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Parti prematuri e inquinamento, quale legame? Il progetto di ricerca

Parti prematuri e inquinamento, c’è un legame? A scoprirlo sarà un progetto di ricerca dal titolo “TinyTrend” guidato da Alber Navarro Gallinad, health data scientist dello Human Technopole (Ht) di Milano, vincitore di una borsa di studio Msca (Marie Skłodowska-Curie actions postdoctoral fellowship) finanziata dalla Commissione europea con oltre 172mila euro per 2 anni.

Con il supporto di Big data e intelligenza artificiale, Gallinad analizzerà quasi 1 milione di parti avvenuti in Lombardia negli ultimi 12 anni. In questo modo si potrà fare luce sull’eventuale influenza ambientale e orientare futuri interventi di prevenzione.

Quale legame?

Sono oltre 4.280 i parti pretermine registrati in Lombardia nel 2022. Nel mondo, invece, la nascita prematura resta la principale causa di morte nei bambini under 5, con circa 900mila decessi all’anno. Fra le possibili cause, sotto la lente della scienza c’è anche l’ambiente.

A partire da questo possibile legame si fortifica la collaborazione tra Regione Lombardia e Ht che, in occasione della Giornata nazionale della salute della donna, Gallinad avrà accesso ai dati sanitari delle nascite registrate in Lombardia, incrociandoli con informazioni relative ai cambiamenti normativi delle politiche di riduzione del rischio che si sono susseguiti nel corso degli anni.

La missione del progetto

Il progetto di ricerca si pone l’obiettivo di misurare come la riduzione del traffico potrebbe incidere sulla frequenza di nascite premature.

“Questo permetterà di unire i puntini tra il ruolo dell’inquinamento atmosferico e il rischio per le donne in gravidanza, usando il cambio di policy come un esperimento naturale – si legge nella nota di presentazione del progetto -. Questo approccio innovativo permetterà di individuare ulteriori cause ambientali legate ai parti prematuri”. TinyTrend vuole rappresentare “una best practice per altre Regioni italiane”, generando “conoscenze che potranno anche essere trasferite per lo studio di altre patologie con una forte componente ambientale e dalle cause ancora incerte”.

La metodologia

Un sito web includerà uno spazio educativo all’interno del quale verranno presentati i risultati della ricerca. Quest’ultimi saranno disponibili anche in inglese e spagnolo. Il sito aderirà all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e alla Strategia globale per la salute di donne, bambini e adolescenti sviluppata dall’Organizzazione mondiale della sanità.

Altro traguardo di Ht è la Marie Curie postdoctoral fellowship con il progetto ‘Prune’ di Carlos Jiménez, che studierà come la disposizione spaziale che assumono le proteine nucleari contribuisca a ottimizzare il funzionamento della cellula. Oltre a costituire un ulteriore tassello sulla conoscenza di base della cellula, in futuro queste informazioni potrebbero fornire strumenti per identificare nuovi target terapeutici per il trattamento di alcune malattie.

“Queste prestigiose borse di studio ottenute dai nostri ricercatori – ha dichiarato il direttore di Human Technopole, Marino Zerial – confermano la necessità e l’importanza di investire nei giovani, anche e soprattutto nel mondo scientifico, e confermano ancora una volta il grande impegno di Ht nella sua missione di migliorare la salute delle persone e nel suo ruolo formativo per le prossime generazioni di scienziati. Gli studi di Albert Navarro Gallinad e Carlos Jiménez combineranno Big data con l’intelligenza artificiale e le tecnologie di mappatura tridimensionale del genoma umano. Lo svolgimento di questi progetti potrà inoltre essere potenziato dalle collaborazioni con altri gruppi di ricerca e con le piattaforme tecnologiche all’interno di Human Technopole”.

Ai, cambiamenti climatici e fertilità

Non è la prima volta che vengono impiegati strumenti di intelligenza artificiale allo studio della fertilità e degli apparati organici umani. Così come, il legame con l’inquinamento ricorda quanto l’ambiente influenzi la possibilità di avere o meno una fertilità più o meno elevata. A temperature più calde, infatti, ricercatori hanno dimostrato quanto il rischio di avere uno sperma meno efficace aumenti. Così come l’intelligenza artificiale è stata impiegata recentemente per la realizzazione di un app a supporto dei medici che si occupano di procreazione medicalmente assistita.

I progetti di Ht, così come quest’ultimi esempi, dimostrano quanto la tecnologia possa diventare importante nel futuro della demografia tanto quanto il monitoraggio e la gestione del cambiamento climatico.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Equilibrio vita-lavoro? Non in Italia. La classifica dei...

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L’Italia è quart’ultima in Europa per equilibrio tra vita privata e lavoro. A fotografare questo scenario è l’European Life-Work Balance Index di Remote, piattaforma che misura, su una serie di parametri, il valore in diversi ambiti del capitale umano. Secondo la classifica stilata dalla piattaforma, l’Italia non avrebbe un posto di prim’ordine in questo senso, ma, anzi, occupa uno degli ultimi.

Tra le principali cause della denatalità, nel nostro Paese, configura anche l’assenza di questo equilibrio. La difficoltà di trovare i giusti tempi e i dovuti spazi, genera spesso un senso di insicurezza nelle coppie. A confermarlo è il posto occupato dal nostro Paese in questa classifica. Ma quali nazioni europee offrono il miglior equilibrio vita-lavoro?

I criteri di classificazione

I Paesi d’Europa stanno anteponendo la vita privata al lavoro. Complice la pandemia da Covid-19, una sempre maggior attenzione viene data alla sfera privata, della cura personale e dell’importanza di vivere gli ambienti e gli spazi fuori dal contesto lavorativo. Poiché quest’ultimo tipo di contesto è sempre più ibrido con quello privato, una rinnovata spinta verso una separazione o, meglio, una conciliazione, è la tendenza comune. Comune, però, non ha tutti i Paesi, perché alcuni, infatti, occupano posti molto bassi in una classifica che misura l’equilibrio tra contesti. L’indice europeo ha considerato una varietà di fattori tra i quali:

Assistenza sanitaria
Salario minimo
Congedo di maternità
• Ferie annuali legali
• Retribuzione per malattia
• Livelli generali di felicità
• Orario medio di lavoro
• Inclusività Lgbtq+

Dove l’equilibrio è più alto: il podio

Con un punteggio di 85,26 su 100, Lussemburgo conquista il primo posto della classifica dell’indice equilibrio vita-lavoro. Il Paese ottiene buoni risultati in tutti i parametri chiave, in particolare per quanto riguarda il congedo di maternità (100% della retribuzione del dipendente per 20 settimane) e il congedo annuale (26 giorni). Con un punteggio di felicità di 7,4, il Lussemburgo è anche una delle nazioni più contente d’Europa. Famoso per essere il secondo paese più ricco del mondo, il Lussemburgo è una potenza economica profondamente consapevole dell’importanza di un buon equilibrio tra vita privata e lavoro.

A seguire, la Spagna, con78,63 dimostra la forte cultura imprenditoriale orientata ad anteporre la vita domestica al lavoro. La nazione ha un sistema sanitario universale finanziato dal governo, nonché un salario minimo di 8,42 euro l’ora. Ciò che colpisce è che la Spagna ha una popolazione molto più numerosa rispetto ad altri paesi nella top 10. Ciò la rende la 14a economia più grande del mondo per Pil nominale, oltre a industrie energetiche e turistiche in forte espansione per esercitare il tuo commercio.

A chiudere il podio, la Francia. Con un punteggio di 77,19, la Francia è una delle nazioni europee con una generosa indennità di ferie annuali prevista per legge di 36 giorni, nonché un salario minimo elevato. “Nel 2017 – scrive Remote -, il governo francese ha approvato una legge nota come diritto alla disconnessione. Questa legge impone alle aziende con più di 50 dipendenti di creare una carta di buona condotta: un documento che impedisca ai lavoratori di rispondere alle e-mail al di fuori dell’orario di lavoro, una mossa forte per sostenere un sano equilibrio tra vita e lavoro”. E anche sulle politiche familiari, in linea da anni indipendentemente dal governo al potere, supportano la genitorialità con finanziamenti, servizi, e conciliazione.

Equilibrio cercasi

Con l’assenza di un salario minimo orario obbligatorio e un tasso di inclusività Lgbtq+ che si attesta intorno ai 60 su 100, l’Italia conquista la quart’ultima posizione. Prima la Polonia, a seguire Ungheria, Slovacchia e Romania.

In questi Paesi, combinando i diversi parametri e criteri di selezione, la cultura lavorativa che comprenderebbe l’importanza degli impegni familiari al pari di quelli lavorativi sarebbe assente. Un buon equilibrio rispecchia un sistema di welfare funzionante, dove avere abbastanza tempo per prendersi cura di se stessi corrisponderebbe ad un’opportunità di crescita del benessere personale dei cittadini.

Ma non tutti i Paesi con un buon equilibrio vita-lavoro automaticamente funzionano. Nel Regno Unito, ad esempio, un lavoratore effettua anche 10 ore di straordinario a settimana, delle quali, oltre la metà, non sono retribuite. Rispetto all’anno precedente, inoltre, Lussemburgo e Spagna rimangono al primo e al secondo posto come le uniche nazioni europee nella top 10 a mantenere la loro posizione nel 2022. La Francia entra tra i primi tre rispetto al quinto posto dello scorso anno, con la Danimarca che entra tra i primi cinque dalla posizione 10 nel 2022. Dalla posizione 28 nel 2022, il Regno Unito entra nella top 10 alla settima posizione come uno dei maggiori rialzi dell’indice insieme all’Estonia (che entra anche lei nella top 10). La Germania scende dalle prime cinque al dodicesimo posto. Così come Polonia e Italia escono dalla top 10.

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Denatalità, Azzurra Rinaldi: “La disuguaglianza economica...

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Parlare di economia di genere aiuta a ridefinire il campo stesso, per un approccio più sostenibile per il futuro. La disuguaglianza, abbiamo capito, non conviene a nessuno”. A sostenerlo è Azzurra Rinaldi, economista femminista. Così si definisce la docente di Economia Politica all’Università Unitelma Sapienza di Roma, dove è anche Direttrice della School of Gender Economics. Nel 2022 ha fondato Equonomics, per portare il tema dell’equità di genere all’interno di aziende e istituzioni. Fa parte del board della European Women Association e di quello di Opera for Peace. È membro onorario del Board della UK Confederation. È Componente del Comitato Scientifico di Save the Children e dell’Osservatorio sul Terziario ManagerItalia. E a lei abbiamo chiesto cosa sia questo nuovo approccio all’economia che potrebbe cambiare culturalmente il concetto di femminismo e di parità di genere.

“Si dovrebbe dire economia femminista- ci spiega Azzurra Rinaldi -, perché nella teoria economica abbiamo due branche: l’economia di genere mainstream classica e neoclassica che vede la crescita economica continua e lineare del Pil e di produzione di ricchezza. Dall’altro lato c’è l’economia femminista che si pone in antagonismo abbracciando una crescita circolare e non lineare e che nasce dall’analisi delle discriminazioni che le donne subiscono sul mercato del lavoro mettendo in luce la sub efficienza che questo fenomeno genera al sistema nazionale. L’economia femminista indaga come le discriminazioni impattano sulla collettività e sul sistema di produzione sensibilizzando sul ruolo che le donne possono avere nel cambiamento e nella crescita economica di un Paese”.

L’Italia sta vivendo quello che l’Istat ha definito un “inverno demografico”. Denatalità e occupazione femminile: qual è il legame e come una visione economica diversa può migliorare il rapporto?

“A dispetto dell’immaginario della mamma che sta a casa con 50 figli, la letteratura dimostra che al tasso di occupazione femminile più alto corrisponde anche un tasso di natalità più alto. Quando due persone in una coppia lavorano e possono permettersi di sostenere più spese, c’è libertà di scelta. Lo Stato così ha un bilancio più ricco e può offrire più servizi pubblici e gratuiti. Noi pensiamo che non abbiamo strutture a supporto della genitorialità e della conciliabilità perché in Italia mettiamo in campo misure manchevoli dal punto di vista dell’occupazione femminile. Un bonus, del quale non è garantita la durevolezza nel tempo, ma che potrebbe esaurirsi con questo Governo, non è uno strumento utile ad una progettualità. Il minimo per invertire il trend della denatalità è fornire servizi pubblici e gratuiti alle famiglie e incentivare una parità di genere lavorativa”.

Può l’economia essere la disciplina grazie alla quale si muovono leve per il cambiamento culturale?

“Se venisse adottata un’economia femminista saremmo molto più avanti di oggi. Questo approccio aiuterebbe a sdoganare il concetto di femminismo. È un termine positivo e non può essere considerato ancora come divisivo. Inserirlo nel lessico quotidiano, migliorerebbe il senso di responsabilità e di cura, per le donne, per l’ambiente, per le persone in generale. Ammesso che arriviamo al 2050, questa è la strada da percorrere e non con l’economia mainstream che abbiamo capito che non funziona. Solo così ci si assumerebbe una reale responsabilità nei confronti delle future generazioni”.

Ma è tutta colpa degli uomini? Hanno paura di mostrarsi alleati delle donne?

“Uno studio di Manageritalia ha rilevato che oltre l’80% dei manager uomini sotto i 40 anni chiede il congedo di paternità obbligatorio come quello di maternità. C’è anche per gli uomini la voglia di inglobare le proprie mansioni nella vita familiare, nel sistema di cura e di divisone del lavoro in casa. Altri invece non ne vogliono ancora sapere e hanno paura di lasciare andare un sistema rodato. I più giovani sono quelli più vicini alle donne: non hanno ancora posizioni di potere e forse sono più sensibili ad un dialogo sul tema. Il modello di una maternità esclusiva come unico compito affidato alla donna non è più una buona pubblicità di maternità. Non ci si può annullare come persona. È per questo che è necessaria una ridefinizione del ruolo di cura e di genitorialità”.

In sintesi, potremmo dire che “La disuguaglianza non conviene a nessuno”. Però fino ad oggi è stata l’arma vincente per molti: secondo te perché?

“Perché l’economia è una scienza nata con gli uomini e per gli uomini. Nel 1800 è stata fatta una scelta precisa: sin da subito è stato chiarito chi doveva stare a casa gratis e chi doveva andare fuori a guadagnare. Economiste donne sono state depredate dei propri lavori da parte dei colleghi che hanno vinto Nobel al posto loro. Però abbiamo assistito al fatto che l’economia mainstream, così come l’abbiamo conosciuta sino ad oggi, ha fallito. Se si capisse che la disuguaglianza con conviene a nessuno e che la parità apporta guadagno ad un Paese, in termini di crescita del Pil, si potrebbe invertire la rotta”.

Azzurra Rinaldi – Foto di Martina Chiapparelli

“Le signore non parlano di soldi” è il titolo di un tuo libro. Eppure, tu ne parli. Qual è il limite entro il quale una donna si autocensura e, invece, qual è quello entro il quale viene censurata?

“Penso che il discrimine sia la consapevolezza. La donna non va bene mai: se lavori non va bene, se non lo fai non va bene uguale. Così come la maternità: se sei madre o se non lo sei, qualcuno avrà sempre da ridire. Viviamo in un sistema in cui perdiamo a prescindere, qualsiasi cosa facciamo. Se partissimo dalla consapevolezza che non si va bene mai, si potrebbe pensare di andar bene sempre. Parlare di soldi, da donna, è l’unico strumento di libertà e di scelta che possa garantire un’autodeterminazione e un’indipendenza”.

#DateciVoce è un movimento nato per riconoscere la professionalità femminile in alcuni campi, ancora oggi a prevalenza maschile. Ma il permesso di parlare le donne lo devono ancora chiedere?

“Quel movimento è nato durante il Covid per dare voce alle donne assenti nelle task force scese in campo per fronteggiare la pandemia. “Dateci Voce” è una formula passiva perché, se i leader politici e i leader nei vari campi sono per circa il 9o% uomini, purtroppo deve partire anche da loro questa apertura e quindi è una richiesta retorica: quella di venirci incontro”.

“Come chiedere l’aumento” è la tua futura pubblicazione. Ho letto che hai scritto che l’hai realizzato con un femminile sovra esteso, cioè, riferito alle donne, ma che va bene anche per gli uomini. Come si risponde a chi definirebbe questa scelta come politica, a chi sostiene che il femminismo è la nuova forma di maschilismo?

“Per lavoro insegno. In libri e divulgazioni scientifiche ce la metto tutta per concedere alle persone di imparare, così come invece imparo io in primis da chi ha più esperienza di me su altri argomenti. Ma non a tutti possiamo spiegare la vita. Se c’è chiusura, non è compito nostro insistere. Sul dizionario la differenza tra maschilismo e femminismo è chiara: la prima vede prevaricazione degli uomini sulle donne e la seconda invece invoca la parità. Ecco perché la scelta del femminile sovra esteso è venuta automatica. È chiaramente una scelta politica: chiediamo agli uomini di fare uno sforzo di adattarsi ad un linguaggio al quale noi ci siamo adattate per tutta la vita”.

Hai tre figlie femmine alle quali starai insegnando un’educazione finanziaria, immagino. Tu hai avuto questo esempio? E quanto pensi sia importante il ruolo dei genitori nell’educare i figli alla parità di genere, compresa quella economica?

“Ho avuto il grande privilegio di avere un papà, nato nel 1940, che si definiva femminista. Ma di soldi in casa mia non si parlava mai. Questa educazione me la sono dovuta conquistare da sola. Secondo gli ultimi dati Edufin, siamo ultimi in materia di educazione finanziaria. I genitori sono i primi a non averne una e, come tutto, anche questo fenomeno si eredita. È un problema collettivo. La spinta autonoma dovrebbe arrivare cercando risposte a domande del tipo: ‘Come faccio a essere un buon cittadino o cittadina, elettore o elettrice se non capisco come lo stato spende i soldi? Se lo fa in modo equo oppure no?’. Se non hai questi elementi come fai?”.

Un consiglio che ti senti di dare a chi vuole apprendere di più sull’economia di genere per avere una maggiore autonomia, anche rispetto alle tante donne vittime di violenza economica

“In generale, non dobbiamo avere paura di chiedere aiuto. Ci sono tanti strumenti gratuiti anche online per entrare in contatto con la dimensione del denaro come la Fondazione per l’Educazione Finanziaria e al Risparmio (FEduF): strumenti di conoscenza gratis, come molti divulgatori online che fanno un ottimo lavoro. Per le donne che cercano di uscire da percorsi di violenza economica e non, ricordo a tutte che non sono sole. Ci sono enti o realtà che ti aiutano a rimetterti in piedi, a trovare un lavoro. Con Fondazione Banca Etica, abbiamo realizzato il progetto Monetine: ci siamo rivolte alle operatrici e donne dei centri antiviolenza per dare una base economico-finanziaria. L’unico modo per mantenersi indipendenti è lavorare e gestire il proprio stipendio. Spero ci siano sempre più uomini alleati che non abbiano paura di abbandonare lo stereotipo di virilità”.

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La rivincita della Gen Z: “La generazione più ricca di...

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Nel mondo ci sono 250 milioni di persone nate tra il 1997 e il 2021. Metà di loro oggi ha un lavoro. In alcuni Stati occupano posti come amministratori delegati o rappresentanza politica. Sono chiamati anche “Zoomers” e secondo il The Economist rappresentano la generazione che sta prendendo il sopravvento sulle altre. In un articolo dal titolo ‘Generation Z is unprecedentedly rich’, cioè “La Generazione Z è la più ricca senza precedenti”, si parla dei giovani più criticati della storia, che prenderanno il posto dei baby boomer (nati dal 1945 al 1964) nella maggior parte dei campi.

Gen Z e ansia

Nell’articolo si sottolinea quanto questa generazione sia per lo più caratterizzata dall’ansia. Lo psicologo Jonathan Haidt, della New York University, gli ha intitolato un libro “The Anxius Generation”. Secondo lo studioso – e parere condiviso da molti – i giovani di oggi hanno meno probabilità di formare relazioni rispetto al passato. Hanno maggiori probabilità di essere depressi. E secondo le stime, sono la generazione che beve meno, che ha meno rapporti sessuali e che vive più stati d’ansia. Haidt attribuisce la colpa agli smartphone e ai social media. Non è un caso, infatti, che in America si sta regolamentando l’uso dei cellulari. Sarah Huckabee Sanders, governatrice dell’Arkansas, ha messo in luce la necessità di regolamentare l’uso degli smartphone e dei social media. Anche in Inghilterra si valutano misure in merito, così come in Italia ci si preoccupa delle conseguenze che avranno gli smartphone sui giovanissimi. Nonostante ciò, per diverse cause, sembrano essere i giovani più fortunati di sempre. Vediamo perché.

La generazione più ricca

Rispetto ai millenial, nati cioè tra il 1981 e il 1996, la Gen Z non ha vissuto attivamente la crisi finanziaria globale del 2007-2009. La disoccupazione giovanile nei Paesi ad alto e medio reddito è pari a circa il 13% e non era così bassa dal 1991.

Molti, inoltre, hanno scelto di studiare materie che li aiutino a trovare lavoro. L’essere nati con lo smartphone tra le mani gli ha consentito un tasso di informazione, anche passiva, comunque superiore rispetto al passato. In Gran Bretagna e in America, ad esempio, i membri della Generazione Z stanno evitando le discipline umanistiche e si stanno invece concentrando su materie come l’economia e l’ingegneria. In questi Paesi, la retribuzione oraria media sembra essere aumentata rispettivamente del 15% e 13%, superando gli aumenti salariali tra gli altri gruppi di età con un margine insolitamente ampio. In Nuova Zelanda la retribuzione oraria media delle persone di età compresa tra 20 e 24 anni è aumentata del 10%, rispetto a una media del 6%.

La forte crescita salariale aumenta i redditi familiari. Un nuovo articolo di Kevin Corinth dell’American Enterprise Institute, un think-tank, e Jeff Larrimore della Federal Reserve valuta il reddito familiare americano per generazione, dopo aver tenuto conto di tasse, trasferimenti pubblici e inflazione. Ed è emerso che gli zoomer hanno un reddito familiare annuo di oltre 40.000 dollari, oltre il 50% in più rispetto ai baby boomer della stessa età.

Il potere economico

Il The Economist sostiene che il vero potere economico di questa generazione è stato quello di credere che il lavoro fosse un diritto a differenza del passato, quando era un privilegio per pochi. Il fenomeno anglosassone delle dimissioni silenziose e cioè di lavorare il minimo indispensabile ne è l’esempio, così come una nuova visione del tempo libero e della cura del sé ha ricostituito i tempi e gli spazi del lavoro.

E in Italia?

Il rischio di questa ricchezza è che non comporti una crescita professionale. “Solo l’1,1% dei ventenni nell’Ue gestisce un’impresa o impiega qualcun altro”. Alla fine degli anni 2000, più dell’1% dei miliardari mondiali, secondo le misurazioni della rivista Forbes, erano millennial. E rimanendo in Ue, il caso italiano, come spesso accade, però, non è del tutto dentro questa logica. Seppur l’analisi del The Economist tenga conto di stime internazionali (e quindi validi anche per l’Italia), i dati si configurano per lo più in uno scenario angloamericano. Nelle classifiche dell’Unione europea, invece, l’Italia è il Paese con il più alto tasso di Neet, cioè di giovani che non lavorano e non si formano. Così come, il calo delle nascite ha messo in crisi il ricambio generazionale, anche aziendale, per il quale si stima che non ci sarà uno zoomer per ogni baby boomer che lascerà il lavoro nei prossimi quattro anni. E, ancora, l’occupazione giovanile, in crescita negli ultimi due anni, non colmerà questo gap. A peggiorare le cose, la mancanza di un’occupazione femminile al pari di altri Paesi. Nel contesto europeo il tasso di occupazione femminile medio è del 69,3%, mentre in Italia il 55% delle donne tra i 20 e i 64 anni ha un impiego, con un rischio di denatalità in aumento. E anche fosse la Generazione più ricca rispetto al passato, si configura essere quella che possiede la percezione di un futuro più incerto.

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