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Da “Un posto al sole” a “La Sposa”, intervista esclusiva ad Antonella Prisco
Antonella Prisco nasce a Nola, ad una manciata di chilometri da Napoli, nel 1982. Cresce nella tranquilla provincia campana seguendo un proficuo percorso di studio e cullando senza sosta un sogno nel cassetto: diventare attrice. Una volta laureatasi in Sociologia all’Università di Salerno, si trova ad affrontare una difficile scelta: chiudere una volta per tutte quel cassetto o lasciare che i suoi sogni prendano il volo. Inizia quindi a formarsi in ambito teatrale con una moltitudine di autori.
Lo studio, da ora in poi, andrà sempre nella direzione attoriale. Esordisce nel 2005 nella fiction “Orgoglio”, al fianco di Elena Sofia Ricci, dove interpreta due stagioni. Nel 2015 la grande occasione che la porterà quotidianamente sugli schermi di milioni di italiani: le viene affidato il ruolo di Mariella Altieri nella celeberrima soap opera “Un posto al sole”. Un ruolo che cresce nel corso delle stagioni e si fa sempre più centrale, confermando anno dopo anno Antonella nel cuore delle complesse vicende umane di Palazzo Palladini. Ma la parabola di Antonella non sembra volersi fermare: è di quest’anno il suo ruolo nei panni di Nunzia, co-protagonista della miniserie tv “La Sposa”. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lei, su passato, presente e futuro.
Il tuo percorso di formazione ti ha portata ad ottenere una laurea in sociologia, ma non hai indugiato nella scelta di seguire la decisamente più rischiosa carriera di attrice. Quali sono stati i tuoi primissimi passi a riguardo? Come li hai vissuti?
“Era una strada incerta e sconosciuta quella che ho seguito e in quel momento avevo l’impressione che gli studi universitari mi distraessero dall’obiettivo: essere un’attrice. Poi ho capito che è stato un valore aggiunto, poter parlare di tutto, con tutti e non avere una formazione esclusivamente da attrice mi ha completata e dato ulteriori strumenti per fare al meglio il mio lavoro.”
Sempre rimanendo alle radici della tua carriera, raccontaci un po’ meglio quell’aneddoto che riguarda te e Alberto Sordi in visita all’Università di Salerno per la sua laurea honoris causa. Si raccontano molte storielle a riguardo e vorremmo sapere da te com’è davvero andata.
“Ero all’università e come al solito non pensavo ai corsi da seguire ma al mio sogno da inseguire. Seppi che quel giorno gli avrebbero conferito la laurea ad Honorem e spiai la security per capire dove lo avrebbero portato dopo… dovevo incontrarlo. Dopo ore di appostamento nascosta in un’ala dell’uni pensai che avessero cambiato destinazione e sconfortata chiamai l’ascensore… ma quando si aprì me lo trovai di fronte… ci ero riuscita… e ho capito che per fare questo lavoro ci vuole tanta tanta determinazione e pazienza… saper aspettare a volte non è star fermi…”
Cosa ha rappresentato per te nel 2005 l’esordio in una fiction TV ambiziosa come “L’orgoglio” al fianco di grandi figure della tv italiana come Elena Sofia Ricci, Daniele Pecci e Paolo Ferrari?
“È stata la prima esperienza che mi ha fatto capire cosa significasse stare su un set, quali i ritmi di lavoro. La persona che ho conosciuto in quell’occasione e con la quale ha avuto l’onore di confrontarmi è stato Paolo Ferrari… umano, straordinario, non lo dimenticherò mai.”
Quanto c’è della donna Antonella Prisco nel personaggio di Mariella Altieri?
“C’è tanto… Mariella mi ha cambiato la vita… è cresciuta dentro di me, dando voce tal volta in maniera ironica ma tanto vera a delle mie paure, incertezze che nella vita vera forse non avrei mai avuto il coraggio di dire ad alta voce.”
Cosa significa per un’attrice, sia a livello personale che professionale, essere legati per così tanto tempo ad un ruolo, come è successo a te con Mariella? Con il passare del tempo la sfida diventa sempre più difficile o subentrano certi automatismi per cui diventa tutto più immediato?
“Gli automatismi “buoni” cioè quelli che ti fanno fare bene il tuo lavoro sul set e tenere ritmo mi piacciono. Gli automatismi che riguardano il personaggio preferisco scansarli… non vorrei mai che il mio personaggio si adagiasse, cerco sempre di dare il meglio, di trovare un’evoluzione come accade nella vita reale a tutti… non bisogna mai fermarsi ma crescere e confrontarsi… in questo gli scrittori di Upas mi aiutano tanto, sono uno stimolo continuo.”
Quant’è importante, in un ruolo così protratto nel tempo come è il tuo caso con Mariella, riuscire a creare un solido rapporto umano con l’interprete della sua storica controparte amorosa nella serie, il comandante dei vigili Guido del Bue interpretato da Germano Bellavia? Quanto conta il dietro le quinte?
“È un aspetto importantissimo: essere sereni sul set, trovare un appoggio, un confronto fa tanto nella resa del personaggio e della stessa storia. Voglio tanto bene a Germano, c’è rispetto e soprattutto tante risate…”
Raccontaci qualcosa di più riguardo alla tua esperienza del 2015 in “Alle falde del Kilimangiaro Summer Night” al fianco di Dario Vergassola e Camila Raznovich.
“È stato un intervento molto divertente, Dario ha un’ironia intelligente e sottile, di quelle che ti inchiodano. È sempre bello confrontarsi con professionisti come lui.”
Nel 2015 hai avuto occasione di partecipare alla Scuola di perfezionamento per attori del Teatro Stabile Mercadante diretta da Luca De Filippo, poco prima della sua prematura scomparsa. Cosa ricordi di quell’esperienza di studio con un grandissimo del teatro napoletano e italiano?
“È stata un’esperienza che mi ha dato tanto. Un giorno a lezione ho avuto l’onore di esibirmi di fronte a lui, non potevo crederci… le sue erano sempre parole di incoraggiamento, mai distaccato… manca…”
Com’è stato declinare il tuo talento interpretativo per una figura come la Nunzia della nuovissima miniserie TV “la Sposa” di Giacomo Campiotti, profondamente diversa per contesto e indole dalla Mariella di “Un posto al sole”?
“Un attore vive per questo, per confrontarsi con ruoli diversi, provarsi, sfidarsi… e quella di Nunzia è stata una sfida meravigliosa. La paura era tanta, ho dovuto fare i conti con un dialetto che non era il mio ma alla fine leggere e incontrare persone che mi dicono di essersi affezionate a Nunzia, non ha prezzo… Ringrazio Giacomo per l’occasione che mi ha dato.”
Una delle caratteristiche più interessanti del personaggio di Nunzia è la sua sostanziale inconsapevolezza della propria condizione. E’ assoggettata a delle dinamiche profondamente maschio centriche della società e del tempo che vive, eppure sembra abbia trovato da qualche parte le risorse per sopportare, resistere e anche ironizzarci sopra. Cosa ti è arrivato dal vestire i suoi panni, così complicati e complessi?
“Ho capito che solo una donna avrebbe mai potuto sopportare tanto… annullarsi, accettare una condizione così estrema… L’uomo è capace di prendersi cura di sé, di tutelarsi, la donna un po’ meno e lo ha dimostrato la storia. Vestire i suoi panni mi ha fatto capire quanto c’è ancora da fare per poter parlare di parità… e forse il cambiamento deve arrivare da noi donne perché siamo meno solidali tra di noi, proprio perché capaci di sopportare…”
Due anni fa sei diventata madre di Vincenzo. Cosa ha portato nel tuo bagaglio artistico di attrice un’esperienza così forte e totalizzante come quella della maternità?
“Avevo paura di diventare madre. Questo cambiamento così grande mi spaventava, avevo paura di “perdermi”. Invece è stato il contrario… come dicevo prima le sfide ci fanno crescere ed essere genitore è una gran bella sfida… ma l’amore che senti e quello che ti ritorna è una cosa che auguro di provare a tutti.”
Hai da pochi mesi terminato le repliche de “Lo zio del medico dei pazzi” per la regia di Gianfranco Gallo all’Augusteo di Napoli, e la tua carriera teatrale è disseminata di esperienze nel corso degli anni. Cosa cerchi e cosa riesce a darti il mondo del teatro rispetto a quello della TV?
“È un aspetto del mio lavoro che mi completa quello del teatro. Ci sono energie e sinergie diverse che entrano in gioco. Quello che in assoluto mi manca in questo momento, più che le relazioni che si instaurano sul palcoscenico con i colleghi, è il rapporto col pubblico. A teatro un attore fa l’amore con il suo pubblico, cerca di sedurlo, di tenerlo col fiato sospeso, di affascinarlo in qualche modo e quando alla fine arriva l’applauso e la corrispondenza di amori sensi si è stabilita… nessuno dei due dimenticherà più quella sera dove ci si è conosciuti e amati in qualche maniera.”
Se la te stessa adolescente potesse vedersi al futuro e avesse te davanti, donna adulta e attrice professionista con alle spalle il tuo intero percorso, credi che sarebbe soddisfatta?
“Quanto amo questa domanda!!! Io ci parlo spesso con la mia Anto 16enne… e le dico: hai visto, è stata dura, abbiamo pianto tanto, a volte abbiamo anche perso la speranza… ma alla fine le do una pacca sulla spalla e penso: siamo sulla strada giusta… non ti ho delusa e spero di continuare così…”
*Foto di Giuseppe D’Anna
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Interviste
Intervista esclusiva a Marzio Honorato: frammenti di una...
Marzio Honorato. Basta pronunciare il suo nome e subito ti ritrovi immerso nel profumo del teatro di Napoli, nei racconti del cinema più vero e nella lunga storia di una televisione che lo ha visto diventare una figura familiare per tutti.
Dal 1996 è Renato Poggi in Un Posto al Sole. Pensa: quasi trent’anni di vita intrecciati a quel personaggio. Renato è cresciuto con lui, si è trasformato, è diventato un amico per milioni di persone che si affezionano ogni giorno di più. Ma dietro quegli occhi che sorridono c’è molto altro: una carriera vissuta con passione e difficoltà, scelte coraggiose e una forza che continua a brillare. Oggi ci regala ricordi e verità, con una sincerità che arriva dritta al cuore.
La nostra intervista esclusiva
Nel tuo percorso teatrale hai iniziato con il teatro d’avanguardia a Napoli e Milano. Quali sono stati gli insegnamenti più significativi che hai tratto da quell’esperienza e come hanno plasmato il tuo approccio alla recitazione?
“La mia esperienza con il Teatro d’avanguardia è nata da una “fortunata” bocciatura al Liceo che frequentavo. Mio padre, per punizione, mi mandò a fare le pulizie in un “locale” vicino casa. Solo che in quel locale facevano teatro d’avanguardia! Ne rimasi affascinato e, oltre alle pulizie, iniziai a partecipare ad alcuni spettacoli. In seguito, in una tournée in giro per alcuni teatri d’avanguardia in Italia, capitammo a Milano al Teatro Uomo e rimasi lì per qualche mese scritturato nella loro compagnia teatrale. La paga era di 5000 lire al giorno. Dormivo e mangiavo dove capitava, ma riuscii a mettere da parte una somma che mi permise di comprare una Fiat 1300, naturalmente usata, per tornare a Napoli alla fine della stagione teatrale. Avevo 20 anni. Ricordo ancora quei tempi e già allora capii che fare il mestiere di “attore” significava rischiare una vita difficile e piena di punti interrogativi. Ma in realtà avevo già scelto. Ero molto timido e forse lo sono tutt’ora, ma mettersi nei panni di altri personaggi mi dava sicurezza.”
Cosa hai imparato da Eduardo?
“Eduardo è stato tutto per me. L’emozione di essere preso per mano da lui nei ringraziamenti alla fine degli spettacoli non penso di provarla mai più. Lui era un direttore d’orchestra e gli attori erano i suoi orchestrali. Ci dirigeva modulando i volumi e i toni delle nostre voci e limitando la nostra gestualità all’essenziale, senza mai esagerare. Da lui ho imparato l’arte di stare e camminare sul palcoscenico, il rispetto per il pubblico e per le rigorose battute del testo che si metteva in scena. Ogni virgola, pausa o fiato aveva un preciso significato. Da non tradire.”
Quali sono le differenze fondamentali tra cinema e teatro?
“Ho fatto tanto cinema, sicuramente più film che testi in teatro, specie dopo l’esperienza con Eduardo. Mi è sempre piaciuto tanto, perché il cinema si racconta con gli occhi e con l’espressione del viso, mentre il teatro più con il corpo e la voce.”
Raccontaci come è nato il tuo personaggio in Un Posto al Sole.
“Quando seppi che al Centro Rai di Napoli avrebbero fatto dei provini per un esperimento produttivo di una lunga serialità, voluto fortemente da Giovanni Minoli, ho fatto in modo di partecipare ai provini. E poi è andata come è andata… sono ancora lì, a Un Posto al Sole e non avverto stanchezza.”
Ti occupi anche di produzione. Vuoi raccontarci qualcosa su questo tuo interesse?
“Molti attori della mia generazione, più o meno di base a Napoli, negli anni ’80 costituivano società produttive teatrali. Dato che ne fiorivano tante, decisi di costituire una società di produzioni audiovisive: cortometraggi, documentari, progetti video-sociali… Poi, anche grazie alla sicurezza economica che mi dava Un Posto al Sole, ho iniziato a produrre qualche film. Distribuire lavoro per giovani autori, attrici e attori e validissime risorse umane tecniche che vivono nel nostro territorio era doveroso per me. Napoli mi ha dato tutto.”
© Sbircia la Notizia Magazine, è vietata qualsiasi ridistribuzione o riproduzione del contenuto di questa pagina, anche parziale, in qualunque forma. Foto di Giuseppe D’Anna.
Interviste
Intervista esclusiva a Fabrizio Eleuteri: successi in TV,...
Sono tre gli importanti progetti che vedono attualmente impegnato Fabrizio Eleuteri. Formatosi al laboratorio Don Bosco diretto dal rettore Carlo Nanni, l’attore romano fa parte del cast fisso di Citofonare Rai 2, il programma della domenica condotto da Paola Perego e Simona Ventura, e prossimamente sarà al cinema con The Contract, il film internazionale prodotto da Massimiliano Caroletti che segna il debutto alla sceneggiatura di Eva Henger. Lavori che vanno ad aggiungersi all’impegno in Vita da Carlo, la serie con protagonista Carlo Verdone. Tra sogni e progetti, Eleuteri ci ha spiegato come è nata la sua passione per la recitazione, svelandoci la sua passione per il ‘regista del brivido’ Alfred Hitchcock.
a cura di Roberto Mallò
Fabrizio, ogni domenica i telespettatori possono vederla, in diretta, a Citofonare Rai 2. Che tipo di esperienza è? Come si trova all’interno del cast?
“Citofonare Rai2 per me è partito in maniera sperimentale, con la doppia conduzione di Paola Perego e Simona Ventura. Sono entrato a far parte del cast a partire dalla seconda edizione ed ora mi ritrovo alla quarta stagione, la mia terza consecutiva. All’inizio mi avevano prospettato un ruolo del portiere che entrava, faceva il suo balletto fintamente sexy e non si curava delle due conduttrici. Le stesse che, ogni volta, mi rimproveravano simpaticamente in diretta: ‘Guarda che non sei qua nello spazietto tuo, che fai il sexy e così via. Qui hai un ruolo, devi portare le cose che ti chiediamo. Abbiamo bisogno dei tuoi servigi per sbrigare le cose della giornata. Se arriva un ospite lo fai entrare, se c’è una cosa da portare dentro lo fai tu’. Io, per tutta risposta d’accordo con gli autori, entravo con le noci e le olive, le mangiavo e non lasciavo loro niente. All’inizio, insomma, ero questo portiere un po’ matto e sciocco che faceva danni”.
E pian piano il personaggio si è evoluto…
“Esattamente. Dallo scorso anno ho iniziato ad annunciare qualche servizio, oltre che inserire qualche curioso aneddoto su qualche personaggio piuttosto che un altro. In questa edizione affianco Gene Gnocchi nelle sue follie estemporanee. Sono il suo ‘partner in crime’. Il mio personaggio è diventato quasi una spalla per Gene. All’interno della trasmissione mi trovo molto bene, c’è molto feeling con tutti, in special modo con l’autrice Serena Costantini, che è un pezzo di cuore. E non posso negare di trovarmi molto bene con Paola Perego. Oltre alla professionista che tutti conosciamo, lei è sempre dolcissima con tutto il cast. Si prende sempre cura di qualsiasi persona all’interno di Citofonare Rai 2 e del cast stesso. E Simona Ventura è sempre il solito uragano che va a destra e sinistra e stravolge tutto e tutti. Citofonare Rai 2 è davvero una delle poche trasmissioni in cui ci divertiamo anche nel backstage”.
Per chi fa il suo mestiere, un programma in diretta come Citofonare Rai 2 insegna tanto, no?
“Sì. E’ un discorso completamente diverso dalla formazione che uno può avere o al teatro o al cinema. In quest’ultimo ti prepari un determinato ruolo e sai che devi girare una determinata scena con altri attori, che comunque puoi ripetere qualora qualcosa non andasse bene. Al contrario, nella diretta deve filare tutto liscio. Si respira la tensione che è tipica del teatro, ma è diverso, a partire dalle telecamere che ti circondano. Ovviamente, tu cerchi sempre di fare il tutto in maniera egregia. Le aspettative sono abbastanza alte e cerchi di fare di più. Nonostante tutto è però bello avere quell’adrenalina tipica della diretta. Soprattutto considerando il fatto che Citofonare Rai 2 è una diretta nazionale, che tiene compagnia ai telespettatori per tante ore e li accompagna in tutta la domenica mattina fino all’ora di pranzo”.
A cosa si deve, dal suo punto di vista, il grande successo del programma? Cresce negli ascolti di anno in anno..
“La trasmissione conserva degli abiti molto leggeri, non parla di fatti di cronaca nera. Se ci pensa, nei primi appuntamenti, Paola e Simona venivano un pochino prese in giro quando cantavano insieme, ora è diventato un vero e proprio must atteso e coinvolgiamo gli ospiti a cantare con loro di volta in volta.. Il programma ha sempre avuto come obiettivo principale quello di mettere in risalto i personaggi che hanno fatto parte della televisione italiana. Gli ospiti spaziano dal comico, come Lopez e Solenghi che parlano del trio, Lino Banfi, Al Bano con le figlie, solo per fare alcuni esempi, che ti raccontano come è stato vivere con un gigante della musica italiana così in casa. Gli aneddoti, gli spazi qua e là, il collegamento di Antonella Elia e le gag di Gene Gnocchi danno poi al programma quell’atmosfera leggera e spiritosa della quale abbiamo bisogno adesso più che mai”.
La trasmissione di Rai2 non è l’unico progetto che la vede coinvolta in questo periodo. C’è anche il film internazionale The Contract, nel quale ha recitato al fianco di Jane Alexander.
“Esatto, interpreto il migliore amico del personaggio interpretato da Jane. Il film, come è stato detto all’anteprima mondiale de Il Cairo, è un thriller psicologico. Non di certo un action thriller. Al centro della scena c’è l’attore Eric Roberts, che interpreta un giornalista caduto in disgrazia che prova a intrufolarsi nella scena del crimine di un suo collega. Da lì cerca dunque di ricostruire tutto il puzzle che ha portato a questo efferato omicidio. Si rivolge così a tante personalità e personaggi diversi tra loro: ci sono il caporedattore, un prete e una ragazza che lavora in un night, interpretata da Jane Alexander e che fa parte della trama che mi vede coinvolto, dato che cammino al suo fianco in diverse situazioni. Più Roberts indaga, più c’è questa scia di sangue che si va piano piano ad allargare. E lui ha questo testimone, interpretato da Kevin Spacey, all’interno di una sorta di riformatorio/manicomio, che sembra abbia delle chiavi di interpretazione di questo omicidio ben più profonde di quanto non stia dicendo. Quindi man mano che accadono le cose, Eric Roberts torna a chiedere conto a Kevin Spacey di quello che sta accadendo. A volte questo personaggio dà di matto e non si capisce cosa voglia dire. Le altre volte cerca di infilare delle pulci nelle orecchie a Eric Roberts per dare un diverso punto di vista di ciò che sta accadendo. Era da parecchio che non si vedeva un film simile in Italia, dove per vedere un thriller bisogna ritornare ai tempi di Dario Argento. Ed è credo la primissima volta che un produttore indipendente come Massimiliano Caroletti annoveri nel cast due attori internazionali del calibro di Spacey, che ha vinto due premi Oscar, e Roberts. Da questo punto di vista, The Contract è un esperimento già riuscito”.
C’è molta curiosità attorno al film perché rappresenta anche il debutto alla sceneggiatura di Eva Henger.
“Sì, c’è davvero molta curiosità. Ne hanno parlato anche varie testate americane. Forse in Italia siamo cintura nera nello scetticismo, magari però stavolta non trionferà il pregiudizio. Personalmente, ho avuto la fortuna di assistere all’anteprima ed è piaciuto molto. Tuttavia, sono curioso di capire come verrà accolto negli Stati Uniti e ovviamente qui da noi in Italia”.
Jane Alexander la conosceva già o vi siete incontrati per la prima volta su questo set?
“Avevo visto i lavori precedenti di Jane, tra cui quelli diretti da Cinzia TH Torrini. Non l’avevo mai incontrata prima, ma è stata davvero carina e siamo rimasti amici. E’ una di quelle persone che ti aiutano davvero sul set, che ti danno la loro energia. Al termine di una scena straziante di The Contract mi ha dato un abbraccio capace di trasmettermi davvero una grossa energia. Credo sia, davvero, una professionista di una caratura internazionale.
C’è anche un terzo lavoro: Vita da Carlo. La serie di Carlo Verdone. Il suo personaggio, nella terza stagione, è stato ampliato rispetto a quello che abbiamo visto nella seconda.
“Sì, il personaggio di Riccardo, il fidanzato di Sandra (Monica Guerritore), ha uno sviluppo carino. Viene coinvolto in una cena, in casa Verdone, nella settima puntata. E lì accade di tutto, nel buon segno della commedia italiana. C’è al centro un grande equivoco, condito da una rivelazione, e scoppia un vero e proprio parapiglia. Il tutto ha come sfondo la Santa Notte di Natale. Scherzi a parte, lavorare su un set con Verdone, Guerritore, Stefania Rocca e Filippo Contri è stata una bella opportunità da una parte ed un continuo divertimento dall’altra”.
Parlando un po’ di lei. Quando è nata la sua passione per il mondo della recitazione?
“Sono il terzo di quattro figli, tutti maschi. Nessuno aveva mai lavorato nel mondo dell’arte nella mia famiglia. Mi ricordo che, con le prime paghette, quando avevo circa 11 anni, mi andavo a comprare in edicola i film in bianco e nero di Alfred Hitchcock. Settimana dopo settimana investivo lì la mia paghetta. E mia madre non riusciva a capire cosa me ne importasse di quei film lì, dato che poi nel mio tempo libero andavo a giocare a calcetto con i miei amici. Tuttavia, ero totalmente folgorato da Hitchcock: andavo ad informarmi su ogni scena e ogni aspetto dei suoi lavori, compresi gli interpreti e i vari registi, passando per il trucco, il montaggio, gli effetti speciali. Avevo una passione dentro che è venuta fuori, senza che nessuno la sollecitasse. Pensi che una volta ho chiesto a mia madre quanto pagassero Bud Spencer e Terence Hill per fare uno dei loro film che trovavo bellissimi. E lì lei mi ha detto: ‘No, amore di mamma, questi sono attori ed è un lavoro. Loro interpretano una parte e vengono pagati per questa cosa’. Una cosa che a me non tornava, non pensavo che fosse un mestiere e che venissero pagati. Per me poter recitare era già di per sé un premio. Anche perchè poi io ho mosso i primi passi in teatro e lì, quando hai il fuoco sacro della recitazione dentro, non stai tanto a guardare la remunerazione. E il lavoro dell’attore in sé è abbastanza precario, ci sono dei periodi in cui lavori tantissimo e in altri poco e niente. Se non sei abituato a prendere le porte in faccia stai malissimo. Ci saranno sempre delle persone che ti diranno che non sei in grado, che non sei preparato. Sei non hai una buona corazza o una famiglia che ti sostiene non riesci ad andare avanti. Potresti mollare, soprattutto quando ti sei preparato per un ruolo che sentivi davvero tuo e invece non ti prendono minimamente in considerazione. Per fortuna, oltre ai miei fratelli con i quali ho un bellissimo rapporto, ho una moglie e una figlia che mi supportano tantissimo e a cui devo praticamente tutto”.
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Interviste
Intervista esclusiva ad Alberto Rossi: «Con la paternità un...
Alberto Rossi. Livorno. Un ragazzo con un sogno gigantesco e il coraggio di seguirlo fino in fondo. Fin da giovane, si buttava a capofitto nel mondo dello spettacolo, come chi sa che quella strada è la sua e non c’è un piano B. A soli 25 anni era già sotto i riflettori, con il debutto in “Un posto al sole” che l’ha reso un volto amato da milioni di italiani. Eppure, Alberto è un uomo che si reinventa, che esplora, che cresce.
La paternità – con Ada – ha cambiato tutto. È come se l’amore per sua figlia gli avesse aperto nuovi orizzonti, spingendolo a vedere la vita da una prospettiva più profonda, più vera. Poi c’è il mare, la vela, il tennis. La voglia di navigare, di scoprire, di confrontarsi con sé stesso. E il teatro? Sempre nel cuore, come un amore mai dimenticato. In ogni progetto, in ogni battuta, c’è una parte della sua anima. E quando parla di futuro, non è solo lavoro: è curiosità, è passione, è quella luce negli occhi di chi ha ancora tanto da dare e da scoprire.
La nostra intervista esclusiva
*Foto di Giuseppe D’Anna
Ciao Alberto, benvenuto su Sbircia la Notizia Magazine! Qui ci piace andare oltre la superficie, scavare davvero dentro la tua storia. Vogliamo parlare dei sogni, dei successi, delle paure, delle sfide che ti hanno trasformato nell’uomo e nell’artista che sei oggi. Il tuo percorso ha attraversato il cuore dello spettacolo italiano, lasciando segni indelebili. Tu sei un racconto che merita di essere ascoltato, pezzo dopo pezzo, emozione dopo emozione. Oggi siamo qui per raccontare questo viaggio insieme a te.
Dopo aver conseguito il diploma all’Accademia “Silvio d’Amico”, hai debuttato in “I ragazzi del muretto” solo due settimane dopo. C’è stato un momento in cui hai realizzato l’impatto che questo rapido inizio avrebbe avuto sulla tua carriera o tutto è accaduto così velocemente da sembrare quasi surreale?
“Surreale no, perché dentro di me, in un certo senso ci speravo e me lo aspettavo. Avevo sempre e solo voluto fare quello che stavo riuscendo a fare e si stavano materializzando tutti, non solo i miei sogni, ma anche le aspettative e i desideri.”
Il tuo primo film, “L’olio di Lorenzo”, è stato un progetto internazionale diretto da George Miller. Come ha influenzato la tua visione dell’industria cinematografica italiana ed estera iniziare la tua carriera cinematografica in un contesto così globale?
“Beh, è stata un’esperienza su un set da Formula 1… difficile trovare così tanto spiegamento di mezzi su un film italiano…”
Interpretare Michele Saviani per oltre 25 anni ti ha permesso di crescere insieme al personaggio. In che modo la tua evoluzione personale ha influenzato Michele? Ci sono aspetti del personaggio che hanno a loro volta plasmato te come individuo?
“No, nella maniera più assoluta no! Michele rimane in camerino quando ne svesto i panni.”
Nel 2006 hai diretto alcuni episodi di “Un posto al sole”. Come ha arricchito questa esperienza la tua comprensione del processo creativo? C’è qualcosa che hai scoperto sul set che ti ha sorpreso come attore-regista?
“Volevo tantissimo fare quell’esperienza. E quando finalmente ci sono riuscito, è stato un po’ come coronare un’altra conferma di ciò che sentivo di avere e di poter comunicare in altro modo e forma.”
La tua partecipazione a “Notti sul ghiaccio” ha mostrato un lato di te inedito al pubblico. Quali sfide hai affrontato nel padroneggiare il pattinaggio artistico? C’è qualche lezione che hai portato con te nel tuo lavoro attoriale?
“Mah no, era tutto un altro contesto. Anche lì era Formula 1, Milly Carlucci, Rai 1, prima serata… poi tante botte, tanti lividi, tanta fisioterapia dopo… però bellissimo, magico.”
Il tatuaggio con il nome di tua figlia Ada è un gesto d’amore visibile a tutti. Come la paternità ha influenzato il tuo approccio alla vita e alla professione? In che modo questo nuovo ruolo ha arricchito la tua espressività artistica?
“Con la paternità un uomo finalmente diventa tale. Fino a quel momento non puoi percepire in tutt’altro modo la vita. Tutto diventa entusiasmo, paura, bellezza, crescita, magia… non si può definire la paternità… poi di una figlia femmina…”
Sei appassionato di tennis e vela, sport che richiedono concentrazione e armonia con l’ambiente. Vedi delle similitudini tra queste discipline e la recitazione? Come contribuiscono al tuo equilibrio personale e professionale?
“È sport, la vela significa mare, acqua, quindi il nostro inconscio, sul quale mi piace navigare (son figlio di un ammiraglio). Il tennis è disperazione, solitudine, analisi, tostissimo ma bellissimo. Soprattutto da vedere, poi ora con Sinner e company….”
Hai avuto la fortuna di lavorare con un maestro come Pupi Avati, su progetti intensi e pieni di significato come “I cavalieri che fecero l’impresa” e “Il signor Diavolo”. Raccontaci: cosa ti è rimasto di quelle esperienze?
“Due belle esperienze con un maestro. Per scavare ancora un po’ più a fondo le mie capacità.”
Ci sono opere o personaggi che sogni di interpretare per esplorare nuove dimensioni della tua arte?
“Dopo che per più di 30 anni dai Ragazzi del Muretto ad Upas, mi piacerebbe interpretare un personaggio demoniaco, malefico, al limite dello splatter come quelli della serie Monster.”
Essendo una presenza costante in “Un posto al sole” sin dal suo inizio, hai vissuto l’evoluzione della televisione italiana. Come percepisci i cambiamenti nel modo di raccontare storie in TV e quale pensi sia il futuro delle soap opera nel panorama mediatico attuale?
“Ma il futuro siamo solo noi, siamo stati i primi e siamo ancora lì… siamo passato, presente e futuro…”
In un mondo dominato dai social media, mantieni un equilibrio tra condivisione e privacy. Come gestisci la relazione con i tuoi fan attraverso piattaforme come Instagram? Quale ruolo credi che i social abbiano nel rapporto tra attore e pubblico?
“Mi divertono, li frequento parecchio ma non ne abuso.”
Guardando al futuro, c’è un ambito artistico o un progetto inedito che vorresti esplorare, magari al di là della recitazione, come la scrittura, la produzione o una nuova forma di espressione creativa?
“Con la produzione ho dato e non credo che ripeterò l’esperienza. Mi sono scottato troppo, per il resto si vedrà….”
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