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Versi di fede: Don Cosimo Schena, il prete Influencer che trasforma la spiritualità in digitale
La figura di Don Cosimo Schena è un delicato mix tra profondità umana e spiritualità. Nato a Brindisi nel 1979, è entrato nell’Ordine dei Preti e a tutt’oggi non solo è un leader stimato della sua diocesi, ma anche un comunicatore innovativo che posiziona messaggi di fede e amore usando i media moderni. Il suo background educativo è vasto: le lauree in Filosofia, Teologia e Psicologia Clinica e Dinamica, nonché il Dottorato in Filosofia lo riflettono chiaramente il suo punto di vista meditativo e intellettuale sulla scrittura e la comunicazione.
L’importanza della poesia come diritto
Fin dal suo arrivo a Dio, Don Cosimo ha sentito l’esigenza di fare un’identificazione maggiore dell’amore di Dio. La poesia gli ha permesso di comunicare anche con il più distante della chiesa poiché il suo linguaggio, che copre i significati futuri, è allo stesso tempo modulo. Nelle sue raccolte di poesie, come L’uomo nel cuore di Dio, L’Arte di amare e Sussurri si concentrano sul tema centrale dell’amore divino, un amore che abbraccia ogni aspetto della vita quotidiana. Ogni poesia, breve ma intensa, nasce dal desiderio di donare speranza e conforto ed invita ad una connessione più profonda con la spiritualità.
La sua presenza sui social
Don Cosimo ha anche saputo fondere poesia, fede e tecnologia, diventando una presenza rilevante sui social media (fino a 20 milioni di streaming). I suoi video, in cui recita con passione le sue poesie accompagnate da musiche e immagini evocative, hanno catturato l’attenzione di un vasto pubblico, in particolare dei giovani. Attraverso questi contenuti, offre una guida spirituale alternativa, vicina e coinvolgente, trattando temi universali come l’amore, la pace e la gioia, sempre radicati nella fede cristiana.
L’umiltà, una delle sue più grandi qualità
Nonostante il successo dei suoi libri e la popolarità online, Don Cosimo è rimasto un sacerdote umile, profondamente legato alla sua missione pastorale. La sua presenza sui social non è altro che un’estensione del suo ministero, attraverso cui continua a cercare nuovi modi per raggiungere le persone e trasmettere messaggi di amore e speranza. Questo suo approccio autentico, unito alla capacità di toccare il cuore di chi lo ascolta, lo ha reso una delle figure spirituali più amate in Italia.
Il suo ultimo capolavoro: guida alla speranza e alla serenità
Oltre ai libri Rivestito di stelle per amare e La mia vita capovolta, nel 2024 esce con Dio è il mio coach, il suo ultimo capolavoro. Tutto ruota attorno all’idea che Dio possa essere scambiato per un allenatore della vita quotidiana – un’idea provocatoria, rassicurante e pratica.
L’autore propone ai lettori di immaginarsi Dio come un allenatore amorevole, pronto a rassicurare e a incoraggiare quando il gioco si fa duro. Con riflessioni semplici e storie personali, don Cosimo diffonde l’ideale che la fede possa essere una fonte concreta di forza e luce quando la vita diventa impossibile. Il coach non è affatto distante e irreale, anzi, è vicinissimo e molto umano: cammina accanto a noi, è orgoglioso di noi e ci spinge a fare meglio ogni giorno.
In sostanza, è un invito a vivere la propria spiritualità in modo pratico, trovando in Dio un amico e un allenatore che ci spinge a dare il meglio di noi stessi.
Il suo amore per gli animali
Don Cosimo è noto anche per la sua profonda compassione verso gli animali. Vede in loro doni di Dio e promuove il rispetto e la cura per tutte le creature. È attivamente coinvolto in iniziative per il benessere animale e sostiene rifugi ed organizza eventi per sensibilizzare la comunità sull’adozione responsabile. La sua dedizione mostra come l’amore per gli animali possa riflettere la nostra spiritualità e portare alla compassione nel mondo.
Noi lo abbiamo incontrato in esclusiva, di seguito l’intervista in italiano – per leggerla anche in altre lingue, visita www.menover50mode.com.
La nostra intervista esclusiva
Buongiorno, Don Cosimo, è un onore per me poterti intervistare.
“Buongiorno, grazie a te, il piacere è mio.”
In che modo Don Cosimo riesci a combinare la poesia e la spiritualità per avvicinare persone che si sentono distanti dalla fede.
“La poesia è un linguaggio universale che tocca il cuore delle persone. Attraverso i versi, cerco di esprimere la bellezza della fede e la profondità dell’amore di Dio. La poesia permette di avvicinarsi alla spiritualità in modo delicato e personale, creando un ponte tra il sacro e il quotidiano.”
Qual è il ruolo dei social media nel ministero di Don Cosimo e come la tua presenza digitale ha influenzato la tradizionale comunicazione cattolica?
“I social media sono uno strumento potente per raggiungere le persone ovunque si trovino. La mia presenza digitale mi permette di condividere messaggi di speranza e amore in tempo reale, rompendo le barriere della distanza fisica. Questo ha trasformato la comunicazione cattolica, rendendola più accessibile e immediata.”
In che modo la poesia di Don Cosimo esprime l’idea che l’amore di Dio si manifesta in ogni gesto della vita quotidiana?
“Nei miei versi, cerco di mostrare come l’amore di Dio si manifesti in ogni piccolo gesto della nostra vita quotidiana. Che sia un sorriso, un atto di gentilezza o un momento di riflessione, ogni azione può essere un riflesso della presenza divina.”
Come hai vissuto tu stesso l’idea di Dio come un coach nella tua vita, e quali esperienze ti hanno portato a condividere questo messaggio con gli altri?
“L’idea di Dio come un coach nella mia vita è stata una fonte di guida e ispirazione costante. Ho vissuto questa relazione come un continuo dialogo, dove Dio mi ha aiutato a vedere le sfide come opportunità di crescita e a trovare forza nei momenti di difficoltà. Le esperienze che mi hanno portato a condividere questo messaggio con gli altri sono molteplici: dai momenti di preghiera e riflessione personale, agli incontri con persone che hanno trovato conforto e speranza attraverso la fede. Ogni volta che ho visto il potere trasformativo di questo approccio nella mia vita e in quella degli altri, ho sentito il bisogno di diffondere questo messaggio, affinché più persone possano sperimentare la guida amorevole e il supporto di Dio come un vero coach.”
Secondo te, quali sono i principali motivi per cui i giovani si allontanano dalla Chiesa, e come possiamo renderla più rilevante per le nuove generazioni?
“Molti giovani si allontanano dalla Chiesa perché la percepiscono come distante dalle loro realtà e preoccupazioni. Per renderla più rilevante, dobbiamo ascoltare le loro voci, comprendere le loro sfide e offrire risposte autentiche e concrete. La Chiesa deve essere un luogo di accoglienza, dialogo e crescita personale.”
Abbiamo visto che tu sei un grande amante degli animali, qual è l’insegnamento più importante che hai ricevuto dagli animali nella tua vita e come questa esperienza ha influenzato la tua missione?
“L’insegnamento più importante che ho ricevuto dagli animali è la loro capacità di vivere nel presente e di mostrare amore incondizionato. Gli animali non giudicano, non portano rancore e vivono ogni momento con una purezza e una semplicità che spesso noi esseri umani dimentichiamo. Questa esperienza mi ha insegnato l’importanza di essere presenti per gli altri, di offrire amore senza aspettative e di trovare gioia nelle piccole cose della vita. Questi valori sono diventati fondamentali nella mia missione di portare conforto e speranza attraverso la mia poesia e il mio ministero.”
Se la Chiesa potesse adottare una nuova ‘app’ per avvicinare più persone alla fede, come pensi dovrebbe essere, più tipo Instagram, TikTok, Facebook o altra?
“Se la Chiesa potesse adottare una nuova app, dovrebbe essere una combinazione di Instagram e TikTok, con contenuti visivi e brevi video che catturano l’attenzione. Dovrebbe essere interattiva, permettendo alle persone di condividere le loro esperienze di fede e di connettersi con una comunità globale.”
Infine, oltre a scrivere poesie, Don Cosimo trova costantemente nuovi modi di esprimere la propria fede. Attraverso diversi progetti, tra cui libri, presentazioni, eventi culturali e religiosi, l’autore proseguirà il suo messaggio che l’amore divino diventa visibile in ogni espressione e che l’armonia con Dio si raggiunge con ogni respiro e in ogni momento.
Interviste
Intervista esclusiva a Marzio Honorato: frammenti di una...
Marzio Honorato. Basta pronunciare il suo nome e subito ti ritrovi immerso nel profumo del teatro di Napoli, nei racconti del cinema più vero e nella lunga storia di una televisione che lo ha visto diventare una figura familiare per tutti.
Dal 1996 è Renato Poggi in Un Posto al Sole. Pensa: quasi trent’anni di vita intrecciati a quel personaggio. Renato è cresciuto con lui, si è trasformato, è diventato un amico per milioni di persone che si affezionano ogni giorno di più. Ma dietro quegli occhi che sorridono c’è molto altro: una carriera vissuta con passione e difficoltà, scelte coraggiose e una forza che continua a brillare. Oggi ci regala ricordi e verità, con una sincerità che arriva dritta al cuore.
La nostra intervista esclusiva
Nel tuo percorso teatrale hai iniziato con il teatro d’avanguardia a Napoli e Milano. Quali sono stati gli insegnamenti più significativi che hai tratto da quell’esperienza e come hanno plasmato il tuo approccio alla recitazione?
“La mia esperienza con il Teatro d’avanguardia è nata da una “fortunata” bocciatura al Liceo che frequentavo. Mio padre, per punizione, mi mandò a fare le pulizie in un “locale” vicino casa. Solo che in quel locale facevano teatro d’avanguardia! Ne rimasi affascinato e, oltre alle pulizie, iniziai a partecipare ad alcuni spettacoli. In seguito, in una tournée in giro per alcuni teatri d’avanguardia in Italia, capitammo a Milano al Teatro Uomo e rimasi lì per qualche mese scritturato nella loro compagnia teatrale. La paga era di 5000 lire al giorno. Dormivo e mangiavo dove capitava, ma riuscii a mettere da parte una somma che mi permise di comprare una Fiat 1300, naturalmente usata, per tornare a Napoli alla fine della stagione teatrale. Avevo 20 anni. Ricordo ancora quei tempi e già allora capii che fare il mestiere di “attore” significava rischiare una vita difficile e piena di punti interrogativi. Ma in realtà avevo già scelto. Ero molto timido e forse lo sono tutt’ora, ma mettersi nei panni di altri personaggi mi dava sicurezza.”
Cosa hai imparato da Eduardo?
“Eduardo è stato tutto per me. L’emozione di essere preso per mano da lui nei ringraziamenti alla fine degli spettacoli non penso di provarla mai più. Lui era un direttore d’orchestra e gli attori erano i suoi orchestrali. Ci dirigeva modulando i volumi e i toni delle nostre voci e limitando la nostra gestualità all’essenziale, senza mai esagerare. Da lui ho imparato l’arte di stare e camminare sul palcoscenico, il rispetto per il pubblico e per le rigorose battute del testo che si metteva in scena. Ogni virgola, pausa o fiato aveva un preciso significato. Da non tradire.”
Quali sono le differenze fondamentali tra cinema e teatro?
“Ho fatto tanto cinema, sicuramente più film che testi in teatro, specie dopo l’esperienza con Eduardo. Mi è sempre piaciuto tanto, perché il cinema si racconta con gli occhi e con l’espressione del viso, mentre il teatro più con il corpo e la voce.”
Raccontaci come è nato il tuo personaggio in Un Posto al Sole.
“Quando seppi che al Centro Rai di Napoli avrebbero fatto dei provini per un esperimento produttivo di una lunga serialità, voluto fortemente da Giovanni Minoli, ho fatto in modo di partecipare ai provini. E poi è andata come è andata… sono ancora lì, a Un Posto al Sole e non avverto stanchezza.”
Ti occupi anche di produzione. Vuoi raccontarci qualcosa su questo tuo interesse?
“Molti attori della mia generazione, più o meno di base a Napoli, negli anni ’80 costituivano società produttive teatrali. Dato che ne fiorivano tante, decisi di costituire una società di produzioni audiovisive: cortometraggi, documentari, progetti video-sociali… Poi, anche grazie alla sicurezza economica che mi dava Un Posto al Sole, ho iniziato a produrre qualche film. Distribuire lavoro per giovani autori, attrici e attori e validissime risorse umane tecniche che vivono nel nostro territorio era doveroso per me. Napoli mi ha dato tutto.”
© Sbircia la Notizia Magazine, è vietata qualsiasi ridistribuzione o riproduzione del contenuto di questa pagina, anche parziale, in qualunque forma. Foto di Giuseppe D’Anna.
Interviste
Intervista esclusiva a Fabrizio Eleuteri: successi in TV,...
Sono tre gli importanti progetti che vedono attualmente impegnato Fabrizio Eleuteri. Formatosi al laboratorio Don Bosco diretto dal rettore Carlo Nanni, l’attore romano fa parte del cast fisso di Citofonare Rai 2, il programma della domenica condotto da Paola Perego e Simona Ventura, e prossimamente sarà al cinema con The Contract, il film internazionale prodotto da Massimiliano Caroletti che segna il debutto alla sceneggiatura di Eva Henger. Lavori che vanno ad aggiungersi all’impegno in Vita da Carlo, la serie con protagonista Carlo Verdone. Tra sogni e progetti, Eleuteri ci ha spiegato come è nata la sua passione per la recitazione, svelandoci la sua passione per il ‘regista del brivido’ Alfred Hitchcock.
a cura di Roberto Mallò
Fabrizio, ogni domenica i telespettatori possono vederla, in diretta, a Citofonare Rai 2. Che tipo di esperienza è? Come si trova all’interno del cast?
“Citofonare Rai2 per me è partito in maniera sperimentale, con la doppia conduzione di Paola Perego e Simona Ventura. Sono entrato a far parte del cast a partire dalla seconda edizione ed ora mi ritrovo alla quarta stagione, la mia terza consecutiva. All’inizio mi avevano prospettato un ruolo del portiere che entrava, faceva il suo balletto fintamente sexy e non si curava delle due conduttrici. Le stesse che, ogni volta, mi rimproveravano simpaticamente in diretta: ‘Guarda che non sei qua nello spazietto tuo, che fai il sexy e così via. Qui hai un ruolo, devi portare le cose che ti chiediamo. Abbiamo bisogno dei tuoi servigi per sbrigare le cose della giornata. Se arriva un ospite lo fai entrare, se c’è una cosa da portare dentro lo fai tu’. Io, per tutta risposta d’accordo con gli autori, entravo con le noci e le olive, le mangiavo e non lasciavo loro niente. All’inizio, insomma, ero questo portiere un po’ matto e sciocco che faceva danni”.
E pian piano il personaggio si è evoluto…
“Esattamente. Dallo scorso anno ho iniziato ad annunciare qualche servizio, oltre che inserire qualche curioso aneddoto su qualche personaggio piuttosto che un altro. In questa edizione affianco Gene Gnocchi nelle sue follie estemporanee. Sono il suo ‘partner in crime’. Il mio personaggio è diventato quasi una spalla per Gene. All’interno della trasmissione mi trovo molto bene, c’è molto feeling con tutti, in special modo con l’autrice Serena Costantini, che è un pezzo di cuore. E non posso negare di trovarmi molto bene con Paola Perego. Oltre alla professionista che tutti conosciamo, lei è sempre dolcissima con tutto il cast. Si prende sempre cura di qualsiasi persona all’interno di Citofonare Rai 2 e del cast stesso. E Simona Ventura è sempre il solito uragano che va a destra e sinistra e stravolge tutto e tutti. Citofonare Rai 2 è davvero una delle poche trasmissioni in cui ci divertiamo anche nel backstage”.
Per chi fa il suo mestiere, un programma in diretta come Citofonare Rai 2 insegna tanto, no?
“Sì. E’ un discorso completamente diverso dalla formazione che uno può avere o al teatro o al cinema. In quest’ultimo ti prepari un determinato ruolo e sai che devi girare una determinata scena con altri attori, che comunque puoi ripetere qualora qualcosa non andasse bene. Al contrario, nella diretta deve filare tutto liscio. Si respira la tensione che è tipica del teatro, ma è diverso, a partire dalle telecamere che ti circondano. Ovviamente, tu cerchi sempre di fare il tutto in maniera egregia. Le aspettative sono abbastanza alte e cerchi di fare di più. Nonostante tutto è però bello avere quell’adrenalina tipica della diretta. Soprattutto considerando il fatto che Citofonare Rai 2 è una diretta nazionale, che tiene compagnia ai telespettatori per tante ore e li accompagna in tutta la domenica mattina fino all’ora di pranzo”.
A cosa si deve, dal suo punto di vista, il grande successo del programma? Cresce negli ascolti di anno in anno..
“La trasmissione conserva degli abiti molto leggeri, non parla di fatti di cronaca nera. Se ci pensa, nei primi appuntamenti, Paola e Simona venivano un pochino prese in giro quando cantavano insieme, ora è diventato un vero e proprio must atteso e coinvolgiamo gli ospiti a cantare con loro di volta in volta.. Il programma ha sempre avuto come obiettivo principale quello di mettere in risalto i personaggi che hanno fatto parte della televisione italiana. Gli ospiti spaziano dal comico, come Lopez e Solenghi che parlano del trio, Lino Banfi, Al Bano con le figlie, solo per fare alcuni esempi, che ti raccontano come è stato vivere con un gigante della musica italiana così in casa. Gli aneddoti, gli spazi qua e là, il collegamento di Antonella Elia e le gag di Gene Gnocchi danno poi al programma quell’atmosfera leggera e spiritosa della quale abbiamo bisogno adesso più che mai”.
La trasmissione di Rai2 non è l’unico progetto che la vede coinvolta in questo periodo. C’è anche il film internazionale The Contract, nel quale ha recitato al fianco di Jane Alexander.
“Esatto, interpreto il migliore amico del personaggio interpretato da Jane. Il film, come è stato detto all’anteprima mondiale de Il Cairo, è un thriller psicologico. Non di certo un action thriller. Al centro della scena c’è l’attore Eric Roberts, che interpreta un giornalista caduto in disgrazia che prova a intrufolarsi nella scena del crimine di un suo collega. Da lì cerca dunque di ricostruire tutto il puzzle che ha portato a questo efferato omicidio. Si rivolge così a tante personalità e personaggi diversi tra loro: ci sono il caporedattore, un prete e una ragazza che lavora in un night, interpretata da Jane Alexander e che fa parte della trama che mi vede coinvolto, dato che cammino al suo fianco in diverse situazioni. Più Roberts indaga, più c’è questa scia di sangue che si va piano piano ad allargare. E lui ha questo testimone, interpretato da Kevin Spacey, all’interno di una sorta di riformatorio/manicomio, che sembra abbia delle chiavi di interpretazione di questo omicidio ben più profonde di quanto non stia dicendo. Quindi man mano che accadono le cose, Eric Roberts torna a chiedere conto a Kevin Spacey di quello che sta accadendo. A volte questo personaggio dà di matto e non si capisce cosa voglia dire. Le altre volte cerca di infilare delle pulci nelle orecchie a Eric Roberts per dare un diverso punto di vista di ciò che sta accadendo. Era da parecchio che non si vedeva un film simile in Italia, dove per vedere un thriller bisogna ritornare ai tempi di Dario Argento. Ed è credo la primissima volta che un produttore indipendente come Massimiliano Caroletti annoveri nel cast due attori internazionali del calibro di Spacey, che ha vinto due premi Oscar, e Roberts. Da questo punto di vista, The Contract è un esperimento già riuscito”.
C’è molta curiosità attorno al film perché rappresenta anche il debutto alla sceneggiatura di Eva Henger.
“Sì, c’è davvero molta curiosità. Ne hanno parlato anche varie testate americane. Forse in Italia siamo cintura nera nello scetticismo, magari però stavolta non trionferà il pregiudizio. Personalmente, ho avuto la fortuna di assistere all’anteprima ed è piaciuto molto. Tuttavia, sono curioso di capire come verrà accolto negli Stati Uniti e ovviamente qui da noi in Italia”.
Jane Alexander la conosceva già o vi siete incontrati per la prima volta su questo set?
“Avevo visto i lavori precedenti di Jane, tra cui quelli diretti da Cinzia TH Torrini. Non l’avevo mai incontrata prima, ma è stata davvero carina e siamo rimasti amici. E’ una di quelle persone che ti aiutano davvero sul set, che ti danno la loro energia. Al termine di una scena straziante di The Contract mi ha dato un abbraccio capace di trasmettermi davvero una grossa energia. Credo sia, davvero, una professionista di una caratura internazionale.
C’è anche un terzo lavoro: Vita da Carlo. La serie di Carlo Verdone. Il suo personaggio, nella terza stagione, è stato ampliato rispetto a quello che abbiamo visto nella seconda.
“Sì, il personaggio di Riccardo, il fidanzato di Sandra (Monica Guerritore), ha uno sviluppo carino. Viene coinvolto in una cena, in casa Verdone, nella settima puntata. E lì accade di tutto, nel buon segno della commedia italiana. C’è al centro un grande equivoco, condito da una rivelazione, e scoppia un vero e proprio parapiglia. Il tutto ha come sfondo la Santa Notte di Natale. Scherzi a parte, lavorare su un set con Verdone, Guerritore, Stefania Rocca e Filippo Contri è stata una bella opportunità da una parte ed un continuo divertimento dall’altra”.
Parlando un po’ di lei. Quando è nata la sua passione per il mondo della recitazione?
“Sono il terzo di quattro figli, tutti maschi. Nessuno aveva mai lavorato nel mondo dell’arte nella mia famiglia. Mi ricordo che, con le prime paghette, quando avevo circa 11 anni, mi andavo a comprare in edicola i film in bianco e nero di Alfred Hitchcock. Settimana dopo settimana investivo lì la mia paghetta. E mia madre non riusciva a capire cosa me ne importasse di quei film lì, dato che poi nel mio tempo libero andavo a giocare a calcetto con i miei amici. Tuttavia, ero totalmente folgorato da Hitchcock: andavo ad informarmi su ogni scena e ogni aspetto dei suoi lavori, compresi gli interpreti e i vari registi, passando per il trucco, il montaggio, gli effetti speciali. Avevo una passione dentro che è venuta fuori, senza che nessuno la sollecitasse. Pensi che una volta ho chiesto a mia madre quanto pagassero Bud Spencer e Terence Hill per fare uno dei loro film che trovavo bellissimi. E lì lei mi ha detto: ‘No, amore di mamma, questi sono attori ed è un lavoro. Loro interpretano una parte e vengono pagati per questa cosa’. Una cosa che a me non tornava, non pensavo che fosse un mestiere e che venissero pagati. Per me poter recitare era già di per sé un premio. Anche perchè poi io ho mosso i primi passi in teatro e lì, quando hai il fuoco sacro della recitazione dentro, non stai tanto a guardare la remunerazione. E il lavoro dell’attore in sé è abbastanza precario, ci sono dei periodi in cui lavori tantissimo e in altri poco e niente. Se non sei abituato a prendere le porte in faccia stai malissimo. Ci saranno sempre delle persone che ti diranno che non sei in grado, che non sei preparato. Sei non hai una buona corazza o una famiglia che ti sostiene non riesci ad andare avanti. Potresti mollare, soprattutto quando ti sei preparato per un ruolo che sentivi davvero tuo e invece non ti prendono minimamente in considerazione. Per fortuna, oltre ai miei fratelli con i quali ho un bellissimo rapporto, ho una moglie e una figlia che mi supportano tantissimo e a cui devo praticamente tutto”.
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Interviste
Intervista esclusiva ad Alberto Rossi: «Con la paternità un...
Alberto Rossi. Livorno. Un ragazzo con un sogno gigantesco e il coraggio di seguirlo fino in fondo. Fin da giovane, si buttava a capofitto nel mondo dello spettacolo, come chi sa che quella strada è la sua e non c’è un piano B. A soli 25 anni era già sotto i riflettori, con il debutto in “Un posto al sole” che l’ha reso un volto amato da milioni di italiani. Eppure, Alberto è un uomo che si reinventa, che esplora, che cresce.
La paternità – con Ada – ha cambiato tutto. È come se l’amore per sua figlia gli avesse aperto nuovi orizzonti, spingendolo a vedere la vita da una prospettiva più profonda, più vera. Poi c’è il mare, la vela, il tennis. La voglia di navigare, di scoprire, di confrontarsi con sé stesso. E il teatro? Sempre nel cuore, come un amore mai dimenticato. In ogni progetto, in ogni battuta, c’è una parte della sua anima. E quando parla di futuro, non è solo lavoro: è curiosità, è passione, è quella luce negli occhi di chi ha ancora tanto da dare e da scoprire.
La nostra intervista esclusiva
*Foto di Giuseppe D’Anna
Ciao Alberto, benvenuto su Sbircia la Notizia Magazine! Qui ci piace andare oltre la superficie, scavare davvero dentro la tua storia. Vogliamo parlare dei sogni, dei successi, delle paure, delle sfide che ti hanno trasformato nell’uomo e nell’artista che sei oggi. Il tuo percorso ha attraversato il cuore dello spettacolo italiano, lasciando segni indelebili. Tu sei un racconto che merita di essere ascoltato, pezzo dopo pezzo, emozione dopo emozione. Oggi siamo qui per raccontare questo viaggio insieme a te.
Dopo aver conseguito il diploma all’Accademia “Silvio d’Amico”, hai debuttato in “I ragazzi del muretto” solo due settimane dopo. C’è stato un momento in cui hai realizzato l’impatto che questo rapido inizio avrebbe avuto sulla tua carriera o tutto è accaduto così velocemente da sembrare quasi surreale?
“Surreale no, perché dentro di me, in un certo senso ci speravo e me lo aspettavo. Avevo sempre e solo voluto fare quello che stavo riuscendo a fare e si stavano materializzando tutti, non solo i miei sogni, ma anche le aspettative e i desideri.”
Il tuo primo film, “L’olio di Lorenzo”, è stato un progetto internazionale diretto da George Miller. Come ha influenzato la tua visione dell’industria cinematografica italiana ed estera iniziare la tua carriera cinematografica in un contesto così globale?
“Beh, è stata un’esperienza su un set da Formula 1… difficile trovare così tanto spiegamento di mezzi su un film italiano…”
Interpretare Michele Saviani per oltre 25 anni ti ha permesso di crescere insieme al personaggio. In che modo la tua evoluzione personale ha influenzato Michele? Ci sono aspetti del personaggio che hanno a loro volta plasmato te come individuo?
“No, nella maniera più assoluta no! Michele rimane in camerino quando ne svesto i panni.”
Nel 2006 hai diretto alcuni episodi di “Un posto al sole”. Come ha arricchito questa esperienza la tua comprensione del processo creativo? C’è qualcosa che hai scoperto sul set che ti ha sorpreso come attore-regista?
“Volevo tantissimo fare quell’esperienza. E quando finalmente ci sono riuscito, è stato un po’ come coronare un’altra conferma di ciò che sentivo di avere e di poter comunicare in altro modo e forma.”
La tua partecipazione a “Notti sul ghiaccio” ha mostrato un lato di te inedito al pubblico. Quali sfide hai affrontato nel padroneggiare il pattinaggio artistico? C’è qualche lezione che hai portato con te nel tuo lavoro attoriale?
“Mah no, era tutto un altro contesto. Anche lì era Formula 1, Milly Carlucci, Rai 1, prima serata… poi tante botte, tanti lividi, tanta fisioterapia dopo… però bellissimo, magico.”
Il tatuaggio con il nome di tua figlia Ada è un gesto d’amore visibile a tutti. Come la paternità ha influenzato il tuo approccio alla vita e alla professione? In che modo questo nuovo ruolo ha arricchito la tua espressività artistica?
“Con la paternità un uomo finalmente diventa tale. Fino a quel momento non puoi percepire in tutt’altro modo la vita. Tutto diventa entusiasmo, paura, bellezza, crescita, magia… non si può definire la paternità… poi di una figlia femmina…”
Sei appassionato di tennis e vela, sport che richiedono concentrazione e armonia con l’ambiente. Vedi delle similitudini tra queste discipline e la recitazione? Come contribuiscono al tuo equilibrio personale e professionale?
“È sport, la vela significa mare, acqua, quindi il nostro inconscio, sul quale mi piace navigare (son figlio di un ammiraglio). Il tennis è disperazione, solitudine, analisi, tostissimo ma bellissimo. Soprattutto da vedere, poi ora con Sinner e company….”
Hai avuto la fortuna di lavorare con un maestro come Pupi Avati, su progetti intensi e pieni di significato come “I cavalieri che fecero l’impresa” e “Il signor Diavolo”. Raccontaci: cosa ti è rimasto di quelle esperienze?
“Due belle esperienze con un maestro. Per scavare ancora un po’ più a fondo le mie capacità.”
Ci sono opere o personaggi che sogni di interpretare per esplorare nuove dimensioni della tua arte?
“Dopo che per più di 30 anni dai Ragazzi del Muretto ad Upas, mi piacerebbe interpretare un personaggio demoniaco, malefico, al limite dello splatter come quelli della serie Monster.”
Essendo una presenza costante in “Un posto al sole” sin dal suo inizio, hai vissuto l’evoluzione della televisione italiana. Come percepisci i cambiamenti nel modo di raccontare storie in TV e quale pensi sia il futuro delle soap opera nel panorama mediatico attuale?
“Ma il futuro siamo solo noi, siamo stati i primi e siamo ancora lì… siamo passato, presente e futuro…”
In un mondo dominato dai social media, mantieni un equilibrio tra condivisione e privacy. Come gestisci la relazione con i tuoi fan attraverso piattaforme come Instagram? Quale ruolo credi che i social abbiano nel rapporto tra attore e pubblico?
“Mi divertono, li frequento parecchio ma non ne abuso.”
Guardando al futuro, c’è un ambito artistico o un progetto inedito che vorresti esplorare, magari al di là della recitazione, come la scrittura, la produzione o una nuova forma di espressione creativa?
“Con la produzione ho dato e non credo che ripeterò l’esperienza. Mi sono scottato troppo, per il resto si vedrà….”
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