Cronaca
Saman Abbas, ergastolo per i genitori della 18enne: 14 anni...
Saman Abbas, ergastolo per i genitori della 18enne: 14 anni allo zio, assolti i cugini
La giovane è stata uccisa nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021
Ergastolo per Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, 14 anni di reclusione per Danish Hasnain. Assolti per non aver commesso il fatto Ikram Ijaz e Nomanulaq Nomanulaq. Così ha deciso la Corte di Assise del Tribunale di Reggio Emilia che, dopo 5 ore di consiglio, oggi 19 dicembre, ha pronunciato la sentenza di primo grado del processo per l’omicidio di Saman Abbas. A distanza di due anni e mezzo dal fatto, i genitori della 18enne uccisa a Novellara, sono stati riconosciuti colpevoli dell’omicidio, come lo zio. Per i primi è stata riconosciuta la sola aggravante del rapporto di discendenza, mentre è caduti per tutti quella della premeditazione. Assolti i cugini, per i quali la Procura aveva chiesto 26 anni.
Vane, dunque, le lunghe dichiarazioni spontanee rese da Shabbar Abbas in aula. Il padre della vittima ha parlato per un’ora e quarantuno minuti davanti al presidente del tribunale emiliano Cristina Beretti. Un fiume in piena interrotto solo per un breve istante, sul finale, dalle lacrime scese pensando alla “dura vita in carcere” dove gli altri detenuti lo chiamano “cane, un cane - ha detto - che ha ucciso sua figlia”. Ha parlato restando seduto, il padre di Saman. Affiancato dall’interprete mai scomodata, si è rivolto alla Corte dicendo di voler dire “tutta la verità” dopo “tante parole false” sentite. Ha iniziato partendo da se stesso, “Non è vero che sono una persona ricca, che sono legato alla mafia, che ho ammazzato qui o in Pakistan né che sono andato a casa di Saqib a minacciarlo. Falso - ha continuato - che io abbia ammazzato mia figlia e sia scappato via, che il 29 aprile abbia scavato una buca, che abbia portato lo zaino a casa dopo averla lasciata in campagna”.
Ed è allora che allarga il discorso, raccontando una storia diversa da quella emersa fino a oggi. “Sono venuto in Italia con la mia famiglia a luglio del 2016 - ha detto - I bambini, dopo 1 o 2 mesi, hanno cominciato ad andare a scuola, spesso li portavo io e qualche volta andavano soli. Saman non voleva però prendere il treno, mi ha chiesto di comprarle una macchina ma senza la patente le ho risposto che non avrebbe potuto guidarla e mi ha risposto che allora non voleva andare a scuola”. Si difende, Shabbar, dalle accuse di non aver dato il permesso alla figlia di andare a scuola perché femmina. Non voleva andarci lei, secondo il padre, per questo le aveva messo a disposizione un computer che lei usava per collegarsi su Skype e studiare.
Ed è a questo punto che rinforza la sua posizione e rassicura la Corte: “Non voglio dire bugie, ne ho sentite troppe qui”. A dirle è stata Saman: “Ha detto bugie e mi fa male che lo dicano”. E ha mentito anche l’altro figlio, Ali Heider. “Non può aver visto nulla, era buio”, dice Shabbar riferendosi alle dichiarazioni rese in aula dal ragazzo, convinto di aver visto la sera del 30 aprile 2021 lo zio, Danish Hasnain, afferrare per il collo la sorella per portarla dietro alle serre, seguito dai cugini Ikram Ijaz e Nomanulaq Nomanulaq.
E torna a focalizzarsi su stesso. “In vita mia non ho mai picchiato nessuno”. Falso, secondo il padre della vittima, anche il matrimonio combinato. “Nel 2019 siamo andati in Pakistan e alcuni giorni dopo mio cugino mi ha detto che voleva portare a casa sua mia figlia - racconta - Lei era ancora una bambina. Così gli ho risposto che volevo pensarci, che mi serviva tempo. Sono state Saman e mia moglie, 15/20 giorni dopo, a dirmi che per andava bene”.
Akmal, il cugino che avrebbe voluto sposare Saman ancora minorenne “non era così più grande di lei come è stato scritto - precisa Shabbar - Ha 4 anni in più di lei. E d’altronde non avrei mai voluto un vecchio accanto a mia figlia. La sua famiglia sta bene, ha casa e terra, tutto quello che serve per vivere. E poi - sottolinea - è il mio stesso sangue”. “Erano tutti contenti, Saman era contenta - dice ancora il padre, per il quale la Procura ha chiesto l’ergastolo - Se mai Saman mi avesse detto una volta che non voleva sposare quel ragazzo, avrei annullato tutto. I genitori non pensano mai male per i figli, come non l’ho fatto io. Gli volevo bene, ho sempre lavorato in campagna, non ho mai rubato. Sono una persona povera, ho iniziato casa nel 2015 e ancora non è finita. Una persona ricca l’avrebbe fatta subito, e un mafioso non viene in Italia a lavorare”.
È a giugno, precisamente il 12, che “è iniziato il casino” spiega il padre di Saman. Quello è il giorno della fuga della figlia in Belgio. “Ero in campagna - ricorda Shabbar - mia moglie mi raggiunse per dirmi che non trovava più nostra figlia, che se n’era andata portandosi via 8mila euro e l’oro che avevamo in casa. Ho guardato le telecamere, ho preso la bici per andare a cercarla e alla fine mi sono rivolto ai carabinieri di Novellara. Ho avuto paura e ho chiamato il ragazzo con il quale era in contatto e che in inglese mi ha detto di non sapere dove si trovasse Saman. Una settimana più tardi mia figlia mi ha chiamato, piangeva e mi ha chiesto di farle un biglietto per tornare in Italia perché lì non stava bene. Andò mio fratello maggiore, Faqar, a prenderla- dice Shabbar - Sapevano tutti in famiglia che Saman era fuggita e abbiamo giurato sul Corano che nessuno ne avrebbe fatto parola”. E da lì il tentativo di tornare alla “normalità”.
Secondo Shabbar Abbas sarebbe stata proprio Saman a dire che “voleva fare un giro in Pakistan ma c’era il Covid. Mi ha detto di andare tutti insieme - ha continuato - ma le ho risposto che dovevo lavorare. Ha insistito, ma avevo trovato solo tre biglietti. Saman, il fratello e la madre sono andati, io li ho raggiunti appena ho potuto. Siamo stati a casa di Akmal, era tutto normale, erano tutti felici. Siamo rientrati in Italia il 14 settembre”. Quindi le lacrime. “Mai ho pensato di uccidere mia figlia - spiega Shabbar alla presidente Beretti - Noi nemmeno gli animali ammazziamo. Sono stati i giornalisti a mettermi questa targhetta. In carcere non è una bella vita, mi danno del cane che ho ammazzato sua figlia”.
“Saman era il mio cuore” ha detto Shabbar, negando le minacce al fidanzato Saqib, specificando che quello tra lui e sua figlia “non era amore nè una bella cosa”. Ha poi ripercorso le ultime ore della figlia, la sera del 30 aprile quando “andava tutto bene, nn c’era alcun problema in casa mia”. Ha ricordato i messaggi scritti da Saman in bagno, la decisione di andare via, la “disperazione” della madre perché cambiasse idea. “Anche io vorrei sapere chi l’ha ammazzata - ha detto in aula in conclusione - con chi sarebbe dovuta andare quella notte. Mia figlia non c’è più, mia figlia è morta” ha detto, rivolgendosi infine alla Corte: “Fate una giustizia come volete, io non dico niente”. (dall’inviata Silvia Mancinelli)
Cronaca
“Sono malato, ho un cancro”: chi è Franco Di...
Il giornalista in collegamento con Fabio Fazio
Franco Di Mare, 68 anni, annuncia a Che tempo che fa di essere malato. "Ho un mesotelioma, un tumore molto cattivo", dice il giornalista. Di Mare è un nome e un volto notissimo per i telespettatori italiani. La sua carriera comincia negli anni '80, con una serie di collaborazioni prima dell'assunzione a L'Unità, presso cui diventa inviato e caporedattore. Nel 1991 Di Mare approda in Rai e dal 1995 diventa inviato Speciale per il Tg2. Nel 2002 il passaggio al Tg1.
Nel 2003 diventa conduttore televisivo con Unomattina Estate prima di Uno Mattina week end . Dal 2004 diventa il volto di Uno Mattina. Il curriculum comprende programmi di informazione e attualità nella fascia mattutina e una serie di serate su Rai1. Nel 2019 diventa vicedirettore di Raiuno, con delega ad approfondimenti ed inchieste, e l'anno successivo viene nominato direttore generale dei programmi del giorno della Rai prima di assumere la direzione di Raitre il 15 maggio 2020.
Cronaca
G7, corteo di protesta a Torino: manifestanti bloccano...
Avrebbero dovuto sfilare per le vie del capoluogo piemontese, ma a sorpresa hanno cambiato percorso. Bruciate le gigantografie dei leader dei sette Paesi più industrializzati
È durato una decina di minuti il blocco della tangenziale da parte dei manifestanti che hanno sfilato nel corteo di protesta contro il G7 di domani e martedì a Venaria Reale. Hanno, infatti, cambiato percorso all'improvviso e scavalcato il guardrail, bloccando il traffico con lancio di fumogeni e lo sventolio delle bandiere. Dopo aver ribadito al megafono che "chi blocca il nostro futuro si troverà centinaia di blocchi come questo di persone non disposte a far decidere sulla propria testa", i manifestanti stanno ora tornando sui propri passi verso Venaria. "Siamo stati bravissimi ci siamo ripresi la città ma non ci fermiamo qui continueremo, non abbasseremo la testa", hanno scandito dal megafono mentre continuavano a sfilare.
Arrivati nel viale che conduce alla Reggia di Venaria, i manifestanti dopo aver posizionato davanti al cordone di forze dell’ordine grandi foto dei leader dei sette paesi più industrializzati hanno acceso un falò sul quale hanno bruciato le gigantografie. “Siamo qui non per dialogare ma per protestare per dire no al modello di sviluppo che ci vuole imporre il G7”. Così i manifestanti dal megafono poco aver dato alle fiamme le gigantografie dei leader dei sette paesi più industrializzati. “Continueremo la nostra lotta per i nostri territori, per la libertà del popolo palestinese e di tutti i popoli oppressi, per un futuro degno di questo nome, per garantire una vita che non sia solo sopravvivenza”.
Si è conclusa con gli ultimi interventi dei manifestanti la protesta popolare a Venaria Reale contro il G7 ambiente, clima ed energia in programma domani e martedì alla Reggia. Prima di concludere la manifestazione, gli organizzatori si sono dati appuntamento per domani sera alle 19 a Torino davanti a Palazzo. Nuovo per una nuova iniziativa di mobilitazione mentre Ultima Generazione ha annunciato per domattina a Venaria un’assemblea popolare in piazza.
Cronaca
Il Papa oggi a Venezia, le tappe della visita lampo
Il Pontefice alle detenute della Giudecca: "Vi ricorderò, non mollate". Poi gli incontri con gli artisti e i giovani e la messa a Piazza San Marco
Visita lampo di Papa Francesco oggi a Venezia. E' la prima volta di un Pontefice alla Biennale. Bergoglio è atterrato con l'elicottero alle 7.55 nel piazzale interno della Casa di Reclusione all’Isola della Giudecca. Ad accoglierlo Papa Francesco il Patriarca di Venezia, Mons. Francesco Moraglia, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il provveditore Rosella Santoro, la direttrice della struttura, Mariagrazia Felicita Bregoli e il comandante della Polizia penitenziaria, Lara Boco.
"Venezia sia accessibile a tutti"
"Se oggi guardiamo a questa città di Venezia, ammiriamo la sua incantevole bellezza, ma siamo anche preoccupati per le tante problematiche che la minacciano" ha osservato il Papa nel corso della messa in Piazza San Marco.
Bergoglio ha elencato i problemi che affliggono la città lagunare: “I cambiamenti climatici, che hanno un impatto sulle acque della Laguna e sul territorio; la fragilità delle costruzioni, dei beni culturali, ma anche quella delle persone; la difficoltà di creare un ambiente che sia a misura d’uomo attraverso un’adeguata gestione del turismo; e inoltre tutto ciò che queste realtà rischiano di generare in termini di relazioni sociali sfilacciate, di individualismo e solitudine”. Un passaggio applaudito dai 10mila fedeli in Piazza San Marco.
Bergoglio chiama in causa i cristiani: "E noi, che siamo tralci uniti alla vite, vigna del Dio che ha cura dell’umanità e ha creato il mondo come un giardino perché noi possiamo fiorirvi e farlo fiorire, come rispondiamo? Restando uniti a Cristo potremo portare i frutti del Vangelo dentro la realtà che abitiamo: frutti di giustizia e di pace, frutti di solidarietà e di cura vicendevole; scelte di attenzione per la salvaguardia del patrimonio ambientale ma anche di quello umano: abbiamo bisogno che le nostre comunità cristiane, i nostri quartieri, le città, diventino luoghi ospitali, accoglienti, inclusivi. E Venezia, che da sempre è luogo di incontro e di scambio culturale, è chiamata a essere segno di bellezza accessibile a tutti, a partire dagli ultimi, segno di fraternità e di cura per la nostra casa comune. Venezia che fa fratelli”.
L'incontro con le detenute
Bergoglio, sulla sedia a rotelle, ha salutato le detenute del carcere della Giudecca all’interno del quale è stato allestito il Padiglione della Santa Sede per la Biennale. “Vi ricorderò, non mollate”, è stato l’incoraggiamento. “Non isolare la dignità, dare nuove possibilità” a chi è recluso in carcere, ha detto nel corso della visita. “Care sorelle e fratelli, tutti siamo fratelli, nessuno può rinnegare l’altro. Ho desiderato incontrarvi all’inizio della mia visita a Venezia per dirvi che avete un posto speciale nel mio cuore - ha affermato - il carcere è una realtà dura, e problemi come il sovraffollamento, la carenza di strutture e di risorse, gli episodi di violenza, vi generano tanta sofferenza. Però può anche diventare un luogo di rinascita, morale e materiale, in cui la dignità di donne e uomini non è 'messa in isolamento', ma promossa attraverso il rispetto reciproco e la cura di talenti e capacità, magari rimaste sopite o imprigionate dalle vicende della vita, ma che possono riemergere per il bene di tutti e che meritano attenzione e fiducia. Nessuno toglie la dignità di una persona”.
“Non dimentichiamo che tutti abbiamo errori di cui farci perdonare e ferite da curare, io anche, e che tutti possiamo diventare guariti che portano guarigione, perdonati che portano perdono, rinati che portano rinascita”, è stato un altro dei passaggi del discorso.
L'incontro con gli artisti
Concluso l’incontro con le detenute, Bergoglio ha raggiunto la Chiesa della Maddalena (Cappella del Carcere). Qui l'incontro con gli artisti che hanno realizzato le loro opere per il Padiglione. Sia valorizzato adeguatamente il contributo delle donne nell’arte, è stato il mandato che il Papa ha affidato agli artisti: “Oggi abbiamo scelto di ritrovarci tutti insieme qui, nel carcere femminile della Giudecca. È vero che nessuno ha il monopolio del dolore umano. Ma ci sono una gioia e una sofferenza che si uniscono nel femminile in una forma unica e di cui dobbiamo metterci in ascolto, perché hanno qualcosa di importante da insegnarci. Penso ad artiste come Frida Khalo, Corita Kent o Louise Bourgeois e tante altre”.
I giovani e la messa in Piazza San Marco
E dopo avere incontrato le detenute e gli artisti, in motovedetta è arrivato alla Basilica della Salute per incontrare i giovani di Venezia e delle Diocesi del Veneto.
“Andate controcorrente. E insieme: il 'fai da te' nelle grandi cose non funziona. Per questo vi dico: non isolatevi, cercate gli altri, fate esperienza di Dio assieme, seguite cammini di gruppo senza stancarvi”, è stato il mandato che il Papa ha consegnato ai giovani. Bergoglio ha incoraggiato i giovani a creare: “Pensiamo al nostro Padre, che ha creato tutto per noi: e noi, suoi figli, per chi creiamo qualcosa di bello? La bellezza della gioventù quando diventa paternità e maternità. Pensate ai figli che avrete. Non siate professionisti del digitare compulsivo, ma creatori di novità! Siate creativi con gratuità, date vita a una sinfonia di gratuità in un mondo che cerca l’utile! Allora sarete rivoluzionari. Andate, donatevi senza paura! Alzati e vai!”.
Dopo aver rivolto ai presenti il suo discorso, il Papa, accompagnato da una delegazione di giovani, ha attraversato il ponte di barche che collega la Basilica della Salute con Piazza San Marco da dove ha presieduto la messa e il Regina Coeli.
In Piazza San Marco circa 10.500 fedeli secondo la stima del Vaticano. “Se oggi guardiamo a questa città di Venezia, ammiriamo la sua incantevole bellezza, ma siamo anche preoccupati per le tante problematiche che la minacciano”, ha osservato.
Bergoglio ha quindi elencato i problemi che affliggono la città lagunare: “I cambiamenti climatici, che hanno un impatto sulle acque della Laguna e sul territorio; la fragilità delle costruzioni, dei beni culturali, ma anche quella delle persone; la difficoltà di creare un ambiente che sia a misura d’uomo attraverso un’adeguata gestione del turismo; e inoltre tutto ciò che queste realtà rischiano di generare in termini di relazioni sociali sfilacciate, di individualismo e solitudine”.
Il ritorno in Vaticano
Papa Francesco, in elicottero, è tornato in Vaticano alle 14,40 e ha fatto rientro a Casa Santa Marta dopo la visita lampo a Venezia.
Zaia: "Con la sua visita ha portato un segnale di pace"
"È stato un privilegio oggi aver ricevuto la visita di papa Francesco a Venezia, la capitale del Veneto con i suoi 1.100 anni di storia e la meravigliosa Basilica di San Marco, simbolo di tutto ciò che rappresenta questa città". . Lo ha detto Luca Zaia, presidente della Regione del Veneto in occasione della visita a Venezia di Papa Francesco. "Con la sua visita pastorale il Papa ha portato un segnale di pace, invocandola non solo per il Medio Oriente e l'Ucraina, due terre segnate da pesanti conflitti, ma anche per tutte quelle zone del mondo, oltre una sessantina, in cui si continua a morire".
"Come diceva Hemingway, la guerra è il luogo dove gli uomini peggiori mandano a morire gli uomini migliori. Dobbiamo lavorare tutti per la pace. Qui in Veneto esiste una comunità dalle profonde radici cristiane, dove credenti e non credenti si riconoscono uniti da un carattere comune, la solidarietà. Basti pensare che un veneto su cinque, credente e non credente, è impegnato in attività di volontariato. Una regione, la nostra, che è non solo cosmopolita ma anche inclusiva, come ha auspicato il Papa. Un Pontefice - sottolinea - che ha sempre saputo parlare agli ultimi, con quella particolare attenzione che non siano lasciate indietro persone per scelte di vita o condizioni di disagio. Mi sono sentito particolarmente orgoglioso quando il Santo Padre ha definito Venezia una 'terra che fa fratelli': un riconoscimento a questa Regione che da sempre è un crocevia tra Oriente e Occidente, quindi luogo ideale per parlare di pace. A Papa Francesco un grande grazie e un arrivederci a Verona il prossimo 18 maggio”.
Il presidente della Regione Veneto ha voluto ricordare che "oltre all'Ucraina e alla crisi israelo-palestinese, nel mondo ci sono 60 guerre di cui non si parla mai e dobbiamo tutti lavorare per la pace". Ha sottolineato, inoltre, come le radici cristiane della regione siano alla base della dimensione solidale del Veneto "dove 1 veneto su 5 fa volontariato, a prescindere se sia credente o meno, secondo una prospettiva inclusiva e cosmopolita e anche il Veneto sta andando in questa direzione". Al presidente Zaia piace questo Papa che "parla agli ultimi, che è attento a che non ci siano persone lasciate indietro".