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Politica

Lega: “Accordo con Putin non ha più valore dopo...

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Lega: “Accordo con Putin non ha più valore dopo invasione Ucraina”

Il Carroccio: "'Linea confermata da voti in parlamento, Aula perde tempo in polemiche strumentali"

Vladimir Putin

"Come già ribadito, i propositi di collaborazione puramente politica del 2017 tra la Lega e Russia Unita non hanno più valore dopo l'invasione dell'Ucraina. Di più. Anche negli anni precedenti non c'erano state iniziative comuni". Lo si legge in una nota della Lega, che sottolinea come "la linea del partito è confermata dai voti in Parlamento: dispiace che l'Aula debba perdere tempo per polemiche inutili e strumentali innescate dall'opposizione", si legge ancora con riferimento alla mozione di sfiducia che domani arriva alla Camera.

"La guerra -aggiungono dalla Lega- ha totalmente cambiato i giudizi e i rapporti politici con la Russia, che prima dell'invasione era un importante interlocutore di tutti i governi italiani: lo dimostrano, per esempio, i 28 accordi multimiliardari siglati a Trieste nel novembre 2013 dall'esecutivo di Enrico Letta alla presenza di Vladimir Putin, la missione dell'allora Premier Matteo Renzi a San Pietroburgo nel giugno 2016 per 'intese da oltre un miliardo', gli accordi di Sochi siglati dall'allora premier Paolo Gentiloni e Vladimir Putin nel maggio 2017, la missione in Russia del giugno 2017 dell'allora ministro Carlo Calenda per confermare contratti da almeno 4 miliardi". "Il tutto senza dimenticare che perfino importanti gruppi editoriali italiani hanno siglato accordi con la Russia per distribuire in Italia alcuni allegati", la conclusione.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Politica

Prodi e Occhetto pionieri, la (breve) storia del duello tra...

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Quello tra Giorgia Meloni e Elly Schlein in programma il 23 maggio su Raiuno

Romano Prodi e Achille Occhetto (Fotogramma/Ipa)

La storia dei faccia a faccia televisivi tra leader politici è abbastanza sintetica, almeno in Italia. Quello tra Giorgia Meloni e Elly Schlein, in programma il 23 maggio su Raiuno, sarà l'ultimo di una serie non particolarmente lunga. Con un elemento di assoluta novità, però: le protagoniste sono due donne, mai successo in precedenza. Prima del confronto a due, i politici in televisione si vedevano solo nella 'Tribuna politica' Rai, nata a inizio anni '60 con conduttore Jader Jacobelli.

Il leader di turno si presentava nello studio della 'Tribuna politica' (prima 'Tribuna elettorale') in solitudine per sottoporsi al 'fuoco di fila' di domande di un gruppo di giornalisti. Decisamente un altro format. Il primo confronto televisivo fra due candidati presidenti del Consiglio, storico in ogni senso, è quello tra Silvio Berlusconi e Achille Occhetto. A ospitarli Canale 5, la trasmissione 'Braccio di ferro' condotta da Enrico Mentana. Era il 22 marzo 1994.

Il bis arriva due anni dopo, i protagonisti questa volta sono Berlusconi da una parte e Romano Prodi dall'altra. Il 'duello' è così atteso che viene replicato: su Rai Tre è Lucia Annunziata a mettere a disposizione il suo Linea3, qualche giorno prima delle elezioni dell'aprile 1996. Berlusconi e Prodi sono accompagnati dai rappresentanti dei rispettivi schieramenti. Poco dopo si replica su Canale 5 a 'Testa a testa', padrone di casa ancora Enrico Mentana.

Il duello tv, però, fatica a imporsi come un appuntamento fisso delle elezioni. Non sempre i leader di turno accettano di confrontarsi. Specie chi si considera in vantaggio decide più spesso di 'snobbare' l'avversario per non concedere alcun tipo di vantaggio in termini di visibilità. Così gli scontri sul piccolo schermo da ricordare, alla fine, si contano sulle dita di una mano.

Per rivedere un duello tv, ancora Prodi e Berlusconi star, bisogna aspettare il 2006. Anche questa volta i dibattiti sono due, ma sempre su Raiuno. Due anche i conduttori: Clemente Mimun, allora direttore del Tg1, e Bruno Vespa. In questo caso fa il suo esordio il 'regolamento' del confronto, una serie di regole definite dai rispettivi staff e sottoscritte dai candidati. Nel 2012 sono Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi a fronteggiarsi, in gioco c'è la leadership del Pd e il voto è per le primarie dem. E' sempre Raiuno a fare da palcoscenico, questa volta Monica Maggioni è l'arbitro.

Nel 2019 ancora Renzi fronteggia Matteo Salvini, su Raiuno e con Bruno Vespa padrone di casa, in un confronto tra leader che però non è elettorale. In occasione del voto del 2018, infatti, il dibattito tra i due era saltato per motivi di agenda. Alle elezioni politiche precedenti Enrico Letta e Giorgia Meloni avevano optato per un dibattito non televisivo ma online, nella sede del Corriere della sera.

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Politica

L’Italia non può più temere l’interesse...

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L'ex ambasciatore e capo dei Servizi parla all'Adnkronos del libro scritto con Francesco Bechis. "Dobbiamo abbandonare l'illusione del 'ma anche' e scegliere da che parte stare". Il punto su G7, Europa e Ucraina

Giampiero Massolo

I “guastafeste” Putin e Xi, la sicurezza che diventa più importante della convenienza economica, l’Italia che deve disfarsi del “ma anche” e dell’illusione di poter essere atlantista e allo stesso tempo nella Via della Seta, la crescita del “Global South” e il destino del mondo in caso di vittoria di Trump. “Realpolitik” di Giampiero Massolo, scritto con “la pazienza e l’entusiasmo” di Francesco Bechis (ed. Solferino) è una mappa per fare ordine nel disordine mondiale. Con un punto di partenza per l’Italia: deve mettere al primo posto l’interesse nazionale.

Il nostro Paese ha sempre avuto paura di questo concetto, e il perché lo spiega Massolo – che è stato segretario generale della Farnesina e direttore del Dis – in una conversazione con l’Adnkronos: “C’è sempre stata una certa diffidenza, perché l’interesse nazionale veniva confuso con un’assertività sul piano internazionale, non in sintonia con il sentire dell’opinione pubblica e con una cultura di pace e di ricerca di dialogo. Ma l’interesse nazionale è il modo in cui il nostro Paese si muove nel mondo. È un atto di sintesi, la decisione politica per eccellenza che viene definita di volta in volta dai governi incorporando tanti elementi: l’opportunità, la posizione geopolitica, gli aspetti economico-finanziari, le alleanze, gli interessi di chi ci circonda. Questa sintesi la compie ogni governo democratico, che sarà giudicato dai parlamenti e dagli elettori, e anche ogni governo autoritario, che forse sarà giudicato dalle piazze. Ma postula un elemento: la necessità di scegliere, di uscire dalla logica del ‘ma anche’ e di accettare il fatto che non si può essere amici di tutti”.

L’Italia, durante la Guerra Fredda, mentre godeva dello scudo degli Stati Uniti e della Nato, ha comunque potuto giocare su più tavoli: Enrico Mattei ha garantito l’energia che serviva alla crescita del Paese senza badare troppo ai fornitori, la Fiat di Valletta incrementava le vendite aprendo stabilimenti in Unione Sovietica. La stessa ricerca di una convenienza economica e di un diverso tavolo su cui giocare ha portato il governo Conte I a firmare il Memorandum sulla Via della Seta con Pechino. Oggi, secondo Massolo, dobbiamo “guadagnarci il nostro ruolo nel mondo, assumendoci l’onere delle nostre decisioni. Nel disordine globale, la sicurezza si impone sulla convenienza. Ogni tanto l’Italia pensa di essere ancora una ‘terza forza’, un ago della bilancia, ma la realtà si incarica di smentire questa bella illusione”.

Parlando del nostro ruolo nel contesto internazionale, non si può non parlare del G7 a guida italiana. Un “formato” che fino all’invasione della Crimea nel 2014 ha incluso anche la Russia, “e che ora è diventato lo strumento principale attraverso cui definire la posizione dell’Occidente. Certo, non è risolutivo, ma rispetto a certi summit degli scorsi decenni, in cui si parlava molto e si otteneva poco, oggi ha una valenza di coordinamento operativo importante: è stato il G7 a garantire all’Ucraina, attraverso una serie di accordi bilaterali, a dare all’Ucraina un sostegno nei fatti, a preservarla come Paese sovrano e democratico”.

Il libro descrive le minacce che mettono a rischio l’Italia; il rapporto teso tra Stati Uniti e Cina; l’ex Terzo Mondo oggi chiamato (non senza critiche) Global South; i guastafeste, ovvero Xi Jinping, Vladimir Putin, ma anche Erdogan e Kim Jong-Un, gli ayatollah e le monarchie del Golfo; infine l’Europa, che dovrà trasformare l’“una tantum” del Recovery Fund in nuovi progetti di finanziamento comune. “Sul piano della difesa e della sicurezza i progressi sono pochi. È inutile illudersi, non siamo una federazione ma una confederazione. L’Unione progredirà solo se i governi vorranno convergere in una direzione comune. Difficile immaginare una modifica dei trattati per garantire la governabilità in caso di allargamento (e non solo). La strada non può che essere di estendere al massimo le possibilità offerte dai trattati vigenti, costruire riforme di collaborazione intergovernativa (come Schengen ed moneta unica) e, in un secondo momento riassorbire queste riforme, nuove prassi e collaborazioni nel metodo comunitario. Ci vorrà molto tempo. In ogni caso, difesa europea e transizioni verde e digitale sono imprese immensamente costose. Non possono essere finanziate solo con fondi pubblici. Bisogna lavorare con il settore privato. Ma prima bisogna, con urgenza, definire obiettivi comuni. Non ci possiamo più accontentare di un minimo comune denominatore di interessi nazionali, dobbiamo definire un interesse europeo”. (di Giorgio Rutelli)

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Politica

Salvini e l’affondo sui magistrati: “Con...

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Il vicepremier difende Toti: "Se ogni indagato si dimette l'Italia si ferma domani, non basta un'indagine per far dimettere qualcuno". E su Vannacci dice: "Prenderà i voti di tanti italiani che la pensano come lui"

Matteo Salvini alla presentazione del suo libro a Torino - Fotogramma

"Io vorrei sapere se ci fossero microspie negli uffici di qualche magistrato per quanto tempo continuerebbe a fare il magistrato". E' l'affondo di Matteo Salvini che interviene così da Torino a proposito dell'indagine che coinvolge il presidente della Liguria, Giovanni Toti indagato per corruzione.

Quanto al governatore "Fa bene a non dimettersi. La magistratura faccia quello che deve fare - afferma il leader leghista - ma se ogni indagato si dimette l'Italia si ferma domani. Se condannato in via definitiva per carità di Dio, ma non basta una indagine - sottolinea - per far dimettere qualcuno".

"Toti persona perbene"

"La Liguria è una regione che negli ultimi anni ha vissuto un boom positivo di crescita di infrastrutture. Non sono uso commentare né le inchieste né la loro tempistica. Conosco Giovanni Toti come una persona perbene”, sottolinea Salvini ricordando che "Genova e la Liguria con la ricostruzione del ponte Morandi hanno dato esempio all’Italia di come si possono fare le cose bene e in fretta e spero che tutto si riveli privo di fondamento".

"Vannacci rappresenta le idee di tanti italiani"

Il leader del Carroccio dal Salone del libro per un firmacopie, difende poi anche il suo candidato alla Europee. Il generale Roberto "Vannacci è un candidato indipendente nelle liste della Lega che parla di libertà, esprime le sue idee, ho letto il suo libro: ne condivido una parte, non ne condivido un’altra parte. Secondo me - è la convinzione di Salvini - rappresenta l’idea di tanti italiani, prenderà i voti di tanti italiani”. Incalzato su ciò che lo vede d’accordo con il libro di Vannacci e ciò che non condivide, Salvini ripete: “Come con tutti ci sono passaggi che condivido altri no ma è il bello della democrazia, quello che non è bello della democrazia è la censura, il bavaglio quello che fanno contro Vannacci, contro di me, contro la Roccella".

"Salis? Non godo quando qualcuno va in carcere"

E a chi gli domanda cosa farebbe se incontrasse Roberto Salis, papà di Ilaria anche lui oggi al Salone del libro. "Lo saluterei e gli farei gli auguri per la figlia perché non sono abituato a volere il male di nessuno. Al di là che sia candidata o no, non godo mai quando qualcuno, anche lontano da me, finisce in carcere. Quindi gli farei gli auguri, poi lui si tiene le sue idee io le mie".

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