina Denaro ha avuto la possibilità di usufruire di una coltre di aiuti che all'ultimo momento finivano con il salvarlo - dice Principato - Sono convinta che se non avesse avuto questa gravissima malattia che lo ha fatto tornare, difficilmente sarebbe stato arrestato. Abbiamo fatto non so quanti identikit e poi lo troviamo sorridente a fare selfie con infermieri e donne, la sua vera 'malattia'".

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Cronaca

G7, corteo di protesta a Torino: manifestanti bloccano...

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Avrebbero dovuto sfilare per le vie del capoluogo piemontese, ma a sorpresa hanno cambiato percorso. Bruciate le gigantografie dei leader dei sette Paesi più industrializzati

La tangenziale di Torino bloccata dai manifestanti

È durato una decina di minuti il blocco della tangenziale da parte dei manifestanti che hanno sfilato nel corteo di protesta contro il G7 di domani e martedì a Venaria Reale. Hanno, infatti, cambiato percorso all'improvviso e scavalcato il guardrail, bloccando il traffico con lancio di fumogeni e lo sventolio delle bandiere. Dopo aver ribadito al megafono che "chi blocca il nostro futuro si troverà centinaia di blocchi come questo di persone non disposte a far decidere sulla propria testa", i manifestanti stanno ora tornando sui propri passi verso Venaria. "Siamo stati bravissimi ci siamo ripresi la città ma non ci fermiamo qui continueremo, non abbasseremo la testa", hanno scandito dal megafono mentre continuavano a sfilare.

Arrivati nel viale che conduce alla Reggia di Venaria, i manifestanti dopo aver posizionato davanti al cordone di forze dell’ordine grandi foto dei leader dei sette paesi più industrializzati hanno acceso un falò sul quale hanno bruciato le gigantografie. “Siamo qui non per dialogare ma per protestare per dire no al modello di sviluppo che ci vuole imporre il G7”. Così i manifestanti dal megafono poco aver dato alle fiamme le gigantografie dei leader dei sette paesi più industrializzati. “Continueremo la nostra lotta per i nostri territori, per la libertà del popolo palestinese e di tutti i popoli oppressi, per un futuro degno di questo nome, per garantire una vita che non sia solo sopravvivenza”.

Si è conclusa con gli ultimi interventi dei manifestanti la protesta popolare a Venaria Reale contro il G7 ambiente, clima ed energia in programma domani e martedì alla Reggia. Prima di concludere la manifestazione, gli organizzatori si sono dati appuntamento per domani sera alle 19 a Torino davanti a Palazzo. Nuovo per una nuova iniziativa di mobilitazione mentre Ultima Generazione ha annunciato per domattina a Venaria un’assemblea popolare in piazza.

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Cronaca

Il Papa oggi a Venezia, le tappe della visita lampo

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Il Pontefice alle detenute della Giudecca: "Vi ricorderò, non mollate". Poi gli incontri con gli artisti e i giovani e la messa a Piazza San Marco

Papa Francesco durante la sua visita a Venezia - (Afp)

Visita lampo di Papa Francesco oggi a Venezia. E' la prima volta di un Pontefice alla Biennale. Bergoglio è atterrato con l'elicottero alle 7.55 nel piazzale interno della Casa di Reclusione all’Isola della Giudecca. Ad accoglierlo Papa Francesco il Patriarca di Venezia, Mons. Francesco Moraglia, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il provveditore Rosella Santoro, la direttrice della struttura, Mariagrazia Felicita Bregoli e il comandante della Polizia penitenziaria, Lara Boco.

"Venezia sia accessibile a tutti"

"Se oggi guardiamo a questa città di Venezia, ammiriamo la sua incantevole bellezza, ma siamo anche preoccupati per le tante problematiche che la minacciano" ha osservato il Papa nel corso della messa in Piazza San Marco.

Bergoglio ha elencato i problemi che affliggono la città lagunare: “I cambiamenti climatici, che hanno un impatto sulle acque della Laguna e sul territorio; la fragilità delle costruzioni, dei beni culturali, ma anche quella delle persone; la difficoltà di creare un ambiente che sia a misura d’uomo attraverso un’adeguata gestione del turismo; e inoltre tutto ciò che queste realtà rischiano di generare in termini di relazioni sociali sfilacciate, di individualismo e solitudine”. Un passaggio applaudito dai 10mila fedeli in Piazza San Marco.

Bergoglio chiama in causa i cristiani: "E noi, che siamo tralci uniti alla vite, vigna del Dio che ha cura dell’umanità e ha creato il mondo come un giardino perché noi possiamo fiorirvi e farlo fiorire, come rispondiamo? Restando uniti a Cristo potremo portare i frutti del Vangelo dentro la realtà che abitiamo: frutti di giustizia e di pace, frutti di solidarietà e di cura vicendevole; scelte di attenzione per la salvaguardia del patrimonio ambientale ma anche di quello umano: abbiamo bisogno che le nostre comunità cristiane, i nostri quartieri, le città, diventino luoghi ospitali, accoglienti, inclusivi. E Venezia, che da sempre è luogo di incontro e di scambio culturale, è chiamata a essere segno di bellezza accessibile a tutti, a partire dagli ultimi, segno di fraternità e di cura per la nostra casa comune. Venezia che fa fratelli”.

L'incontro con le detenute

Bergoglio, sulla sedia a rotelle, ha salutato le detenute del carcere della Giudecca all’interno del quale è stato allestito il Padiglione della Santa Sede per la Biennale. “Vi ricorderò, non mollate”, è stato l’incoraggiamento. “Non isolare la dignità, dare nuove possibilità” a chi è recluso in carcere, ha detto nel corso della visita. “Care sorelle e fratelli, tutti siamo fratelli, nessuno può rinnegare l’altro. Ho desiderato incontrarvi all’inizio della mia visita a Venezia per dirvi che avete un posto speciale nel mio cuore - ha affermato - il carcere è una realtà dura, e problemi come il sovraffollamento, la carenza di strutture e di risorse, gli episodi di violenza, vi generano tanta sofferenza. Però può anche diventare un luogo di rinascita, morale e materiale, in cui la dignità di donne e uomini non è 'messa in isolamento', ma promossa attraverso il rispetto reciproco e la cura di talenti e capacità, magari rimaste sopite o imprigionate dalle vicende della vita, ma che possono riemergere per il bene di tutti e che meritano attenzione e fiducia. Nessuno toglie la dignità di una persona”.

“Non dimentichiamo che tutti abbiamo errori di cui farci perdonare e ferite da curare, io anche, e che tutti possiamo diventare guariti che portano guarigione, perdonati che portano perdono, rinati che portano rinascita”, è stato un altro dei passaggi del discorso.

L'incontro con gli artisti

Concluso l’incontro con le detenute, Bergoglio ha raggiunto la Chiesa della Maddalena (Cappella del Carcere). Qui l'incontro con gli artisti che hanno realizzato le loro opere per il Padiglione. Sia valorizzato adeguatamente il contributo delle donne nell’arte, è stato il mandato che il Papa ha affidato agli artisti: “Oggi abbiamo scelto di ritrovarci tutti insieme qui, nel carcere femminile della Giudecca. È vero che nessuno ha il monopolio del dolore umano. Ma ci sono una gioia e una sofferenza che si uniscono nel femminile in una forma unica e di cui dobbiamo metterci in ascolto, perché hanno qualcosa di importante da insegnarci. Penso ad artiste come Frida Khalo, Corita Kent o Louise Bourgeois e tante altre”.

I giovani e la messa in Piazza San Marco

E dopo avere incontrato le detenute e gli artisti, in motovedetta è arrivato alla Basilica della Salute per incontrare i giovani di Venezia e delle Diocesi del Veneto.

“Andate controcorrente. E insieme: il 'fai da te' nelle grandi cose non funziona. Per questo vi dico: non isolatevi, cercate gli altri, fate esperienza di Dio assieme, seguite cammini di gruppo senza stancarvi”, è stato il mandato che il Papa ha consegnato ai giovani. Bergoglio ha incoraggiato i giovani a creare: “Pensiamo al nostro Padre, che ha creato tutto per noi: e noi, suoi figli, per chi creiamo qualcosa di bello? La bellezza della gioventù quando diventa paternità e maternità. Pensate ai figli che avrete. Non siate professionisti del digitare compulsivo, ma creatori di novità! Siate creativi con gratuità, date vita a una sinfonia di gratuità in un mondo che cerca l’utile! Allora sarete rivoluzionari. Andate, donatevi senza paura! Alzati e vai!”.

Dopo aver rivolto ai presenti il suo discorso, il Papa, accompagnato da una delegazione di giovani, ha attraversato il ponte di barche che collega la Basilica della Salute con Piazza San Marco da dove ha presieduto la messa e il Regina Coeli.

In Piazza San Marco circa 10.500 fedeli secondo la stima del Vaticano. “Se oggi guardiamo a questa città di Venezia, ammiriamo la sua incantevole bellezza, ma siamo anche preoccupati per le tante problematiche che la minacciano”, ha osservato.

Bergoglio ha quindi elencato i problemi che affliggono la città lagunare: “I cambiamenti climatici, che hanno un impatto sulle acque della Laguna e sul territorio; la fragilità delle costruzioni, dei beni culturali, ma anche quella delle persone; la difficoltà di creare un ambiente che sia a misura d’uomo attraverso un’adeguata gestione del turismo; e inoltre tutto ciò che queste realtà rischiano di generare in termini di relazioni sociali sfilacciate, di individualismo e solitudine”.

Il ritorno in Vaticano

Papa Francesco, in elicottero, è tornato in Vaticano alle 14,40 e ha fatto rientro a Casa Santa Marta dopo la visita lampo a Venezia.

Zaia: "Con la sua visita ha portato un segnale di pace"

"È stato un privilegio oggi aver ricevuto la visita di papa Francesco a Venezia, la capitale del Veneto con i suoi 1.100 anni di storia e la meravigliosa Basilica di San Marco, simbolo di tutto ciò che rappresenta questa città". . Lo ha detto Luca Zaia, presidente della Regione del Veneto in occasione della visita a Venezia di Papa Francesco. "Con la sua visita pastorale il Papa ha portato un segnale di pace, invocandola non solo per il Medio Oriente e l'Ucraina, due terre segnate da pesanti conflitti, ma anche per tutte quelle zone del mondo, oltre una sessantina, in cui si continua a morire".

"Come diceva Hemingway, la guerra è il luogo dove gli uomini peggiori mandano a morire gli uomini migliori. Dobbiamo lavorare tutti per la pace. Qui in Veneto esiste una comunità dalle profonde radici cristiane, dove credenti e non credenti si riconoscono uniti da un carattere comune, la solidarietà. Basti pensare che un veneto su cinque, credente e non credente, è impegnato in attività di volontariato. Una regione, la nostra, che è non solo cosmopolita ma anche inclusiva, come ha auspicato il Papa. Un Pontefice - sottolinea - che ha sempre saputo parlare agli ultimi, con quella particolare attenzione che non siano lasciate indietro persone per scelte di vita o condizioni di disagio. Mi sono sentito particolarmente orgoglioso quando il Santo Padre ha definito Venezia una 'terra che fa fratelli': un riconoscimento a questa Regione che da sempre è un crocevia tra Oriente e Occidente, quindi luogo ideale per parlare di pace. A Papa Francesco un grande grazie e un arrivederci a Verona il prossimo 18 maggio”.

Il presidente della Regione Veneto ha voluto ricordare che "oltre all'Ucraina e alla crisi israelo-palestinese, nel mondo ci sono 60 guerre di cui non si parla mai e dobbiamo tutti lavorare per la pace". Ha sottolineato, inoltre, come le radici cristiane della regione siano alla base della dimensione solidale del Veneto "dove 1 veneto su 5 fa volontariato, a prescindere se sia credente o meno, secondo una prospettiva inclusiva e cosmopolita e anche il Veneto sta andando in questa direzione". Al presidente Zaia piace questo Papa che "parla agli ultimi, che è attento a che non ci siano persone lasciate indietro".

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Cronaca

Calabria, al via a Cotronei l’evento “Sila...

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Calabria, al via a Cotronei l'evento

"Oggi è iniziata un’alleanza tra la scienza e la comunità locale, per studiare, conoscere e valorizzare il territorio secondo l’approccio e il modello della One Health, fondato sul legame indissolubile tra la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema". Così la professoressa Domenica Taruscio – presidente del Centro studi Kos, già direttrice del Centro nazionale malattie rare dell’Istituto Superiore di Sanità e da poco cittadina onoraria di Cotronei (Kr), di cui è originaria – ha commentato l’avvio della prima edizione dell’evento culturale “Sila Scienza”, organizzato dal Comune di Cotronei e dal Centro studi Kos, patrocinato dall’Istituto superiore di sanità (Iss) e dal Consiglio regionale della Calabria, al via nella mattinata del 27 aprile nella sala consiliare dello stesso municipio, con un fitto programma di relazioni scientifiche preceduto dal saluto delle autorità: il sindaco Antonio Ammirati; il presidente dell’lss, Rocco Bellantone; la presidente dell’assemblea consiliare cittadina, Antonella Borza; il parroco, don Francescantonio Spadola; la scienziata Amalia Bruni, consigliera regionale della Calabria; il consigliere provinciale Raffaele Gareri; il presidente dell’Uncem Calabria, Vincenzo Mazzei; il presidente del Gal Kroton, Natale Carvello; il presidente del Gal Sila, Antonio Candalise, e Domenico Cerminara, funzionario del Parco nazionale della Sila.

Il sindaco Ammirati ha sottolineato il nesso tra specificità del territorio, salute e benessere. Il professor Alberto Mantovani, tossicologo di fama internazionale e vicepresidente del Centro studi Kos, ha tra l’altro anticipato attività di osservazione e ricerca nel territorio comunale di Cotronei, "con l’obiettivo – ha chiarito Ammirati – di valorizzarne e promuoverne le risorse, dall’aria più pulita d’Europa all’acqua di qualità, dal paesaggio alla biodiversità, all’agricoltura sostenibile e non intensiva".

Seguita da un pubblico attento e numeroso, la prima giornata di “Sila Scienza” è stata dedicata all’approfondimento sul rapporto tra ecosistema, biodiversità, salute e benessere nel territorio silano, tema declinato sotto diversi aspetti e da scienziati di primo piano; pure con riferimenti ai benefici, per l’organismo umano, delle piante officinali della Sila, dell’olio extravergine di oliva della zona e dei prodotti del sottobosco. Domenica 28 aprile, l’evento scientifico proseguirà nella vicina località Trepidò, all’Hotel del Lago, con sessioni di approfondimento su ambiente, biodiversità e filiere agroalimentari e un’escursione guidata nel Parco nazionale della Sila, a cura del gruppo “Il barattolo” e della guida ufficiale Giovanni Vizza, finalizzata anche all’osservazione scientifica dei partecipanti.

"Nel prossimo autunno – ha spiegato il sindaco Ammirati – ci sarà la seconda parte di “Sila Scienza” su questioni diverse. Questo evento scientifico, su cui puntiamo moltissimo per elevare il valore dell’offerta culturale e per la crescita del turismo, si ripeterà ogni anno, con la supervisione dell’Istituto superiore di sanità, via via con argomenti nuovi legati al territorio e agli studi sul campo".

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