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Storia di un’adozione: Il coraggio e la rinascita di Fatima Sarnicola, dalla Lituania all’Italia

Oggi incontriamo Fatima Sarnicola, una ragazza la cui vita è un viaggio intenso e toccante di coraggio, resilienza e speranza. Nata in un piccolo villaggio della Lituania, Skaciai, Fatima ha vissuto i suoi primi anni tra gli orfanotrofi, dove ha subito abusi e maltrattamenti. Nonostante queste esperienze traumatiche, ha sempre avuto dentro di sé una forza straordinaria che l’ha aiutata a sopravvivere e a sognare una vita migliore. A soli otto anni, la sua vita ha preso una svolta decisiva quando è stata adottata da una coppia italiana amorevole, iniziando così un nuovo capitolo della sua esistenza.

L’arrivo in Italia non è stato privo di sfide, Fatima ha dovuto affrontare non solo l’adattamento a un nuovo ambiente e a una nuova lingua, ma anche il bullismo a scuola. Questi momenti dolorosi l’hanno colpita profondamente, ma hanno anche alimentato la sua determinazione a non arrendersi mai. Ricorda ancora come, nonostante gli insulti e le umiliazioni, ha trovato la forza di continuare a studiare e a lottare per dimostrare il suo valore. La sua esperienza scolastica, sebbene segnata da difficoltà, le ha insegnato l’importanza della resilienza e della perseveranza.

Il giorno in cui è stata adottata è uno dei ricordi più preziosi di Fatima. Descrive con emozione il primo incontro con i suoi genitori adottivi, l’iniziale paura di fronte a un uomo senza capelli, e l’incanto nello sguardo amorevole di sua madre. La loro presenza ha rappresentato per lei la fine di un incubo e l’inizio di una vita piena di amore e protezione. Questo amore incondizionato l’ha aiutata a guarire le sue ferite e a costruire una nuova identità, trovando finalmente la sicurezza e il calore di una vera famiglia.

Fatima ha trovato il coraggio di condividere la sua storia sui social media, inizialmente come sfogo personale, ma presto si è resa conto del potente impatto che poteva avere sugli altri. Grazie al supporto e ai consigli della sua famiglia adottiva, ha iniziato a raccontare il suo passato su TikTok, attirando l’attenzione di migliaia di persone. Questo ha portato alla creazione del gruppo Telegram “Noi siamo una famiglia“, una comunità di oltre 140 ragazzi adottati, e del podcast “Storie di adozioni“, dove le esperienze personali diventano fonte di ispirazione e sostegno.

Uno dei momenti più significativi del suo percorso è stato il viaggio di ritorno in Lituania, dove ha rivisto i luoghi del suo passato. Questo viaggio le ha permesso di confrontarsi con i suoi ricordi e di fare pace con la sua storia. Ha promesso a se stessa di usare la sua esperienza per aiutare gli altri, e da questa promessa è nato “AdoptLife“, il primo magazine italiano dedicato all’adozione e all’affido. Con “AdoptLife”, Fatima vuole fornire informazioni accurate, risorse utili e storie di vita che possano guidare e supportare le famiglie adottive e chiunque sia coinvolto in questo percorso.

Gestire una comunità online e affrontare le critiche sui social media richiede forza e determinazione, così Fatima ha imparato a trasformare le critiche in opportunità di discussione, mantenendo sempre il focus sul suo messaggio di speranza e resilienza. Grazie al supporto della sua famiglia e dei suoi collaboratori, è riuscita a mantenere l’integrità del suo progetto e a continuare a offrire supporto a chi ne ha bisogno.

Il suo percorso accademico in Scienze Biologiche è un altro aspetto della sua straordinaria storia. Nonostante le difficoltà iniziali, Fatima ha perseverato e ha continuato gli studi. Il suo sogno è contribuire alla ricerca contro i tumori, utilizzando le sue competenze per fare la differenza nella vita delle persone. Questo desiderio di aiutare gli altri è il filo conduttore della sua vita, dalla sua infanzia difficile alla sua carriera accademica e oltre.

Fatima ha anche una visione chiara per il futuro di “AdoptLife”. Vuole trasformare il magazine in una pubblicazione cartacea disponibile in tutta Italia e in altri Paesi europei, creando una rete di supporto internazionale per le famiglie adottive. Il suo obiettivo è abbattere i pregiudizi legati all’adozione e all’affido, promuovendo una maggiore comprensione e accettazione di queste realtà. L’impegno di Fatima è instancabile e la sua passione per aiutare gli altri stanno cambiando il panorama dell’adozione in Italia, offrendo speranza e supporto a molti che, come lei, cercano una seconda possibilità.

Noi l’abbiamo incontrata in esclusiva ed ecco un’intervista che, anche se un po’ più lunga del solito, vi consigliamo vivamente di leggere: le sue parole toccanti e sincere vi porteranno a conoscere una storia di rinascita, forza e amore che non potrete dimenticare.

Fatima, nella tua infanzia in Lituania hai vissuto esperienze drammatiche, tra cui maltrattamenti e abusi nei vari orfanotrofi in cui sei stata. Come pensi che quei momenti difficili e traumatici abbiano plasmato la tua forza interiore e la tua capacità di affrontare le sfide della vita? Quali strategie o risorse personali hai sviluppato per superare quei traumi e trasformarli in una fonte di resilienza?

Ho sempre creduto di essere nata forte. Mi sono ritrovata ad affrontare il male più volte ma non mi sono mai lasciata intimorire. All’orfanotrofio, quando subivo maltrattamenti, sentivo che avrei superato qualsiasi situazione spiacevole, e così è stato. Mi sono sempre rialzata quando gli altri mi facevano cadere, sempre. Non nego che ogni volta che mi rialzavo, al mio corpo si aggiungeva una cicatrice in più, ma da piccola ragionavo in questo modo: se ho una cicatrice in più vuol dire che ho lottato e che quindi ho vinto. La forza è dentro di noi, ma ammetto che tirarla fuori per proteggersi non è semplice. Ciò che è scattato nella mia mente nel momento in cui ho capito di essere stata abbandonata è stato un istinto di sopravvivenza. Volevo farcela, volevo vivere, e soprattutto volevo una famiglia. La fede è stata ciò che mi ha aiutato in quei momenti di silenzio. Pregavo tanto insieme alle mie compagne di stanza; ci inginocchiavamo a terra guardando la finestra con il desiderio di uscire da quelle mura. Credevamo che quello fosse l’unico posto al mondo esistente, che oltre quel bosco non ci fosse niente. Quando poi sono stata adottata, ho capito che non era così, e la mia vita è cambiata. Ammetto che quando mi sono sentita parte di una famiglia, ho messo a riposo la mia forza e mi sono lasciata coccolare. Mi sentivo stanca e avevo bisogno che qualcuno finalmente si prendesse cura di me e della mia sorella biologica, con cui sono stata adottata. Mi dicevo: “Ora ho una famiglia, non serve che lotti più per essere felice.” Questo pensiero è nato grazie all’amore con cui i miei genitori mi hanno avvolta e cresciuta. I miei traumi non hanno consumato il mio essere perché io sono stata più forte di loro, soprattutto perché ho vissuto cose orribili e ce l’ho sempre fatta. Non nego che l’unica paura che avevo era quella di un nuovo abbandono, ma nel momento in cui sono atterrata in Italia con la mia nuova famiglia, ho capito che potevo lasciar andare via quel pensiero. Ciò che mi ha più scosso è stato il ritorno delle persone del mio passato, come fratelli, sorelle, e zii, che mi cercavano con delle lettere e poi sui social. Questa è stata la difficoltà più grande che ho dovuto affrontare, perché inizialmente non volevo confrontarmi con la mia storia. Anche se provavo ad andare avanti, c’era sempre qualcuno che mi riportava indietro. Ma anche questo è stato superato grazie alla presenza e al sostegno della mia famiglia. Quando noi ragazzi adottati abbiamo tre elementi fondamentali: amore, protezione e ascolto, non c’è bisogno di applicare nessuna strategia per stare bene. Se i nostri genitori adottivi adottano anche la nostra storia, ci sentiamo a casa e la nostra forza diventa ancor più grande, e il futuro non ci spaventa. Anche nei momenti più bui, ho cercato di trovare una scintilla di speranza e di costruire su di essa. Inoltre, ho imparato l’importanza del perdono, sia verso me stessa che verso chi mi aveva fatto del male. Ho capito che portare rancore non avrebbe fatto altro che prolungare il mio dolore. Perdonare non significa dimenticare, ma permette di liberarsi da un peso emotivo che impedisce di andare avanti.

Quando sei arrivata in Italia a otto anni, hai dovuto affrontare non solo l’adattamento a un nuovo ambiente e a una nuova lingua, ma anche il bullismo a scuola. Puoi raccontarci come hai vissuto questi momenti e in che modo sei riuscita a trasformare quelle esperienze dolorose in una motivazione per aiutare altri ragazzi adottati? Ci sono stati episodi specifici o persone che ti hanno aiutato a trovare questa forza interiore?

Quando qualcuno mi chiede “Fatima, ma ti manca la scuola?”, rispondo subito con un “no” deciso, perché ho sofferto tanto. Prima di arrivare in Italia, frequentavo già la scuola e venivo presa in giro perché ero l’unica orfana della classe. Quando il bullismo si è ripresentato anche nella mia nuova scuola, nella mia nuova vita, non ci ho più visto. Le offese e i pregiudizi erano pesanti e anziché diminuire, aumentavano col passare degli anni scolastici, non solo da parte dei miei compagni di classe, ma anche dagli insegnanti. L’unico voto alto che presi a scuola fu in quinta elementare perché vinsi una gara di corsa senza fare allenamento. Nessuno sapeva che correvo spesso per scappare dall’orfanotrofio, quindi l’allenamento c’era eccome. Portai la coppa a casa, ma non ne fui felice. Col tempo però ho realizzato che quella vittoria rappresentava molto di più di un semplice trofeo: era la prova della mia resilienza e della mia capacità di trasformare una situazione negativa in qualcosa di positivo. Riguardo allo studio, invece, avevo una curiosità fuori dal normale, e ci rimanevo male quando, nonostante passassi pomeriggi interi a studiare dopo la scuola, i voti restavano bassi e finivo l’anno con debiti. Non sono riuscita nemmeno a diplomarmi con un voto alto, eppure, durante l’esame orale, c’erano più di trenta ragazzi vicino alla porta ad ascoltarmi e i professori smisero di leggere il loro giornale quando iniziai a parlare. Come ho fatto a convivere con questo continuo bullismo? Soffrendo. Tornavo a casa piangendo un giorno sì e un giorno no. Altre volte non riuscivo a rimanere tutte le cinque ore in classe e chiedevo un permesso per uscire prima, altre volte ancora mi rifiutavo di andarci. Sentivo che qualsiasi cosa facessi, che sia studiare o relazionarmi, non sarebbe servito a nulla. Diventavo simpatica ai miei compagni di classe solo quando alzavo la voce contro i professori dicendo che ero stanca di non ricevere mai voti alti, di sentirmi sempre una stupida straniera. “Fatima oggi litiga con la prof così non facciamo lezione,” dicevano. E quando provavo a difendermi da queste affermazioni, tutta la classe mi andava contro insultandomi: “Sei una figlia falsa, torna nel tuo Paese, sei bruttissima, vai dal chirurgo plastico, non sai parlare, con noi non esci”. E infatti uscivo con altri ragazzi adottati o con il fidanzatino. La mia famiglia ha sempre fatto presente questa mia sofferenza alla scuola, ma a nessuno sembrava importare. Pochi professori sono riusciti a capirmi e a trattarmi normalmente, come una ragazza che desiderava studiare. Fu un insegnante a far emergere la mia storia: i miei genitori avevano sempre preferito tacere per evitare che mi trattassero diversamente, e da quel momento il bullismo si concentrò non solo sul mio aspetto esteriore ma anche sulla mia storia. Dopo questo, ho desiderato il giorno della maturità come il giorno dei regali di Natale. Ho usato nuovamente la mia forza per resistere a quei momenti, sostenuta dall’unione della mia famiglia. Ma non nego che mi fa male sentire che molti ragazzi adottati vengono trattati come sono stata trattata io. I genitori mi scrivono dicendo: “Ho dovuto far cambiare scuola alla mia bambina perché la chiamavano orfanella, eppure una famiglia ce l’ha”, oppure i figli mi scrivono dicendo: “Mi bullizzano, non so più come fare”. Questo succede perché a scuola l’adozione non viene sensibilizzata. Bisognerebbe farlo, insegnando che un figlio adottivo non è un figlio diverso, ma piuttosto un figlio con una storia speciale, con un inizio di vita diverso. Il legame di sangue non supera il legame adottivo, perché è l’amore la chiave di tutto. Il mio motto, da me creato, è: “Usate l’amore per insegnare la vita”. Un motto che desidero venga interiorizzato da tutti, specialmente dagli insegnanti, affinché insegnino che l’adozione è un tema universale; dai genitori, perché attraverso il supporto si insegna il concetto di famiglia, dell’amore per sé stessi e verso gli altri, della vita; e dai figli adottivi, per non dimenticare che l’amore è un sentimento che meritiamo e che dobbiamo sempre proteggere. I pregiudizi ci saranno sempre, le difficoltà nella vita aumenteranno, ma se ci ricordiamo ciò che abbiamo vissuto, ci ricordiamo anche che siamo forti e che quindi ogni evento spiacevole può diventare un insegnamento per affrontare qualsiasi situazione con ottimismo e soprattutto con coraggio. E concludo dicendo che un voto basso non determina la vostra bravura. Considerando le difficoltà che avete dovuto superare, sappiate che quel 4, 5 o 6 è un ben oltre di un 10. Non tutti hanno la sensibilità di capire la vostra storia e, soprattutto, il vostro valore. Rendete orgogliosi voi stessi, il tempo farà il resto.

Il giorno in cui sei stata adottata dai tuoi genitori italiani è stato un momento di svolta nella tua vita. Puoi condividere con noi le emozioni, le paure e le speranze che hai provato durante quel primo incontro? Come è cambiata la tua percezione della vita e della famiglia in quel momento e nei giorni successivi?

Il giorno in cui sono stata adottata è stato il più bello della mia vita. Il 12 novembre 2006 siamo diventati ufficialmente una famiglia. Ho conosciuto i miei genitori nello stesso anno, ad agosto. L’iter dell’adozione in Lituania prevedeva due viaggi per conoscere il bambino abbinato; quindi, i miei genitori li conobbi durante il periodo climatico più favorevole. Ricordo l’emozione appena li incontrai e la paura per la mancanza di capelli sulla testa del mio papà. Non avevo mai visto un uomo senza capelli, ma questa paura si alleviò con un regalino da parte sua. Rimasi incantata dagli occhi di mia madre e dal suo sguardo buono. Sentivo dentro di me vibrazioni positive e ogni giorno che passava speravo di avere il potere di fermare il tempo e restare con loro per l’eternità. Purtroppo, il nostro primo incontro finì dopo una settimana e i miei genitori ripartirono per l’Italia, lasciandomi giochi, soldi e il loro profumo sui miei vestiti. Una cosa per cui sono stata molto grata è la scelta di adozione anche della mia sorellina Anna, che avevo conosciuto due anni prima ma che poi non avevo più avuto la possibilità di vedere. Quando la andammo a prendere per passare quella settimana insieme, capii che c’era la possibilità di andare via da quel posto tutte e due insieme. Quando pregavo, lo facevo dicendo anche il nome di mia sorella. Dal nostro incontro sentivo di avere una ragione di vita per smettere di scappare dall’orfanotrofio e attendere. Rividi successivamente i miei genitori ad ottobre e passammo un mese e mezzo insieme, proprio come una famiglia. I miei affittarono un appartamento a Vilnius, la capitale della Lituania, e dal giorno dopo iniziammo a chiamarli mamma e papà. Legammo da subito. Mamma mi comprò tantissimi vestiti e cose buone da mangiare. Nella valigia portarono dall’Italia DVD di cartoni animati in italiano e manuali per imparare la nuova lingua. Piano piano espressi il desiderio di cambiare nome e così, con il tempo, imparai ad amare “Fatima” e tutto l’amore che i miei genitori mi davano ogni giorno. Ricordo che alla sentenza con il giudice dissi: “Voglio partire per l’Italia con la mia sorellina e con i miei genitori,” e gli bastò questa affermazione per capire che ero pronta a lasciare quel capitolo della mia vita. Ricordo anche che la sera prima di partire avevo paura di essere lasciata lì e passai una notte intera sveglia a guardare la macchina parcheggiata nel cortile, ma provavo anche l’emozione di vivere la vita che sognavo nell’orfanotrofio. Sembra sempre che le parole non siano abbastanza per descrivere quel giorno, ma posso dire che quando qualcuno mi chiede quando io sia nata, desidero rispondere nel 2006 anziché nel 1998. Quel giorno ha segnato una svolta radicale nella mia percezione della vita e della famiglia. Con l’adozione ho iniziato a sognare in grande, a immaginare possibilità che prima sembravano irraggiungibili. La mia mamma mi insegnava l’italiano con pazienza, mentre mio papà mi raccontava storie della loro vita in Italia, facendomi sentire parte di qualcosa di speciale. L’amore dei miei genitori mi ha insegnato che non importa quanto difficile sia il passato, c’è sempre la possibilità di un nuovo inizio. E questo nuovo inizio mi ha dato la forza e la motivazione per aiutare altri bambini adottati, affinché possano trovare la stessa felicità e sicurezza che io ho trovato.

Hai iniziato a condividere la tua storia sui social media come un semplice sfogo personale. Qual è stato il momento o l’evento specifico in cui hai realizzato che la tua storia poteva avere un impatto positivo su migliaia di persone? Come hai deciso di strutturare la tua presenza online per massimizzare questo impatto?

Questa domanda la rispondo con le lacrime agli occhi perché è stata nuovamente la mia famiglia a farmi capire che potevo essere d’aiuto per tanti altri ragazzi adottivi e famiglie. Nel 2021, durante un semplice pomeriggio in cui ricordavamo momenti dei nostri primi incontri e primi abbracci, mia mamma mi disse queste parole: “Non dimenticare la bambina che sei stata, non dividere la tua personalità in due identità. Tu sei lei e quella bambina sarà la tua forza domani e nel futuro. Non cancellare il tuo passato.” Poi aggiunse: “Fai ciò che senti, ciò che ti dice il cuore.” In quel momento ho capito di avere la forza di raccontare ciò che mi è successo e ho realizzato che potevo finalmente confrontarmi con persone che mi avrebbero capito senza giudicarmi. Così ho aperto il mio profilo su TikTok, usando coraggiosamente il mio nome e cognome. Ho iniziato pubblicando momenti della mia adozione e successivamente video di interpretazione e monologhi. Quando ho iniziato a mostrarmi fisicamente, le critiche non sono mancate. Alcuni dicevano che stavo inventando una storia per ottenere successo perché ero bella e potevo fare la modella; altri pensavano che prendessi spunto da film sull’adozione o libri per alimentare il mio racconto. Decisi di prendere una pausa che durò quasi un anno, riprendendo poi nel 2022 grazie al supporto della mia famiglia. Ho trasformato quelle critiche in una sensibilizzazione per far comprendere veramente le mie parole, mettendo in evidenza più le critiche che i commenti positivi. Virtualmente, ho incontrato altri ragazzi adottati e ho deciso di aprire il primo gruppo Telegram italiano per ragazzi adottati chiamato “Noi siamo una famiglia”, unendo più di 140 ragazzi adottati e successivamente “Cuore Adottivo”, il primo gruppo Telegram per i genitori in attesa a adottivi. Un viaggio in Lituania è stato determinante: ho fatto ritorno nel mio paese d’origine e ho rivisto la mia prima casa, scuola e orfanotrofio. Anche se non ho avuto il coraggio di avvicinarmi all’orfanotrofio, ho sentito le urla di quei bambini e, soprattutto, le mie. Questo è stato uno dei momenti più intensi emotivamente della mia vita. Avevo giurato a me stessa di non tornarci mai più, nemmeno per curiosità, ma il destino ha deciso diversamente. Quando sono salita sull’aereo per tornare in Italia, ho fatto una promessa: avrei raccontato le storie degli altri affinché le persone comprendessero che non esisteva solo la mia storia di adozione, ma molte altre. Nasce così il primo podcast italiano sulle storie di adozioni nazionali ed internazionali. Ricevevo molte domande, il che mi ha portato a rilasciare interviste e ad essere invitata in programmi Rai e riviste editoriali. Ma ho sentito che potevo fare di più quando mi è stata posta una domanda improvvisa: “Come si fa per adottare? A chi devo rivolgermi?”. Ho capito la gravità della situazione: molte persone non solo non conoscevano le storie di adozione, ma non sapevano nemmeno cosa fosse l’adozione. Nel 2023 ho deciso di fare un passo più grande fondando il primo giornale italiano sull’adozione e l’affido. In tre mesi, in piena estate, ho formato il mio team di partenza grazie a un annuncio sui social. Ho capito che per sensibilizzare al meglio sulla tematica dovevo unire professionisti nei campi legale, psicologico e assistenza sociale per rispondere ad ogni domanda dei nostri lettori e sensibilizzare su ogni aspetto. Ho disegnato il logo, creato le grafiche per i profili social, investito i miei risparmi nella creazione del sito web e in ulteriori passi avanti. In cinque mesi di lavoro incessante, ho realizzato il progetto e il 9 ottobre 2023 è nato AdoptLife. “Mamma, papà, per caso esiste un giornale sull’adozione in Italia?”, chiesi ai miei genitori. “No, non esiste”, mi risposero. “Bene, non so come si faccia, ma lo realizzo io”, risposi io. Ringrazio i miei genitori per aver tirato fuori il meglio di me, per avermi dato l’autostima, la cultura e soprattutto la continua forza. Devo ringraziare anche il mio team, che ha creduto nel progetto fin dalla nostra prima videochiamata, supportandomi in ogni mia idea, strategia di comunicazione e nella pubblicazione mensile della rivista. Senza di loro, l’inizio sarebbe stato sicuramente diverso. Non nego di aver sentito l’aiuto di qualche angelo del cielo, perché quando oggi, dopo quasi un anno, guardo il lavoro che continuo a portare avanti, mi chiedo sempre come sia riuscita senza avere titoli di studio in nessuna materia utile per il progetto. Poi ho capito che quando si agisce con il cuore si fa la differenza, e quando si combinano disciplina, valori e passione, si riesce a tirare fuori il meglio di sé stessi.

Sei riuscita a creare una comunità online molto attiva e solidale attraverso piattaforme come TikTok e Telegram. Quali sono le sfide più grandi che hai affrontato nel gestire questo spazio di condivisione e supporto? Come riesci a mantenere un equilibrio tra il supporto emotivo che offri agli altri e la tua salute mentale e benessere personale?

Su TikTok, mi sono impostata dei limiti. Pubblicavo un video e rientravo nell’app solo per caricarne un altro. I miei follower sapevano che se avessero desiderato un confronto o un supporto, avrebbero potuto rivolgersi al mio gruppo su Telegram. Dedico solo il fine settimana alla lettura dei commenti sotto ai miei video, prendendoli come spunto per la mia sensibilizzazione. Invece su Telegram, una delle sfide principali è stata gestire le aspettative e le emozioni dei ragazzi all’interno della community. Molti cercano sostegno emotivo e consigli, quindi è fondamentale essere presenti e rispondere in modo efficace per essere davvero d’aiuto. Per mantenere una presenza costante, ho avuto il supporto di due ragazze adottate che mi hanno aiutato a moderare il gruppo, e alle quali sono grata nonostante le delusioni ricevute in seguito. Ogni giorno si univano al gruppo sempre più ragazzi, ognuno con la propria storia e le proprie emozioni. Le storie di adozione sono tutte diverse e riconoscere le sfumature di ciascuna non è stato semplice. A volte scaturivano discussioni accese o addirittura offese. Altre volte, rimanevo sveglia di notte con le moderatrici per sostenere le ragazze più fragili. Questi momenti mi emozionano: spegnendo il telefono, mi rendevo conto di aver creato qualcosa di utile per gli altri. Inizialmente, gestire la mia emotività personale è stato difficile. I racconti altrui mi turbavano e trovare le parole giuste non era semplice, specialmente durante le videochiamate. Con il passare dei mesi, mi sono legata sempre di più ai ragazzi e il telefono ha cominciato a squillare anche per chiamate e consigli privati. Mi è stato attribuito anche il ruolo di “psicologa del gruppo”. Ho imparato a gestire le emozioni che mi trasmettevano: quando mi sento vulnerabile, spengo il telefono, faccio un respiro e lo riaccendo solo quando sono pronta. Grazie a questi ragazzi ho compreso che il dolore ci ha uniti: l’abbandono e la ricerca di comprensione hanno spinto molti a oltrepassare i confini del gruppo. Mi hanno ringraziato con canzoni, disegni e poesie, condividendo le loro emozioni. Molti di loro hanno raccontato la propria storia nel mio podcast. La cosa che mi ha rammaricato di più è stata l’atteggiamento ostile di alcuni ragazzi fin dal primo giorno, che, nonostante ciò, sono rimasti nel gruppo per screditarmi. Ho cercato di far loro capire che il gruppo era un luogo di apertura e supporto, ma ogni tentativo è stato vano. Questo ha contribuito a renderlo meno attivo. Nel frattempo, ho creato un gruppo per i genitori adottivi, dove molti si sono incontrati di persona, condividendo gioie e sfide dell’adozione. Sono felice di facilitare questi scambi. Alla fine, non tutti apprezzeranno il nostro impegno, ma l’importante è non smettere di farlo. Continuerò a offrire il mio aiuto fino all’ultimo battito, come ripeto spesso alle persone che mi seguono.

Il tuo podcast, “Storie di adozioni”, ha permesso a molti ragazzi adottati di condividere le loro esperienze personali. Qual è stata la storia che ti ha colpito di più e perché? Ci sono stati episodi in cui hai visto un cambiamento tangibile nella vita di qualcuno grazie alla piattaforma che hai creato?

Tutte le storie mi hanno toccato profondamente in modi diversi. Ognuna presenta aspetti unici e scoprirle è stato commovente. Ci sono ragazzi che hanno vissuto in orfanotrofio come me e quindi comprendono pienamente la mia esperienza, essendo passati attraverso eventi simili. Altri non ricordano molto del loro passato, ma condividono comunque con me le difficoltà dell’adattamento dopo l’adozione, nel relazionarsi e soprattutto nell’essere accettati. Viviamo in una società che non cambia, il che ha portato me e i miei ragazzi ad affrontare le stesse difficoltà. Tuttavia, le modalità di affrontarle sono diverse: alcuni hanno avuto genitori più assenti, mentre altri il contrario. Purtroppo, quando non c’è un adeguato sostegno verso i figli, ciò che accade loro può diventare un peso che decidono di portare da soli, facendoli sentire ancora più soli. “Mi sento nuovamente abbandonata”, sono parole che non dimenticherò mai, dette da una ragazza del gruppo. Tra tutte le storie raccontate, una in particolare ha colpito profondamente me e gli ascoltatori: quella di un ragazzo di nome Luca. Due mesi dopo la pubblicazione del podcast, Luca è stato contattato dalle sue sorelle e ha poi incontrato il suo papà adottivo. Conservo ancora il messaggio che mi ha mandato. Sapere che il podcast ha aiutato Luca e la sua famiglia a ritrovarsi è una gioia immensa e mi motiva a continuare a promuoverlo. Spero di riuscire presto a incoraggiare molti altri ragazzi a condividere la propria esperienza e a far loro capire che insieme possiamo fare la differenza, evitando che altri bambini debbano subire ciò che abbiamo dovuto affrontare noi. L’unione fa la forza e io sono qui per dare una mano a tutti loro.

Hai parlato spesso della necessità di riformare le leggi italiane sull’adozione, evidenziando le difficoltà burocratiche e i lunghi tempi di attesa. Quali specifiche modifiche ritieni fondamentali per migliorare il processo adottivo e renderlo più accessibile e giusto? Hai avuto contatti con legislatori o istituzioni per promuovere questi cambiamenti?

L’adozione è un argomento profondo che richiede attenzione alle necessità dei bambini e a un processo equo ed efficiente per tutti i soggetti coinvolti. Per migliorare le leggi italiane sull’adozione e renderle più accessibili, occorre considerare diverse modifiche cruciali: semplificare e accelerare i procedimenti burocratici senza compromettere la sicurezza e il benessere del bambino adottato. I lunghi tempi di attesa spesso derivano da complessità burocratiche e procedure internazionali, che potrebbero essere riviste per garantire tempi più brevi senza compromettere la sicurezza dei bambini, assicurando loro di trovare presto una famiglia amorevole. È essenziale anche definire chiaramente i requisiti per i genitori adottivi e i criteri di selezione, bilanciando rigorosi standard con un accesso equo all’adozione. Il supporto post-adozione è altrettanto cruciale: garantire un sostegno adeguato sia ai bambini adottati che alle famiglie adottive può migliorare il loro adattamento e ridurre rischi di problematiche post-adozione, come ad esempio l’interruzione dei percorsi di adozione che riporta il bambino in uno stato di abbandono, situazione inaccettabile. Un altro aspetto da considerare è l’adozione piena per le coppie single e coppie LGBTQ+. Il principio dell’affidamento deve essere tutelato, evitando che un bambino venga strappato dalle braccia di chi lo ha accolto a casa propria solo perché la famiglia biologica si manifesta nuovamente. Il benessere del bambino è prioritario, e cambiamenti legislativi devono proteggere questo principio. Per quanto riguarda il coinvolgimento con legislatori e istituzioni, è fondamentale il dialogo per sensibilizzare e promuovere riforme legislative necessarie. La collaborazione con legislatori, ONG e altre istituzioni può essere determinante nel portare avanti proposte concrete di cambiamento, e personalmente sarei interessata a contribuire attivamente in questo ambito al momento opportuno.

Nonostante le difficoltà iniziali, sei riuscita a costruire una carriera accademica brillante e stai per laurearti in Scienze Biologiche. Come pensi di integrare il tuo background personale e le tue esperienze di vita con il tuo futuro professionale nel campo della ricerca scientifica, specialmente in progetti legati alla lotta contro i tumori?

Le difficoltà iniziali che ho affrontato mi hanno insegnato resilienza, determinazione e l’importanza di non arrendersi mai. La scelta di studiare Biologia è stata ben ponderata. Fin da piccola ho nutrito il desiderio di aiutare gli altri, soprattutto quando vedevo bambini accanto a me soffrire. Ricordo vividamente una volta in cui un mio compagno di classe è entrato camminando con la testa rivolta verso il pavimento e la schiena curva, una scena che mi ha profondamente colpita. Quando sono stata adottata, mi sono ripromessa di studiare con impegno affinché la mia educazione potesse essere un aiuto concreto per gli altri. Sono felicissima che il giorno della mia laurea si stia avvicinando e sono orgogliosa di aver già dato un contributo significativo come collaboratrice scientifica nel campo della ricerca oncologica, con un progetto recentemente diventato globale e pubblicato su riviste come Springer Journals; è stato un momento emozionante. Nel campo oncologico, intendo concentrarmi su ulteriori progetti che possano contribuire concretamente alla comprensione dei meccanismi biologici alla base della formazione e della diffusione dei tumori. Desidero esplorare le possibilità di sviluppare nuove terapie o migliorare quelle esistenti, utilizzando approcci innovativi e multidisciplinari. Non vedo l’ora di contribuire ancora di più.

La tua storia è seguita da molte persone sui social media, ma hai anche ricevuto critiche e dubbi sulla veridicità dei tuoi racconti. Come rispondi a chi mette in discussione la tua esperienza? Quali strategie utilizzi per affrontare e gestire le critiche negative e mantenere la tua integrità e il tuo messaggio positivo?

Come accennato nelle risposte precedenti, è stato emotivamente complicato gestire le prime critiche. Con il tempo, ho imparato a trasformarle in opportunità di discussione per far comprendere il mio messaggio, soprattutto per sensibilizzare sul fatto che esistono storie che nessuno racconta per timore di essere giudicati, e chi decide di farlo merita il nostro sostegno per il grande coraggio dimostrato.

Sono felice di condividere ulteriormente una breve guida su come affronto le critiche:
1. Trasformare le critiche in discussione: accolgo le critiche come opportunità per spiegare meglio la mia esperienza e il mio punto di vista. Cerco di educare e informare le persone sulle sfumature e le complessità della mia storia, incoraggiando una conversazione costruttiva.
2. Mantenere il focus sul messaggio principale: mi concentro sempre sul motivo per cui ho deciso di condividere la mia storia. Mantenere il focus sul messaggio di speranza, coraggio o consapevolezza che voglio trasmettere ai miei follower è essenziale per me.
3. Rispondere con calma e rispetto: quando rispondo alle critiche, lo faccio con calma e rispetto. Evito polemiche e cerco di comunicare in modo chiaro e pacato, anche quando le critiche sono sfavorevoli.
4. Cercare il sostegno delle persone che comprendono: trovo conforto nel sostegno delle persone che capiscono e condividono le mie esperienze o il mio messaggio. Questo mi aiuta a mantenere la fiducia nel mio percorso e nel mio intento di sensibilizzare gli altri.
5. Non lasciare che le critiche mi scoraggino: è importante non permettere alle critiche negative di minare la mia determinazione o la mia fiducia nel mio racconto. Continuo a essere autentica e a condividere la mia storia con la consapevolezza che può ispirare e aiutare gli altri.

L’apertura del gruppo Telegram “Noi siamo una famiglia” è stata un’iniziativa molto apprezzata. Quali sono gli obiettivi a lungo termine di questo gruppo e come intendi raggiungerli? Quali attività o progetti specifici hai pianificato per supportare ulteriormente i membri della comunità?

Nell’ultimo periodo, a seguito di vari gravi eventi accaduti, tra cui denunce tra due membri del gruppo, ho preso una pausa per capire come impedire che i membri, anziché unirsi per solidarietà, si uniscano per manifestare il proprio dolore senza considerare quello degli altri. Non intendo assolutamente abbandonare i miei ragazzi, ma tengo molto a offrire loro un posto sicuro e amorevole, cosa che, nel corso dell’ultimo anno, a causa di alcuni membri, si è persa. Questo mi ha fatto stare molto male, soprattutto perché sono stati proprio quei ragazzi che stavo aiutando di più o che ho abbracciato unendo le nostre braccia. Quando sarò pronta a offrire nuovamente sicurezza e un ambiente tranquillo, sarò più che felice di creare iniziative che vadano oltre il digitale, come incontri faccia a faccia e attività di gruppo che favoriscano la comunicazione aperta e il reciproco rispetto. Vorrei promuovere un clima di fiducia e comprensione reciproca tra tutti i membri, incoraggiando la solidarietà e la collaborazione anziché la divisione. Sarà importante per me stabilire nuove regole e linee guida che assicurino il rispetto reciproco e il benessere di ogni membro del gruppo, in modo che possiamo essere una famiglia.

La tua relazione con la tua famiglia adottiva è stata un pilastro fondamentale nella tua vita. Quali valori e insegnamenti ti hanno trasmesso i tuoi genitori adottivi che ritieni essenziali nel tuo percorso di vita e nella tua missione di supportare gli altri? Puoi condividere qualche aneddoto o momento speciale che ha rafforzato questo legame?

Mi ricollego subito all’ultima domanda. C’è stato un episodio che mi ha fatto comprendere quanto bene mi vogliano i miei genitori. Un giorno mi buttai a terra e presi a pugni il pavimento. Continuavo a ricevere messaggi di minacce da parte dei miei parenti biologici, come per esempio: “Quando farai 18 anni verremo ad Agropoli e ti porteremo via”, motivo per cui insistei, senza dare troppe spiegazioni, ai miei genitori di festeggiare i miei diciotto anni lontano, e scegliemmo Firenze. È stato un giorno abbastanza difficile perché mi sentivo come se qualcuno volesse strapparmi dalla mia famiglia, ma poi lo dissi ai miei genitori e loro mi rassicurarono dicendo che non c’era bisogno di andare lontano, che comunque mi avrebbero protetta. Giorni prima, però, ebbi un forte crollo emotivo e iniziai a urlare forte. Provai un bruciore interiore indescrivibile, ma in quell’urlo si buttarono a terra anche i miei genitori e mia sorella e iniziammo a piangere insieme. Questa è una di quelle domande in cui scoppio sempre a piangere, come in questo esatto momento, perché quell’amore ricevuto in quelle urla ha sostituito tutto l’amore mancato nell’infanzia. Mi sono sentita davvero parte di una famiglia, mi sono sentita a casa. Sebbene il motivo di quella mia reazione l’abbia confessato dopo, i miei genitori hanno compreso che stavo soffrendo e si sono presi il mio dolore. Iniziai anche a parlare anni prima della mia storia, cosa che ci ha legato subito, ma questo accaduto ci ha resi un tutt’uno. Grazie a loro ho capito che l’amore guarisce ogni tipo di ferita, che il rispetto per se stessi e per gli altri è fondamentale, che la sensibilità e l’empatia non devono mai mancare e soprattutto che non c’è bene più grande della propria famiglia. Grazie a loro ho compreso la mia storia, ne ho fatto la mia forza, non provo più alcun rimorso perché ho esplorato ogni mancanza e ho cercato le risposte. Non odio i miei genitori biologici, anzi, li ringrazio, perché hanno acconsentito alla mia adozione, mi hanno dato la possibilità di vivere una vita felice, anziché riportarmi indietro. Ho compreso le difficoltà che avevano e la sopravvivenza attuata. Non è colpa di nessuno. Ogni vita inizia diversamente e la mia è iniziata con una cicatrice nel cuore, ma l’essere umano non è nato per soffrire e la stessa vita cerca di rimediare o di indirizzarti verso la strada giusta. I tempi di attesa, i documenti infiniti, i momenti di sconforto, le notti insonni, vengono trasformati un giorno in amore e ogni sforzo diventa solo un ricordo di una meravigliosa vittoria.

Recentemente hai lanciato il magazine digitale “AdoptLife”, che si propone di affrontare vari aspetti dell’adozione. Quali temi principali vengono trattati nella rivista e quali sono le tue aspettative per il suo impatto sulla società e sulle famiglie adottive? Come vedi il futuro di “AdoptLife” e quali sono i prossimi passi per far crescere questa iniziativa?

AdoptLife nasce su tre pilastri fondamentali: notizie, storie e risorse. Va oltre un semplice giornale; come dico spesso, è un punto di riferimento sull’adozione. Affrontiamo ogni aspetto dell’adozione così come dell’affido, con l’obiettivo di fornire una panoramica completa e approfondita su questi temi complessi e delicati. Nella sezione notizie, pubblichiamo aggiornamenti sugli sviluppi legislativi riguardanti l’adozione e l’affido, sia a livello nazionale che internazionale. Informiamo i nostri lettori su eventi, conferenze e seminari dedicati all’adozione, così come su iniziative di enti e associazioni che operano nel settore. La nostra missione è garantire che chiunque sia interessato all’adozione o all’affido sia sempre aggiornato e informato sulle ultime novità. Le storie personali sono il cuore pulsante di AdoptLife. Condividiamo testimonianze di adozione nazionale ed internazionale, racconti che mettono in luce le sfide e le gioie di chi vive questa esperienza. Queste storie non solo ispirano, ma aiutano anche a creare una maggiore consapevolezza e comprensione delle diverse dinamiche familiari. Offriamo risorse pratiche per chiunque sia coinvolto o interessato nell’adozione e nell’affido. Queste includono guide sugli aspetti psicologici e legali dell’adozione, consigli per affrontare le varie fasi del processo adottivo, e strumenti per la gestione delle sfide quotidiane. Inoltre, abbiamo rubriche culturali che trattano di libri, film e giochi legati all’adozione e all’infanzia. Questo approccio aiuta a normalizzare e integrare il discorso sull’adozione nella cultura popolare, rendendolo più accessibile e meno stigmatizzato. I consigli dei miei genitori adottivi sono particolarmente preziosi, offrendo una prospettiva diretta e pratica su come gestire le diverse situazioni. Spieghiamo il significato dell’adozione anche attraverso il gossip, mettendo in luce i pensieri dei personaggi noti sul tema. Di recente, abbiamo aperto uno sportello online per fornire supporto immediato a chi ne ha bisogno. Questo servizio è nato dall’esperienza maturata assistendo coppie nello scegliere l’ente per adottare, spiegando il percorso e aiutando i ragazzi nella ricerca delle origini. Il nostro sportello è una risorsa vitale per chi cerca risposte, consulenze o semplicemente una parola di conforto. Uno dei nostri obiettivi principali è affrontare e smantellare i pregiudizi legati all’adozione e all’affido. Attraverso articoli, testimonianze e risorse educative, cerchiamo di promuovere una maggiore comprensione e accettazione di queste pratiche. Vogliamo che la società veda l’adozione e l’affido non come ultime risorse, ma come scelte valide e amorevoli per costruire una famiglia. Per il futuro di AdoptLife, spero di trasformarlo in un magazine cartaceo disponibile mensilmente in tutte le edicole italiane e anche in altri paesi europei. Attualmente, non esiste a livello europeo un giornale sull’adozione e sull’affido, e vogliamo colmare questo vuoto. Continuando a lavorare attraverso le piattaforme social, apriremo ulteriori rubriche e selezioneremo nuove voci, affinché più professionisti possano contribuire con la propria esperienza a una buona cultura e educazione. L’obiettivo è creare una rete di supporto internazionale, dove le migliori pratiche e le storie ispiratrici possano essere condivise e celebrate. AdoptLife è più di un semplice progetto; è una missione. Vogliamo che ogni bambino abbia una famiglia amorevole e che ogni famiglia che decide di adottare o affidare possa farlo con tutte le informazioni, il supporto e le risorse necessarie. Crediamo che l’amore guarisca ogni ferita e che, con la giusta guida e comprensione, ogni storia di adozione possa diventare una storia di successo e di amore incondizionato.

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Animato da un’indomabile passione per il giornalismo, Junior ha trasceso il semplice ruolo di giornalista per intraprendere l’avventura di fondare la sua propria testata, Sbircia la Notizia Magazine, nel 2020. Oltre ad essere l’editore, riveste anche il ruolo cruciale di direttore responsabile, incarnando una visione editoriale innovativa e guidando una squadra di talenti verso il vertice del giornalismo. La sua capacità di indirizzare il dibattito pubblico e di influenzare l’opinione è un testamento alla sua leadership e al suo acume nel campo dei media.

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Attualità

Il grande schermo a febbraio 2025: tra emozioni,...

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Febbraio 2025 è alle porte, portando con sé una ventata di novità cinematografiche per tutti i gusti. Dalle grandi produzioni americane ai film d’autore, passando per il cinema d’animazione e le commedie italiane, questo mese si preannuncia variegato e coinvolgente. Scopriamo insieme cosa ci riservano le sale italiane nelle prossime settimane.

Uno sguardo d’insieme: la tradizione di febbraio

Prima di addentrarci nei singoli titoli, è utile sottolineare come il mese di febbraio abbia acquisito, negli anni, un proprio valore strategico per le case di distribuzione. Pur restando un periodo generalmente meno concorrenziale rispetto al “boom” delle feste e ai blockbuster estivi, febbraio si colloca tra i nuovi cicli d’uscita a cavallo tra l’inizio dell’anno e il periodo primaverile. Questa finestra diventa quindi la piattaforma di lancio ideale per film di vario genere: i thriller o i polizieschi adrenalinici, spesso la commedia legata a San Valentino, i titoli che puntano agli Oscar (con cerimonia solitamente tra fine febbraio e inizio marzo) e i lungometraggi d’autore di ritorno dai festival invernali.

In Italia, poi, febbraio rappresenta anche il mese in cui si avvia la distribuzione di alcuni dei film più acclamati o chiacchierati ai festival di gennaio, come il Sundance e in parallelo può capitare che qualche pellicola – forte delle nomination agli Oscar – trovi spazio per cavalcare il successo critico e la curiosità del pubblico.

Produzioni americane di alto profilo

“Captain America: Brave New World” (Marvel Studios)

Data di uscita italiana: 12 febbraio 2025

“Captain America: Brave New World”. Già solo il titolo ti fa venire voglia di scoprire cosa succederà. Questa volta, lo scudo di vibranio non è più nelle mani di Steve Rogers. No, quella parte della storia si è chiusa. Ora c’è Sam Wilson, interpretato da Anthony Mackie, a portare avanti l’eredità. E diciamocelo, la pressione deve essere enorme.

Il film è diretto da Julius Onah, un regista che non ha paura di sperimentare. Ricordate “The Cloverfield Paradox”? Beh, questa volta si cimenta con uno dei personaggi più simbolici del Marvel Cinematic Universe. E poi c’è Harrison Ford. Sì, proprio lui. L’uomo che ha fatto la storia del cinema torna nei panni di Thaddeus “Thunderbolt” Ross. Sarà diverso, sarà nuovo, sarà potente. Ford porta con sé una gravità e una presenza che faranno scintille, soprattutto ora che il suo personaggio è destinato a giocare un ruolo centrale nel futuro dell’MCU.

Ma cosa aspettarsi davvero? Tensione geopolitica, intrighi, e quel sapore di thriller politico che abbiamo amato in “The Winter Soldier”. Questo non è un film che si limita all’azione. È una riflessione su cosa significhi essere un simbolo, su come portare il peso di un mondo che cambia sotto i tuoi piedi. Il tutto condito con un cast che promette di tenere incollati alla poltrona. Ford, Mackie, Liv Tyler e Tim Blake Nelson sono solo alcuni dei nomi che rendono questo film imperdibile. Preparati: “Captain America: Brave New World” non sarà solo un film, sarà un’esperienza che, se fatta bene, ci farà parlare per anni.

“The Brutalist” di Brady Corbet

Data di uscita italiana: 6 febbraio 2025

“The Brutalist”. Cavolo, che titolo, vero? Non ti prepara a qualcosa di semplice o leggero. Questo è uno di quei film che ti costringe a sederti, stare lì per ore – tre e mezza, per essere precisi – e affrontare una storia che ti resterà dentro, piaccia o no. Dietro la macchina da presa c’è Brady Corbet, un regista giovane, con un talento quasi spaventoso per catturare l’essenza della fragilità umana. Hai visto “Vox Lux”? Allora sai già che Brady non scherza.

E di cosa parla? Beh, è un viaggio. Un architetto europeo fugge dai fantasmi del dopoguerra e cerca di ricominciare tutto negli Stati Uniti. Ma puoi davvero fuggire dal passato? Puoi davvero chiudere la porta e lasciarti tutto alle spalle? Corbet sembra volerci dire che no, il passato ti segue, ti scava dentro, si nasconde tra le pieghe di una vita nuova. Anche quando provi a coprirlo con strati di cemento, con architetture perfette. E lui, il protagonista, lo vive sulla pelle.

E quelle tre ore e mezza? Sì, è lungo, lunghissimo. Ma sai, ci sono storie che non puoi comprimere. Ci sono emozioni che hanno bisogno di spazio per respirare, per stratificarsi. “The Brutalist” non è un film per tutti, questo è chiaro. Ma se ti piace un cinema che ti tormenta, che ti fa pensare, che ti accompagna nei giorni successivi, allora questo potrebbe essere il film che aspettavi. Un film che non guardi e basta: lo vivi.

La storia? È un viaggio. Un architetto europeo scappa dal caos del dopoguerra e si rifugia negli Stati Uniti, inseguendo un sogno di rinascita. Ma puoi davvero lasciarti tutto alle spalle? Puoi davvero cancellare il passato? Questo film sembra dirci di no, che il passato ti segue, si insinua nelle pieghe della tua vita nuova, anche quando cerchi di seppellirlo sotto strati di cemento e architetture perfette.

  • Cast: Non ancora del tutto rivelato, ma nelle note di produzione emergono nomi di attori di grande prestigio. La presenza di Jude Law era inizialmente vociferata, ma manca la conferma definitiva. Eppure il film ha già generato molto interesse nei circuiti festivalieri.
  • Aspettative: Chi ama il cinema d’autore, con ritmi dilatati e riflessioni sul dopoguerra, sull’identità e sull’arte, troverà in “The Brutalist” un progetto affascinante. La matrice storica e sociale, unita a un’estetica impeccabile, potrebbe catturare non soltanto i cinefili ma anche chi desidera un’opera visivamente e narrativamente potente.

Anime, cinema orientale e riedizioni

“Let Me Eat Your Pancreas”

Data di uscita italiana: 3 febbraio 2025

Hai mai sentito un titolo più strano? “Let Me Eat Your Pancreas”. Lo leggi e pensi: “Ma di che diavolo parla?”. Poi scopri che è un film giapponese, un dramma romantico diretto da Shô Tsukikawa e qualcosa cambia. Ti incuriosisce, ti attira. Sai già che non sarà un film facile, di quelli che dimentichi appena esci dalla sala.

La trama è di quelle che ti spezzano. C’è un ragazzo, timido, chiuso in se stesso e una compagna di classe con un segreto che pesa come un macigno: è gravemente malata. Eppure, tra loro nasce qualcosa. Un’amicizia? Qualcosa di più? È difficile dirlo, ma quel legame li porterà a guardare in faccia la vita e la morte con una dolcezza e una profondità che ti lasciano senza fiato. Non c’è spazio per la superficialità qui: ogni scena, ogni dialogo, ti fa sentire qualcosa.

E poi, questa riedizione nelle nostre sale. Perché proprio adesso? Probabilmente perché il pubblico italiano sta imparando ad amare sempre di più il cinema giapponese, non solo quello d’animazione. “Let Me Eat Your Pancreas” è un film per chi cerca storie che toccano l’anima, per chi vuole uscire dal cinema con il cuore un po’ più pesante, ma anche un po’ più pieno. Un consiglio? Portati i fazzoletti. E preparati a sentirti vivo.

“Hello! Spank – Il Film – Le pene d’Amore di Spank”

Data di uscita italiana: 13 febbraio 2025

I più nostalgici degli anni ‘80 e ‘90 avranno una certa familiarità con “Hello! Spank”, popolarissima serie anime che in Italia ha avuto un discreto passaggio in TV. “Le pene d’Amore di Spank” è un lungometraggio animato del 1982, diretto da Shigetsugu Yoshida, e ora riproposto nelle sale in edizione rimasterizzata.

  • Perché vederlo: Spank e la sua padroncina Aiko ci riportano a un periodo in cui l’animazione era caratterizzata da tematiche semplici e genuine: l’amicizia, l’aiuto reciproco, le piccole malinconie e gioie quotidiane. È un tuffo nella nostalgia per chi è cresciuto con queste serie, e un’occasione per i più giovani di scoprire un classico che parla di amore e affetti in modo delicato.
  • Target: Genitori con figli, appassionati di anime vintage, amanti di quella particolare estetica anni ‘80. Un titolo che non punta ai grandi incassi ma arricchisce la programmazione con una perla d’altri tempi.

Film d’autore italiani: tra documentari e commedie

“Pellizza – Pittore da Volpedo”

Data di uscita italiana: 4 febbraio 2025

Un documentario su Pellizza da Volpedo? Finalmente! Non capita spesso di vedere la vita di artisti come lui raccontata sul grande schermo. È un progetto ambizioso, questo di Francesco Fei, che si concentra su uno dei pittori più affascinanti e diciamolo, troppo spesso ignorati della nostra storia: Giuseppe Pellizza da Volpedo, il genio dietro quel capolavoro immortale che è “Il Quarto Stato”.

Ma di cosa si parla, esattamente? Di arte, certo, ma anche di vita. Di lotte, di ideali, di un’Italia che stava cambiando. Fei promette di portarci non solo nel mondo di Pellizza, ma anche nel suo tempo, con interviste a storici dell’arte, immagini delle sue opere più iconiche e persino materiale d’archivio che ci farà vedere questo artista sotto una luce nuova. “Il Quarto Stato”, con quelle figure che avanzano fiere, rappresenta molto più di un quadro: è un simbolo. Di resistenza, di speranza, di futuro.

Perché vale la pena vederlo? Perché in un panorama dove si parla sempre di Michelangelo, Leonardo o Caravaggio, Pellizza merita uno spazio tutto suo. Perché ci racconta un pezzo di storia che è tanto nostro quanto universale. E poi, diciamocelo, immergersi nei colori e nelle emozioni della sua pittura su un grande schermo è un’esperienza che può toccare il cuore anche dei meno appassionati di arte. Un viaggio che ci ricorda chi siamo e da dove veniamo.

“Fatti vedere”

Data di uscita italiana: 6 febbraio 2025

“Fatti vedere” è una commedia italiana del 2024, diretta da Tiziano Russo, con protagonisti Matilde Gioli e Pierpaolo Spollon.

  • Trama: Anche se la sinossi ufficiale è ancora stringata, sappiamo che la storia segue le vicende di una giovane donna alle prese con le sfide quotidiane: lavoro precario, questioni sentimentali, la difficoltà di credere in se stessa. Il tutto con il taglio scanzonato e un po’ dissacrante tipico di una certa commedia italiana contemporanea.
  • Interesse: Gli interpreti sono volti apprezzati in TV (pensiamo a fiction e serie di successo), quindi ci si aspetta un certo seguito anche nelle sale. La regia di Tiziano Russo potrebbe dare ritmo e originalità.

“Diva futura”

Data di uscita italiana: 6 febbraio 2025

Un altro dramma italiano, affidato alle cure di Giulia Louise Steigerwalt (già sceneggiatrice di pellicole premiate come “Come un gatto in tangenziale” o “Croce e Delizia”) e con protagonisti Denise Capezza e Pietro Castellitto.

  • Temi: L’ascesa di una giovane donna nel mondo dello spettacolo e della moda, con riflessioni sulla competizione, la mercificazione del corpo e il rapporto tra talento e immagine. Potrebbe rivelarsi un film graffiante e attuale, in grado di mettere in discussione i cliché del jet set.

Uscite fantasy e fantascienza

“Vampira umanista cerca suicida consenziente”

Data di uscita italiana: 4 febbraio 2025

Dal titolo bizzarro e provocatorio, questa commedia drammatica e fantastica diretta da Ariane Louis-Seize (produzione del 2023) è, almeno sulla carta, un’opera che mescola ironia e macabro, ponendo al centro una vampira con inclinazioni… “umaniste”.

  • Trama: L’eterna ricerca di sangue del vampiro, qui ribaltata dalla volontà di non provocare sofferenza, conduce la protagonista a cercare un suicida che consenta volontariamente a lei di cibarsi.
  • Perché intrigante: Il soggetto è al contempo dark e paradossale, e potrebbe avere un risvolto filosofico tutt’altro che banale, riflettendo su temi come la vita, la morte, il libero arbitrio e l’amore. Un piccolo film di nicchia, forse, ma che potrebbe sorprendere un pubblico curioso.

Uscite del 13 febbraio: tra arte, nostalgia e novità

“Queer” di Luca Guadagnino

Data di uscita italiana: 13 febbraio 2025

Hai mai provato quella sensazione strana, quasi scomoda, di essere osservato dritto nell’anima? Ecco, questo è “Queer”. Non è un film che ti accompagna dolcemente, è uno specchio spietato. Ti mette davanti quello che sei. O quello che hai paura di essere. Luca Guadagnino, con quel suo tocco unico, prende il romanzo di William S. Burroughs e lo trasforma in un viaggio. Sì, un viaggio. Crudo, disarmante. Ti scuote, ti fa a pezzi e poi prova a rimetterti insieme. E ci riesce? Forse. Forse no. Ma è questo il punto.

E tu stai lì, inerme. A guardare una storia che non è solo una storia, ma un pugno nello stomaco. Guadagnino non si limita a raccontare, lui ti trascina dentro. Ogni immagine è densa, viva. Ti fa male. Ma poi, in qualche modo, ti fa bene. Questo è “Queer”. E credimi, non è per tutti. Ma per chi si lascia trasportare, sarà indimenticabile.

Poi c’è Daniel Craig. Scordatelo in smoking, scordatelo agente segreto. Qui è un uomo distrutto, perso, che vaga in un Messico infuocato dagli anni ’50, cercando risposte che forse nemmeno esistono. Lo senti addosso quel peso, quella rabbia, quella disperazione. Ti entra dentro e non ti lascia più.

Guadagnino ti trascina, ti avvolge. Ogni scena è un frammento di qualcosa di più grande: i colori saturi, le luci che raccontano più delle parole, le atmosfere che ti fanno sentire fuori posto e incredibilmente a casa allo stesso tempo. Queer non è facile, non è comodo. Ma proprio per questo è necessario.

  • Cast: Si parla di Daniel Craig nel ruolo del personaggio principale, che si muove tra Messico e Stati Uniti alla ricerca della propria identità sessuale in un’epoca (anni ‘50) densa di pregiudizi. L’ufficialità della presenza di Craig è arrivata nel 2024 e ciò ha scatenato l’interesse di critica e pubblico.
  • Aspettative: Guadagnino è noto per il suo tocco elegante, che risalta la sensualità delle location e la complessità dei personaggi. Ha già dimostrato di saper trasporre opere letterarie con sensibilità (“Chiamami col tuo nome” ne è un esempio illustre). “Queer” promette di essere un viaggio introspettivo, probabilmente non privo di tensione emotiva.

“Tornando a Est”

Data di uscita italiana: 13 febbraio 2025

Dopo “Est – Dittatura Last Minute” (2020), il regista Antonio Pisu prosegue la narrazione con “Tornando a Est”, film ambientato nel 1991 e incentrato su tre amici che intraprendono un viaggio verso la Bulgaria post-comunista.

  • Perché vederlo: La pellicola precedente aveva raccolto buoni consensi, mescolando commedia e riflessione storica. Questo sequel punta a raccontare un’altra tappa della transizione dell’Est Europa dopo la caduta del Muro di Berlino. Un mix di nostalgia, ironia e accenni alle reali condizioni socio-politiche dell’epoca.

Altri possibili highlight

I re-show e i festival

Non dimentichiamo che in questo periodo arrivano spesso riedizioni di film classici o proiezioni-evento legate al San Valentino e al Carnevale. Alcune sale potrebbero programmare retrospettive su registi di spicco, o addirittura riportare in sala pellicole recentissime che hanno ricevuto nomination agli Oscar (la cerimonia di premiazione si terrà tra fine febbraio e inizio marzo 2025).

Inoltre, la Berlinale (Festival di Berlino) comincia proprio a febbraio: è possibile che alcuni film vincitori o presentati in anteprima possano essere acquistati e distribuiti in Italia entro la fine del mese, pur essendo una tempistica stretta. Più verosimile che alcuni dei titoli di maggior spicco alla Berlinale siano annunciati per marzo-aprile.

Analisi e riflessioni

Guardando al quadro complessivo, emerge come febbraio 2025 sia un mese capace di offrire una significativa varietà di generi:

  • Action e supereroi: “Captain America: Brave New World” è sicuramente il colosso di riferimento, destinato a dominare il box office, almeno per il pubblico mainstream amante dell’MCU.
  • Cinema d’autore/drammatico: “The Brutalist” di Brady Corbet, “Queer” di Luca Guadagnino, i film italiani come “Diva futura” e “Fatti vedere” alimentano la programmazione “adulta”, orientata a spettatori in cerca di storie più intime o di riflessione.
  • Anime e live action giapponesi: “Let Me Eat Your Pancreas” e il recupero di “Hello! Spank – Il Film” dimostrano che l’animazione e le storie nipponiche (drammatiche o leggere) trovano sempre più spazio e attenzione.
  • Documentari e commedie italiane: “Pellizza – Pittore da Volpedo” si rivolge a un pubblico che apprezza il racconto dell’arte e della storia; “Tornando a Est” e “Vampira umanista cerca suicida consenziente” strizzano l’occhio a chi ama sperimentare generi ibridi o storie particolari.

Il ruolo della tecnologia e delle piattaforme

Non va dimenticato che, accanto alle uscite in sala, in Italia esiste un mercato streaming sempre più incisivo che spesso rischia di erodere i potenziali incassi cinematografici, specie per i film di nicchia o dal budget ridotto. Tuttavia, grazie a un inizio d’anno privo di colossi natalizi, febbraio potrebbe essere un momento favorevole per dare spazio in sala a opere che altrimenti avrebbero poca visibilità.

L’esperienza condivisa del grande schermo, unita a uscite variegate, rende febbraio 2025 un mese potenzialmente ricco di soddisfazioni per gli amanti del cinema. Inoltre, il pubblico italiano si sta lentamente riabituando a frequentare le sale con una certa costanza dopo la forte decrescita di presenze che c’è stata nel periodo 2020-2021.

Consigli pratici

  • Prenotazioni: Alcune pellicole come “Captain America: Brave New World” o “Queer” di Luca Guadagnino potrebbero richiamare grande afflusso di pubblico nella prima settimana di programmazione, quindi conviene pianificare in anticipo la visione, specialmente nei cinema di città medio-grandi.
  • Ricerche prima di andare al cinema: Per opere più di nicchia – ad esempio “Vampira umanista cerca suicida consenziente” – conviene verificare in quali sale verrà effettivamente proiettato. In alcune regioni, potrà essere relegato a circuiti d’essai o a cinema specializzati.
  • Open mind: Se desiderate sperimentare cinema nuovo e non convenzionale, febbraio si presta a scoperte interessanti. Il mese si configura come un “ponte” tra l’eredità delle feste e la primavera; spesso le sorprese più gradevoli si nascondono in film che non hanno ricevuto campagna promozionale massiccia.

Febbraio al cinema: il mese dell’emozione e della scoperta

Siamo quindi alla vigilia di un febbraio 2025 che, dal punto di vista cinematografico, appare florido di spunti per tutti i gusti. La programmazione spazia dai blockbuster mainstream alle pellicole d’animazione giapponese, passando per i documentari d’arte e le storie più sperimentali. A risaltare su tutte è senza dubbio “Captain America: Brave New World”, che – come da tradizione MCU – diventerà probabilmente l’epicentro della curiosità generale. Tuttavia, sarebbe un peccato considerare il mese di febbraio limitatamente a quest’unica uscita: i veri appassionati potrebbero trovare storie in grado di sorprendere in pellicole meno blasonate, ma non per questo meno meritevoli.

D’altro canto, la presenza di lavori come “Queer” di Luca Guadagnino e “The Brutalist” di Brady Corbet indica che ci sarà di che discutere e confrontarsi anche nei circoli cinefili più esigenti. Non mancano gli appuntamenti per chi cerca commedie leggere (“Fatti vedere”) o documentari di spessore (“Pellizza – Pittore da Volpedo”).

Il nostro suggerimento è di tenere d’occhio la programmazione e cogliere l’occasione di una pausa invernale per gustarsi il buio della sala: sia che siate fan di supereroi, sia che preferiate i toni più autoriali o le storie romantiche, la scelta non vi mancherà. D’altronde, febbraio è anche il mese dell’amore: chissà che il cinema non diventi una bellissima occasione per un appuntamento speciale, o per regalarsi un momento di svago dopo il lungo letargo post-natalizio.

Che siate cinefili incalliti o spettatori occasionali, preparatevi: febbraio 2025 è alle porte e con esso, un’offerta variegata che aspetta solo di essere esplorata. Buona visione e buon divertimento in sala, dunque, sperando di vivere un mese di sorprese, emozioni e grandi storie proiettate sul grande schermo.

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Attualità

Metropolitan di Napoli, addio a una leggenda: e adesso?

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Metropolitan di Napoli, addio a una leggenda: e adesso?

Certe volte, quando parliamo di una chiusura, usiamo termini che sembrano routine: fine di un’era, porta che si chiude, capitolo concluso. Ma, in questo caso, non è solo un’espressione di circostanza. Dal 15 gennaio 2025, uno spazio che faceva parte dell’identità stessa di Napoli – il Cinema Metropolitan, affacciato su via Chiaia – non esiste più. Giù la saracinesca, dentro il buio. E fuori, un senso di vuoto che si avverte come un colpo allo stomaco.

È un peso che non nasce solo dalla nostalgia ma dalla consapevolezza che se ne va un baluardo della cultura cittadina. Proviamo a tirare insieme i fili di questa storia, ricostruendo il passato e guardando in faccia un presente carico di incognite, con la speranza che il futuro non sia soltanto un freddo ricordo di un glorioso multisala.

Un simbolo che supera la soglia del tempo

La storia del Metropolitan parte da lontano, da un 1948 in cui Napoli tentava di riprendere fiato dopo le macerie della guerra. La città intera provava a rimettersi in piedi e in quel contesto nacque un progetto ambizioso: una sala cinematografica maestosa, con oltre tremila posti. Sembra quasi di immaginarseli, quegli imprenditori che puntavano a qualcosa di grande, coraggioso, perfino un po’ folle per l’epoca. Eppure, fu proprio quell’azzardo a trasformarsi in uno dei punti di riferimento del cinema napoletano. Per decenni, il Metropolitan è stato teatro di prime assolute, rassegne affollate, serate da tutto esaurito. Chiunque amasse la settima arte, anche solo di passaggio in città, finiva per affacciarsi a quell’ingresso e respirare un’atmosfera impossibile da replicare altrove.

Nel corso degli anni, l’edificio venne rimaneggiato, sistemato, adattato all’evoluzione tecnologica. Gli schermi si moltiplicavano, le poltrone diventavano più comode (o almeno ci si provava), e la gestione inseguiva i gusti di un pubblico sempre più esigente. Di fatto, però, la vera magia non cambiava: quando si spegnevano le luci e iniziavano i trailer, c’era quel fremito collettivo che ti ricordava di essere in un luogo speciale. Tra l’odore dei pop-corn e la sensazione di naso all’insù, la frenesia di via Chiaia restava fuori. E dentro si navigava in mondi nuovi, sospesi tra sogno e realtà.

La chiusura: un colpo di scena che sapeva di minaccia

Negli ultimi anni, la parola chiusura aleggiava già su questa sala. Qualcuno la prendeva poco sul serio, come un allarme destinato a rientrare. Altri, più pessimisti, dicevano che era solo questione di tempo. A un certo punto, però, non c’è stato più spazio per gli scongiuri. Il Metropolitan ha chiuso davvero. A decidere le sorti del locale è stata la proprietaria dell’immobile, Intesa Sanpaolo, che ha scelto di non rinnovare il contratto d’affitto. Inutile girarci intorno: quando una banca, cioè chi ha in mano i muri, dice stop, la faccenda diventa complicatissima.

A nulla è servito, almeno in questo momento, il vincolo di destinazione culturale apposto dal Ministero della Cultura, firmato all’epoca da Gennaro Sangiuliano: un tentativo di salvare l’anima di quello spazio, imponendo che non potesse trasformarsi in altro. Sulla carta, significa che l’immobile dovrebbe mantenere una finalità artistica o culturale. Nei fatti, non ha evitato lo sfratto. La serranda è rimasta chiusa e le chiavi sono state riconsegnate. Un paradosso che pesa come un macigno sull’umore di chi, fino all’ultimo, sperava in uno spiraglio.

Un investimento e un sogno spazzati via

Per mantenere vivo un multisala del genere, la gestione aveva buttato sul piatto cifre importanti. Gli stessi titolari, Giuseppe Caccavale e Nicola Grispello, avevano dichiarato di aver speso più di un milione di euro negli ultimi anni, per adeguare impianti, sedute, tecnologie, in modo da offrire un’esperienza competitiva. Il tutto perché, per quanto ci si illuda che i luoghi storici sopravvivano solo grazie ai ricordi, la verità è che occorrono risorse continue per stare al passo con il mercato. Eppure, non è bastato.

Lo sconforto riguarda anche i dipendenti: una ventina di persone, considerando collaboratori fissi e stagionali. Alcuni di loro avevano dedicato al Metropolitan venti, trent’anni di vita lavorativa. Non si tratta solo di posti di lavoro persi, ma di un bagaglio di esperienza che si sgretola. In una città come Napoli, legatissima alle proprie radici e alle proprie tradizioni, il contraccolpo è amplificato dal fatto che quelle facce dietro al bancone o in biglietteria erano parte integrante del rituale della serata al cinema. Sorrisi familiari che non rivedremo più in quelle stanze buie.

Il vincolo culturale: un’arma spuntata?

Il decreto ministeriale che legava il destino dell’edificio alla cultura pareva una scialuppa di salvataggio. Qualcuno pensava: “Se non si può trasformare in un altro negozio o in un parcheggio, allora il Metropolitan non morirà.” Ma la faccenda si è rivelata più intricata. L’addio alla vecchia gestione si è consumato comunque, e ora ci si chiede se qualcuno, in futuro, prenderà in mano la situazione.

Sulla carta, il vincolo obbliga la proprietà a mantenerne l’uso culturale. Ma le vie legali, si sa, possono diventare labirinti. E finché non ci sarà un nuovo progetto, l’ex tempio del cinema potrebbe restare malinconicamente vuoto o, peggio, entrare in un limbo di trattative. È un po’ come se ci fosse un luogo consacrato all’arte, che nessuno può profanare ma che resta chiuso a doppia mandata.

Napoli reagisce: indignazione e voglia di riscatto

La notizia non ha colto nessuno impreparato, eppure la reazione popolare è stata fortissima. Molti napoletani si sono sentiti defraudati di un pezzo della loro storia. Qualcuno ha paragonato la chiusura a una ferita collettiva. Non è strano che sulla Rete siano spuntate petizioni e appelli al Comune, alla Regione, perfino al Governo.

Da più parti, si sollecitano soluzioni alternative: un tavolo di confronto, un intervento diretto delle istituzioni, perfino l’idea di una cooperativa che rilevi la sala. Il Comune, con il Sindaco Gaetano Manfredi, si è detto disposto a partecipare a una trattativa, se Intesa Sanpaolo e la vecchia gestione accetteranno di sedersi a discuterne. Come va spesso in questi casi, tutto si giocherà sulla volontà politica e sulla concretezza economica. Perché la buona volontà, da sola, non basta.

L’analisi economica: la crisi delle sale cinematografiche

In molti si domandano: “Ma si poteva davvero salvare?” Siamo onesti: gestire un cinema nel cuore di una grande città non è una passeggiata. I costi lievitano: affitti alti, manutenzione continua, promozioni da realizzare per stare al passo con la concorrenza delle piattaforme streaming, che ormai tengono il pubblico incollato al divano di casa. Negli ultimi tempi, poi, la pandemia ha dato un’ulteriore spallata a un sistema già sotto pressione.

I numeri delle presenze nelle sale, pur con qualche picco di risalita, non raggiungono più i fasti di qualche decennio fa. Eppure, resta la sensazione che il Metropolitan, in quanto simbolo, avrebbe potuto provare un’ulteriore trasformazione: forse un cinema che diventa anche sala eventi, o spazio ibrido dedicato a concerti, mostre, dibattiti culturali, pur di restare in vita. Non c’è stata però la spinta – o l’occasione – per questa mutazione. O almeno non nei tempi necessari a scongiurare la chiusura.

Una perdita collettiva: più di un edificio

Pensare al Metropolitan come a un semplice immobile è riduttivo. Per decenni è stato un luogo di aggregazione, dove le differenze sbiadivano nel buio della proiezione. Varcare quella soglia voleva dire entrare in una dimensione protetta, dove la quotidianità si fermava per qualche ora. C’è chi, negli anni, vi ha festeggiato ricorrenze con gli amici, chi ha portato la persona amata a vedere l’ultimo film romantico, chi ci si è rifugiato per scappare dalla routine. Una sala cinematografica è sempre un mondo a parte, ma quando diventa parte di una città come Napoli, allora trascende il suo ruolo di spazio per proiezioni e diventa patrimonio condiviso.

Oggi via Chiaia sembra un po’ più spoglia. Quell’insegna, che per tanti anni ha illuminato l’angolo di strada con i cartelloni dei film in arrivo, non brilla più. E la hall, dove si acquistavano biglietti e pop-corn, è ridotta a un vuoto che mette addosso una certa tristezza. Tutti ne parlano, come di un lutto. Molti lo considerano un funerale culturale. E la domanda che serpeggia è: E adesso cosa ci metteranno? Un brand d’abbigliamento di lusso? Un negozio di accessori? O magari un parcheggio? L’ombra di un banale riutilizzo fa venire i brividi. Ma, per ora, è solo una triste ipotesi che nessuno vorrebbe veder realizzata.

Possibili sviluppi: speranze e interrogativi

Eppure, qualcosa si muove. Sottovoce, tra mille difficoltà, c’è chi non si arrende. Si parla, si discute, ci si guarda negli occhi sperando di trovare un modo, un varco, una soluzione per questo spazio che tutti sentiamo come “nostro”. Certo, la strada è tutta in salita. La politica dice la sua, le istituzioni si barcamenano, ma c’è chi crede davvero che il vincolo culturale imposto dal Ministero non sia solo un pezzo di carta. C’è voglia di non lasciarlo cadere, quel vincolo. Di usarlo come una leva, per smuovere tutto. Nel frattempo, si sentono nomi, idee, progetti.

E poi spunta questa proposta: trasformare il vecchio Metropolitan in un polo culturale polivalente. Bello sulla carta, vero? Una di quelle idee che ti fanno sognare: uno spazio che non sia solo cinema ma un po’ tutto. Proiezioni, concerti, eventi teatrali, magari laboratori per i ragazzi. Un posto vivo, dove ogni angolo vibra di emozioni, di gente. Ma è dura, ci vuole qualcuno che ci creda davvero. Uno con il cuore grande e le spalle ancora più larghe. Un progetto che non evapori al primo soffio di difficoltà. Per ora, tutto resta sul filo, sospeso tra speranza e paura di vedere svanire anche questa visione.

Domande aperte in una città che vive di cultura

A Napoli, la cultura non è un lusso. È un elemento essenziale per il cuore e la mente dei cittadini. Un teatro, un cinema, un’esposizione: tutto viene vissuto come qualcosa di profondamente identitario, perché qui l’arte è un modo di respirare. Eppure, capita che proprio questi luoghi vadano in crisi. La chiusura del Metropolitan è un segnale doloroso, un monito a non dare mai per scontato quello che si ha. Ricorda a tutti noi che senza un piano di tutela e valorizzazione, neppure i simboli più amati sono al sicuro.

E allora, c’è chi si interroga: come fermare l’emorragia di spazi dedicati alla cultura, in una metropoli che ancora si nutre di musica, cinema, teatro, letteratura? Le piattaforme di streaming e il cinema casalingo hanno cambiato il nostro rapporto col grande schermo, è vero, ma l’esperienza collettiva di una sala buia rimane insostituibile. Chi ha mai conosciuto l’emozione di un applauso spontaneo alla fine del film, o la condivisione di un momento di suspense con sconosciuti seduti vicini, sa bene di cosa si parla.

Il futuro di via Chiaia

Al Metropolitan, per ora, si è spenta la luce. I manifesti delle ultime programmazioni sono rimasti come reliquie appese a un tempo che pare lontano, anche se sono passate poche settimane. E in tanti si domandano se questo addio resterà definitivo, o se c’è spazio per un ritorno, una resurrezione in chiave moderna. Il vincolo culturale, gli appelli delle associazioni, le petizioni popolari: tutto concorre a mantenere viva la fiammella di speranza. Ma chiunque abbia un occhio realista sa che, senza un accordo concreto o un progetto solido, il Metropolitan rischia di marcire nel silenzio o, peggio, diventare qualcos’altro del tutto estraneo alla sua natura originaria.

Noi, come redazione, continuiamo a seguire la vicenda perché riguarda tutti, non solo i nostalgici o i cinefili più accaniti. Quando chiude un cinema, una città diventa un pochino più povera. E la mancanza di un luogo storico come il Metropolitan non è soltanto una ferita per i lavoratori rimasti senza impiego, ma anche un buco nell’anima culturale di Napoli. Da parte nostra, promettiamo di non abbandonare l’argomento, di informare e dove possibile, di sostenere chi si sta battendo perché quella soglia d’ingresso, un giorno, possa essere di nuovo varcata per assistere a un film o a un qualunque evento capace di restituire dignità a uno spazio prezioso. Perché un the end definitivo non è detto che sia già scritto. Forse, siamo soltanto arrivati a un cliffhanger e di solito, dopo un cliffhanger, c’è sempre una nuova stagione. E noi, testardi, vogliamo crederci.

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Attualità

Donald Trump torna Presidente: cosa significa per...

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Ieri, 20 gennaio 2025, è successo qualcosa che, piaccia o no, ha fatto parlare il mondo intero: Donald Trump ha giurato di nuovo come Presidente degli Stati Uniti, diventando il 47º nella storia del Paese. È un ritorno in scena dopo quattro anni fuori dai giochi, un colpo di scena che ha ribaltato pronostici e aspettative. Ha battuto Joe Biden, sì, ma anche quel terzo candidato indipendente che per un po’ sembrava potesse sparigliare le carte in qualche stato cruciale. E così eccoci qui. Curiosità, tensioni, applausi, proteste… un mix esplosivo che ha reso questa giornata indimenticabile.

Ma sai cosa? C’è stato pure un imprevisto. Quel freddo gelido che ti entra nelle ossa e non ti lascia scampo: -10 °C. Un freddo che ha costretto tutti a ripiegare all’interno, nella Rotonda del Campidoglio. Una decisione presa in extremis, roba che non si vedeva dai tempi di Reagan, nel lontano 1985. È lì, in quell’atmosfera raccolta, quasi soffocante, che Trump ha iniziato ufficialmente il suo secondo mandato. Non il solito spettacolo grandioso del National Mall, niente folla oceanica, ma qualcosa di più intimo, ecco. Strano, forse un po’ malinconico ma comunque potente. Come a dire: “Sono tornato e ora si fa sul serio.”

Proviamo a capirci, no? Trump è tornato alla Casa Bianca e, diciamolo, non è successo per magia. Per capire come abbia fatto, dobbiamo tornare indietro e dare un’occhiata a quello che è successo negli ultimi anni. Quando ha lasciato la presidenza nel 2021, il clima era a dir poco esplosivo: c’era stata quella storia del Campidoglio, il 6 gennaio, un caos totale, con i suoi sostenitori coinvolti e accuse che lo hanno seguito ovunque. Insomma, non proprio il modo migliore per salutare la scena politica. Eppure, eccolo di nuovo qua.

Con Biden le cose non sono andate lisce, per niente. Pandemia? Ancora lì, con varianti meno letali ma che continuavano a fare danni. Economia? Un disastro, con una mini-recessione nel 2023 che ha colpito duro. Prezzi alle stelle, benzina, cibo, energia… la gente era esasperata, specialmente chi viveva già con l’acqua alla gola. E sai com’è, quando la vita si fa dura, la gente vuole risposte, soluzioni e Biden, secondo molti, non le ha date.

Trump, astuto com’è, ha preso al volo l’occasione. Ha parlato di “rimettere tutto a posto”, di fare di nuovo grande l’America, di proteggere i confini e ridurre le tasse. Ha girato in lungo e in largo stati chiave come Michigan e Pennsylvania, promettendo muri, sicurezza e lavoro. E poi c’era quella parte di elettori repubblicani che non hanno mai digerito la sconfitta del 2020, convinti che fosse stata una fregatura. Trump ha giocato su questo, lo ha usato per tenere viva la sua base.

Alla fine, nel 2024, Biden ha perso. Non solo per l’insoddisfazione generale, ma anche perché quel terzo candidato, moderato ma piuttosto inutile, ha tolto voti proprio a lui. E così, con margini risicati negli stati più in bilico, Trump si è ripreso la Casa Bianca. Un ritorno che, nel bene o nel male, ha lasciato tutti a bocca aperta.

Gli ospiti internazionali e i grandi assenti

Dentro la Rotonda si respirava un’atmosfera carica di tensioni e curiosità. Tra le personalità di spicco, tutti gli occhi erano puntati su Javier Milei, il presidente argentino. Sì, proprio lui, quello che in passato ha più volte elogiato Trump senza mezzi termini. Le telecamere lo pizzicavano ovunque: chiacchierava con i membri del Congresso repubblicano, gesticolava, sembrava a suo agio. Sembrava, in poche parole, che ci fosse una certa sintonia tra due leader visti come “outsider” nei loro rispettivi mondi.

E poi, un altro nome che ha fatto scalpore: Giorgia Meloni. Premier italiana, unica rappresentante ufficiale dell’UE all’evento. I giornali internazionali – dal New York Times a Le Monde – ne hanno parlato tanto. La vedono vicina a Trump, ideologicamente parlando. Ma dall’Italia? Fonti del Ministero degli Esteri smorzano subito i toni: “Un atto di rispetto istituzionale, niente di più.Certo, facile a dirlo.

E chi mancava? Gli Obama. Né Michelle né Barack. Nessuna sorpresa, davvero. Michelle, in una nota riportata da Politico, ha detto chiaro e tondo che “non avrebbe senso partecipare a un evento che rappresenta valori e visioni così lontani dai nostri”. E poi c’è stato Viktor Orbán, il premier ungherese, uno che con Trump si è sempre trovato in sintonia. Stavolta però, niente da fare: da Budapest dicono che aveva “altri impegni.” Impegni, eh? Suona quasi ironico.

Il discorso di insediamento

E il discorso? Ah, il discorso… Trump, dopo aver giurato sulla Bibbia come quattro anni fa, è salito sul palco e ha iniziato a parlare. Era atteso, tutti lo sapevano. Fox News, CNN, MSNBC… tutte le emittenti collegate, milioni di persone a guardare, chi con entusiasmo, chi con rabbia, chi solo per curiosità. Un discorso di venti minuti che per alcuni saranno sembrati un’eternità, per altri un soffio.

E cosa ha detto? Beh, ha promesso una “nuova età dell’oro” per l’America. Parole grosse, no? Ha parlato di proteggere il paese da ogni minaccia, interna o esterna. Ma non erano solo parole, erano come un grido di battaglia, qualcosa che o ti infuoca o ti fa alzare il sopracciglio. Per lui, tutto gira intorno a un’idea: rimettere l’America al centro, sempre al centro. Un po’ esagerato? Forse. Ma è Trump e lui sa come far parlare di sé.

Trump ha rimarcato che la sua priorità sarà “proteggere i confini” e “riportare l’ordine nelle città afflitte da criminalità e immigrazione fuori controllo.” Ha poi lanciato un monito ai Paesi alleati, soprattutto in ambito NATO, affermando che “l’America non intende più sostenere da sola il peso della difesa dell’Occidente.” Ha infine aggiunto: “Chi pretende l’aiuto degli Stati Uniti, deve essere pronto a condividere costi e responsabilità.” Un passo ulteriormente polemico ha riguardato le questioni climatiche, con l’annuncio che gli Stati Uniti usciranno definitivamente dal rinnovato Accordo di Parigi e che sarà cancellata ogni forma di adesione a progetti green ritenuti dannosi per la competitività industriale americana.

Nel passaggio finale, Trump ha ripetuto lo slogan che ha caratterizzato la sua nuova campagna elettorale, “America First, Always!” e ha concluso con un riferimento al suo passato: “Nel 2016 vi ho promesso di rendere di nuovo grande l’America. Abbiamo trovato ostacoli, tradimenti e bugie. Ma adesso, da qui, rifacciamo tutto e lo rifacciamo più in grande, meglio di prima”. Un discorso che per molti versi ricalca il registro nazional-populista di cui è stato maestro durante la sua prima avventura presidenziale.

Le prime misure: ordini esecutivi, politica estera e grazia ai coinvolti nell’assalto del Campidoglio

La sera del 20 gennaio, quando tutto sembrava essersi finalmente calmato dopo una giornata intensa, Trump ha fatto subito il botto. Senza perdere tempo, ha firmato una serie di ordini esecutivi che hanno lasciato tutti – chi esterrefatto, chi furioso, chi entusiasta – con qualcosa da dire. Il primo? L’uscita lampo degli Stati Uniti dall’OMS. Sì, hai capito bene. Boom! Una mossa che ha mandato la comunità scientifica su tutte le furie: “E adesso, chi coordina le prossime pandemie?” si chiedono in molti. Ma lui, niente, avanti come un treno.

E non è finita qui. Poco dopo, ha detto addio al Green Deal. Quell’accordo ecologista dei Democratici? Stracciato, via. Perché, secondo lui, le energie rinnovabili sono solo un freno all’America produttiva. E qui già c’era chi urlava al tradimento. Poi, ciliegina sulla torta, ha tagliato le tasse federali alle imprese. “Dobbiamo rimettere in moto il nostro motore interno,” ha detto. E, come se non bastasse, ha riaperto i rubinetti per completare quel famigerato muro col Messico. Il muro, sì, proprio quello. Nuovi fondi, più controlli e via di restrizioni sull’immigrazione. Da una parte applausi scroscianti tra i Repubblicani, dall’altra grida di “politiche divisive!” dai Democratici.

Ma la vera bomba? Quella che ha fatto alzare tutti dalle sedie, è stata la grazia. Ha concesso una sorta di amnistia a chi è stato condannato o attende giudizio per le violenze del 6 gennaio 2021. Sì, proprio quella giornata buia al Campidoglio. Ha detto che vuole “ricucire le ferite, lasciarci il passato alle spalle.” Ma la reazione è stata feroce. “Sta riscrivendo la storia!” hanno urlato in tanti, stampa liberal in testa. E chi lo ferma ora?

Il caso Elon Musk alla Capital One Arena

Una parentesi controversa ha riguardato Elon Musk, presente a Washington in occasione delle celebrazioni ma non invitato ufficialmente alla cerimonia. Il visionario imprenditore, CEO di Tesla, SpaceX e proprietario di alcune piattaforme social, era stato ospite di un evento parallelo organizzato alla Capital One Arena per discutere di nuove tecnologie legate alla difesa. Durante il suo intervento sul palco, Musk avrebbe alzato un braccio in un gesto equivocabile, che alcune testate, tra cui Sky TG24, hanno associato a un saluto di impronta neofascista. Nel giro di poche ore, sui social è esplosa una polemica internazionale. Musk ha respinto ogni accusa, descrivendo quel gesto come un semplice “cenno di saluto mal interpretato”, ma sul web c’è chi chiede che il miliardario venga messo sotto osservazione per l’influenza che esercita su milioni di utenti.

Secondo The Guardian, l’episodio testimonia la delicatezza del contesto politico statunitense attuale: un ambiente in cui i simboli e i gesti hanno un impatto mediatico enorme e possono infiammare il dibattito in pochissimo tempo. L’entourage di Trump ha commentato sbrigativamente la questione, dichiarando che Musk “non rappresenta in alcun modo il pensiero del Presidente e che eventuali malintesi sono solo frutto di superficialità nel giudicare una situazione privata.

Le proteste dentro e fuori Washington

Fuori dalla Rotonda, mentre i “pezzi grossi” si scambiavano sorrisi e strette di mano, la tensione si tagliava con il coltello. Giorni prima dell’Inauguration Day, già si sentiva l’aria pesante: cortei annunciati, cartelli pronti, gente stufa di sentire sempre le stesse promesse. E così è stato.

Un freddo cane, ma questo non ha fermato le duemila anime che si sono radunate al National Mall. “Not My President,” “Stop Dividing America” – slogan gridati, mani alzate, occhi che bruciavano più del gelo. E poi? Poi ci sono stati sguardi storti, urla da una parte e dall’altra. Sostenitori di Trump e manifestanti a pochi metri, come benzina e fiammiferi. Ma per fortuna la polizia, la Guardia Nazionale e pure agenti in borghese hanno fatto il loro, evitando che le cose degenerassero davvero.

E non era solo Washington. No, no. New York, Los Angeles, Chicago, Seattle… ovunque il malcontento si sentiva forte. In California, per esempio, femministe, ambientalisti e tante altre associazioni si sono messe in marcia, protestando contro politiche che sembrano voler fare un salto indietro nel tempo. E la stampa? Quella progressista è andata giù pesante. Editoriali duri, come quelli di The Nation e Mother Jones, hanno parlato di un’America sull’orlo di nuove fratture, pronte a diventare ancora più profonde. Insomma, mentre dentro si celebrava, fuori si lottava. Due mondi che si sfiorano ma che sembrano sempre più lontani.

La reazione della comunità internazionale

Sul fronte internazionale, le reazioni all’insediamento di Trump sono apparse discordanti. Da un lato, i leader di Cina e Russia hanno manifestato un cauto ottimismo per possibili distensioni: Pechino, in particolare, auspica di riaprire alcuni tavoli commerciali saltati con Biden, pur restando in allerta rispetto alla posizione di Trump sulla questione di Taiwan e sulla guerra tecnologica. Dall’altro lato, i partner storici degli Stati Uniti in Europa, eccezion fatta per l’Italia rappresentata da Giorgia Meloni, hanno adottato un profilo basso, inviando le classiche note di congratulazioni ma evitando discorsi ufficiali o delegazioni di alto livello a Washington.

L’Unione Europea, dalla quale non era presente alcun leader di spicco, rimane guardinga di fronte ai proclami protezionisti di Trump. Dalla Commissione Europea sono trapelate fonti che parlano di “grande preoccupazione” per i potenziali sviluppi sulle politiche commerciali e sulle sanzioni verso aziende europee ritenute troppo invadenti del mercato statunitense. In Medio Oriente, l’Arabia Saudita si è detta aperta a collaborare con la nuova amministrazione, mentre l’Iran ha condannato duramente l’atteggiamento di Trump sulla questione nucleare, rigettando la possibilità di sedersi a nuovi negoziati in queste condizioni.

Nel frattempo, sul piano diplomatico, è probabile che i primi viaggi internazionali della presidenza Trump siano in destinazioni considerate più amichevoli. Secondo alcuni analisti citati da Axios, i paesi del Golfo Persico e Israele potrebbero essere le prime tappe, ricalcando la logica del suo precedente mandato.

Prospettive economiche e di politica interna

Diciamolo chiaro e tondo: la prima vera sfida del nuovo Trump sarà l’economia. La recessione del 2023? Sì, finita, ma l’inflazione è ancora lì che morde… e la crescita? Lenta. Lui ha subito tirato fuori la carta del taglio delle tasse alle imprese. “Stimolare le aziende locali, riportare i soldi dall’estero.” Facile a dirsi, eh? Ma Paul Krugman e altri economisti dicono: “Occhio!” Perché? Perché il debito pubblico potrebbe esplodere e i ricchi potrebbero diventare ancora più ricchi. E i poveri? Peggio.

E poi, c’è la società. Spaccata come non mai. Obamacare, diritti civili, aborto… roba che potrebbe scoppiare da un momento all’altro, soprattutto se la Corte Suprema, che è tutta conservatrice, dovesse mettere mano a certi casi. Trump, nel suo discorso? Zitto su queste cose. Ma gli analisti sono pronti a scommettere che saranno la prossima polveriera. Immagina: California e New York, con governatori democratici, pronti allo scontro con Washington. Uno spettacolo.

E sai cosa c’è ancora? Il pallino di Trump. La riforma del sistema elettorale. Durante i comizi del 2024, ha urlato ai quattro venti: “Il sistema è truccato! Brogli ovunque!” Prove? Zero. Ma ci scommetti che proverà a convincere il Congresso repubblicano a mettere mano a tutto? Limitare il voto anticipato, il voto per posta… insomma, più che una riforma sembra un’ossessione. Vedremo se riuscirà a farla passare.

Il ruolo del Congresso e la sfida dei media

Con un Senato e una Camera dei Rappresentanti leggermente a vantaggio dei repubblicani, Trump parte da una posizione di discreta solidità politica, almeno per i primi tempi. La leadership del Partito Repubblicano sembra al momento intenzionata a sostenere le misure presidenziali, in quanto punta a consolidare il potere nelle istituzioni chiave e a disegnare nuovi equilibri a lungo termine. Tuttavia, esiste anche un’ala più moderata del GOP, che teme possibili derive estreme e ripercussioni su quell’elettorato indipendente che ha garantito ai repubblicani la vittoria in stati un tempo considerati in bilico.

Per quanto riguarda i media, lo scontro con Trump è già accesissimo. L’ex presidente ha più volte definito i grandi network di informazione “fake news,” con particolare acrimonia nei confronti di CNN e MSNBC. È noto che il tycoon ami comunicare direttamente con i suoi elettori attraverso piattaforme social, alcune delle quali, durante la sua assenza dalla Casa Bianca, gli avevano perfino limitato l’uso. Adesso, con un potere istituzionale rinnovato, potrebbe tentare pressioni per limitare la libertà di azione di tali piattaforme, accusate da lui di parzialità e di censura nei confronti di opinioni conservatrici.

Nelle prime conferenze stampa dei portavoce della nuova amministrazione, si è percepito un deciso cambio di tono rispetto all’era Biden. I rapporti con i giornalisti sono apparsi subito tesi, specie quando si è toccato il tema dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 e della conseguente grazia concessa da Trump. Potremmo assistere a un conflitto istituzionale e mediatico che, se non gestito, rischia di compromettere ulteriormente la fiducia nell’informazione e nelle istituzioni.

Il futuro dell’America sotto il secondo mandato Trump

La giornata del 20 gennaio 2025, con la sua cerimonia a porte semi-chiuse e i tanti provvedimenti annunciati, apre a scenari che potrebbero ridefinire gli assetti geopolitici e interni degli Stati Uniti. Se da un lato molti americani sostengono con entusiasmo questa nuova fase, sperando che la politica economica di Trump rilanci la produzione nazionale e riduca disoccupazione e criminalità, dall’altro lato numerosi cittadini e oppositori temono un ritorno a politiche divisive, isolazioniste e potenzialmente lesive dei diritti civili.

Immagina la scena: piazze che si riempiono, gente che non riesce più a stare zitta. Le proteste partono piano, ma potrebbero trasformarsi in un fiume in piena, soprattutto se le politiche di Trump dovessero colpire duro le fasce più fragili o le comunità etniche. E sì, il Congresso è repubblicano, quindi potrebbe far passare un sacco di leggi. Ma attenzione: governatori democratici, attivisti e cittadini arrabbiati potrebbero trasformare questa legislatura in un campo di battaglia politico come non si è mai visto.

E fuori dagli USA? Altro che calma piatta. Trump, con il suo stile diretto, potrebbe ribaltare tutto: accordi commerciali saltati, alleanze globali traballanti, e un bel “me ne frego” sugli impegni climatici e sull’OMS. L’America prima di tutto, dicono. Ma a che prezzo? La stabilità di regioni già fragili potrebbe andare a farsi benedire e la politica estera americana diventare una partita giocata da solista, senza più preoccuparsi di essere il “leader del mondo libero”.

Ora che la cerimonia è conclusa e Donald Trump si è ufficialmente insediato, le prossime settimane saranno cruciali per comprendere se i toni utilizzati in campagna elettorale si tradurranno immediatamente in azioni concrete o se, come spesso accaduto nella storia americana, si assisterà a un leggero ammorbidimento dovuto ai meccanismi istituzionali di checks and balances.

Un giorno che cambia tutto

Il 20 gennaio 2025, dunque, sarà ricordato come una giornata che ha detto tutto e il contrario di tutto. Un freddo che gelava il respiro, una cerimonia spostata in extremis, un discorso che ha tirato fuori vecchie promesse con una voce che molti avevano quasi dimenticato. E poi quegli ordini esecutivi: una scure calata su anni di politiche opposte, una rottura netta che non lascia spazio a compromessi.

Alla Casa Bianca? Si respira aria di déjà vu. Facce conosciute, uomini d’affari che ritornano in scena, vecchi fedelissimi pronti a ricominciare da dove si erano fermati. Fuori, però, il clima è tutt’altro che disteso: c’è chi esulta, vedendo in Trump un salvatore, un baluardo di libertà e chi teme il peggio – passi indietro su diritti, ambiente, conquiste sociali. E il mondo? Il mondo guarda, incerto, sospettoso, chiedendosi quale ruolo vogliano giocare ora gli Stati Uniti.

Le prossime settimane saranno una prova del fuoco. Ogni scelta, ogni mossa, ogni silenzio saranno analizzati al microscopio. Grandezza promessa o disgregazione temuta: tutto è in gioco, tutto è incerto. Ma una cosa è sicura: con Trump non ci sono mezze misure. O lo ami, o lo detesti. E questa è, nel bene o nel male, la forza di una democrazia viva, caotica, appassionata.

Noi continueremo a raccontarvi tutto. Gli sviluppi, le sfide, i passi avanti o i passi falsi. Perché in momenti così, il nostro compito non è guardare altrove, ma osservare, capire, raccontare. La storia si sta scrivendo ora e spetta a noi leggerla con attenzione, col cuore e con la mente.

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