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Israele-Hamas, Hassan (O-Cr): “Soluzione dei 2 Stati...

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Israele-Hamas, Hassan (O-Cr): “Soluzione dei 2 Stati irrealizzabile, politici e diplomatici innovino”

"Meglio uno stato binazionale o una confederazione", spiega all'Adnkronos la giurista franco-palestinese e presidente dell'Osservatorio dei campi di rifugiati. "C'è attesa per la decisione della Corte internazionale di giustizia su accuse genocidio Sudafrica a Israele. E' una svolta", spiega la nipote di palestinesi rifugiati in Siria

Rima Hassan, fondatrice e presidente dell'Observatoire des camps de réfugiés (O-Cr)

"Non ci credo più" alla soluzione dei due Stati, uno ebraico e uno arabo per risolvere il conflitto israelo-palestinese. "E’ irrealizzabile. E’ una soluzione ingannevole e ipocrita e chi la difende non fa nulla per renderla concreta". Ad affermarlo all’Adnkronos è la giurista franco-palestinese Rima Hassan, presidente dell’Osservatorio dei campi di rifugiati (O-Cr), l’ong di cui è la fondatrice. "Per me la soluzione sarebbe quella di uno Stato binazionale in cui vengono riconosciute le specificità di ognuno (lingua, cultura, rappresentazione politica…) oppure una logica di Confederazione un po’ sull’esempio di quella elvetica. Poi chiaramente tocca ai politici, ai giuristi e ai diplomatici innovare" e trovare una soluzione sostenibile. Hassan, 31 anni è nipote di palestinesi rifugiati in Siria dopo la Nakba ( la ‘catastrofe’ in arabo), l’esodo forzato nel 1948 della popolazione palestinese .

"Più che una soluzione a due Stati per me - spiega Rima Hassan - si tratta di un problema a due Stati. Ho molto disprezzo per chi ci mente. Considero che chi ci vende ancora questa idea sia di una viltà mostruosa e storica: hanno 30 anni di ritardo sulla realtà e non sono in linea con le rivendicazioni delle nuove generazioni. Non si rendono conto di questa sofferenza che viene inflitta al popolo palestinese da 75 anni: i miei nonni sono morti in esilio con la loro disperazione e so che mio padre morirà nel suo campo di rifugiati in Siria. Per me questa situazione rappresenta un’urgenza molto concreta: sto crescendo con l’idea che la mia famiglia che è nata rifugiata morirà rifugiata", osserva Hassan i cui nonni paterni provengono dal villaggio di al Birwa, situato a est di Acri (Akka), lo stesso villaggio del poeta palestinese Mahmoud Darwish, che oggi è in territorio israeliano mentre suo nonno materno proviene da Salfit, una città palestinese situata nel centro della Cisgiordania e vicina a Nablus ("mia nonna materna è siriana e la sua famiglia discende da uno dei grandi leader dell’indipendenza Ibrahim Hananu. E’ stata diseredata e rinnegata per aver sposato un rifugiato palestinese e ha finito la sua vita in un campo con il mio nonno").

"Quello che non sopporto - racconta Hassan - è quella retorica che consiste nel dire che bisogna essere pazienti perché avremo uno Stato diviso in due senza spiegarci come questi due Stati potranno coesistere. Ci sono 800mila coloni israeliani nei territori occupati in Cisgiordania. Concretamente come pensano di mandarli via? Dicono che la colonizzazione non va bene ma poi non viene fatto nulla politicamente, diplomaticamente, economicamente per costringere Israele a smettere". Per la giurista palestinese nata in Siria "la proposta di due Stati non funziona neanche se prendiamo in considerazione il diritto internazionale: unità di un popolo, continuità territoriale, un’Autorità unica che esercita. E questa Autorità unica non è possibile proprio perché c’è una discontinuità territoriale e perché il popolo è frammentato. Non si può fare uno Stato con così tante enclave: la Striscia di Gaza, la Cisgiordania, Gerusalemme Est, i campi profughi nei paesi limitrofi. Se oggi ci sono conflitti tra i palestinesi è proprio perché i palestinesi sono frammentati".

Oggi, spiega Rima Hassan, "quello che potrebbe permettere a Israele di prevedere un futuro in sicurezza nella regione è l’uscita dalla sua logica demografica e di sicurezza di cui è ossessionata. Israele rifiuta il diritto al ritorno dei palestinesi a causa della sua logica demografica. Sanno perfettamente che se milioni di rifugiati tornassero diventerebbero più numerosi degli israeliani: basta pensare che già oggi in Israele il 20% dei cittadini è palestinese. Israele stabilisce questa logica di separazione in nome di questa logica. La logica di apartheid adottata da Israele, che non fa più dibattito in quanto la documentano rapporti dell’Onu, di Amnesty International, dell’ong israeliana B’Tselem, è suicida. E osserviamo che più i diritti fondamentali dei palestinesi vengono violati più la resistenza si radicalizza", rileva Hassan sottolineando la necessità di "capire la continuità storica tra quello che è successo nel 1948 con la Nakba e il 2024 e lo sviluppo di gruppi come Hamas e sul loro modo in cui pretendono lottare per la causa palestinese".

Proprio per questo, aggiunge, "la soluzione a uno Stato – con uno Stato binazionale in cui vengono riconosciuti ai due popoli le proprie specificità e parità dei diritti o con una Confederazione- può essere una soluzione. Perché non avrei il diritto di tornare nel villaggio dei miei nonni? Se per me ha un senso tornare nel villaggio al Birwa e mettere su famiglia lì voglio poterlo fare e questo non vuol dire cacciare l’altro o vendicarmi. Dobbiamo poter circolare liberamente".

Attualmente, spiega Hassan, "c’è una coabitazione che non si svolge bene: siamo in una logica di oppressione, di dominio e di razzismo che è l'apartheid. Per arrivare a una vera e propria coabitazione serve la parità dei diritti. L’unica conclusione sostenibile per me è che ognuno abbia la libertà di sistemarsi dove vuole, di lavorare dove gli pare: serve una doppia cittadinanza che riconosca le specificità degli uni e degli altri inserita in una configurazione politica. Ai politici, ai giuristi e ai diplomatici tocca innovare. E sarà sicuramente oggetto di una lunga negoziazione". Attualmente, osserva, "i palestinesi sono stati espulsi, espropriati senza ricevere alcuna indennità e non possono esercitare il loro diritto al ritorno quando qualsiasi ebreo nel mondo può decidere di fare il loro Aliyah e migrare in Israele".

Israele oggi, spiega la presidente dell’Osservatorio dei campi di rifugiati, "è in una impasse. Israele viene considerato uno Stato ebraico e democratico ma se prosegue con la sua logica di colonizzazione, di annessione e senza riconoscere una parità dei diritti ai palestinesi – come avviene tra l’altro a quelli che vengono chiamati arabi israeliani ma che sono israelo-palestinesi - resterà uno Stato ebraico ma rinuncerà al suo carattere democratico perché resterebbe in vigore la dicotomia ebrei - non ebrei. Se integra i palestinesi, con parità di diritti, non sarebbe più uno Stato ebraico. Ci sono solo due strade percorribili per uscire da questa impasse: quella che prevede uno Stato democratico con i palestinesi con parità di diritti oppure uno Stato ebraico che continua ad ancorarsi alla sua identità nazionalista".

Rima Hassan, che sostiene che "la Nakba non è un fatto storico isolato ma una dinamica che viviamo ancora", guarda comunque al futuro con ottimismo: "Non sono pessimista. Attualmente c’è questa impasse e un problema che è anche generazionale. Tra 20-30 anni le cose evolveranno con le nuove generazioni. In Israele ci sono già in questo momento voci progressiste, voci che chiedono parità dei diritti ai palestinesi. Nella diaspora ebraica, per esempio negli Stati Uniti, c’è anche chi è a favore della causa palestinese. A differenza delle persone più grandi che non riescono a pronunciare la parola apartheid, se guardo alle persone della mia età osservo che non distolgono più la loro attenzione ai problemi principali. Lo vediamo con le numerose manifestazioni a difesa dei diritti dei palestinesi. C’è una gioventù che ha coraggio a differenza dei nostri politici".

Il caso presentato dal Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia (Cig) in cui Israele è accusato di genocidio a Gaza "è molto importante" e "ha un grande valore simbolico perché proviene da un paese del Sud che si è liberato da un meccanismo di oppressione che era l’apartheid e cha fa da specchio alla narrazione palestinese", spiega Hassan. "Chi può contestare nel mondo al Sudafrica la sua capacità a riconoscere un regime di apartheid? Lo possono contestare a Amnesty International o a Human Rights Watch ma se lo dice Pretoria è nell’ordine dell’incontestabile". Questa causa, rileva la presidente dell’Osservatorio dei campi di rifugiati, "ha un peso simbolico estremamente forte. Sta cambiando il rapporto di forza tra il Sud globale e un occidente raggrinzito la cui visione del mondo sta invecchiando. Qui si parla di un paese del Sud che si rivolge a una delle istanze internazionali più importanti per salvare un altro paese del Sud del mondo".

La Cig, ricorda Rima Hassan, "si è già pronunciata sulla questione palestinese con un parere molto importante nel 2004 in cui aveva già definito la Striscia di Gaza come un territorio occupato. Lo sostengono anche persone del calibro dell’ex presidente di Msf, Rony Brauman che tra l’altro è nato a Gerusalemme, e di Francesca Albanese, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati. E’ un aspetto importante perché secondo il diritto internazionale quando si è in una situazione di occupazione la lotta armata viene riconosciuta e giustificata. Poi chiaramente bisogna distinguere quello che rileva della lotta armata e quello della legalità con la quale la si esercita. Il diritto internazionale riconosce che in una situazione di occupazione si può lottare per liberarsi anche con le armi ma nello stesso tempo condanna chi non rispetta le leggi internazionali al riguardo. E Hamas non ha per niente rispettato le leggi internazionali compiendo degli omicidi e prendendo in ostaggio dei civili. E' stato condannato ed è considerato opportunamente come un crimine di guerra".

La questione del genocidio, osserva, "è più difficile da dimostrare perché bisogna dimostrare il carattere intenzionale. Già da ottobre ho avuto modo di allertare su questo punto mettendo in evidenza le dichiarazioni di molti dirigenti israeliani dagli anni ’60 fino ai giorni nostri in cui vengono paragonati i palestinesi ad animali. Sono dichiarazioni che non sono innocenti e che preparano l’opinione pubblica a giustificare l’uccisione di civili palestinesi partendo dal presupposto che non sono esseri umani ma animali. Questo tipo di dichiarazioni come quelle recenti sul trasferimento di palestinesi in Africa secondo me dimostrano il carattere intenzionale delle politiche israeliane. Penso, ma forse sbaglio, che la Cig andrà nella direzione di riconoscere che è in atto un genocidio obbligando Israele a prendere delle decisioni per stopparlo e obbligando i paesi che riconoscono la Cig a prendere delle sanzioni economiche, diplomatiche nei confronti di Tel Aviv. Potrebbe rappresentare una svolta".

E’ la storia personale di Rima Hassan - che attualmente vive tra la Siria, la Giordania e il Libano dopo essere andata via dalla Francia dopo aver ricevuto "minacce di morte e di stupro" per le sue dichiarazioni sul conflitto in Medio Oriente ("il clima era diventato soffocante e non mi sentivo più protetta") - ad averla portata ad interessarsi ai campi di rifugiati e a creare l’Osservatorio. Nata 31 anni fa nel campo di rifugiati palestinesi di Nayrab, nei presi di Aleppo, Hassan all’età di 10 anni è riuscita a uscirne "un po’ per caso" ("è stato il destino").

"Mi madre - spiega - è partita quando avevo circa 3 anni dopo aver ottenuto un visto per la Francia e poi dopo tanto tempo è stata regolarizzata. Sono passati 7 anni dal momento in cui ci ha lasciati, io e miei 5 fratelli e sorelle, e il momento in cui ci è stato permesso di raggiungerla grazie al ricongiungimento famigliare. L’esilio è una ferita, uno strappo e una rinuncia. Si perde l’attaccamento a un luogo, si perdono punti di riferimento, a volte si perde una lingua, una famiglia dei legami. L’esilio di mia madre mi ha privato di lei per diversi anni e poi l’esilio con lei mi ha privato di mio padre con cui era divorziato per oltre 20 anni. L’ho ritrovato a maggio scorso quando sono tornata nel campo in Siria in cui sono nata", racconta osservando che nonostante avesse una nonna siriana non ha mai potuto ottenere la cittadinanza "perché le donne in Siria non trasmettono la nazionalità secondo leggi dell’epoca ottomana". Ora "ho lo status di rifugiato palestinese che è riconosciuto dalla risoluzione 194 delle Nazioni Unite e ho ottenuto anche la nazionalità francesi ai miei 18 anni", spiega Hassan che lasciando la Francia ha rinunciato a un’offerta di lavoro di Amnesty International per dedicarsi al suo Osservatorio e a un libro che sta scrivendo.

"Lavorando alla mia tesi – spiega Rima Hassan che ha un master in diritto internazionale all’Università Paris I Panthéon Sorbonne – mi sono interessata ai diritti che si applicano ai campi, non solo palestinesi (all’inizio del 2022 i rifugiati palestinesi secondo i dati dell’Unrwa erano 5,9 milioni, "il 35% di loro vivono in 58 campi di rifugiati") ma in tutto il mondo (secondo l’Unhcr il numero di persone in fuga da guerre, persecuzioni, violenze e violazioni di diritti umani nel mondo ha superato i 114 mln), la cui durata media è di 11,7 anni. Non sono più spazi umanitari temporanei. Ci sono persone che vivono tutta loro vita in un campo di rifugiati".

L’obiettivo dell’Osservatorio è rispondere alle carenze che ho osservato nel corso delle mie analisi, spiega: "Produrre un database pubblico per una buona comprensione della gestione e dell’amministrazione dei campi; documentare la gestione e l’amministrazione dei campi profughi in tutto il mondo; aiutare a sensibilizzare sia l’opinione pubblica che gli attori che operano nei campi sulle violazioni dei diritti e delle libertà fondamentali dei rifugiati e sostenere soluzioni di accoglienza alternative per le persone in esilio".

Per quanto riguarda i campi, la loro modalità di installazione, sulla gestione e sulla loro durata, "non c’è alcuna convenzione regionale o internazionale. C’è un vuoto giuridico. Un rifugiato su tre vive e uno sfollato interno su 2 vive in un campo. Per il 30% dei rifugiati e per il 50% degli sfollati interni quindi ci troviamo in una situazione che non viene inquadrata da nessun testo che tratta della migrazione", sottolinea.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Gaza, Netanyahu: “Israele non accetterà richieste...

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Il premier israeliano: "Inaccettabili richieste che implicano resa". Leader Hamas punta il dito: "Sta sabotando sforzi dei mediatori". Razzi dell'organizzazione islamista contro Kerem Shalom, feriti

Benjamin Netanyahu - Fotogramma /Ipa

Israele "non accetterà le richieste di Hamas" e "continuerà a combattere fino al raggiungimento di tutti i suoi obiettivi". Lo ha ribadito il premier israeliano Benjamin Netanyahu in dichiarazioni in video, ripetendo quanto afferma dall'attacco del 7 ottobre scorso in Israele e dall'avvio delle operazioni militari israeliane contro Hamas nella Striscia di Gaza. "Hamas è irremovibile nelle sue posizioni" e Israele "non accetterà richieste di Hamas il cui significato è la resa", ha detto ancora il premier israeliano.

Nelle dichiarazioni video, mentre crescevano le speranze di un accordo per la fine della guerra a Gaza e il rilascio degli ostaggi trattenuti nella Striscia dal 7 ottobre, Netanyahu ha affermato che Israele non accetterà la fine della campagna militare a Gaza e il ritiro delle truppe delle Idf dalla Striscia. "Israele non può accettarlo - ha detto -. Non siamo pronti ad accettare una situazione in cui i battaglioni di Hamas escono dai loro bunker, riprendono il controllo di Gaza, ricostruiscono la loro infrastruttura militare e tornano a minacciare i cittadini di Israele nelle comunità vicine, nelle città del sud, in tutte le zone del Paese".

"Israele non accetterà le richieste di Hamas, che significano la resa, e continuerà a combattere fino al raggiungimento di tutti i suoi obiettivi", ha quindi ribadito Netanyahu, accusando Hamas di "rimanere trincerato nelle sue posizioni", mentre Israele si dice ancora aperto a un accordo.

Leader Hamas accusa Netanyahu: "Sta sabotando sforzi dei mediatori"

Hamas vuole arrivare a un accordo per il cessate il fuoco che ponga fine all' "aggressione", garantisca il ritiro dei soldati israeliani dalla Striscia di Gaza e preveda uno scambio di prigionieri "serio". Queste le parole ribadite dal leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, secondo quanto riporta la tv satellitare al-Jazeera. Haniyeh accusa anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu per il "proseguimento dell'aggressione e l'allargamento del conflitto, per il sabotaggio degli sforzi fatti tramite i mediatori e varie parti".

Israele 'spegne' al-Jazeera: "Canale che istiga, sarà chiuso"

Il ministro israeliano delle Comunicazioni, Shlomo Karhi, ha firmato le disposizioni per spegnere al-Jazeera in Israele subito dopo che il governo di Benjamin Netanyahu ha dato il via libera unanime allo stop delle attività della rete, in linea con una legge passata ad aprile dalla Knesset. "Le nostre disposizioni entreranno in vigore immediatamente - afferma Karhi in dichiarazioni rilanciate dal Times of Israel -. E' passato troppo tempo e ci sono stati troppi impedimenti legali inutili per fermare finalmente la macchina ben oleata di istigazione di al-Jazeera, che nuoce alla sicurezza dello Stato".

"La propaganda di Hamas, coloro che istigano contro Israele, che danneggiano le sicurezza di Israele e dei soldati delle Idf, non trasmetteranno più da Israele e saranno sequestrate le attrezzature", aggiunge Karhi.

"Il governo da me guidato ha deciso all'unanimità: il canale di istigazione al-Jazeera sarà chiuso in Israele". Scrive così su X il premier israeliano Netanyahu.

Razzi Hamas su Kerem Shalom, feriti

Diverse persone sono rimaste ferite in Israele in un attacco con razzi, rivendicato a Hamas, contro la zona di Kerem Shalom. Lo riferiscono i media israeliani.

Ministero Sanità Gaza: "34.683 morti da 7 ottobre"

Sarebbero 34.683 le persone morte dal 7 ottobre dello scorso anno nella Striscia di Gaza dove proseguono le operazioni militari israeliane, scattate in risposta all'attacco sferrato quel giorno in Israele. Il nuovo bilancio diffuso dal ministero della Sanità di Gaza, che nel 2007 finì sotto il controllo di Hamas, parla anche di almeno 78.018 palestinesi rimasti feriti. Lo riporta la tv satellitare al-Jazeera.

Gerusalemme, arrestata donna armata di coltello

Una donna armata di coltello è stata arrestata questa mattina nella città vecchia di Gerusalemme, vicino all'ingresso del Monte del tempio. Lo ha riferito la polizia, secondo cui gli agenti si sono insospettiti quando hanno visto che la donna nascondeva la mano sotto al velo. "I poliziotti hanno iniziato a interrogare la sospetta, che rifiutava di far vedere le mani", ha riferito la polizia, secondo cui, durante l'interrogatorio, la donna ha estratto il coltello e gli agenti a quel punto l'hanno immobilizzata.

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Matteo Falcinelli, chi è lo studente dell’arresto...

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Cosa sappiamo del 25enne protagonista del caso al centro della "massima attenzione" della Farnesina

Matteo Falcinelli, l'immagine del profilo Linkedin

Si chiama Matteo Falcinelli il 25enne protagonista del caso al centro della "massima attenzione" della Farnesina dopo l'arresto choc da parte della polizia di Miami nel febbraio scorso. Le immagini della bodycam degli agenti, rilanciate da Quotidiano Nazionale, mostrano infatti alcune manovre violente nei confronti del giovane, 'incaprettato' e lasciato a terra mentre chiede aiuto. Ma chi è lo studente? A raccontarsi è lo stesso Falcinelli nel profilo Linkedin.

"Sono uno studente italiano del North Carolina Wesleyan College dall'autunno 2018, mi sono laureato nella primavera del 2022. Dai 4 ai 14 anni, ho frequentato la scuola materna, primaria e superiore sia in Italia che in Inghilterra. Questa esperienza non solo mi ha aiutato ad avere una buona conoscenza della lingua inglese in giovane età, ma mi ha anche aiutato nella mia crescita personale e mentale", scriveva lo studente originario di Spoleto. "Dopo questa parentesi in Inghilterra - si legge ancora -, ho proseguito i miei studi presso l'IPSSART Istituto Alberghiero 'Giancarlo De Carolis' di Spoleto (Italia), dove ho conseguito il diploma di scuola superiore nel 2017. A febbraio 2016 sono stato scelto per partecipare ad un programma di scambio studenti tra la mia scuola superiore e un istituto russo situato a Mosca. Dopo essermi preso un anno di pausa dopo il diploma, ho deciso di continuare i miei studi qui negli Stati Uniti, al North Carolina Wesleyan College, dove mi sto specializzando in Amministrazione aziendale e specializzando in Marketing e Leadership". Nel febbraio scorso, quindi, l'arresto. Ora la denuncia della famiglia sul trattamento riservato allo studente.

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“Russia prepara atti di sabotaggio violenti in...

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Lanciato da alcune intelligence europee e riportato dal Financial Times: "Attacchi occulti, incendi dolosi e danni alle infrastrutture sul territorio, senza preoccuparsi di provocare vittime"

La torre del Cremlino a Mosca - Afp

Già accusata di una serie di cyber attacchi condotti nelle ultime settimane contro alcuni Paesi europei, la Russia starebbe preparando "atti di sabotaggio violenti" in tutto il continente. E' l'allarme lanciato da alcune intelligence europee di cui dà conto il Financial Times, secondo cui Mosca avrebbe già iniziato "a preparare più attivamente attacchi occulti, incendi dolosi e danni alle infrastrutture sul territorio europeo, direttamente e tramite i suoi proxies, senza preoccuparsi di provocare vittime tra i civili".

Secondo le valutazioni di tre diversi Paesi europei condivise con il quotidiano britannico, sebbene gli agenti del Cremlino abbiano una lunga storia di operazioni di questo tipo - e abbiano lanciato attacchi sporadici in Europa negli ultimi anni - stanno aumentando "le prove di uno sforzo più aggressivo e concertato".

Un alto funzionario di un governo europeo ha dichiarato che attraverso i servizi di sicurezza della Nato sono state condivise informazioni su “chiare e convincenti azioni maligne russe”, coordinate e su larga scala. È giunto il momento di “sensibilizzare e concentrare l'attenzione” sulla minaccia della violenza russa sul territorio europeo, ha aggiunto.

"Riteniamo che il rischio di atti di sabotaggio controllati dallo Stato sia notevolmente aumentato", aveva dichiarato il mese scorso ad una conferenza sulla sicurezza Thomas Haldenwang, capo dell'intelligence interna tedesca, secondo cui la Russia sembra ora a suo agio nel condurre operazioni sul suolo europeo "con un alto potenziale di danno". Haldenwang aveva parlato pochi giorni dopo che due cittadini russo-tedeschi erano stati arrestati a Bayreuth, in Baviera, con l'accusa di aver complottato per attaccare siti militari e logistici in Germania per conto della Russia.

Alla fine di aprile, ricorda l'Ft, due uomini sono stati accusati nel Regno Unito di aver appiccato un incendio a un magazzino contenente aiuti per l'Ucraina: i procuratori inglesi li hanno accusati di lavorare per il governo russo. E ancora, in Svezia i servizi di sicurezza stanno indagando su una serie di recenti deragliamenti ferroviari, che si sospetta possano essere atti di sabotaggio, mentre secondo quanto detto al giornale dal ministero dei Trasporti di Praga, ci sarebbe la Russia dietro al tentativo di distruggere i sistemi di segnalazione delle ferrovie della Repubblica ceca.

"Cyberattacchi russi a Paesi Ue", la replica di Mosca agli Usa

La Russia dietro ai cyberattacchi contro alcuni Paesi europei? Agli Stati Uniti piace accusare Mosca di "tutti i peccati mortali". L'ambasciatore russo a Washington, Anatoli Antonov, aveva replicato così alla denuncia del dipartimento di Stato americano, secondo cui il Gru, il servizio di intelligence militare di Mosca, sarebbe legato agli attacchi cyber condotto nelle ultime settimane contro alcuni Paesi europei, come Germania e Repubblica Ceca.

"Consideriamo queste dichiarazioni come un altro esempio della diplomazia del megafono ed una prova del desiderio irrefrenabile degli Stati Uniti di accusare la Russia di tutti i peccati mortali - ha attaccato Antonov -. Abbiamo detto ripetutamente agli Stati Uniti: se avete qualsiasi sospetto, allora dovreste trasmetterlo attraverso i canali ufficiali con una lista dei fatti specifici e delle prove".

Ma, secondo l'ambasciatore, Washington "non ha semplicemente niente in mano per dimostrare le sue insinuazioni". "E' ovvio - conclude - che queste storie false e provocatorie non faranno altro che intensificarsi mentre si avvicinano le elezioni presidenziali americane, come già avvenuto negli anni scorsi".

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