Matres Matutae di Capua: il simbolo sacro della fertilità e della vita
Il 9 settembre 1943, la città di Capua fu duramente colpita da un attacco aereo che causò gravi danni e la distruzione di numerosi edifici storici. Tra questi, uno dei più importanti era il Museo Campano di Palazzo Antignano, il cui valore fu riconosciuto da Amedeo Maiuri, che lo definì “il più rappresentativo della civiltà italica della Campania”. Nonostante la devastazione, tutte le collezioni del museo furono fortunatamente salvate grazie alla grande cura e all’impegno del suo direttore Luigi Garofano Venosta. Tra i tesori del museo, particolarmente preziose erano le Matres Matutae, sculture in tufo raffiguranti donne sedute con in grembo uno o più bambini in fasce, considerate uno dei simboli più forti dell’intero museo.
Questi manufatti sono stati oggetto di numerosi studi e ricerche a causa della loro straordinaria bellezza e della loro grande importanza storica e artistica. Le Matres Matutae sono considerate un esempio eccezionale di arte italica e rappresentano un’importante testimonianza della vita quotidiana e della cultura delle antiche popolazioni che abitavano la Campania. Grazie al coraggio e alla dedizione del direttore Venosta, questi tesori sono stati preservati e possono ancora oggi essere ammirati e studiati, costituendo un patrimonio inestimabile per la cultura e la storia dell’Italia.
Le Matres Matutae non sono solo una testimonianza della vita quotidiana e della cultura della Campania antica, ma rappresentano anche l’eredità di un culto molto antico con radici nel bacino mediterraneo. Questo è dimostrato dalle gemme sottratte alla distruzione e all’oblio che testimoniano l’importanza di questi oggetti, anche in altre regioni del mondo antico. Scoperte oltre due secoli fa, le Madri di tufo sono state considerate una prova del culto antichissimo celebrato dalle grandi civiltà del passato.
Le Matres Matutae di Capua, in particolare, rappresentavano l’offerta propiziatoria e il simbolo di gratitudine per la concessione del sommo bene della fecondità, testimoniando l’importanza attribuita alla fertilità dalle antiche popolazioni italiche. Grazie alla dedizione del direttore Venosta, queste opere d’arte hanno potuto sopravvivere al tragico evento del bombardamento aereo del 9 settembre 1943 e, ancora oggi, costituiscono una testimonianza unica della storia antica della Campania e dell’intera Italia.
Le Madri di tufo furono ritrovate intorno ai resti di una grande ara, il templum dedicato alla Grande Madre, la Dea Italica preromana risalente al matriarcato. Questo dimostra l’importanza del culto della Dea Madre nella Campania antica e nella mitologia italica. Infatti, il culto della Dea Madre fu un’antica divinità italica dell’aurora e della nascita, che nella mitologia greca si identifica con Leucotea e in quella romana viene identificata con Cerere, dea della crescita, con riferimento alla fertilità non solo della donna ma anche della terra.
A Capua, la capitale della feconda Campania Felix, sorse un tempio dedicato alla Dea Madre, la cui figura imperiale e maestosa della Mater Matuta (o propizia) era chiamata anche Grande Madre o Dea Bianca. Nell’antica Roma, la Dea era onorata con una festa chiamata i Matralia, che veniva celebrata l’11 giugno. Questo testimonia l’importanza del culto della Dea Madre nell’antica Roma e la sua influenza sulla cultura e la religione della Campania e dell’intera Italia. Le Matres Matutae di Capua, quindi, non sono solo una testimonianza artistica, ma rappresentano anche l’importanza storica e culturale di un culto antico che ha influenzato la vita e la cultura delle antiche popolazioni italiche.
Nel 1930, Amedeo Maiuri, uno dei maggiori archeologi italiani del XX secolo, richiamò l’attenzione degli studiosi di tutto il mondo sulle sculture ritrovate a Capua, tra cui le preziose Matres Matutae. Questi manufatti rappresentano una testimonianza unica di scultura pre-imperiale in Campania e una memoria di pietra che ha attraversato i secoli, raccontando la storia di un culto antichissimo celebrato in molte civiltà e popolazioni del mondo, risalente alle antichissime società matriarcali.
Questi simulacri votivi raffiguranti donne sedute, rivestite da una tunica o un lungo mantello e che reggono in braccio e sul grembo uno o più bambini in fasce, rappresentano l’offerta propiziatoria e il simbolo di gratitudine per la concessione del sommo bene della fecondità. Le Matres Matutae di Capua, quindi, non solo sono un importante patrimonio artistico, ma rappresentano anche un’importante testimonianza storica e culturale dell’antica civiltà italica e della sua religione. Grazie alla loro eccezionale bellezza e importanza storica, le Matres Matutae di Capua sono diventate oggetto di studi e ricerche di numerosi archeologi e studiosi di tutto il mondo.
Le Matres Matutae di Capua sono un patrimonio culturale di inestimabile valore, che ci consente di comprendere meglio le antiche civiltà che hanno popolato il nostro territorio e di rivivere la storia di una società matriarcale in cui la figura femminile era sacra e venerata. Queste sculture, infatti, non sono solo opere d’arte, ma sono anche una testimonianza della nostra storia e della nostra identità collettiva.
Grazie alle Matres Matutae di Capua, possiamo fare un viaggio nel tempo e rivivere le antiche tradizioni e credenze delle popolazioni italiche che hanno abitato la Campania. Queste sculture ci offrono uno sguardo unico sulla vita quotidiana e sulla cultura dell’antica Campania, in cui il culto della Dea Madre e della fertilità rivestiva un ruolo centrale. La loro bellezza, ma anche la loro grande importanza storica e culturale, le rende un tesoro che dobbiamo preservare e proteggere per le future generazioni, in modo da garantire che la nostra storia e la nostra identità collettiva siano tramandate nel tempo.
Le Matres Matutae di Capua sono state oggetto di numerosi studi e ricerche che hanno permesso di ricostruire il culto della Dea Madre e di comprendere meglio il significato simbolico di queste sculture votive. Grazie a queste ricerche, abbiamo appreso che le Matres Matutae di Capua rappresentavano la fertilità, la maternità e la vita, simboli universali che hanno attraversato i secoli e le culture.
Oggi, le Matres Matutae di Capua sono conservate come il più prezioso dei tesori nel Museo di Capua, dove possono essere ammirate dai visitatori che desiderano scoprire la storia e la cultura del nostro territorio. Queste sculture votive rappresentano un patrimonio culturale che va preservato e valorizzato, perché ci permette di comprendere meglio la nostra identità e la nostra storia.
Il Museo di Capua ha il compito di proteggere e promuovere questo patrimonio culturale unico, offrendo ai visitatori l’opportunità di conoscere da vicino la bellezza e l’importanza storica e culturale delle Matres Matutae di Capua. Grazie alla conservazione e alla valorizzazione di questi tesori, possiamo mantenere viva la memoria delle antiche civiltà che hanno popolato la Campania e tramandare alle future generazioni la conoscenza e l’apprezzamento di questo patrimonio unico e prezioso.
Le Matres Matutae di Capua sono un simbolo della nostra identità collettiva e un patrimonio culturale che ci appartiene e che dobbiamo proteggere e promuovere con orgoglio. In conclusione, le Matres Matutae di Capua rappresentano un simbolo potente della nostra memoria storica e della nostra identità collettiva. Grazie a queste sculture votive, possiamo rivivere la storia di una società antica in cui la figura femminile era venerata e sacra, e comprendere il significato simbolico di una delle rappresentazioni più potenti e suggestive della maternità e della fertilità.
Le Matres Matutae di Capua ci offrono uno sguardo unico sulla vita quotidiana e sulla cultura dell’antica Campania, in cui il culto della Dea Madre e della fertilità rivestiva un ruolo centrale. Grazie a queste sculture, possiamo comprendere meglio le antiche credenze e tradizioni delle popolazioni italiche e rivivere la storia di una società matriarcale in cui la figura femminile era sacra e venerata. Le Matres Matutae di Capua sono un tesoro di inestimabile valore che dobbiamo preservare e proteggere, perché ci permette di conoscere meglio la nostra identità collettiva e di tramandare alle future generazioni la memoria di un’epoca lontana e affascinante della nostra storia.
Per farlo, è fondamentale sostenere iniziative culturali ed educative che promuovano la conoscenza e la valorizzazione di questo straordinario patrimonio artistico e storico. Occorre investire in programmi di ricerca, esposizioni temporanee e permanenti, e attività didattiche che coinvolgano scuole e università, così da favorire la diffusione di queste preziose testimonianze del passato.
Inoltre, è essenziale promuovere la collaborazione tra istituzioni culturali, locali e internazionali, per garantire un approccio multidisciplinare nello studio e nella conservazione delle Matres Matutae di Capua. L’interscambio di conoscenze e competenze tra esperti di diverse aree, come archeologia, storia dell’arte, antropologia e religione, può contribuire a una comprensione più profonda e completa di queste sculture votive e del loro contesto storico e culturale.
La tutela e la promozione delle Matres Matutae di Capua rappresentano una responsabilità condivisa tra istituzioni, esperti, e cittadini. Ognuno di noi può contribuire, nel proprio ambito, a mantenere viva la memoria di queste opere d’arte e a tramandarne il valore alle generazioni future. Visitarne i luoghi di conservazione, partecipare a eventi culturali che le riguardano, diffonderne la conoscenza e il valore, sono tutte azioni che possono contribuire a mantenere viva l’eredità delle Matres Matutae di Capua e a promuovere l’orgoglio e l’appartenenza a una storia e a una cultura comuni.
In definitiva, le Matres Matutae di Capua rappresentano un’eredità preziosa e inestimabile che deve essere valorizzata e tramandata, come esempio di una società in cui la figura femminile, la maternità e la fertilità erano sacre e venerabili. Questo patrimonio culturale e storico ci aiuta a comprendere le radici della nostra identità e a riconoscere l’importanza del rispetto e della valorizzazione delle diverse tradizioni e culture che hanno plasmato la nostra storia.
Cultura
“Italia nello spazio: un anno di sfide”,...
Il contributo del Presidente Agenzia spaziale italiana (Asi) nella 34esima edizione del volume
"Italia nello spazio: un anno di sfide" nell'intervento nel Libro dei Fatti 2024 di Teodoro Valente, Presidente Agenzia spaziale italiana (Asi), autore del contributo presente nel volume giunto quest'anno alla 34esima edizione.
L'intervento di Teodoro Valente
"Il paradigma delle attività spaziali sta cambiando: nella percezione dell’importanza del settore come nel coinvolgimento di soggetti nuovi oltre quelli istituzionali. La spinta propulsiva del settore è forte e sono ormai sempre più evidenti i benefici economici e strategici determinati dalle attività spaziali e le loro ricadute positive nella vita quotidiana dei cittadini.
Il settore sta mettendo a segno una crescita incalzante, che produce una rinnovata attenzione, con riflessi sulla presenza di nuovi investitori. Le attività storicamente guidate da un supporto di natura pubblica si stanno aprendo verso un progressivo e più ampio coinvolgimento dei privati. Da qui la definizione di Nuova Economia dello Spazio, o New Space Economy. Un percorso che si sta attestando anche in Italia.
Cambia, quindi, il modello, cambiano gli strumenti e variano anche le modalità con cui le collaborazioni spaziali devono, e possono, essere portate avanti per raggiungere obiettivi che sono molto sfidanti: se da un lato ci sono fondamentali considerazioni economiche relative alla realizzazione di servizi e infrastrutture tecnologiche all’avanguardia, dall’altro c’è la crescente necessità di monitorare e gestire la sicurezza di apparati e sistemi delicati. Lo spazio è un settore complesso e sfaccettato: è ricerca e tecnologia, ricadute economiche ed effetti benefici per tutta la società, ma è anche diplomazia.
Il nostro Paese è in prima fila sullo scenario globale, grazie alle competenze e alla capacità realizzativa acquisite in alcuni decenni da accademia, ricerca e industria: un sistema sempre più interconnesso, che dà vita a un Made in Italy di elevato profilo e che ci rende innovativi e competenti.
In questo è vincente la capacità dell’Italia di presidiare i diversi comparti in cui si articolano le attività spaziali: dai sistemi di osservazione della Terra, all’accesso allo spazio, all’esplorazione robotica e umana, fino alle telecomunicazioni e navigazione, al controllo e alla gestione dei detriti spaziali.
A livello europeo l’Italia dello spazio si conferma ancora nel 2023 come terzo Paese contributore nell’ambito dell’Agenzia spaziale europea, collocandosi dopo Germania e Francia: la Germania lo scorso anno ha investito 1,05 miliardi, la Francia 1 miliardo, l’Italia 680 milioni di euro.
Che cosa ci porta ancora il futuro? C’è all’orizzonte, tra i tanti programmi, la realizzazione di una nuova Stazione spaziale – il cosiddetto post ISS dopo il 2030, che prevede ad esempio il progetto di stazione orbitante gestita da privati – insieme all’altro importante programma dedicato alla Luna, Artemis, entrambi nati dagli Artemis Accords, per il ritorno del genere umano verso e sulla Luna.
L’Italia con Asi è tra i primi firmatari con il nostro storico partner, la Nasa, degli accordi, che prevedono la realizzazione di una Stazione cislunare, in orbita intorno alla Luna, fino alla realizzazione di un campo base sul nostro satellite naturale, con una presenza umana permanente. Molto di questo sarà ancora Made in Italy come l’attuale Stazione spaziale internazionale. Gli accordi prevedono, tra l’altro, lo sviluppo di sistemi di comunicazione di nuova generazione e la realizzazione di un avamposto per la futura esplorazione, o colonizzazione, che saranno la palestra per il salto verso la conquista di Marte.
Sono obiettivi sfidanti per il sistema Paese che dovrà lavorarci, come già fa, in piena sinergia con i propri attori industriali e accademici. La conoscenza è la base dei progressi per la nostra umanità: per questo la ricerca scientifica deve essere sempre più al centro dello sviluppo. Per espandere l’economia spaziale italiana e la ricerca bisogna stimolare l’interesse dei giovani per le lauree scientifiche, le cosiddette materie Stem.
Attrarre i giovani verso gli studi Stem è il perno per costruire una massa critica di competenze in grado di spingere la conoscenza oltre la frontiera tecnologica. Attrarre e mantenere, inoltre, nel Paese le nostre menti più brillanti. Queste sono due delle chiavi di azione. A questo scopo, l’Agenzia, oltre a svolgere un’azione di divulgazione delle attività spaziali soprattutto verso i ragazzi e i giovani, realizza e promuove progetti educativi e sostiene percorsi di alta formazione su tematiche spaziali, in collaborazione con istituzioni scolastiche e Università: in tal modo, si adopera per la nascita di una nuova leva di professionisti capaci di innovare e determinare nuova crescita.
Il 2024 si presenta come un anno anticipatore di molte sfide. Celebreremo i sessant’anni dal lancio del primo satellite italiano, avvenuto nel dicembre del 1964, e sarà anche l’anno del ritorno in Italia dello Iac, l’International astronautical conference, che si svolgerà a Milano in ottobre. Il congresso mondiale di astronautica, che vede l’Asi tra i propri organizzatori, porterà nella città lombarda almeno 10mila tra scienziati, imprenditori ed esperti del campo astronautico e spaziale.
Un grande appuntamento che farà da corona al G7 a guida italiana che, per la prima volta e nel suo primo appuntamento a livello ministeriale, si occuperà di industria e spazio. Sono sfide importanti, che sottendono il riconoscimento di cui gode il settore italiano a livello internazionale e che il sistema Italia saprà cogliere.
A noi spetta il compito di guidare questo momento di grandi cambiamenti, rafforzando il nostro vantaggio competitivo, con l’ambizione di fare dello spazio un fattore chiave della crescita del Paese".
Cultura
Micro Macro, una luminaria d’artista illumina il...
Firmata da Marcantonio, l'opera sostenuta da Pulsee si affianca al progetto ArteParco
ArteParco, progetto culturale che dal 2018 ogni estate porta un’opera d’arte inedita nel paesaggio del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, raddoppia: infatti per queste festività - e fino alla fine di febbraio - nel cuore di Pescasseroli è visibile una 'luminaria d'artista'. E' Micro Macro, installazione luminosa del visionario artista e designer Marcantonio, che - come già avvenuto alla partenza di ArteParco - inaugura la prima edizione di Pulsee Winter Lights, con cui la società dedicata alle utenze domestiche di Axpo Italia offre lavori inediti per suscitare riflessioni (in questo caso sul rapporto uomo-natura) e 'arricchire' le comunità in cui opera.
E proprio "il valore del dialogo tra la comunità e la cultura" rafforzando quella "che è stata una scommessa vinta” è sottolineato da Paride Vitale, imprenditore e comunicatore abruzzese ideatore del progetto. “Arrivare alle persone tramite l’arte e il senso di comunità è da sempre un impegno preciso di Pulsee Luce e Gas”, commenta l'ad Alicia Lubrani, che è anche Chief Marketing Officer di Axpo Italia, ribadendo l'impegno "a consolidare la percezione di un marchio innovativo, sensibile alla cultura e all’ambiente".
Alla base di Micro Macro c’è il dialogo con il mondo naturale, cifra stilistica che ricorre costantemente nella produzione di Marcantonio, che ha scelto di immaginare ogni luminaria come una cellula colorata, parte di un unico organismo vivente. Per la sua installazione, l'artista ha scelto via Valle del Fiume, un antico e suggestivo vicolo nel centro storico di Pescasseroli. Le sue 'cellule' emergono dagli edifici, mescolandosi alle architetture ed esaltando, con i loro colori, i punti più poetici della via. Il progetto Winter Lights - affiancato da una speciale promozione – valida fino al 5 marzo 2025 e accessibile inserendo il codice di attivazione PULSEEWINTER al sito pulsee.it – non rinuncia comunque alla sostenibilità, dal momento che tutta la CO2 necessaria per alimentare le luminarie sarà infatti compensata da Pulsee Luce e Gas per mezzo di Garanzie d’Origine.
Attualità
Notre-Dame: Il simbolo che torna a splendere
Ci sono momenti che restano scolpiti nella memoria e quella sera di aprile del 2019, beh, è sicuramente è uno di quelli. Notre-Dame in fiamme. Chiunque abbia visto quelle immagini – e chi non le ha viste? – non può averle dimenticate. Parigi sembrava fermarsi, il mondo intero tratteneva il fiato. La guglia che crollava, il tetto ridotto a cenere, tutto sembrava irreale. Come se un pezzo dell’anima del mondo si stesse sgretolando sotto i nostri occhi. Era storia che bruciava. Arte, fede, bellezza che diventavano fumo nel cielo della sera. Ma oggi, sei anni dopo, non possiamo fare a meno di guardare a quel momento con occhi diversi. Perché, contro ogni previsione, Notre-Dame è tornata. Non solo intatta: viva. Più viva che mai.
Quel giorno che cambiò tutto
Era il 15 aprile 2019. Alle 18:20, un incendio si sviluppò nel sottotetto della cattedrale, la parte conosciuta come “la foresta” per via delle travi in legno secolare. In poche ore, 1.300 metri quadrati di storia vennero distrutti. La guglia, aggiunta nel XIX secolo, collassò sotto lo sguardo attonito del mondo. Le immagini fecero il giro del pianeta, portando con sé un carico di sgomento e tristezza.
Le cause? Beh, si è parlato di un corto circuito. Forse è andata davvero così. Ma – e non è facile ammetterlo – si sapeva già che la cattedrale aveva bisogno di cure, di mani esperte che la custodissero meglio. Era lì, fragile e bellissima, e per anni nessuno aveva fatto abbastanza. E poi, in quel caos di fiamme e disperazione, c’è stato un miracolo. Alcune reliquie sacre, come la corona di spine, sono state salvate. Salvate davvero. Ed è strano dirlo ma in mezzo a tutto quel disastro, avere qualcosa che si è potuto stringere al petto è stato un piccolo conforto. Un briciolo di luce in una giornata che sembrava buia come la notte.
La promessa: ricostruire in cinque anni
Pochi giorni dopo il disastro, Macron si fece avanti. Con quella sua aria decisa, quasi sfidando l’impossibile, promise: “Ricostruiremo Notre-Dame in cinque anni.” Cinque. Anni. Chiunque ascoltò quelle parole pensò: è pazzo, è solo politica. E invece qualcosa si accese. Era come se quella promessa avesse dato il via a un’energia collettiva incredibile. Donazioni? Arrivarono da ogni angolo del pianeta. 840 milioni di euro raccolti in un batter d’occhio. Un fiume di speranza e di solidarietà che travolse ogni cinismo.
Poi iniziarono i lavori. E qui la parola “eroico” non è sprecata. Stabilizzare quelle mura, quelle pietre antiche, non fu semplice. Operai e ingegneri si arrampicavano, sospesi nel vuoto, lavorando senza sosta, anche sotto il peso di un mondo che guardava. Ogni giorno era una lotta contro il tempo, una corsa tra tecnologia futuristica e maestria artigianale. Scanner 3D e modellazione virtuale per i dettagli, e poi mani esperte di falegnami, scalpellini, vetrai. Mille persone, mille storie, mille mani che ricostruivano un sogno.
La guglia? Tornata identica, orgogliosa, come l’aveva immaginata Viollet-le-Duc. Il tetto? Una magia che unisce vecchio e nuovo. Tradizione e innovazione che si incontrano e si abbracciano. Era chiaro: non si trattava solo di mettere insieme pietre e legno. Si trattava di ricreare un cuore, di farlo battere di nuovo. E ci sono riusciti.
Una cerimonia per il mondo intero
Il 7 dicembre 2024, un giorno che è destinato a rimanere nella memoria. Quel suono, le campane di Notre-Dame, che tornavano a riempire l’aria dopo anni di silenzio. Era come un respiro trattenuto troppo a lungo, finalmente liberato. La gente, accalcata fuori, sembrava trattenere il fiato mentre l’arcivescovo di Parigi, Laurent Ulrich, con un pastorale di legno di quercia in mano, bussava alla porta. Tre colpi, secchi, profondi. E poi, quella porta che si apriva. Era un momento che sembrava gridare al mondo intero che Notre-Dame era viva.
Dentro, un’atmosfera che ti toglieva le parole. Canti gregoriani che si alzavano verso le volte, riempiendo ogni angolo con un suono antico, quasi sacro. Non era una celebrazione pomposa, no, era qualcosa di diverso. Era come se quelle note volessero abbracciare chiunque fosse lì, ricordare a tutti che c’è qualcosa di più grande, qualcosa che unisce. Tra gli ospiti, leader da ogni parte del mondo – Macron, Zelensky, tanti altri. E per un attimo, anche in un mondo che sembra sempre sull’orlo di spezzarsi, c’era un senso di unità. Speranza. Perché è questo che Notre-Dame riesce a fare: ricordarci che è possibile ricominciare.
Un futuro per tutti
Prima dell’incendio, erano milioni. Dodici, per essere precisi, quelli che ogni anno varcavano quelle porte, che camminavano sotto le sue volte altissime, che si perdevano tra la luce filtrata dai rosoni. Adesso? Le previsioni dicono quindici milioni. Quindici milioni di cuori pronti a lasciarsi incantare. Ma come fai a gestire un flusso così enorme? Hanno dovuto ripensare tutto. Prenotazioni online, controlli biometrici – sì, hai capito bene, impronte digitali e tutto il resto – perché oggi il mondo è così, tra bellezza e tecnologia. Si stanno preparando. Perché Notre-Dame non può permettersi di chiudere le porte a nessuno.
Cosa offre oggi Notre-Dame? Percorsi guidati in 12 lingue, esperienze di realtà aumentata per rivivere la cattedrale com’era prima del disastro e spazi finalmente accessibili a tutti, grazie ad ascensori e rampe.
Il significato di questa rinascita
Notre-Dame ha sempre rappresentato qualcosa di più grande: è un simbolo che resiste, che lotta. Con i suoi 850 anni di storia, ha visto tutto: guerre, rivoluzioni, e ora persino un incendio che sembrava averla distrutta. Ma è ancora qui. Nonostante tutto, con le sue pietre che raccontano storie e il suo spirito che batte ancora più forte.
Macron, quel giorno, lo ha detto chiaramente: “Notre-Dame è il cuore della nostra nazione“. E sai una cosa? Non si sbaglia. Perché guardarla oggi, dopo tutto quello che ha passato, è una lezione. È la prova che anche quando sembra finita, quando sembra che non ci sia più nulla da fare, si può ricominciare. Non si tratta di tornare a com’era ma di essere qualcosa di nuovo, di più grande. Notre-Dame è rinata. E con lei, c’è una nuova scintilla di speranza per tutti noi.
“Ci sono momenti in cui sembra che tutto sia perduto ma è proprio allora che si scopre la forza di ricostruire. Perché dalle ceneri nascono le storie più straordinarie.” (Junior Cristarella)