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Il futuro dell’energia rinnovabile grazie al mare

In Italia, in seguito all’insediamento del nuovo Governo Meloni, abbiamo il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica che va a sostituire il precedente Ministero per la Transizione Ecologica. Come dice il nome, lo scopo del vecchio ministero era quello di utilizzare fondi europei e nazionali (come il PNRR) per completare la transizione dallo sfruttamento di fonti non rinnovabili a fonti di energia pulita. Il bisogno di dover affrontare questo cambiamento è stato messo in risalto dai recenti avvenimenti accaduti in Ucraina, l’invasione russa ha portato gravi conseguenze a livello energetico in tutta Europa. Questo è accaduto perché nel momento in cui la Russia, divenuta “nemica” dell’UE, ha smesso di rifornire di gas i paesi come l’Italia che ne so rimasti praticamente senza. Se in passato avessimo sfruttato più risorse per costruire impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili piuttosto che acquistare gas, in questo momento l’Italia non avrebbe avuto tutte queste preoccupazioni.

Ora come ora nel nostro Paese l’energia proveniente da fonti pulite copre il 38% della produzione elettrica, 10% dei consumi relativi ai trasporti e 20% dei consumi termici per le infrastrutture. Il settore che fornisce più energia è quello idroelettrico col 41% del totale, seguito dagli impianti fotovoltaici (21%), dalle biomasse (17%), dall’eolico che è in lenta ma continua crescita (16%) e dal geotermico (5%). Rispetto agli altri paesi europei, siamo al terzo posto nella classifica dei consumatori di energia rinnovabile. Ecco, adesso arriva il dato importante: in Italia è poco, o per niente, sfruttata l’energia derivata dal mare nonostante si abbiano le tecnologie adeguate per realizzare gli impianti.

Come può essere sfruttato il mare per produrre energia

Esistono moltissimi modi per poter ricavare energia dal mare in maniera efficiente, e parecchi di questi sono applicabili anche sulle coste dell’Italia.

Tutti gli esempi di tecnologia che verranno elencati e brevemente spiegati sono frutto dell’intelletto dei giovani ricercatori delle università italiane in collaborazione con gli istituti nazionali di ricerca come ENI e ENEA.

Vicino le coste di Marina di Pisa dal 2015 è presente un convertitore di energia sottomarino attivo 24 ore al giorno, 7 giorni a settimana. Questo è composto da una parte semovente immersa in acqua collegata ad una guida ancorata al fondale: la prima parte è in grado di raccogliere l’energia del moto ondoso e, eventualmente, anche quella delle correnti. Permette di generare fino a 50kW che vanno a soddisfare i bisogni di circa 40 famiglie. In questo momento, grazie all’investimento di Eni e Invitalia Ventures nei confronti della start-up che ha ideato il convertitore, questo tipo di impianto h24 è in fase di commercializzazione.

Un altro esempio è il prototipo PEWEC 2.0 realizzato dall’impegno congiunto di ENEA e Politecnico di Torino. Questo tipo di impianto ha superato con successo la fase di sperimentazione presso l’università Federico II di Napoli ed è in corso la costruzione del modello in scala 1:1. Il sistema si basa su una struttura galleggiante che genera energia elettrica sfruttando l’oscillazione, dovuta alla forza del moto ondoso, di un pendolo posto al suo interno. Se il progetto dovesse essere ultimato e portasse ai risultati sperati, potrebbe essere impiegato per rendere energeticamente autonome isole di medie e piccole dimensioni.

Un altro tipo di tecnologia italiana è GEMSTAR. Stavolta si tratta di un sistema composto da due turbine marine orizzontali collegate ad un galleggiante fissato al fondo del mare. Queste si trovano a 15 metri di profondità, nel momento in cui si palesano delle correnti le turbine si allineano con il loro flusso come farebbe un aquilone in aria, facendo ciò generano energia pulita.

Da questo elenco si può notare come l’Italia sia uno dei paesi con le tecnologie più all’avanguardia nel campo della ricerca per l’energia marina. Si tratta purtroppo di ricerca e non di applicazioni di tipo industriale, infatti se ampliati e migliorati questi impianti potrebbero fornire una buonissima percentuale dell’energia necessaria al Paese e lo renderebbero sempre più indipendente dal consumo di risorse fossili.

I vantaggi degli impianti marini

Gli impianti per la produzione di energia marina possiedono dei vantaggi e benefici da non sottovalutare.

Le centrali oceaniche e marine possono essere installate in molti più luoghi rispetto a quelle eoliche e idroelettriche che, per esempio, richiedono elevate pendenze che nel territorio italiano sono presenti quasi esclusivamente solo nelle Alpi. Per produrre energia dal mare in Italia sarebbe necessario installare gli impianti lungo le coste della Sardegna, dello Stretto di Messina e nella Laguna Veneta, ma anche nelle vicinanze di Salerno e Civitavecchia dove sono già presenti dei prototipi sperimentali. Questa selezione è necessaria perché non tutti gli 8000 e più km di costa italiana possono fornire un moto ondoso sufficientemente potente.

Un altro vantaggio che presenta questo tipo di energia è il fatto di avere meno possibilità di contaminare la biodiversità e il terreno del luogo nel quale vengono costruiti gli impianti. Riguardo a questo sono stati fatti numerosi studi che hanno portato alla luce un metodo con il quale è possibile stabilire se il progetto può influire negativamente sull’ambiente marino circostante. Questo permette di cercare il luogo più appropriato per installare i convertitori o le turbine.

Un ulteriore beneficio che si può avere dalla produzione dell’energia marina, è la sua costanza e affidabilità. Infatti, rispetto all’eolico e agli impianti fotovoltaici, le correnti marine, il moto ondoso e le maree sono attive 24 ore al giorno e possono garantire una produzione di energia costante.

Energia marina in Italia e nel mondo

Come abbiamo visto l’energia marina è molto sperimentata in Italia ma non è stata ancora applicata su larga scala. Questo è causato in parte dai costi ancora troppo alti per la realizzazione degli impianti ma anche perché mancano i fondi da parte dello stato. A quanto pare la transizione ecologica non sarà uno dei punti da raggiungere del nuovo esecutivo che, invece, si impegnerà per riuscire a garantire sufficienti scorte energetiche per il Paese.

Sono state fatte stime molto promettenti riguardanti il settore dell’energia marina che, entro il 2050, dovrebbe raggiungere il valore di circa 53 miliardi di euro portando oltre 400mila posti di lavoro nella sola Europa. Lo sfruttamento responsabile del mare può portare a miglioramenti nel campo delle energie sostenibili e può velocizzare il processo di decarbonizzazione, punto chiave per la lotta contro i cambiamenti climatici. Detto ciò, l’energia marina potrebbe coprire fino al 10% del fabbisogno energetico europeo e aiuterebbe moltissimo le comunità costiere che rappresentano circa la metà della popolazione del Vecchio continente.

In Italia, i luoghi più adatti per produrre questo tipo di energia alternativa sono le coste della Sicilia, dello stretto di Messina, della Sardegna, di alcune aree del Tirreno e nella Laguna Veneta. Nella maggior parte di queste zone sono già presenti impianti sperimentali che hanno dato risultati positivi e, in futuro, potrebbero costituire un punto di riferimento per la produzione di energia marina.

Nel resto del mondo, invece, le aree migliori per sfruttare il mare da un punto di vista energetico sono le isole dei Caraibi e tutte le coste che si trovano a livello dell’Equatore e dei tropici.

Animato da un’indomabile passione per il giornalismo, Junior ha trasceso il semplice ruolo di giornalista per intraprendere l’avventura di fondare la sua propria testata, Sbircia la Notizia Magazine, nel 2020. Oltre ad essere l’editore, riveste anche il ruolo cruciale di direttore responsabile, incarnando una visione editoriale innovativa e guidando una squadra di talenti verso il vertice del giornalismo. La sua capacità di indirizzare il dibattito pubblico e di influenzare l’opinione è un testamento alla sua leadership e al suo acume nel campo dei media.

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Attualità

Gene Hackman, un patrimonio da 80 milioni e un testamento che divide: quali spiragli per...

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Ci sembra doveroso condividere una storia che lascia molte domande in sospeso. Gene Hackman, attore iconico e vincitore di un Premio Oscar, non è più tra noi, e con lui se n’è andata anche Betsy Arakawa, la compagna che gli è stata accanto a lungo. Come testata, non possiamo evitare di ripensare alla complessità di un legame familiare che, alla fine, si ritrova racchiuso in un testamento controverso. E sono 80 milioni di dollari a fare da sfondo a questa vicenda.

Una fortuna che sembrava destinata alla moglie… e poi alla beneficenza

Le carte che circolano, documenti che abbiamo esaminato con attenzione, riferiscono di un’eredità inizialmente destinata alla moglie di Hackman. In seguito, sarebbe stato creato un trust finalizzato a supportare enti benefici e a coprire spese mediche. Ora che entrambi sono scomparsi, sembra che la rete di volontà e vincoli legali diventi sempre più intricata. Non sappiamo, con certezza assoluta, chi finirà per gestire davvero questi fondi, ma diversi esperti hanno già avanzato ipotesi su eventuali strascichi giudiziari.

Ci colpisce, però, il dettaglio più sconcertante: i figli di Hackman, nati dalla precedente unione con Faye Maltese, non sarebbero menzionati. Christopher Allen, 65 anni, avrebbe manifestato in passato difficoltà nel rapporto con il padre dopo il divorzio. Leslie, 58, ed Elizabeth Jean, 62, sembrano invece aver avuto contatti più regolari con lui, almeno stando ai racconti di chi li ha visti insieme a qualche prima cinematografica. Questa potenziale esclusione, in ogni caso, ha acceso le speculazioni su un conflitto legale che potrebbe aprirsi ora che né Hackman né la moglie sono in vita.

Un testamento del 2005 e l’ombra dell’Alzheimer

Gira voce che le ultime volontà dell’attore siano state firmate nel 2005, in un periodo in cui alcune fonti ipotizzavano una diagnosi di Alzheimer. La domanda che ci poniamo, e che forse anche voi condividete, è quanto questa condizione possa aver inciso sulle sue decisioni. Non esistono prove incontrovertibili, ma persiste un senso di incertezza sulle possibili motivazioni che avrebbero portato a escludere i tre figli.

Resta la prospettiva di un lungo iter per chiarire come questi 80 milioni verranno effettivamente ripartiti. Noi continueremo a seguire la vicenda, perché sentiamo che ogni ulteriore dettaglio potrà gettare nuova luce su una storia familiare carica di dubbi e lacune. E forse, soltanto il tempo riuscirà a diradare ogni sospetto.

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Attualità

Jim Morrison, il fantasma che non trova pace? Il nuovo documentario risveglia l’enigma

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Una storia che mette i brividi, quasi come se ci fosse una porta socchiusa nel passato pronta a riaprirsi. Potremmo persino dire che questa vicenda ci riporta a un bivio in cui ogni certezza traballa: si parla ancora di Jim Morrison. Non si tratta della solita leggenda metropolitana da bar, ma di una questione che è riemersa con vigore grazie al documentario Before the End: Searching for Jim Morrison, firmato dal regista Jeff Finn e disponibile su Apple TV+.

Guardandolo, saltano fuori sussurri, ipotesi, tracce polverose. E c’è una domanda, lì, che spiazza: Morrison è davvero morto a Parigi nel 1971 per un attacco di cuore, come afferma la versione ufficiale, oppure ha inscenato la propria uscita di scena per sfuggire ai riflettori?

Un documentario che sfida i referti

Il film di Finn fa qualcosa di audace: non si limita a riflettere sulla vita travagliata del frontman dei Doors, ma rilancia l’idea che il suo decesso possa essere stato, in realtà, un piano per sparire. Vecchie testimonianze, interviste raccolte nel tempo e voci che continuano a puntare su un uomo misterioso, un tale “Frank,” risvegliano antiche curiosità. Alcuni sostengono di aver incontrato questo sconosciuto negli Stati Uniti, in luoghi anonimi come un condominio di Syracuse, e di aver notato su di lui una cicatrice esattamente dove Jim aveva un piccolo neo in volto.

Una realtà capovolta

Diventa sconcertante pensare a un Morrison che abbandona tutto: musica, fan, ribalta mediatica. Cosa l’avrebbe spinto a tanto? Per alcuni, la pressione insopportabile di essere un’icona rock. Per altri, la semplice voglia di respirare una vita più normale, lontana dagli assedi dei paparazzi e dall’industria discografica. C’è chi considera questa ipotesi un’eresia, eppure il documentario s’insinua negli spiragli di dubbio come un’ombra tenace.

La fragilità di un mito

Tutto ruota attorno a un conflitto tra la storia che conosciamo e le supposizioni che resistono da decenni. Da un lato, abbiamo un certificato di morte che parla chiaro: insufficienza cardiaca. Dall’altro, individui che giurano di aver visto il leggendario artista ben oltre la data del 1971. Pura follia? Oppure frammenti di verità rimasti in sordina per mezzo secolo?

A ben pensarci, la fascinazione verso i miti eterni è una costante: tanti fan, forse, non vogliono accettare che il Re Lucertola se ne sia andato così presto. E Before the End rimescola le carte, trasformando una vecchia ferita in un nuovo motivo di stupore. Noi non pretendiamo di fornirvi risposte definitive, ma ammettiamo che questa storia – proprio come la voce di Morrison – sa risvegliare in chiunque un’indomita voglia di andare oltre ciò che appare.

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Attualità

Blake Lively e Justin Baldoni, scontro giudiziario a Hollywood: l’attrice ottiene un...

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Una vicenda che intreccia accuse gravi, contrattacchi e il timore che dettagli intimi finiscano in pasto alla stampa. Sembra un romanzo drammatico, invece è un fatto reale: Blake Lively, in lotta legale contro il regista e attore Justin Baldoni, ha ottenuto un parziale successo per tenere al sicuro alcune informazioni delicate. Non un trionfo definitivo, ma un primo passo per impedire che conversazioni private e dati strettamente personali possano raggiungere un pubblico affamato di scandali.

È una disputa che si sta consumando nei corridoi di un tribunale federale, dove Lively ha denunciato Baldoni con pesanti accuse di molestie sessuali e ritorsione. Come se non bastasse, Baldoni ha scelto di contrattaccare, portando in causa lei e Ryan Reynolds per diffamazione. Un intreccio complicatissimo di accuse incrociate, punteggiato da strategie legali sofisticate e decisioni giudiziarie che potrebbero fare giurisprudenza. Il giudice Lewis Liman, pochi giorni fa, ha parzialmente accolto la richiesta di Lively di mantenere “solo per gli avvocati” alcuni materiali di divulgazione. Parliamo di messaggi, piani e appunti creativi che Baldoni vorrebbe introdurre come prove per sostenere le proprie ragioni.

Perché mai limitare l’accesso soltanto ai legali?

La motivazione, in fondo, è semplice: proteggere segreti commerciali, piani di marketing, questioni di salute e persino i sistemi di sicurezza dell’attrice, che sarebbero esposti a un rischio enorme se condivisi liberamente. Senza dimenticare l’aspetto ancora più delicato: la salvaguardia di terzi estranei alle diatribe giudiziarie, i cui dati riservati potrebbero emergere involontariamente e generare danni irreparabili.

L’incubo della fuga di notizie aleggia come un’ombra su tutta la vicenda. Il giudice Liman ha sottolineato che quando in gioco ci sono star, addetti stampa e un case ufficiale di accuse pesanti, il pericolo di rivelazioni non autorizzate si alza vertiginosamente. Ciò che in teoria resta “riservato” rischia di finire nel circolo dei pettegolezzi – soprattutto all’interno della comunità artistica, dove una semplice allusione può devastare carriere e reputazioni.

Gli avvocati di Baldoni, dal canto loro, ammettono la necessità di proteggere materiale sensibile ma contestano l’idea di una condivisione esclusiva fra legali. Ritengono che un simile muro possa rallentare il processo, generando inevitabili attriti e continui ricorsi al giudice su ciò che dev’essere tenuto segreto e ciò che può essere trasmesso ai rispettivi clienti. Il tribunale, però, ha scelto un equilibrio: ha accolto alcuni punti avanzati dalla difesa di Lively ma non tutti. Ha fissato paletti precisi: niente divulgazioni che possano causare danni “significativi”, con un margine piuttosto ridotto di interpretazione.

Per ora la bilancia pende leggermente dalla parte dell’attrice, anche se il conflitto legale resta aperto e denso di sfumature da chiarire. Noi continuiamo a seguire l’evoluzione di questo caso sui generis, convinti che la verità, qualsiasi essa sia, emergerà tra i faldoni legali e la fermezza di chi vigila sul rispetto della riservatezza. Non è una storia con un vincitore annunciato, ma un racconto che si aggiorna di ora in ora, in un palcoscenico giudiziario dove la tensione è tutt’altro che scesa. E alla fine, la domanda chiave resta: fino a che punto si spingerà questo duello, e cosa accadrà se i segreti di Hollywood dovessero varcare i confini di quell’aula di tribunale?

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