Snami, guardia medica riferimento indispensabile per collettività
Il sindacato risponde a servizio Tv sulle presunte carenza della continuità assistenziale
"Con profonda preoccupazione notiamo una mancanza di completezza nell'affrontare la complessità e l'importanza della guardia medica nell'assistenza sanitaria pubblica. Il servizio di guardia medica è stato istituito per interventi non differibili che non richiedono un intervento immediato di emergenza-urgenza e nel tempo è diventato un punto di riferimento indispensabile e strategico per l’intera collettività”. Così, il responsabile nazionale del Sindacato nazionale autonomo dei medici italiani (Snami) Continuità assistenziale, Giancarmelo La Manna, risponde - in una nota - al servizio televisivo di ‘Furoi dal coro’', su Rete 4, sulle presunte carenze della continuità assistenziale.
“L'invecchiamento della popolazione e l'aumento delle patologie croniche - aggiunge Federico Di Renzo, responsabile nazionale Snami medici in formazione e specializzazione - si contrappongono a una riduzione delle risorse destinate alle strutture ospedaliere e ai pronto soccorso, senza un potenziamento delle risorse territoriali, come il servizio di guardia medica, che hanno subito ulteriori tagli e chiusure. Questa situazione ha comportato una carenza di camici bianchi nei presidi territoriali e, in particolare, nel servizio di guardia medica, causando un impoverimento organizzativo e dell’offerta sanitaria, vedi visite domiciliari”.
Nella trasmissione, “la citazione della sentenza della Cassazione che condanna un sanitario in servizio nella continuità assistenziale - spiega La Manna - si riferisce a un caso particolare e straordinario che non raffigura la regolarità dell’attività del servizio. Si tende quindi a rappresentare un tentativo di discredito nei confronti dei numerosi colleghi che svolgono regolarmente un prezioso servizio. In buona sostanza - conclude - si cerca un ago nel pagliaio per esigenze televisive e, di fatto, si coinvolge una intera categoria”.
Salute e Benessere
Un veleno potentissimo, cos’è la sindrome causata...
Di cosa si tratta, in che forma si presenta e i sintomi della grave intossicazione che ha portato alla morte di un'anziana a Roma
All'origine di tutto c'è un batterio: Clostridium botulinum, il botulino. O meglio le tossine rilasciate da questo microrganismo e da altri clostridi, microrganismi anaerobi che si possono trovare nel suolo o nella polvere sotto forma di spora. Sono loro che provocano il botulismo, grave intossicazione che può scatenare una sindrome neuro-paralitica e avere conseguenze letali, portando a paralisi respiratoria e asfissia. L'ultima vittima finita all'attenzione delle cronache è un'anziana morta a Roma, per avvelenamento da botulino. Il caso a settembre. La donna aveva mangiato insieme alla figlia - finita in terapia intensiva - una zuppa di carciofi acquistata al supermercato, e la procura di Roma ha aperto un fascicolo d'indagine per omicidio colposo a carico di ignoti.
"Il più potente veleno conosciuto" in quale forma si presenta?
Le tossine botuliniche, come si spiega in un focus su 'Epicentro', il portale di epidemiologia dell'Istituto superiore di sanità (Iss), sono considerate per l'uomo "il più potente veleno conosciuto", con una dose letale stimata in 1 nanogrammo (ng)/kg.
Il botulismo si presenta sotto varie forme: alimentare, infantile, da ferita, negli adulti, si legge in un approfondimento sul sito dell'Irccs Humanitas. Vista la pericolosità, evidenziano gli esperti, è necessario intervenire rapidamente, anche se i sintomi nella fase iniziale sono spesso simili a quelli di disturbi meno gravi, come una gastroenterite.
Il botulismo alimentare è la più nota e comune forma di botulismo, si verifica quando la contaminazione interessa conserve sott'olio, carne o pesce in scatola, salumi. L'intossicazione è causata dall'accumulo delle tossine prodotte dai clostridi nell'intestino.
I sintomi si manifestano generalmente dopo 18 o 36 ore dal momento in cui la tossina viene a contatto con l'organismo. In alcuni casi possono passare anche molti giorni, fino a 8, prima di lamentare i segni della tossinfezione.
I sintomi del botulismo
Quali sono i sintomi? Nella fase iniziale ci possono essere diarrea, dolori addominali, nausea e vomito, quindi qualcosa di molto simile a una gastroenterite, fanno notare gli esperti di Humanitas. Ma in realtà la situazione progredisce poi molto rapidamente, e precipita, portando a difficoltà a deglutire e parlare, alterazione della vista, visione annebbiata o sdoppiata (diplopia), secchezza della bocca, palpebre cadenti, problemi di respirazione, difficoltà a muovere i muscoli facciali, paralisi.
Come si previene?
In Italia, ripercorre Epicentro, il botulismo è una malattia a notifica obbligatoria dal 1975. Nel 1990, a seguito della riorganizzazione del sistema informativo delle malattie infettive e diffusive, è stato inserito tra le malattie di classe I, per le quali è richiesta la segnalazione da parte del medico all'azienda sanitaria entro 12 ore dalla formulazione del sospetto clinico, percorso attraverso il quale il caso arriva all'attenzione del sistema di sorveglianza nazionale esistente per la patologia.
Come si previene il botulismo? La prevenzione - si legge nell'approfondimento di Humanitas - si attua evitando di consumare cibi sulla cui preparazione e conservazione non si hanno garanzie, e cibi scaduti. Le conserve fatte in casa, ad esempio, sono maggiormente rischiose di quelle di produzione industriale. Sono ritenute sicure le conserve di alimenti acidi, come passata di pomodoro e sott'aceto, con alte concentrazioni di zucchero come marmellate e confetture, sale, conserve in salamoia. In tutti i casi valgono le regole di igiene personale, regolare e scrupolosa. E quando ci si procura una ferita è sempre necessario disinfettarla accuratamente.
Salute e Benessere
Sanità, Salutequità: “Lea a rischio anche da gennaio...
Il presidente Aceti: "Miliardi dati alle Regioni a fronte di nessuna prestazione aggiuntiva"
La Manovra 2025 mette 50 milioni di euro l'anno tra 2025 e 2030 per aggiornare i Lea, cioè le prestazioni erogate gratuitamente o dietro pagamento di un ticket da parte del Servizio sanitario nazionale, e le relative tariffe. Ma a essere in bilico ancora oggi, dopo oltre un lustro, è la stessa possibilità dei 'tariffari' di entrare in vigore all'inizio del prossimo anno. Sono i contenuti di un articolo pubblicato nel sito di Salutequità, che riprendono un'intervista di Tonino Aceti, presidente del 'laboratorio italiano' per l'analisi dell'andamento e dell’attuazione delle politiche sanitarie, a 'Il Sole 24 Ore'.
"Negli anni si sono accumulate risorse - si legge nel sito - Al 31 dicembre 2023 l'ammontare dei finanziamenti previsti dalla legge per l'aggiornamento delle tariffe di protesica e specialistica legato al Dpcm del 2017 è stato pari a 3,046 miliardi, a cui si aggiungono 400 milioni destinati a un ulteriore aggiornamento, per un totale di 3,446 miliardi". Sono "miliardi dati alle Regioni a fronte di nessuna prestazione Lea aggiuntiva garantita ai cittadini sul territorio nazionale", sottolinea Aceti che ricorda la lettera firmata dal Ragioniere generale dello Stato e inviata al ministro della Salute quando si decise l'ultimo slittamento al 2025. Una proroga a cui il Mef era nettamente contrario. "In un passaggio cruciale di quella missiva - spiega il presidente di Salutequità - si sottolinea come l'adozione del decreto tariffe sia fondamentale per ridurre le disuguaglianze anche a fronte di una mobilità sanitaria monstre. Per questo il Ragioniere generale aveva chiesto a Schillaci di rendere indisponibili quelle risorse, pari a 631 milioni per il 2024 e a 781 milioni a decorrere dal 2025, fino al loro effettivo impiego per le finalità indicate dalle norme e limitatamente agli impatti finanziari associati".
L'urgenza di creare un meccanismo di aggiornamento dei Lea è reale, frutto anche della continua innovazione che caratterizza i servizi sanitari, le tecnologie e i bisogni di salute. "Nel corso dell'ultimo anno - rileva Aceti - secondo la Corte dei conti la Commissione Lea ha proseguito nell'esame delle richieste di aggiornamento pervenute tramite il portale del ministero della Salute da parte di società scientifiche, Ordini professionali, Regioni e aziende sanitarie per approvarne 9 isorisorse e 12 che comportano oneri per la finanza pubblica. La Commissione ha quindi formulato due proposte che sono confluite nella complessiva proposta di aggiornamento del Dpcm 12 gennaio 2017. Però perché il via libera sia formalizzato occorre attendere l'entrata in vigore del decreto interministeriale che definisce le tariffe massime. Rinviato più volte, appunto, fino alla scadenza del 1° gennaio 2025". Una data a rischio, su cui la stessa Manovra di bilancio potrebbe riservare sorprese.
Salute e Benessere
Farmaci, lecanemab: nuovi dati su benefici a lungo termine...
Presentati al Ctad nuovi risultati a 3 anni studio Clarity AD e tecnica per quantificazione protofibrille
Una somministrazione precoce e continuativa del trattamento con lecanemab, anticorpo monoclonale contro la proteina beta amiloide, può avere un impatto positivo nella progressione della malattia nei pazienti con Alzheimer in fase iniziale e fornire benefici a lungo termine. Sono questi, in sintesi, i risultati dello studio 'Clarity AD' presentati da Eisai e Biogen alla 17° Conferenza Ctad (Clinical Trials for Alzheimer's Disease) in corso a Madrid. Questi dati - si legge in una nota - ampliano quelli già illustrati a luglio 2024 durante l'Alzheimer's Association International Conference (Aaic), includendo ulteriori valutazioni derivanti dai 3 anni di trattamento continuo con lecanemab in pazienti con bassi livelli di amiloide cerebrale al basale.
Lecanemab, grazie al suo doppio meccanismo d'azione - riduce le placche di beta amiloide e previene il deposito di questa proteina nel cervello, ricorda la nota - è l'unico trattamento per la malattia di Alzheimer in fase precoce disponibile in grado di supportare la funzione neuronale eliminando anche le protofibrille, altamente tossiche, che alimentano il danno e la morte dei neuroni, anche dopo che le placche sono state rimosse dal cervello.
La quantificazione di queste protofibrille nel liquido cerebrospinale umano (Csf) è però complicata dalla loro bassa concentrazione. I ricercatori di Eisai hanno quindi approntato un nuovo metodo di misurazione che evidenzia il legame tra le protofibrille e i biomarcatori della neurodegenerazione. Grazie a questa nuova tecnica è stato possibile osservare che le protofibrille sono correlate più strettamente ai biomarcatori della malattia neurodegenerativa, indicando un chiaro ruolo significativo delle protofibrille nella disfunzione sinaptica in presenza di malattia di Alzheimer.