Cronaca
Immunodeficienze primitive, esperti: “Ritardi...
Immunodeficienze primitive, esperti: “Ritardi diagnosi per 70-90% pazienti”
"Fino a 5 anni con qualità di vita compromessa, peggioramento di sopravvivenza e prognosi, necessario approccio multidisciplinare"
Ritardi diagnostici fino a 5 anni per il 70-90% dei pazienti con immunodeficienze primitive (Pid), costretti ad una qualità di vita compromessa, con un peggioramento della sopravvivenza e della prognosi: un dato allarmante che ha pesanti ripercussioni non solo per i pazienti, ma anche per i caregiver e per il Servizio sanitario nazionale. A fotografare la condizione dei pazienti con Pid - patologie di origine genetica innate e rare, che presentano alterazioni nel funzionamento del sistema immunitario causando infezioni e malattie quali disordini ematologici, danni d'organo irreversibili fino all'insorgenza di tumori - è un gruppo di esperti che si è riunito oggi a Roma, in occasione di un evento realizzato con il supporto non condizionato di Becton Dickinson, per discutere e definire il percorso diagnostico per questi pazienti.
Percorso che si può riassumere in 4 punti, ricorda una nota: il sospetto diagnostico deve essere affidato al pediatra di libera scelta o al medico di medicina generale, al fine di poter identificare i segnali di allarme e prescrivere i test di laboratorio; se si riscontra un primo sospetto, i pazienti devono essere inviati a centri territoriali regionali, ambulatori pediatrici o hub periferici, per effettuare un primo test di tipizzazione immunologica con citometria a flusso per avere un indirizzo diagnostico; a completamento della diagnosi il paziente deve essere indirizzato ai centri di riferimento specializzati (IpiNet, Aieop) e network europei di riferimento per le malattie rare, presso cui effettuare la tipizzazione immunologica di approfondimento con successivo avvio tempestivo della terapia adeguata e individuale; a seguito della diagnosi e della definizione del trattamento, deve essere attivato un programma di continuità terapeutica. Il paziente viene inviato ai centri territoriali regionali in cui verrà periodicamente eseguito il monitoraggio clinico, di laboratorio e strumentale con modalità in presenza o in remoto.
Tra i principali sintomi che possono destare sospetto ci sono frequenti eventi infettivi, soprattutto a livello polmonare, forme allergiche complesse, anomalie dermatologiche e problemi neurologici. Per questi pazienti - in Italia la prevalenza stimata è di 5,1 casi ogni 100mila abitanti per le circa 300 forme di Pid, dato fortemente sottostimato a causa dei ritardi diagnostici - se la diagnostica gioca un ruolo centrale per la presa in carico e cura, altrettanto importante secondo gli esperti è la definizione di un percorso di allineamento e coinvolgimento di tutti gli attori del sistema, un approccio multidisciplinare per una diagnosi tempestiva grazie all'innovazione tecnologica della citometria a flusso, che svolge un ruolo centrale nella diagnosi delle Pid grazie alla rapida valutazione dei diversi componenti del sistema immunitario.
"Secondo uno studio della Jeffrey Model Foundation - spiega Paolo Sciattella, professore Ceis-Eehta, Facoltà di Economia, Università degli Studi di Roma Tor Vergata - pazienti con una diagnosi acclarata pesano sul sistema salute circa 4 o 5 volte in meno di pazienti senza una diagnosi. I costi totali per la cura delle immunodeficienze primitive si aggirano intorno ai 13-15 milioni di euro l'anno. A questi vanno aggiunti i costi relativi alle complicanze che richiedono assistenza ospedaliera. Un recente studio condotto dall'Eehta-Ceis - aggiunge - ha evidenziato che, ogni anno, più di 2mila pazienti con Pid vengono ricoverati, generando una spesa media di circa 3mila euro a paziente e una spesa complessiva di oltre 6 milioni di euro".
"E' importante sottolineare - prosegue Sciattella - che la necessità di ricovero ospedaliero non impatta solo sulla spesa sanitaria, ma genera costi indiretti legati alla perdita di produttività del paziente e del caregiver. I risultati dello studio evidenziano l'importanza di una diagnosi e di una presa in carico precoce che, oltre a migliorare la sopravvivenza e la prognosi dei pazienti, permettono di ottimizzare l'utilizzo delle risorse sanitarie, generando un risparmio per il Servizio sanitario nazionale e per il sistema sociale nel suo complesso. Inoltre, un paziente non correttamente diagnosticato o tardivamente diagnosticato, oltre a subire un peggioramento dello stato di salute, ha importanti ripercussioni sulla qualità di vita in termini di alti tassi di invalidità, frequenti astensioni dal lavoro, ripetuti ricoveri e visite mediche. Situazione che peggiora se si considera che esistono notevoli differenze di gestione tra i centri di riferimento e il territorio, con conseguenti disomogeneità che aggravano l'outcome diagnostico".
Il gruppo di esperti sottolinea l'importanza di portare all'attenzione del Centro nazionale malattie rare il modello di gestione del paziente così come di creare maggiore consapevolezza sui nuovi mezzi diagnostici oggi disponibili all'interno delle comunità scientifiche, incluse quelle di riferimento nell'ambito di medicina generale (Fimmg, Simg, Fimp), grazie anche ad attività di formazione continua.
"Le Pid sono malattie del bambino e dell'adulto, dovute ad un difetto del sistema immunitario spesso su base genetica - commenta Raffaele Badolato, professore ordinario di Pediatria e direttore Clinica pediatrica dell'Università degli Studi di Brescia, Spedali Civili di Brescia - Queste condizioni sono caratterizzate da infezioni gravi che portano a danneggiare l'organismo e che in alcuni casi possono essere anche fatali. Le Pid possono anche insorgere come malattie autoimmuni o come gravi manifestazioni allergiche. Per diagnosticarle si devono effettuare indagini diagnostiche di tipo immunologico e talora genetico. Le indagini di primo livello, che valutano i livelli plasmatici di anticorpi e i diversi tipi di globuli bianchi presenti nel sangue, possono essere prescritti da pediatri e medici di medicina generale, mentre per le indagini di analisi immunologica più approfondita, quale la citometria a flusso, e per le indagini generiche occorre ricorrere ai centri di terzo livello come quelli della rete Aieop-IpiNet ai fini di una corretta interpretazione".
"Vivere con una immunodeficienza primitiva è vivere 'in attesa' - descrive Filippo Cristoferi, responsabile relazioni istituzionali Aip Odv (Associazione immunodeficienze primitive) - In attesa di una diagnosi personalizzata, di una terapia adeguata e tempestiva, di un percorso di presa in carico integrale. Ad attendere con te ci sono la famiglia e i caregiver, che offrono protezione e assistenza. Si ha bisogno degli altri, si dipende, si cerca una compagnia. Si vive un percorso insieme. Difficile e avventuroso".
Risulta quindi necessario - concludono gli esperti - sviluppare all'interno del Piano nazionale malattie rare una sezione dedicata alla tipizzazione immunologica, per consentire ai pazienti con Pid di accedere a servizi diagnostici e terapeutici più efficaci e omogenei a livello nazionale in modo tempestivo. Ma resta di fondamentale importanza riuscire a declinare al meglio i bisogni a livello regionale per poter dare una risposta sempre migliore ai pazienti, ai loro familiari e caregiver e quindi offrire loro una migliore qualità della vita.
Cronaca
Covid fattore di rischio per Alzheimer, l’analisi
"Va ancora capito se può causarlo o solo accelerarlo", ma gli scienziati suggeriscono "antivirali anche nei casi moderati di infezione"
"L'infezione da Sars-CoV-2 dovrebbe essere considerata un fattore di rischio per l'Alzheimer, anche se la distinzione tra causalità e accelerazione della malattia non è chiara". Va ancora capito, in altre parole, se Covid può causare la demenza oppure velocizzarne la comparsa e l'evoluzione. E' la conclusione a cui sono giunti gli autori di un approfondimento sul virus 'Sars-CoV-2 come causa di neurodegenerazione', pubblicato su 'The Lancet Neurology'.
Gli scienziati partono dal presupposto che "le malattie infettive sono una" possibile "causa di neurodegenerazione" già "stabilita, "benché il pericolo neurologico legato alle infezioni virali sia difficile da quantificare". In generale, sottolineano gli esperti, "finora il rischio cumulativo stimato di demenza dovuta a un ricovero ospedaliero per qualsiasi infezione virale nel corso della vita è di 1,48 (intervallo di confidenza 95% 1,15-1,91)". Riguardo al Covid, "uno studio longitudinale sulle conseguenze dell'infezione da Sars-CoV-2 nei decenni" successivi "non è ovviamente disponibile", considerando che la malattia è 'nata' per quanto si sa nel 2019. Tuttavia, i ricercatori citano degli studi i cui risultati indicano che "Covid-19 può determinare un rischio di demenza superiore rispetto all'influenza" e che, "a breve termine, il rischio di danni neurologici gravi come sequela di Sars-CoV-2 è significativo, guidato da meccanismi vascolari e probabilmente da altri processi complessi" che possono coinvolgere la proteina amiloide. Quella che si accumula nelle placche cerebrali caratteristiche dei malati di Alzheimer.
"Una correlazione diretta tra precedente infezione Sars-CoV-2 e aumento del rischio Alzheimer è stata segnalata" e appare "robusta", proseguono gli autori, però "rimane difficile - puntualizzano - distinguere tra casi di demenza ipoteticamente scatenati o solamente accelerati" da Covid. Alcuni punti chiave dell'analisi vengono evidenziati via social dallo scienziato americano Eric Topol, vice presidente esecutivo Scripps Research, fondatore e direttore Scripps Research Translational Institute, che ne pubblica il testo in chiaro rimarcandone in particolare la chiusa: "La terapia antivirale - ritengono i firmatari dell'articolo - dovrebbe essere presa in considerazione anche per le infezioni da Sars-CoV-2 moderate, per ridurre la gravità dei sintomi e limitare la probabilità di sequele".
Cronaca
Chico Forti trasferito oggi da Rebibbia al carcere di Verona
Il 65enne trentino ha fatto richiesta di poter incontrare la madre
Chico Forti, rientrato ieri in Italia dopo 24 anni di carcere negli Usa, è arrivato a Verona intorno alle 13.30 di oggi a bordo di un mezzo della polizia penitenziaria partito stamane da Rebibbia. Forti è stato subito portato al carcere di Montorio dove ha svolto le prime pratiche di rito. Il detenuto ha fatto richiesta di poter incontrare la madre, Maria Loner, di 96 anni. Il 65enne trentino ha inoltrato la richiesta urgente per poter incontrare l'anzana madre.
A Montorio è detenuto, fra gli altri, anche Filippo Turetta e proprio ieri la casa circondariale è stata teatro del pranzo coi detenuti che Papa Francesco ha fatto durante la sua visita alla città.
Forti è atterrato ieri mattina con volo dell’Aeronautica Militare all'aeroporto militare di Pratica di Mare, dove ha incontrato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni che lo scorso marzo, in occasione della sua missione negli Stati Uniti, aveva ottenuto il consenso al trasferimento del connazionale ai sensi della Convenzione di Strasburgo. "Chico Forti è tornato in Italia. Fiera del lavoro del Governo italiano. Ci tengo a ringraziare nuovamente la diplomazia italiana e le autorità degli Stati Uniti per la loro collaborazione", ha poi scritto la premier sui social allegando un'immagine dell'incontro.
"Ho sognato ogni giorno questo momento", ha commentato ieri Forti in un'intervista esclusiva al Tg1 al suo arrivo in Italia. "Mi sono mantenuto così solo per mia madre, spero di vederla presto e darle un grande abbraccio", ha detto. "Rientrare in Italia per me è un passo positivo, cambia tutto, dal personale, la direttrice, le guardie, i vestiti che indosso, che sono italiani. Vorrei ringraziare tante persone, mio zio, Giorgia Meloni, che è stata fantastica, tutto il governo indipendentemente dalle ideologie politiche mi ha aiutato". Fra le persone che vuole ringraziare, ha sottolineato, “non possono non menzionare Andrea, Veronica e Virginia Bocelli perché sono stati incredibili”.
“Per la prima volta non ho un numero, né le manette, è un’altra atmosfera”, ha detto. Al conduttore che gli ricordava come si sia sempre dichiarato innocente, ha risposto: "Certo, è l’unico motivo per cui ho accettato l’estradizione ora, perché all’inizio per avere estradizione dovevo dichiararmi colpevole e non l’avrei mai fatto. E’ contro il mio principio. Vedo sempre il bicchiere mezzo pieno, mai mezzo vuoto, sono positivo e sono convinto che il mio futuro a breve sia come io auspico. Accetto questo passo - ha concluso - so che è un passo obbligatorio”.
Cronaca
Valanga sulle Alpi svizzere, morti 2 scialpinisti lombardi
Le due vittime travolte sul Pigne d'Arolla, tra il Cervino e il Grand Combin
Tragedia sulle Alpi svizzere. Due scialpinisti italiani sono morti travolti da una valanga sul Pigne d'Arolla, tra il Cervino e il Grand Combin. Le due vittime abitavano nella provincia di Lecco.