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Houthi, analista Yemen: “Da Usa e Gb no sostegno a...

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Houthi, analista Yemen: “Da Usa e Gb no sostegno a forze Aden, ma ora può cambiare”

Dopo la morte di tre marittimi in un attacco dei militanti sciiti, al-Muslimi dice: "Era solo questione di tempo". Il giornalista Algohbary: "Raid falliti, cruciali le prossime mosse della comunità internazionale"

(Afp)

Un attacco degli Houthi con vittime nel Mar Rosso "era solo una questione di tempo", a questo punto si rischia "un'ulteriore escalation", con Stati Uniti e Regno Unito, che finora hanno esitato nel sostegno alle forze di terra del governo yemenita riconosciuto dalla comunità internazionale con sede ad Aden, pronti a "cambiare" approccio. All'indomani dell'attacco contro la True confidence, costato la vita a tre marittimi - primi morti negli assalti che gli Houthi conducono contro le navi nel Mar Rosso "per solidarietà con Gaza", Farea al Muslimi, analista yemenita del think tank britannico Chatam House, commenta con l'Adnkronos gli ultimi sviluppi. E avverte: "Sarebbe una cattiva idea" se americani e britannici decidessero di sostenere le forze di terra, "non farebbe la differenza, tra l'altro Arabia Saudita ed Emirati ci hanno provato per nove anni e non ha funzionato".

Il rischio sarebbe "un'ulteriore escalation", sottolinea al Muslimi, che poi dice: "Non dovrebbe sorprendere che gli Houthi abbiano ucciso tre membri dell'equipaggio di una nave. Dopo aver sparato centinaia di razzi e droni, era solo questione di tempo prima che uno di questi andasse a bersaglio, non importa quanto siano sofisticate le capacità militari del Centcom, dei britannici o degli europei".

Per l'analista di Chatam House, "c'è ancora una possibilità che gli Houthi si fermino quando ci sarà un cessate il fuoco a Gaza. Ma come gli Houthi non hanno lasciato impunita l'uccisione di 10 militari della Marina da parte degli Stati Uniti, gli Stati Uniti e il Regno Unito faranno altrettanto. Probabilmente assisteremo a un'intensificazione degli attacchi aerei contro gli Houthi e viceversa. Stati Uniti e Regno Unito hanno anche esitato a sostenere le forze di terra yemenite nell'aprire un fronte contro gli Houthi. Ora le cose potrebbero cambiare".

Come potrebbe cambiare anche la posizione del Regno Unito sulla designazione dei miliziani yemeniti sostenuti dall'Iran come gruppo terroristico, come hanno già fatto gli Stati Uniti che li hanno reinseriti nella lista nera. La previsione di al Muslimi è che "gli Houthi risponderanno anche attaccando i cavi internet e dispiegando in mare nuove armi che finora non hanno usato. Inizieranno anche a coordinarsi con altri gruppi armati e criminali all'altro capo del Corno d'Africa per coordinare gli attacchi e scambiarsi armi".

"Il panico tra le compagnie di assicurazione e di navigazione è fondato", sostiene ancora l'esperto yemenita, convinto che "assisteremo a ulteriori escalation nel Mar Rosso, nel Golfo di Aden ed è questione di tempo prima che anche il Mar Arabico sia coinvolto. Di conseguenza, l'Iran è il più felice e più grande vincitore nell'assistere al collasso del Mar Rosso da un punto di vista economico".

E per al-Muslimi, se "finora l'Arabia Saudita e gli Emirati non hanno pagato un prezzo enorme rispetto all'Occidente per gli attacchi nel Mar Rosso, anche questo cambierà". Con il rischio di "un collasso degli attuali fragili accordi tra sauditi e houthi per porre fine alla guerra civile interna allo Yemen".

I raid di Stati Uniti e Regno Unito sono "falliti" e lo dimostra una volta di più l'attacco di ieri degli Houthi contro la nave "True confidence", costata la vita a tre marittimi, un attacco che rischia di innescare una spirale di ritorsioni, per cui le prossime mosse della comunità internazionale saranno "cruciali", fa eco il giornalista yemenita, Ahmad Algohbary, secondo cui quanto successo nelle ultime ore segnala "una preoccupante tendenza alla violenza che potrebbe sfociare in una più ampia escalation: la storia ci insegna che tali incidenti raramente rimangono isolati in conflitti di questa natura. Spesso innescano un ciclo di ritorsioni, rendendo ulteriori violenze non solo una possibilità, ma un esito probabile".

Dunque, afferma, "le prossime mosse della comunità internazionale sono cruciali: le loro azioni possono gettare benzina sul fuoco o aiutare a indirizzare la situazione verso la de-escalation". La convinzione di Algohbary è che finora "la comunità internazionale non ha agito in modo efficace e sta aggravando la situazione: gli attacchi degli Houthi sono arrivati dopo gli eventi di Gaza e l'unico modo, a mio avviso, per fermare l'escalation in Medio Oriente è porre fine alla guerra a Gaza".

I continui attacchi degli Houthi nonostante i raid di Stati Uniti e Regno Unito "sollevano seri interrogativi sull'efficacia di queste azioni, che a mio avviso sono fallite", è il parere del giornalista. Che però poi argomenta: "Tuttavia, dichiararli un vero e proprio fallimento solo sulla base di questi incidenti è troppo semplicistico. Conflitti come questi sono profondamente radicati in complessità storiche, politiche e sociali. Le azioni militari, pur avendo un certo impatto, sono solo uno strumento di una cassetta degli attrezzi molto più ampia, necessaria per affrontare questioni così sfaccettate. Questi sviluppi dovrebbero indurre a rivalutare la strategia, orientandosi verso un approccio complessivo che vada oltre la forza militare e includa gli sforzi diplomatici e umanitari".

(segue)

In questo contesto, secondo Algohbary, "l'idea di un cessate il fuoco offre un barlume di speranza, ma la possibilità di fermare efficacemente gli attacchi degli Houthi dipende da molto più che l'accordo stesso". "Il diavolo sta nei dettagli e nell'impegno di tutte le parti a cercare davvero la pace - dice - Realisticamente, gli Houthi potrebbero cessare i loro attacchi se la guerra a Gaza finisse, perché non avrebbero una scusa per continuare le loro operazioni nel Mar Rosso, nel Golfo di Aden e nel Mar Arabico. Ma i cessate il fuoco del passato sono stati fragili e spesso si sono interrotti a causa delle tensioni sottostanti e delle questioni irrisolte".

Quindi, chiosa, "perché un cessate il fuoco regga, deve essere parte di un processo di pace più ampio che affronti le cause profonde del conflitto, sostenuto da un solido appoggio internazionale e da efficaci meccanismi di monitoraggio. Solo allora potremo iniziare a immaginare uno scenario in cui il ciclo della violenza non sia solo sospeso, ma definitivamente interrotto".

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Russia, Tajani convoca ambasciatore a Roma per vicenda...

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L'annuncio del ministro degli Esteri, dopo che le filiali russe di Ariston e Bosch sono state trasferite in gestione temporanea al gruppo Gazprom

Antonio Tajani (Fotogramma)

"Ho dato mandato al segretario generale della Farnesina di convocare l'ambasciatore della Federazione russa in Italia. Il Governo chiede chiarimenti sulla vicenda della nazionalizzazione dell'Ariston Thermo Group. Al lavoro anche con Bruxelles, in raccordo con la Germania". Lo ha annunciato sul social X il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, dopo che le filiali russe di Ariston e Bosch sono state trasferite in gestione temporanea al gruppo Gazprom.

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Russia, domiciliari per il giornalista di Forbes arrestato

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Sergei Mingazov era stato fermato ieri nella città di Khabarovsk con l'accusa di aver rilanciato un post su Telegram sugli abusi commessi a Bucha dalle forze russe

Polizia russa - Fotogramma /Ipa

E' stato messo agli arresti domiciliari il giornalista di Forbes, Sergei Mingazov, arrestato ieri nella città russa di Khabarovsk con l'accusa di aver diffuso notizie false sull'esercito russo per aver rilanciato un post su Telegram sugli abusi commessi a Bucha dalle forze russe. Lo ha riferito l'agenzia Ria Novosti, citando fonti giudiziarie di Khabarovsk.

Il giornalista è stato arrestato con l'accusa di aver diffuso notizie false sulle forze militari, con le aggravanti dell'odio e dell'inimicizia, ha denunciato il suo avvocato, Kostantin Bubon, citato da Rbk. Mingazov aveva lavorato in precedenza per il quotidiano Vedomosti e anche per la Tass. Sono già numerose le condanne 'fotocopia' in Russia per la diffusione delle notizie su Bucha.

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Hamas: “Ricevuta risposta Israele a proposta su...

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Dopo più di sei mesi di guerra, i negoziati rimangono ancora in una fase di stallo

Ostaggi israeliani in mano ad Hamas - Afp

Hamas ha ricevuto la risposta ufficiale di Israele alla sua ultima proposta di tregua e "la studierà" prima di rispondere a sua volta. Lo ha affermato il vice capo del braccio politico di Hamas a Gaza, Khalil al-Hayya, che attualmente si trova in Qatar. "Hamas ha ricevuto la risposta ufficiale dell'occupazione sionista alla proposta presentata ai mediatori egiziano e del Qatar il 13 aprile", ha dichiarato in una nota. Dopo più di sei mesi di guerra a Gaza, i negoziati rimangono in una fase di stallo, con Hamas che insistere nel chiedere che qualsiasi intesa si trovi debba mettere fine alle ostilità.

Per Israele "accordo a breve o operazione a Rafah"

Questo è l'ultimo momento utile per un accordo per arrivare a una tregua a Gaza, perché in alternativa Israele darà il via alla sua operazione di terra a Rafah. Sarebbe questo - secondo l'emittente Channel 12, che cita una fonte israeliana - il messaggio trasmesso con chiarezza da Israele agli interlocutori egiziani - e per il loro tramite al leader di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar - durante i colloqui tra i negoziatori inviati dal premier Benjamin Netanyahu e una delegazione di mediatori egiziani in visita nel Paese come riferisce il Times of Israel.

La fonte afferma che Israele non è disposto a lasciare che Sinwar trascini i negoziati. Si tratta dell'alternativa tra "un accordo nel prossimo futuro, e Rafah". Le fonti confermano che Israele è disposto ad accettare la liberazione di un numero di ostaggi inferiore ai 40 proposti in precedenza, ma anche che non accetterà la liberazione di soli 20 ostaggi, come Hamas avrebbe suggerito in recenti contatti indiretti.

Israele ritiene che Hamas detenga 33 ostaggi che rientrano nella designazione di ostaggi 'umanitari', donne, bambini, uomini di età superiore ai 50 anni e malati - e insiste affinché vengano tutti liberati. La fonte non precisa se questa sarebbe la prima fase di un accordo più ampio per tutti gli ostaggi, né la durata della tregua proposta.

La proposta dell'Egitto: liberare i 33 ostaggi ancora vivi

L'Egitto ha messo ieri sul tavolo dei colloqui con Israele una proposta per il rilascio di 33 ostaggi, detenuti a Gaza, donne, malati e anziani, che si ritiene siano gli unici rimasti in vita dei 133 che erano ancora nelle mani di Hamas. Lo scrive il Jerusalem Post, che cita una fonte israeliana al corrente dell'incontro tra una delegazione egiziana e una di Tel Aviv.

"Quello che c'è - ha continuato - è un tentativo dell'Egitto di riavviare colloqui con una proposta egiziana che prevede il rilascio di 33 ostaggi, donne, anziani e malati".

Il Cairo sta lavorando per garantire un accordo che impedisca l'operazione israeliana a Rafah. Secondo quanto riferito ieri dai media ebraici, il gabinetto di guerra israeliano ha autorizzato la squadra negoziale del Paese ad avere un approccio più flessibile nei negoziati.

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