Il viaggio di Giorgio Cantarini: dal bambino di “La Vita è Bella” al suo percorso nel cinema di oggi
Giorgio Cantarini, nato il 12 aprile 1992 a Orvieto, è un attore italiano il cui talento si è rivelato sin dalla tenera età. Il suo percorso artistico è iniziato in modo quasi fiabesco quando, a soli cinque anni, ha avuto l’opportunità di recitare nel celebre film di Roberto Benigni, La vita è bella (1997). In quel film, Giorgio ha interpretato il piccolo Giosuè Orefice, figlio del protagonista Guido, e la sua interpretazione ha immediatamente catturato il cuore del pubblico di tutto il mondo.
La dolcezza e l’innocenza con cui Giorgio ha dato vita a Giosuè hanno reso la sua interpretazione impossibile da dimenticare. Ogni suo sorriso, ogni sguardo ingenuo e fiducioso ha toccato il cuore di chi guardava, facendo scaturire un’emozione così pura e profonda che, ancora oggi, rimane scolpita nei ricordi di chi ha vissuto quella storia attraverso i suoi occhi.
Giosuè ha incarnato la purezza di un bambino che, pur immerso nella brutalità dell’Olocausto, riesce a trovare conforto nella fantasia protettiva del padre. Con naturalezza e sensibilità, ha saputo rappresentare quel delicato equilibrio tra la spensieratezza infantile e la cruda realtà, creando un ritratto di resilienza e speranza che ha toccato corde emotive universali.
La vita è bella ha trionfato agli Oscar, vincendo tre statuette, tra cui quella per il Miglior Film Straniero, e in questo successo, l’interpretazione di Giorgio ha avuto un ruolo fondamentale.
Dopo il clamoroso successo del suo debutto, Giorgio è tornato sul grande schermo nel 2000 con un altro ruolo iconico, interpretando il figlio di Massimo Decimo Meridionel kolossal di Ridley Scott, Il Gladiatore. Sebbene il suo fosse un ruolo breve, la sua presenza in un film di tale portata, accanto a una star del calibro di Russell Crowe, ha confermato ulteriormente il suo talento e il suo potenziale nel mondo del cinema.
La scelta consapevole di Giorgio
Nonostante l’incredibile successo che lo ha travolto fin da bambino, Giorgio ha deciso di non farsi trascinare da quella valanga di notorietà. Ha scelto, con maturità e consapevolezza, di mantenere i piedi per terra e prendere il tempo necessario per ascoltare sé stesso, invece di lasciarsi condizionare dalle aspettative del mondo esterno.
Con saggezza e maturità, ha preferito dedicarsi agli studi, ritagliandosi il tempo necessario per riflettere e fare scelte ponderate riguardo alla sua carriera. Ha continuato a lavorare come attore, ma con una presenza più discreta, partecipando a progetti cinematografici e televisivi, sia in Italia che all’estero, mantenendo sempre il controllo sulla propria evoluzione artistica.
La sfida di Giorgio: dalla recitazione al ballo
Nel 2005, ha accettato una sfida diversa partecipando a Ballando con le Stelle, dove ha messo in mostra non solo il suo talento, ma anche la sua personalità simpatica e affabile.
Negli anni successivi, Giorgio ha intrapreso un percorso di studio approfondito della recitazione, ampliando le sue competenze nel teatro e sperimentando nuove forme espressive. Pur non essendo più sotto i riflettori con la stessa intensità dei suoi esordi, ha mantenuto intatta la sua passione per l’arte, scegliendo progetti che rispecchiassero la sua crescita personale e professionale. Lo abbiamo incontrato in esclusiva, di seguito l’intervista in italiano – per leggerla anche in altre lingue, visita www.menover50mode.com.
La nostra intervista esclusiva
Giorgio, grazie di aver accettato questa intervista!
“Il piacere è mio.”
Come hai vissuto il passaggio dall’essere un attore bambino in film così iconici a costruire la tua carriera da adulto?
“Crescendo, dopo “La vita è bella” e “Il Gladiatore”, ho continuato a lavorare nel mondo del cinema, partecipando ogni 3-4 anni a qualche progetto, come nuovi film per la TV o piccole collaborazioni. Partecipavo a questi progetti quando erano interessanti, anche se all’epoca non avevo una vera aspirazione a fare l’attore. Non era qualcosa che mi interessava davvero. In pratica, era un’attività in cui ero capitato quasi per caso e che sapevo fare, quindi ogni tanto accettavo delle parti, ma in realtà volevo fare altro. Come molti ragazzi della mia età, sognavo di diventare calciatore, professore, ingegnere… A un certo punto volevo persino fare il Papa! È stato solo verso la fine del liceo che ho cominciato a pensare seriamente alla recitazione. Mi piaceva molto il cinema, i film, le grandi interpretazioni degli attori di Hollywood. Così ho deciso di provare ad entrare al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove sono stato ammesso. Ho studiato lì per tre anni, e in quel periodo è nata una vera passione per la recitazione. Mi sentivo appagato, sia a livello personale che sociale. Mi piaceva lavorare con gli altri, far parte di un gruppo, ma anche lavorare su me stesso. Dopo il diploma, ci è voluto un po’ per rientrare nel mondo del lavoro, ma negli ultimi anni le cose sono andate molto bene. Inizialmente non è stato semplice, né trovare continuità nel lavoro né superare il peso del modo in cui avevo iniziato, con il ruolo in “La vita è bella”. Mi sentivo sotto pressione, come se dovessi sempre dare il massimo, superando quel traguardo, quella performance. Ma col tempo ho capito che non era necessario. A cinque anni, nel film, non stavo recitando, stavo solo interpretando me stesso. Non c’era una vera “performance”, ma una spontaneità naturale. Superato questo blocco, ho cominciato a esprimermi con molta più libertà. L’esperienza, lo studio e il tempo mi hanno permesso di crescere come attore, e ora mi sento più libero di esprimermi, molto più di quanto non fosse all’inizio, subito dopo l’accademia.”
Guardando indietro ai tuoi ruoli più iconici, c’è stato un momento in cui hai sentito il peso delle aspettative o della notorietà, e come hai gestito quei sentimenti? Quali sono state le sfide più importanti?
“In parte, ti ho già risposto nella prima domanda, parlando di come sentivo, tra virgolette, il “peso” della notorietà che avevo acquisito da bambino. Però è stato durante gli anni di studio e soprattutto nei primi anni dopo il diploma in recitazione che ho iniziato a percepire maggiormente questa pressione. Dovevo entrare nel mondo del lavoro vero e proprio, e sentivo di dover dimostrare qualcosa in più rispetto agli altri. Era come se nulla mi fosse dovuto, e dovevo provare di essere all’altezza del passato. Con il tempo, però, ho capito che questa era una stupidaggine. Guardando indietro, uno dei primi lavori che mi ha dato più soddisfazione è stato il cortometraggio “Il dottore dei pesci”, diretto da Susanna Della Sala, una regista e scenografa davvero talentuosa. È stato uno dei miei primi lavori dopo il diploma e ha ottenuto molto successo nei festival di tutto il mondo. Abbiamo vinto premi a Los Angeles, in Canada e in Olanda, e io sono stato nominato come miglior attore in un festival a Los Angeles. Sono anche andato a ritirare il premio, perché il regista non poteva essere presente, e io mi trovavo già negli Stati Uniti. Essendo uno dei miei primi lavori, e avendo lavorato con una regista che aveva studiato nella mia stessa scuola, sentivo una certa pressione. Anche molti altri nei reparti tecnici del corto avevano frequentato la stessa scuola, quindi c’erano aspettative alte, e volevo davvero dare il massimo. Credo di esserci riuscito, visto che la mia interpretazione è piaciuta molto. “Il dottore dei pesci” è una storia semplice e carina, molto fantasiosa, quasi fiabesca. Per quanto riguarda come ho gestito questi sentimenti di pressione, beh, non saprei dirti esattamente. Sono una persona molto positiva, e anche se a volte queste emozioni mi bloccavano un po’ artisticamente, ho sempre cercato di lavorare su me stesso e di dare il meglio. Quando mi sentivo bloccato o non al 100%, cercavo di capire cosa mi stesse trattenendo e, passo dopo passo, sono riuscito a elaborare queste sensazioni. Di questo sono molto orgoglioso.”
Dopo aver scelto di mantenere un profilo più discreto nella tua carriera, quali valori o principi ti hanno guidato nelle tue scelte artistiche?
“Dopo aver scelto di mantenere un profilo più discreto nella mia carriera, ho sempre seguito dei principi ben definiti nelle mie scelte artistiche. Il mio obiettivo principale è sempre stato quello di partecipare a progetti validi, con un certo livello di qualità. Fin dall’inizio, insieme al mio team, abbiamo cercato di impostare una direzione chiara, scegliendo con attenzione i progetti a cui aderire e decidendo di non propormi per certi tipi di lavori. Questo è stato importante per mantenere un certo livello di integrità artistica. Avendo iniziato in un modo particolare, anche se ero solo un bambino e non ancora un professionista, ho sempre voluto mantenere una certa coerenza nelle scelte. Ovviamente, non è facile replicare successi come quelli de “La vita è bella” o “Il gladiatore”, ma ci siamo concentrati sul non partecipare a prodotti che, diciamo, non riteniamo altrettanto validi dal punto di vista artistico. Per esempio, abbiamo deciso di evitare le fiction o le soap opera di un certo tipo, senza fare nomi, ma parliamo di quella televisione meno ricercata artisticamente. Abbiamo preferito investire maggiormente sul cinema e su progetti televisivi di un certo spessore. È stato possibile farlo soprattutto negli ultimi anni, con l’avvento delle piattaforme streaming, che hanno cambiato il modo di fare serialità, portando più investimenti e nuove storie da raccontare. Devo ammettere, però, che finora non ho ancora avuto la possibilità di lavorare in una serie TV, ma è una cosa che aspetto. In ogni caso, ho sempre cercato di aderire solo a progetti che mi appassionassero e che valorizzassero il mio lavoro. Solo una volta ho fatto un’eccezione, accettando un progetto esclusivamente per motivi economici, e me ne sono pentito. Non ti dirò di quale progetto si tratta, ma dopo quell’esperienza, ho deciso che non avrei mai più fatto qualcosa solo per soldi.”
In che modo la recitazione e il teatro sono cambiati per te nel corso degli anni, e cosa cerchi oggi in un progetto che ti stimola a livello personale e professionale?
“La mia visione della recitazione e del teatro è cambiata nel tempo, specialmente con la maturazione della mia consapevolezza come attore. Anche il mio approccio è diverso ora. Appena diplomato, mi sentivo un po’ come quando impari a guidare: all’inizio devi concentrarti su ogni piccolo movimento – inserire la prima, la seconda, gestire la frizione, il freno – ma con l’esperienza tutto diventa più fluido e automatico. Negli ultimi anni, ho notato con sorpresa come il mio modo di affrontare una sceneggiatura o un testo sia diventato più naturale, quasi automatico. C’è molto meno “lavoro” consapevole, molte cose arrivano spontaneamente, senza dovermi sforzare per capire il personaggio o il testo. Un’altra cosa che mi ha colpito è la facilità con cui oggi entro in un personaggio, rispetto al passato, e allo stesso tempo, la maggiore difficoltà nel lasciarlo andare. L’ultimo film che ho girato è stato particolarmente stimolante per me. Si tratta di una produzione in due lingue, italiano e inglese, girata tra Italia e Stati Uniti. Interpreto un soldato affetto da sindrome da stress post-traumatico, un personaggio che ha vissuto la guerra e che attraversa gli anni ’60 con una vita molto complessa. Nonostante la complessità del ruolo, sono riuscito a immergermi nel personaggio con facilità, ma ho avuto difficoltà a uscirne. Dopo la prima tranche di riprese, che continueranno tra settembre e ottobre in Friuli, ho impiegato almeno una settimana per liberarmi delle sensazioni intense del personaggio. Questo mi ha davvero sorpreso, anche se in passato avevo già notato qualcosa di simile, anche in ruoli meno intensi. Ho capito che posso entrare nei personaggi in modo molto profondo e naturale, senza troppo sforzo, soprattutto quando sento una certa affinità con loro. Se invece il personaggio è più distante da me, richiede un lavoro più approfondito. Onestamente, non sono ancora arrivato al punto della mia carriera in cui posso scegliere liberamente cosa fare o cosa non fare. Ahimè, non ci sono ancora, ma so che quel momento arriverà. Per ora mi candido a vari progetti, cercando ovviamente quelli che ritengo validi, ma spesso devo anche accettare ciò che arriva, senza poter fare una grande selezione. Naturalmente, devono essere progetti che abbiano un valore artistico e professionale, dove interpreto un personaggio che mi valorizza, e soprattutto che raccontino una storia degna di essere narrata, diretta da persone che sappiano il fatto loro. Purtroppo, mi è capitato di imbattermi in persone che volevano coinvolgermi in progetti che, alla fine, non erano all’altezza, perché fare un film, o anche solo un cortometraggio, non è facile. Serve esperienza, non solo mezzi produttivi, ma anche una visione artistica. Non è detto che tu debba per forza aver studiato nelle migliori scuole, ma devi avere una visione d’insieme e sapere come formare una squadra. Ogni singolo elemento deve avere la giusta esperienza per realizzare qualcosa di buono, perché il rischio di fare qualcosa di terribile è sempre dietro l’angolo. Quello che cerco, quindi, sono persone che sappiano valorizzarmi, che abbiano una storia interessante da raccontare e, se possibile, che portino una visione originale, fuori dagli schemi. Amo molto progetti che escono dal canone tradizionale, come il film di cui ti parlavo, “Il dottore dei pesci”, che ha un’atmosfera fiabesca in cui mi ritrovo particolarmente. Un sogno che ho da tempo è quello di interpretare un cattivo, un ruolo che non mi è mai stato offerto. Probabilmente perché non ho il classico “physique durôle” del cattivo: mi dicono sempre che ho gli occhi troppo buoni! Ma mi piacerebbe davvero, e sono convinto che lo farei bene, magari interpretando un personaggio che sembra buono, ma che poi rivela un lato oscuro e subdolo. In realtà, ho avuto un assaggio di questo tipo di ruolo a teatro, l’anno scorso, nello spettacolo Altrove, scritto e diretto da Agustina Risotto Interlandi. Interpretavo un giovane marito, premuroso all’apparenza, ma che si rivela un manipolatore calcolatore. La storia racconta di una giovane coppia forzata a convivere durante il lockdown, e con il tempo emergono i demoni della loro relazione. Mi piacerebbe molto interpretare di nuovo un personaggio così, qualcosa di completamente diverso rispetto a quello che ho fatto finora. Penso che sarebbe interessante, dato il mio volto “buono”, interpretare qualcuno che all’apparenza sembra innocuo, ma nasconde un lato oscuro. Sarebbe un contrasto davvero intrigante!”
Ci potresti raccontare alcuni aneddoti divertenti accaduti con Benigni durante le riprese di “La vita è bella”?
“Certo, posso raccontarti qualche aneddoto divertente su Benigni! Ricordo che durante le riprese, considerando che avevo solo cinque anni, non sempre il mio umore era adatto per girare. A volte, come ogni bambino, non ero nel mood giusto, e Roberto cercava sempre di farmi sorridere, di rilassarmi e mettermi a mio agio. C’era una cosa che faceva spesso e che mi faceva ridere un sacco. Mi diceva: “Giorgio, cosa c’è? C’è qualcuno che non ti piace? Lo mandiamo via. Quello là ti piace? Sì? E quello là? No? Allora tu, vai via!” E così scherzava, mandava via le persone per farmi ridere e calmarmi. Un’altra cosa simpatica riguarda il soprannome “Testa Dura”. Nel film, il personaggio di Guido mi chiama così, ma in realtà tutto nasce dalla realtà! Io sono sempre stato un po’ testardo, in senso buono (o cattivo, dipende!), e sia Roberto che sua moglie, Nicoletta Braschi, avevano iniziato a chiamarmi “Testa Dura” sul set, affettuosamente. E io, naturalmente, rispondevo con: “Ah sì? E tu sei Testa Durissima!” Alla fine, questa cosa è stata inserita anche nel film, il che è davvero carino. C’erano anche delle scene dove Roberto diceva: “Sì, fai così!” perché gli piaceva come mi comportavo in modo spontaneo. Alcune delle cose che facevo, senza rendermene conto, sono rimaste nel montaggio finale del film. È stato bello vedere come alcune mie piccole reazioni spontanee siano state mantenute. Purtroppo, non ho tantissimi altri aneddoti, perché ero davvero piccolo. I miei ricordi si mescolano un po’ con i racconti che ho sentito dai miei genitori, con quello che ho raccontato negli anni, e con i miei flashback. D’altronde, sono passati 27 anni, e tutto nella mia mente si confonde un po’ tra immaginazione, ricordi reali e costruiti. Ma quello che ti posso dire con certezza sono queste piccole cose che ricordo ancora con affetto.”
Grazie infinite, Giorgio per questa intervista molto esauriente!
“Grazie a te per avermi dato questa opportunità.”
La storia di Giorgio Cantarini è quella di un artista che ha saputo coltivare la propria carriera con intelligenza e moderazione. Pur rimanendo indimenticabile per le sue prime interpretazioni, ha scelto di vivere la sua vita artistica con integrità, seguendo il proprio ritmo e mantenendo sempre viva la passione per la recitazione.
Il pubblico lo ricorderà per quei due ruoli che hanno segnato una generazione, ma ciò che lo distingue è il suo viaggio personale, un percorso di equilibrio tra il successo e la fedeltà a sé stesso.
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