Ecco le brutte notizie: secondo l’Ocse, sembra che stiamo tutti andando un po’ più piano. Globalmente parlando, il treno dell’economia sta rallentando, e l’Italia è nel vagone di coda. Se fino a poco tempo fa speravamo in una ripresa robusta, è tempo di mettere i piedi per terra e pensare a cosa fare.
E ora cosa succede?
La frenata della crescita globale è un segnale che non può essere sottovalutato. Il passaggio dal 3,3% al 2,7% in appena due anni potrebbe sembrare marginale, ma in un’economia interconnessa come quella attuale, tali variazioni possono avere effetti a cascata. Questo rallentamento preoccupa anche perché ci allontana dalle aspettative positive che ci eravamo fatti solo qualche mese fa. Se in estate speravamo in una marcia spedita verso la ripresa, ora dobbiamo fare i conti con una realtà che ci impone di rimaneggiare i nostri piani. In questo contesto, diventa cruciale interrogarsi su quali leve possiamo ancora azionare per invertire la tendenza.
Europa, sveglia!
Il caso dell’Eurozona è particolarmente emblematico. La transizione da un tasso di crescita del 3,4% a cifre sensibilmente più basse è più che un campanello d’allarme: è un sintomo di fragilità intrinseca. Questo deciso calo getta un’ombra su quegli entusiasmi iniziali che avevano alimentato speranze di una ripresa rapida e solida. Se prima potevamo essere tentati di interpretare i dati positivi come un ritorno alla normalità, ora ci troviamo di fronte all’evidenza che la strada per la stabilità economica è tutt’altro che lineare. Di fatto, è un monito per le istituzioni europee che non è tempo di cedere a un ottimismo ingiustificato. La situazione richiede, piuttosto, un’attenta riflessione su come sostenere una crescita che si mostra ora più precaria.
Italia, si gira in cerchio
In Italia, il quadro che emerge è alquanto preoccupante, se non addirittura stagnante. Dopo aver iniziato con un promettente 3,8% nel 2022, ci ritroviamo ora con previsioni decisamente più modeste di 0,8% per i prossimi due anni. Questo non è solo un rallentamento, ma quasi una battuta d’arresto che ci posiziona in una zona di rischio. Clare Lombardelli dell’Ocse non ha usato mezzi termini: l’Italia ha bisogno di azioni concrete, non solo di buone intenzioni. Le riforme strutturali, specialmente in ambiti come innovazione e concorrenza, non sono più opzionali ma necessarie. Non si tratta solo di accelerare la crescita, ma di evitarne il declino, che in questo contesto è una minaccia sempre più palpabile.
E l’inflazione?
Ah, l’inflazione. La brutta parola che nessuno vuole sentire. Sì, secondo l’Ocse calerà, ma ci sono tanti “se” e “ma”. Matthias Cormann avverte che potremmo dover stringere la cinghia con politiche monetarie più dure se la situazione non migliora.
Come se non avessimo abbastanza problemi, c’è anche la Cina che potrebbe rallentare. E se la Cina rallenta, a tutti noi potrebbe venire un bel mal di testa.
Le nuove stime dell’Ocse sono un campanello d’allarme che non possiamo ignorare. Ci dicono che la situazione è complicata, ma ci danno anche un pungolo per agire. Meglio farlo ora, quando forse c’è ancora tempo per correggere la rotta, piuttosto che pentirci più avanti.