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Cultura

Sangiuliano: “Luca Beatrice nuovo presidente...

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Sangiuliano: “Luca Beatrice nuovo presidente Quadriennale di Roma”

Il neopresidente: "Felice e orgoglioso. Fin da subito al lavoro per progettare una grande edizione della Quadriennale nel 2025"

Gennaro Sangiuliano (Fotogramma)

Il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, ha firmato il decreto di nomina di Luca Beatrice a presidente della Fondazione 'La Quadriennale' di Roma, indicando come componenti del Consiglio di Amministrazione Katia Gruppioni e, su designazione della Camera di Commercio di Roma, Giancarlo Abete. Il Cda sarà integrato con i rappresentanti della Regione Lazio e del Comune di Roma. A riferirlo è una nota del Mic.

"Nel rivolgere al neopresidente Luca Beatrice i migliori auguri di buon lavoro nel prestigioso incarico che si accinge ad assumere, ringrazio il presidente uscente, Umberto Croppi, per l’attività svolta", ha dichiarato il ministro Sangiuliano.

"Felice di tornare a Roma dove ho vissuto negli anni Novanta, fin da subito al lavoro per progettare una grande edizione della Quadriennale nel 2025, allo scopo di rimettere l’arte italiana al centro del dibattito culturale", le parole all'Adnkronos di Luca Beatrice, che si è detto "felice e orgoglioso di essere stato individuato dal ministro Gennaro Sangiuliano per un incarico così importante e prestigioso".

Luca Beatrice intende rilanciare e dare nuovo slancio alla Quadriennale che si svolgerà nel 2025, con "una grande mostra che la riporti all'attenzione generale del pubblico italiano e non". Questo significa, per Beatrice, realizzare "meno micro-eventi ma lavorare a una grande iniziativa che rilanci la Quadriennale come è sempre stata, ovvero una mostra che faccia il punto sull'arte italiana". La Quadriennale che "presumibilmente aprirà nell'autunno del 2025" infatti dovrebbe avere al centro una riflessione sull'arte dei primi 25 anni del 2000. "Un periodo che può già rappresentare il momento per fare il punto sull'arte italiana nel primo quarto di secolo", ha affermato.

Un modo, questo, per far diventare ancora più centrale il ruolo di Roma nell'arte. "Roma, da quel che mi risulta come osservatore esterno, perché io vivo a Torino - ha detto Beatrice - in realtà è vivace, con le sue gallerie, con gli spazi indipendenti e quelli dei giovani. Inoltre, in città le istituzioni esistono, ci sono dei musei importanti. In generale credo che con il Maxxi e la nuova Galleria d'arte moderna, oltre che con la Quadriennale, Roma sarà di nuovo assolutamente centrale. Da Roma - ha assicurato il neopresidente - ripartirà un grande rilancio dell'arte e della cultura italiana".

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Cultura

“Ascarelli. Una storia italiana”, Pirozzi racconta la...

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L'epopea (caduta nell'oblio) di due generazioni di imprenditori ebrei arrivati sotto il Vesuvio dopo l'Unità d'Italia. A loro si deve anche la fondazione dell’A. C. Napoli e l’edificazione del primo stadio

Il monumento funebre di Pacifico Ascarelli, edificato nel vecchio cimitero ebraico di via Aquileia a Napoli

Arriva in libreria e negli store online l’ultimo saggio di Nico Pirozzi: “Ascarelli. Una storia italiana” (Edizioni dell’Ippogrifo, pp. 224, € 20). Un volume che raccoglie la straordinaria e per molti versi inedita epopea di due generazioni di imprenditori che trasformarono l’immagine di Napoli.

Con cinquant’anni d’anticipo su Adriano Olivetti, rivoluzionò il rapporto allora esistente tra profitto d’impresa e capitale umano. Artefice di questo cambiamento che, sotto molteplici aspetti diede inizio a un radicale rinnovamento del mondo del lavoro, fu Pacifico Ascarelli, un imprenditore romano giunto a Napoli allo scopo di ampliare l’attività della Ditta Pellegrino B. Ascarelli, storicamente specializzata nella vendita di lane e tessuti di pregio. Ebreo, massone e garibaldino, Pacifico era, infatti, erede di un’attività commerciale che da secoli si tramandava di padre in figlio. Nella città del Vesuvio era giunto assieme ai fratelli Moisé Gabriele, Isacco e Settimio, negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia.

A trasformare una modesta filiale dell’azienda romana in una corazzata che dava lavoro a centinaia di persone non ci volle molto tempo. Difatti, a inizio Novecento la Ditta Ascarelli, era già considerata una delle maggiori realtà imprenditoriali del vecchio continente, con un fatturato di 20 milioni di lire. Motore di un progetto che sin da subito si dimostrò vincente, fu quel modo totalmente nuovo e per certi versi rivoluzionario che, negli stessi anni in cui negli Stati Uniti andava affermandosi il “fordismo”, andava a rimodulare l’organizzazione del lavoro, dando forma e sostanza a quel concetto di “felicità collettiva” successivamente adottato all’interno della fabbrica eporediese di macchine per scrivere fondata da Camillo Olivetti. Loro, gli Ascarelli, lo fecero garantendo ai loro numerosi dipendenti una serie di diritti fino ad allora più teorici che pratici (assenze per malattia o maternità, ferie, festività nazionali e religiose, tredicesima mensilità, e altri benefit).

Tutto questo, senza aprire altri capitoli in cui il cognome Ascarelli si andò via via coniugando con tantissimi altri vocaboli: sport, cultura, religione, politica, arte, genialità e, soprattutto, mecenatismo. A conferma di ciò non vi è solo la fondazione del primo club calcistico azzurro (l’A. C. Napoli) e l’edificazione del primo stadio, ad opera di Giorgio; le numerose opere a favore dell’infanzia diseredata (l’Asilo e il padiglione per apprendisti tessitori di Marechiaro), che Giorgio e il cugino Dario (consigliere comunale e provinciale socialista), finanziarono con estrema generosità. Questo senza dimenticare l’aiuto offerto in prima persona da Pacifico alle vittime della mortale epidemia di colera che flagellò Napoli nel 1884, compensato da una medaglia d’argento conferitagli dall’allora ministro dell’Interno, Agostino Depretis.

Comprendere i motivi per i quali nel breve volgere di pochi decenni l’oblio ha avvolto e travolto la storia di questa famiglia di imprenditori e di mecenati ebrei, la cui visione del mondo e delle cose superava di gran lunga i confini del tempo nel quale sono vissuti, è solo una delle tante domande a cui l’autore del volume “Ascarelli. Una storia italiana” tenta di dare risposta.

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Cultura

Romagnolo in gara al premio Strega con ”Aggiustare...

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La scrittrice, 'il riconoscimento è un gioco in forma di competizione, i romanzi sono tutti validi'

Romagnolo in gara al premio Strega con ''Aggiustare l’universo',

Dolore e rinascita. Sono queste le parole che hanno guidato la penna di Raffaella Romagnolo nella stesura del suo 'Aggiustare l'universo' pubblicato da Mondadori. Un romanzo, ambientato nell'ottobre del 1945, in cui si evoca il recente passato del nostro Paese segnato dai dolori della Seconda guerra mondiale, così come dalla speranza per un domani ricco di opportunità. Un romanzo, presentato da Lia Levi, premiato dalla giuria del premio Strega che ha inserito il libro della scrittrice piemontese nella dozzina di quest'anno. Per lei si tratta di un ritorno. E' la terza volta che Romagnolo partecipa all’ambito alloro letterario. Una consuetudine che, spiega l’autrice all’AdnKronos, rende più maturi e che lascia aperta ogni strada. Il passo successivo potrebbe essere la cinquina, lei ci spera? "Mentirei se dicessi di no. Ci spero, mi farebbe molto piacere che il libro potesse avere anche questa chance. Il premio Strega è come un faro acceso e per un autore questa è una grande soddisfazione", risponde infatti schietta.

"In realtà - racconta - sono già entrata nella dozzina nel 2016 con un romanzo che si intitola 'La figlia sbagliata'; nel 2019 ho partecipato al premio Strega Ragazze e Ragazzi con 'Respira con me'. La prima volta in cui sono stata in dozzina non ero proprio un esordiente ma ero all'inizio. Per questo è stata una sorpresa e un'emozione. Adesso arrivo a questo traguardo più consapevole dell'importanza del premio. Un fatto che aggiunge ulteriore emozione. Rispetto alle prime prove, sto vivendo con maggiore coinvolgimento la mia presenza al premio Strega. Cerco - dice- di non investire emotivamente troppo sull'eventuale traguardo finale godendomi i vari passaggi. Si tratta di un gioco in forma di competizione. Non ci può essere una vera gara tra i romanzi che, alla luce della selezione che è stata fatta, sono tutti validi”.

Allo stesso tempo, secondo la scrittrice, il riconoscimento “è una grande occasione di visibilità, una bella vetrina, in un panorama editoriale che produce 80mila titoli all'anno”. Un 'gioco' che quest'anno ha privilegiato, nella dozzina, la componente femminile. Le scrittrici in gara, infatti, sono sette mentre gli autori sono cinque. Un dato che si allinea ad una tendenza già in atto da qualche anno che ha visto lievitare il contributo offerto al premio dalle donne. Dopo la vittoria registrata nell'edizione passata da 'Come d'aria' di Ada D'Adamo, tutto lascia pensare che il riconoscimento sarà consegnato ancora una volta ad una scrittrice. “Credo che il premio Strega – riflette la scrittrice - riconosca lo spirito dei tempi e la realtà dei fatti. Per la narrativa i lettori in realtà sono in grandissima parte lettrici. Le donne che scrivono, per di più, spesso dominano le classifiche e quelle che scrivono narrativa di qualità sono sempre più numerose. In questo senso il premio Strega si dimostra al passo con i tempi”.

Raffaella Romagnolo passa ora a descrivere gli elementi salienti dell'opera con cui ha finora superato la fitta concorrenza dei pretendenti al premio che vivrà ancora due tappe fondamentali: la cinquina il 5 giugno a Benevento e lo spoglio finale il 4 luglio al museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma. "Questo - sostiene - è proprio un romanzo di scuola, nel senso che la vicenda portante copre un anno scolastico e anche i personaggi principali sono inquadrabili nella parola scuola. Abbiamo una maestra e una bambina misteriosa che dimostra di avere molte competenze, sa fare tante cose, ma non parla". Un comportamento che lascia pensare che "in lei ci sia un mistero da sciogliere". Le due protagoniste, la maestra Gilla e la piccola Francesca, “hanno alle spalle gli anni forse più bui che il nostro Paese ha attraversato nel secolo scorso, ovvero quando fu distrutto dalla seconda guerra mondiale”.

Da una parte, prosegue, c'è "la maestra Gilla. E' di origine genovese ed ha vissuto i bombardamenti che hanno colpito la sua città. Ha lasciato, da sfollata, Genova con la sua famiglia, ha perso l'uomo che amava, e si è trovata coinvolta nella Resistenza, che è stata soprattutto una storia di lutti e di dolori". Dall'altra parte, "c'è una bambina che ha subito sulla sua pelle gli anni della guerra ma anche le persecuzioni e tutta la legislazione razzista che ha colpito la sua famiglia. E', infatti, una bambina ebrea. Anche lei ha sulle spalle un vissuto estremamente pesante”, afferma la Romagnolo.

Il dolore, quindi, accomuna le due protagoniste. Ma, accanto alla sofferenza che affrontano pagina dopo pagina, si può collocare anche il concetto di 'rinascita'. Si tratta, sottolinea la scrittrice, del “tentativo, anche aiutandosi vicendevolmente, di liberarsi da quella situazione e di attraversare il buio”. Buio che, interpretato in senso più ampio, corrisponde alla “storia del nostro Paese che trova il modo di uscire dal tunnel della guerra”. La riconquista della pace e della libertà “è un processo che ci ha permesso di uscire dalla tragedia, un percorso che gli individui e la comunità hanno fatto insieme”.

Ambientato in un contesto storico in bilico tra un passato doloroso e un futuro ancora da costruire, il libro “è pieno di speranza perché la parola rinascita, o anche la parola ricostruzione, sono effettivamente parole guida. Ho provato a raccontare – evidenzia la scrittrice - le vicende toccate agli italiani di appartenenza ebraica durante quegli anni, senza focalizzarmi solo sulla Shoah, ma a partire dalla legislazione razziale, che io preferisco chiamare razzista”.

“Il libro, in questo senso, ricolloca l'intera vicenda degli italiani di appartenenza ebraica nel contesto più generale del periodo della guerra”, conclude la Romagnolo che lo scorso settembre ha vinto la prima edizione del Campiello Natura, la sezione del premio riservata alle opere letterarie che indagano il rapporto tra l'uomo e l'ambiente, con il libro 'Il Cedro del Libano' (Aboca Edizioni).

(di Carlo Roma)

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Cultura

A Eraldo Affinati e a Marco Bellocchio il premio De Sanctis...

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Marco Bellocchio (Fotogramma)

Va a Eraldo Affinati per 'Delfini, Vessilli e cannonate. Autobiografia letteraria' (Harper Collins Italia) e a Marco Bellocchio per la pluridecennale carriera il 'Premio De Sanctis' per la Letteratura arrivato alla sua XIII edizione. Organizzato in collaborazione con la presidenza del Consiglio, il riconoscimento, la cui giuria è presieduta da Giorgio Ficara, ha anche premiato: per il saggio breve Sara De Simone per 'La vita della vita. Diari (1903 – 1923) di Katherine Mansfield', (Donzelli); premio speciale giuria a Massimo Bacigalupo per 'Ezra Pound. Un mondo di poesia' di Massimo Bacigalupo, Edizioni Ares; premio per il giornalismo a Giovanna Botteri, corrispondente Rai da Parigi. La cerimonia di premiazione si terrà lunedì 27 maggio alle ore 18 nella sede di Villa Doria Pamphilj a Roma, residenza istituzionale della Presidenza del Consiglio, alla presenza di numerosi ministri e rappresentanti delle istituzioni. Patrocinato dalla Rai, l’incontro sarà condotto da Mariarita Grieco, vicedirettore del Tg1.

Giunto alla sua tredicesima edizione, il Premio De Sanctis Letteratura è rivolto alle eccellenze della letteratura italiana: i vincitori di questa edizione lavorano nel mondo che produce e diffonde sogni, in parole e in 'immagini'. La Giuria del Premio è composta da Giorgio Ficara (Presidente), Nadia Fusini, Raffaele Manica, Giacomo Marramao, Massimo Onofri, Raffaello Palumbo Mosca e Elisabetta Rasi. “Il voto per l’edizione 2024 - ha spiegato il presidente della Giuria, Giorgio Ficara - è stato unanime e ha inteso premiare artisti che si sono distinti nel loro campo, in un frangente storico particolarmente doloroso. Eraldo Affinati è un grande scrittore che ha sempre considerato la letteratura uno strumento privilegiato di resistenza etica e ha saputo coniugare il sentimento di pietà e attenzione per gli ultimi facendone tutt'uno con l'insegnamento dell'italiano nella scuola”.

“Di particolare rilievo – ha aggiunto il presidente della Giuria - anche il premio alla carriera attribuito a una grande personalità italiana come quella rappresentata da Marco Bellocchio, regista di straordinaria coerenza poetica e impegno politico”. Premio speciale della giuria allo studioso Massimo Bacigalupo, per “il suo bellissimo libro-pastiche su Ezra Pound, ricco di preziosi rilievi critici sulla poesia e di aneddoti sulla vita, soprattutto italiana, tra Rapallo e Venezia”. La prima edizione del Premio Francesco De Sanctis si è svolta il 6 ottobre 2009 individuando, fin dalla sua istituzione, testi capaci di innovare profondamente nella tecnica e nei contenuti il genere saggistico; dal 2021 si è aperto anche alla letteratura in genere (saggistica, narrativa, poesia, editoria) e dal suo decennale ha anche un’appendice di levatura internazionale, con la sezione “Europa”, oggetto di una cerimonia di premiazione speciale che ha luogo a Bruxelles e che quest’anno vedrà la sua terza edizione. Tra i vincitori delle ultime edizioni: Giorgio Napolitano, Carlo Ginzburg, Matteo Garrone, Liliana Segre, Claudio Magris, Benedetta Craveri, Emanuele Trevi, Elisabetta Sgarbi, Ernesto Ferrero.

Chi non ha studiato sul 'De Sanctis'? Croce e delizia di generazioni e generazioni di studenti, amatissime da docenti e cultori, le pagine di storia e critica della letteratura italiana scritte dal De Sanctis ne fanno uno dei 'Padri della nostra Patria' e della nostra cultura. Irpino d’origine, Francesco De Sanctis fu una delle personalità più rilevanti del XIX secolo: oltre che letterato, anche filosofo, politico e Ministro della Pubblica Istruzione. La Fondazione De Sanctis nasce nel 2007 su iniziativa dell’architetto Francesco De Sanctis, pronipote omonimo del critico letterario, a seguito dell’acquisizione di un lascito di famiglia costituito dall’archivio personale e dalla biblioteca dell’illustre antenato.

L’obiettivo della Fondazione De Sanctis e, di conseguenza, del Premio, è quello di rendere la sua eredità la base di partenza per un progetto culturale che intende attualizzare l’opera e il pensiero del grande studioso rendendoli così materia viva e contemporanea, non solo a livello nazionale ma anche europeo. Con questa prospettiva la Fondazione fa della diffusione internazionale dell’identità letteraria, filosofica e artistica italiana la propria principale missione, con un’attenzione particolare alle proprie radici meridionali e uno sguardo sempre attento sul presente e sulle realtà culturali europee che da quelle stesse radici si sono sviluppate.

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