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Fedez e Chiara Ferragni, addio anche sui social: non si...

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Fedez e Chiara Ferragni, addio anche sui social: non si seguono più su Instagram

La coppa più social di sempre ha deciso di togliere la reciproca amicizia sul social network

Fedez e Chiara Ferragni - (Fotogramma)

Addio anche sui social, non solo nella vita reale. A quanto pare Fedez e Chiara Ferragni avrebbero smesso di seguirsi su Instagram. Dopo una condivisione quasi quotidiana della loro vita familiare, i due ormai separati hanno deciso di togliere la reciproca amicizia sul social network.

Ferragni dopo giorni senza post e storie è recentemente ricomparsa sui social. Il suo silenzio stava facendo da contraltare alla 'prolificità' di Fedez. Il rapper infatti, dopo la messa in onda dell'intervista a Belve, volato in California per assistere al festival di Coachella, ha documentato in maniera dettagliata tutti i momenti delle sue giornate. Per trovare una traccia di Chiara Ferragni, invece, era necessario ricorrere ai profili Instagram delle sorelle Valentina e Francesca. Tra le storie, ecco una foto di gruppo allo stadio di Cremona, città della famiglia. Con la mamma Marina Di Guardo, le 3 ragazze posavano in tribuna allo stadio, dove assistono al match della Cremonese.

L'imprenditrice quindi ha ripreso a pubblicare con ampia diffusione di foto per impegni professionali a Venezia. Sono invece di qualche ora fa le storie che raccontano dell'influencer a Monte Carlo per 24 ore. Per Fedez invece interviste, momenti con i figli e allenamento di pugilato nelle ultime ore.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Economia

Costruzioni, dal 14 al 15 maggio Rebuild 2024, focus su...

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Il tema che caratterizza la decima edizione è 'Values drive value'

Costruzioni, dal 14 al 15 maggio Rebuild 2024, focus su nuovo modello per transizione settore

"L’intera filiera delle costruzioni si trova ad affrontare alcune delle sfide più decisive di sempre", afferma Roberto Pellegrini, presidente di Riva del Garda Fierecongressi SpA. "La transizione porterà a nuovi modi di progettare, costruire, riqualificare e gestire gli immobili, e a nuovi modi di viverli, lavorarvi, frequentarli e transitarvi. Tra una settimana a REbuild approfondiremo questi aspetti da ogni angolazione possibile – compreso lo spazio - con l’aiuto di scienziati, esperti, operatori e aziende leader". Obiettivi della X edizione, che si svolgerà il 14 e il 15 maggio a Riva del Garda, sono delineare nuovi percorsi, offrire soluzioni concrete, dimostrare cosa va fatto, cosa è già possibile fare e cosa si potrà fare per cogliere in pieno le potenzialità della transizione in atto. Puntando i fari anche su esperienze pilota, case history consolidate e nuove frontiere di ricerca, come quella spaziale.

Il tema che caratterizza la decima edizione di REbuild è Values drive value. Un messaggio potente, preciso e mirato: "Dare spazio ai valori che generano valore – spiega Alessandra Albarelli, direttrice generale di Riva del Garda Fierecongressi -, perché gli stakeholder del settore immobiliare convergano sull’obiettivo di generare e tutelare ricchezza patrimoniale, inclusività sociale, benessere delle persone e attenzione all’ambiente".

Perché ciò accada, occorre un allineamento del comparto ai valori della contemporaneità, dove le tematiche su clima, sostenibilità, green, riciclo, decarbonizzazione sono al centro di un radicato sentimento collettivo che in questi concetti vede opportunità di crescita, sviluppo e benessere condiviso. L’adesione a questi valori comporta un cambio del modello di business culturale e tecnico, nella direzione dell’industrializzazione del settore – tanto per le nuove realizzazioni quanto per gli interventi sul patrimonio esistente - e dell’apertura alla innovazione - che significa formazione, ricerca, tecnologia, nuove declinazioni professionali.

Uno studio che sarà presentato a Riva del Garda conferma: prendendo ad esempio il modello d’intervento di deep retrofit di Energiesprong - presentata in Italia proprio a REbuild nel 2017 e vincitrice quest’anno del prestigioso Gold World Habitat Award – ne è stata fatta una valutazione della sostenibilità economica in 9 città-campione italiane (Milano, Torino, Firenze, Padova, Mestre, Bergamo, Bologna, Udine, Trieste) per verificarne la fattibilità considerando costi e benefici definiti dal mercato attuale unitamente al calcolo dell’eventuale contributo pubblico necessario a oggi, e, infine, una valutazione della riduzione di tale contributo in funzione della diminuzione dei costi industriali. Il risultato appare evidente: con una media del contributo pubblico rispetto al costo dell’intervento del 60% iniziale (non distante dagli attuali ‘bonus’ edilizi al 50%), grazie a economie di scala e di apprendimento saremo in grado in tempi relativamente brevi di condurre interventi di deep retrofit senza la necessità di contributo pubblico.

“Se riusciamo a sfruttare una tecnologia esistente e in costante progresso come l’off-site – così come in Paesi il cui sistema amministrativo, giurisprudenziale, produttivo e industriale è molto simile al nostro – otteniamo due risultati simultaneamente” spiega il presidente del Comitato Scientifico di REbuild Ezio Micelli: il miglioramento della qualità del parco immobiliare e il suo efficientamento energetico, con conseguente incremento di valore e a costi sempre minori nel tempo. È possibile, infatti, immaginare un percorso virtuoso e dinamico in cui l’incentivo pubblico, coadiuvato da tassi ‘green’, possa via via sparire perché il meccanismo viene affidato al mercato”.

È necessario che tutte le componenti della filiera interiorizzino questo schema e si dispongano a collaborare perché ciò si realizzi: gli operatori, i professionisti, le imprese, la finanza e la Pubblica Amministrazione.

Alla politica, dunque, REbuild propone un duplice binario di intervento statale, sia verso la domanda sia verso l’offerta. Da un lato, spingendo le imprese a intraprendere un percorso di innovazione all’interno di un indirizzo più complessivo di ordine collettivo che è la transizione. Dall’altro, ragionando su politiche di sostegno ai cittadini, differenziate per reddito e area geografica, così che le ‘case green’ e la sostenibilità in generale siano percepite come leve di benessere per individui e comunità. Il recente (marzo 2024) studio prodotto dallo Iuav di Venezia per l’Osservatorio REbuild sul rapporto fra retrofit e valore degli immobili ha prodotto in questo senso risultati molto interessanti. Ciò che emerge con chiarezza è che nelle grandi città il divario del valore tra gli immobili meno efficienti (classi E, F e G) e quelli con performance moderate (C e D) oscilla tra il 7,7%ca di Milano e Torino e il 4,4%ca di Firenze, mentre il ‘salto’ energetico nelle classi A e B raddoppia la percentuale di premio: 16%ca per Milano e Torino, 9%ca per Firenze.

Più pronunciate, invece, le differenze di valore a Padova e Mestre (quasi 18%) e Bergamo (12%) nel confronto tra immobili in classe E, F e G rispetto alle più performanti C e D. Anche in questo caso, il balzo nelle classi energetiche più virtuose si concretizza in un sostanziale raddoppio delle percentuali di crescita di valore (Padova e Mestre: 39%; Bergamo: 25%ca). Nelle città di medie dimensioni, il divario medio nel prezzo premium tra proprietà ad alta efficienza (classe A) e proprietà a bassa efficienza (classe G) è del 30%, mentre diminuisce al 14% tra proprietà di classe D e classe G. Nelle città metropolitane, il divario nel prezzo premium tra proprietà ad alta efficienza (classe A) e proprietà a bassa efficienza (classe G) è del 15%, e diminuisce al 6% tra proprietà di classe D e classe G.

I salti di classe energetica differenziano il mercato e sono sempre premiati con balzi di valore, ma con differenze e polarizzazioni di cui tenere conto perché la transizione non appaia come un processo iniquo e socialmente ingiusto ma una opportunità di miglioramento del proprio patrimonio. Ad esempio, come è emerso nell’ultima edizione di REbuild, già solo la conversione degli edifici in ottica smart consentirebbe una riduzione del 20-24% dei consumi energetici, del 4-5% di quelli idrici, una forbice tra il 20-30% di riduzione delle emissioni in edilizia e un risparmio tra i 12-14 miliardi di euro per le famiglie.

Aprirsi all’innovazione per traguardare gli obiettivi della transizione è dunque un passo necessario. Lo sa bene Thales Alenia Space Italia, ad esempio, che per voce dell’Ing. Walter Cugno - Vice-President, Exploration & Science, svilupperà una riflessione sull’abitare e vivere nello spazio, un ambiente ostile in cui è imprescindibile valorizzare al massimo le risorse disponibili, minimizzare gli sprechi e massimizzare gli sforzi in ricerca e sviluppo. Guardare alle infrastrutture spaziali e ai moduli abitativi lunari e, di seguito, marziani, significa rileggere il concetto di costruzione dalle fondamenta, pensare e progettare gli spazi in modo differente, percorrere strade e soluzioni inesplorate privilegiando pratiche e sistemi che riducano drasticamente l’impatto sull’ambiente.

Quali saranno le ricadute possibili sulle case terrestri del futuro? Lo si potrà scoprire mercoledì 15 maggio nel primo pomeriggio alla conferenza intitolata Abitare e vivere nello Spazio. La sfida di chi costruisce infrastrutture per altri pianeti. "Quello di REbuild è un taccuino di incontri multidisciplinari e politematici e un parterre espositivo che affronta i temi più caldi del futuro prossimo delle filiere del comparto”, commenta Laura Risatti, Project Leader di REbuild. “Esperienze e proiezioni, energia e ambiente, tecnica e tecnologia, innovazione e nuovi modelli di business, finanza, economia, comunità, territori: REbuild torna, e lo fa da protagonista, per offrire mappe e strumenti, ricerche e testimonianze significative e replicabili sul futuro dell’ambiente costruito".

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Economia

Clima, Coldiretti: “Con aprile più caldo di sempre è...

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Terreno siccitoso

Con l’aprile più caldo di sempre in quasi 1/5 del territorio europeo è allarme siccità, tra un 16,7% di zone in allerta arancione e un altro 1,5% dove la situazione è in “rosso” e che comprende anche le regioni del Sud Italia. E’ quanto emerge da una analisi Coldiretti su dati dell’Osservatorio europeo sulla siccità di Copernicus relativi alla terza decade di aprile. Il mese scorso è stato globalmente il più caldo mai registrato, con una temperatura media dell'aria in superficie di 15,03 gradi, 0,67°C sopra la media di aprile del trentennio di riferimento 1991-2020, secondo il servizio meteo della Ue.

Nonostante il maltempo delle scorse settimane che ha investito l’Italia e la nuova perturbazione in arrivo, la situazione resta difficile al Sud, a partire dalla Sicilia, dove la produzione di foraggio per gli animali è praticamente azzerata. Ma è difficile anche la situazione del grano, che a causa della mancanza di pioggia non riesce a crescere, secondo il monitoraggio Coldiretti. Un problema che interessa anche il granaio d’Italia, la Puglia, dove Coldiretti stima un calo del 30% quest'anno proprio a causa della siccità, mentre sono in difficoltà anche i legumi e alcune varietà di frutta. E anche in Sardegna si segnalano cali per carciofi, pomodoro da industria, cereali, frutta e foraggi, con ripercussioni sull’allevamento.

A pesare sulle coltivazioni è la mancanza di acqua per irrigare, tra bacini a secco e infrastrutture fatiscenti. Per questo Coldiretti ha rilanciato la proposta di un piano di invasi di accumulo con pompaggi, promosso assieme ad Anbi, per raccogliere l’acqua che cade e renderla disponibile per le coltivazioni. I laghetti sarebbero realizzati senza cemento, con pietra locale e con le stesse terre di scavo con cui sono stati preparati. L’obiettivo è arrivare a raccogliere il 50% dell’acqua piovana – conclude Coldiretti – che potrebbe essere utilizzate per una molteplicità di altri utilizzi, riducendo il prelievo di quella potabile.

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Cultura

“Ascarelli. Una storia italiana”, Pirozzi racconta la...

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L'epopea (caduta nell'oblio) di due generazioni di imprenditori ebrei arrivati sotto il Vesuvio dopo l'Unità d'Italia. A loro si deve anche la fondazione dell’A. C. Napoli e l’edificazione del primo stadio

Il monumento funebre di Pacifico Ascarelli, edificato nel vecchio cimitero ebraico di via Aquileia a Napoli

Arriva in libreria e negli store online l’ultimo saggio di Nico Pirozzi: “Ascarelli. Una storia italiana” (Edizioni dell’Ippogrifo, pp. 224, € 20). Un volume che raccoglie la straordinaria e per molti versi inedita epopea di due generazioni di imprenditori che trasformarono l’immagine di Napoli.

Con cinquant’anni d’anticipo su Adriano Olivetti, rivoluzionò il rapporto allora esistente tra profitto d’impresa e capitale umano. Artefice di questo cambiamento che, sotto molteplici aspetti diede inizio a un radicale rinnovamento del mondo del lavoro, fu Pacifico Ascarelli, un imprenditore romano giunto a Napoli allo scopo di ampliare l’attività della Ditta Pellegrino B. Ascarelli, storicamente specializzata nella vendita di lane e tessuti di pregio. Ebreo, massone e garibaldino, Pacifico era, infatti, erede di un’attività commerciale che da secoli si tramandava di padre in figlio. Nella città del Vesuvio era giunto assieme ai fratelli Moisé Gabriele, Isacco e Settimio, negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia.

A trasformare una modesta filiale dell’azienda romana in una corazzata che dava lavoro a centinaia di persone non ci volle molto tempo. Difatti, a inizio Novecento la Ditta Ascarelli, era già considerata una delle maggiori realtà imprenditoriali del vecchio continente, con un fatturato di 20 milioni di lire. Motore di un progetto che sin da subito si dimostrò vincente, fu quel modo totalmente nuovo e per certi versi rivoluzionario che, negli stessi anni in cui negli Stati Uniti andava affermandosi il “fordismo”, andava a rimodulare l’organizzazione del lavoro, dando forma e sostanza a quel concetto di “felicità collettiva” successivamente adottato all’interno della fabbrica eporediese di macchine per scrivere fondata da Camillo Olivetti. Loro, gli Ascarelli, lo fecero garantendo ai loro numerosi dipendenti una serie di diritti fino ad allora più teorici che pratici (assenze per malattia o maternità, ferie, festività nazionali e religiose, tredicesima mensilità, e altri benefit).

Tutto questo, senza aprire altri capitoli in cui il cognome Ascarelli si andò via via coniugando con tantissimi altri vocaboli: sport, cultura, religione, politica, arte, genialità e, soprattutto, mecenatismo. A conferma di ciò non vi è solo la fondazione del primo club calcistico azzurro (l’A. C. Napoli) e l’edificazione del primo stadio, ad opera di Giorgio; le numerose opere a favore dell’infanzia diseredata (l’Asilo e il padiglione per apprendisti tessitori di Marechiaro), che Giorgio e il cugino Dario (consigliere comunale e provinciale socialista), finanziarono con estrema generosità. Questo senza dimenticare l’aiuto offerto in prima persona da Pacifico alle vittime della mortale epidemia di colera che flagellò Napoli nel 1884, compensato da una medaglia d’argento conferitagli dall’allora ministro dell’Interno, Agostino Depretis.

Comprendere i motivi per i quali nel breve volgere di pochi decenni l’oblio ha avvolto e travolto la storia di questa famiglia di imprenditori e di mecenati ebrei, la cui visione del mondo e delle cose superava di gran lunga i confini del tempo nel quale sono vissuti, è solo una delle tante domande a cui l’autore del volume “Ascarelli. Una storia italiana” tenta di dare risposta.

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