Sandro Giordano: il fotografo che racconta la caduta dell’umanità con ironia
A cura di Pierluigi Panciroli – Foto di copertina: Ph. Fabrizio Massarelli
Sandro nasce a Roma il 6 ottobre 1972 e si appassiona alla scenografia, studiandola all’Istituto per la Cinematografia e la Televisione Roberto Rossellini. Dopo la laurea, si dedica alla tecnica del suono e delle luci nei teatri della capitale. Nel 1993, si cimenta nella recitazione, e frequenta una rinomata scuola privata romana; inizia, così, la sua carriera di attore. Sul palcoscenico lavora con registi di fama, come Luciano Melchionna e Giancarlo Cobelli, mentre al cinema condivide la scena con grandi nomi come Dario Argento, Davide Marengo, Carlo Verdone e ancora Melchionna.
Dal 2013, Sandro si immerge completamente nel suo progetto fotografico IN EXTREMIS (corpi senza rimpianto).
Le sue fotografie sono vere e proprie “storie brevi” che mostrano un mondo in declino.
Ogni immagine ritrae individui consumati, che in un improvviso collasso mentale e fisico, cadono senza alcuna speranza di salvezza. Questa impotenza è il risultato della stanchezza quotidiana nel fingere la vita, soffocati dal suo apparire anziché dal suo essere. In un’epoca degradata dalla chirurgia plastica, che produce immagini stereotipate al servizio di modelli di marketing imposti, Sandro Giordano rivendica la sua idea che la perfezione stia nell’imperfezione, nei contrasti forti, nella fragilità e nell’umanità che evidenzia l’unicità di ogni individuo. Il volto celato dei protagonisti nelle sue opere permette al loro corpo di diventare il testimone della loro esistenza. La caduta rappresenta il punto di non ritorno, un fondo che richiama il famoso detto: “bisogna toccare il fondo per ricominciare”. La CADUTA dei personaggi di Giordano è il loro fondo, oltre il quale il loro falso io raggiunge il suo limite. Ognuno di loro tiene stretto un oggetto, simbolo di questa menzogna.
La finzione, per Giordano
Non è solo espressa dagli oggetti, ma anche dai vestiti, dalle pettinature e dalla location. Tutto ciò che è visibile nella foto costituisce la loro finzione, mentre il CORPO spezzato rivela la VERITÀ, una verità che, per essere narrata, deve necessariamente crollare. Nelle sue opere, Giordano evita l’uso di manichini, preferendo attori professionisti capaci di esprimere ciò che sfugge allo sguardo, perché l’invisibile diventi visibile.
LA CADUTA raccontata con ironia
Fin da bambino, Giordano nutrì un amore per i film di Charlie Chaplin e Laurel e Hardy, fonte di risate e gioia. Nei loro film, i personaggi affrontano eventi terribili, gravi incidenti… LA CADUTA… L’istintiva reazione di stupore e imbarazzo di fronte alla sventura del protagonista si trasforma, però, in una risata liberatoria. Questo effetto è ciò che Giordano cerca di ricreare attraverso le sue fotografie: raccontare la tragedia con l’ironia. L’umanità in rovina, oggetto del suo affetto e attaccamento, non lo allontana, ma lo avvicina. È l’empatia che gli permette di non giudicare, ma di condividere storie con la speranza che una risata provocata nello spettatore sia un segno favorevole, una fiducia in un futuro migliore e più autentico. Infine, quella risata diventa una rivelazione.
Credit: My Worst Nightmare
Sono veramente entusiasta di poter intervistare Sandro Giordano, questo artista di grande talento ed esperienza che con la sua originalità c’incuriosisce.
– Sandro, grazie in tanto per aver accettato questa mia intervista. Non si può, certo non ridere guardando le tue opere. Come nasce l’idea di IN EXTREMIS e qual è il
messaggio che vuoi trasmettere con le tue fotografie?
– Ciao, grazie a te per questo bell’incontro. IN EXTREMIS nasce come denuncia di un mondo che sta lentamente cadendo. Racconto in chiave tragicomica di persone comuni che si schiantano nella vita quotidiana, sopraffatte da un peso che non riescono più a sostenere. Quando ci facciamo
male c’è qualcosa nelle nostre vite che non sta andando per il verso giusto e abituati a vivere come se fossimo dentro a una centrifuga, non ce ne rendiamo conto. Cadere, farsi male, sbattere la faccia, appunto, è un campanello d’allarme che non possiamo sottovalutare e il nostro corpo ci costringe a riflettere su questo aspetto. Nel momento in cui siamo a “terra”, abbiamo la possibilità di scegliere se rimetterci in piedi o rimanere là e andare sempre più giù. Sta a noi, è una prova che la vita ci chiede di superare.
– Quali sono le difficoltà e le soddisfazioni di realizzare le tue opere, che richiedono la collaborazione di attori, scenografi e truccatori?
– Vengo dal teatro e dal cinema. Concepisco le mie foto come fossero fotogrammi della pellicola di un film, quindi, immortalare quel momento richiede una grande lavorazione a livello scenografico. In quel frame devo metterci dentro tutto il necessario affinché il pubblico possa capire la dinamica dell’incidente e il background del personaggio. Attraverso gli oggetti, fondamentali per l’interpretazione, cerco di raccontare la sua vita e soprattutto il malessere che lo ha portato a “schiantarsi”. È un processo difficile e meticoloso di cui mi occupo personalmente. Realizzo tutto da solo. Sul set, spesso capita siamo solo in tre: io, il mio assistente e il modello. Lavoro principalmente con attori e ballerini perché sanno come gestire il corpo, posso chiedere loro di assumere posizioni che risulterebbero molto difficili ad altri.
Credit: Mea Maxima Culpa
– Come scegli le location e gli oggetti che accompagnano i tuoi personaggi caduti? C’è un significato simbolico o una storia dietro ogni scelta?
– Dipende dalla storia che voglio raccontare. Effettivamente, trovare la location giusta è l’aspetto del progetto più complicato. Ho una quantità incredibile di idee, che a volte risiedono nella mia mente per anni, ma se non ho il luogo giusto, non posso fare la foto e questo mi innervosisce non poco, è molto frustrante. Superato questo step, tutto diventa più semplice. Solitamente scatto delle foto sul punto esatto dove successivamente verrà posizionato il corpo e da lì inizio a creare l’immagine dentro di me. Vedo chiara la posizione degli arti e la disposizione degli oggetti. Quando arriviamo sul set so esattamente cosa voglio perché lo scatto definitivo è già nella mia testa.
– Quali sono i tuoi riferimenti artistici e culturali? C’è un fotografo, un regista o un attore che ti ha ispirato o influenzato nel tuo percorso?
– Spesso mi accostano a David LaChapelle, forse per la quantità di colori che utilizzo nelle foto. Sicuramente, a livello inconscio, ha avuto una grande influenza su di me, ma non ho mai pensato a lui quando ho iniziato il progetto. Sono cresciuto con i film di Stanlio e Ollio e Charlie Chaplin. Ricordo che da bambino rimanevo impressionato dalla quantità di incidenti che capitavano ai personaggi dei loro film. Cadevano, sbattevano, ma poi si rimettevano subito in piedi come fossero pupazzi di gomma, incredibile! Questo sicuramente ha avuto un’influenza maggiore sulle mie scelte artistiche. E poi ci sono due sitcom alle quali sono davvero legato per via delle strepitose attrici comiche che le interpretavano: Laverne & Shirley e Absolutely Fabulous. La prima è una sitcom degli anni ’70, l’altra, anni ’90. Anche lì, tra cadute e porte sbattute in faccia penso di non aver mai riso tanto. SOBRIA, la foto della Fiat 500 gialla, forse la più iconica del mio progetto, è un chiaro omaggio alla scena di una puntata di Absolutely Fabulous, in cui una delle due protagoniste, alla guida di un’auto in stato di ebrezza, viene fermata da un agente di polizia, che aprendo la portiera per il controllo della patente, la vede rotolare giù come fosse un sacco di patate. Se non conosci questa serie, ti consiglio di recuperarla il prima possibile.
– Come hai sviluppato il tuo stile fotografico, che mescola tragedia e ironia, realismo e finzione, bellezza e rovina?
– È la vita stessa che mi ha portato a sviluppare questi aspetti. Non ho mai pensato razionalmente ad essi come canali giusti da seguire per esprimermi. Tutti gli “ingredienti” che hai appena elencato mi riguardano personalmente nel quotidiano, mi viene quindi naturale metterli nel progetto. Sono convinto che esista sempre un lato ironico nella tragedia, basta farlo uscire fuori. Cosa che spesso non facciamo per pudore della tragedia stessa, come a dire: è immorale e fuori luogo farci una risata di fronte a un fatto tragico. Ma è proprio quello il punto, riuscire a sdrammatizzare nei momenti peggiori della nostra vita, ridere di noi stessi. Certo, l’ironia è cosa sconosciuta a molti. Quella, o la possiedi o non credo tu la possa mai acquisire.
– Quali sono le sfide e le opportunità di usare attori professionisti nelle tue opere, invece di manichini o modelli?
– Il mio progetto ha avuto molto successo proprio grazie al fatto io abbia usato esseri umani anziché manichini. La gente, per essere “schiaffeggiata”, deve identificarsi nei personaggi delle mie foto, e questo non accadrebbe se utilizzassi bambole di pezza. Dopo una giornata di shooting, lo scatto definitivo, quello che reputo migliore, è sempre uno degli ultimi, perché dopo diverse ore passate in quelle posizioni, il corpo dei modelli è stremato dalla stanchezza, e questo arriva dritto come un pugno nello stomaco quando guardi la foto. Si avverte subito. Per lo stesso motivo nascondo il loro volto. Non avere tratti somatici visibili, come punto di riferimento, permette di identificarti maggiormente.
– Come ti rapporti con il tema della caduta, che è centrale nel tuo progetto IN EXTREMIS? C’è un’esperienza personale che ti ha ispirato o segnato in questo senso?
– Si, pochi mesi prima di iniziare il progetto sono stato vittima di una brutta caduta in bici e stavo, guarda caso, attraversando uno dei momenti peggiori della mia vita. La cosa che mi inquietò molto di quell’incidente fu l’oggetto che avevo in mano, una barretta proteica, che anziché lasciare andare per tentare, quantomeno, di attutire il colpo, ho tenuto stretta per tutto il tempo. Pochi mesi dopo un mio amico si è rotto una gamba tra gli scogli al mare per salvare lo smartphone che gli stava scivolando dalle mani. A quel punto mi son detto: abbiamo un problema serio con i “beni” materiali, che pensiamo di possedere, ma che in realtà controllano le nostre vite. Ho voluto quindi mostrare anche quest’aspetto nel progetto. In quasi tutte le mie foto, infatti, i modelli tengono in mano un oggetto che non lasciano andare durante lo “schianto”, proprio per sottolinearne l’attaccamento tossico e ossessivo.
– Come scegli i temi e le storie che vuoi raccontare con le tue fotografie? C’è un processo creativo che segui o ti lasci guidare dall’istinto e dall’ispirazione?
– Nella maggior parte dei casi, prendo semplicemente spunto dalla vita di tutti i giorni. Mi piace osservare la gente, vedere come gesticola, come parla, come si veste e quello che fa. Intuire le loro nevrosi e le loro ossessioni, per poi esasperarle a modo mio. Raramente racconto storie che non conosco da vicino o che non ho vissuto personalmente.
Credit: La Pecorina
– Come vedi il ruolo del fotografo nella società̀ contemporanea, che è dominata dalle immagini digitali e dai social media? Qual è il tuo rapporto con queste piattaforme e con il tuo pubblico online?
– I social network sono diventati vetrine nel mondo, per tutti. Anche il mio progetto è nato dieci anni fa su Instagram e da lì è esploso ovunque. È l’uso che ne facciamo di questi social che fa la differenza. Oramai, chiunque può improvvisarsi fotografo, me compreso. Ho fatto l’attore per vent’anni e pochi mesi dopo aver smesso è nato IN EXTREMIS, che ho iniziato con il mio vecchio iPhone 5, tra l’altro, per poi passare alle vere macchine fotografiche, ma non ho mai studiato fotografia. Posso dire di avere avuto una buona idea e che forse ho realizzato nel modo giusto. Ma l’idea è alla base di tutto. Il mezzo che utilizzi per realizzarla passa in secondo piano quando essa è vincente.
– Quali sono i tuoi sogni e le tue aspirazioni come artista? C’è un progetto che vorresti realizzare ma che non hai ancora avuto l’occasione di fare?
– Mi piacerebbe realizzare IN EXTREMIS con le celebrities. È già da un po’ di anni che ho in mente l’idea di un libro fotografico che racchiuda, attraverso le mie foto e i loro racconti, la personale esperienza con le cadute interiori. Scivolare o inciampare e cadere a terra, piuttosto che sbattere la faccia contro una porta a vetri, azzera di colpo il tuo stato sociale. Quando cadiamo siamo tutti uguali: goffi e inermi. Ecco, sarebbe bello scoprire le loro vulnerabilità e giocare insieme a renderle colorate e ironiche.
– Mi propongo come modello per un tuo prossimo lavoro, cosa ne pensi?
– Per me va bene. Dipende solo da che rapporto hai con la tua cervicale
– Grazie veramente tanto per averci fatto entrare nel tuo mondo.
– Grazie a te per avermi dato l’opportunità.
www.sandrogiordanoinextremis.it
Instagram: -remmidemmi. Facebook: Sandro Giordano Remmidemmi
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Interviste
Intervista esclusiva ad Alberto Rossi: «Con la paternità un...
Alberto Rossi. Livorno. Un ragazzo con un sogno gigantesco e il coraggio di seguirlo fino in fondo. Fin da giovane, si buttava a capofitto nel mondo dello spettacolo, come chi sa che quella strada è la sua e non c’è un piano B. A soli 25 anni era già sotto i riflettori, con il debutto in “Un posto al sole” che l’ha reso un volto amato da milioni di italiani. Eppure, Alberto è un uomo che si reinventa, che esplora, che cresce.
La paternità – con Ada – ha cambiato tutto. È come se l’amore per sua figlia gli avesse aperto nuovi orizzonti, spingendolo a vedere la vita da una prospettiva più profonda, più vera. Poi c’è il mare, la vela, il tennis. La voglia di navigare, di scoprire, di confrontarsi con sé stesso. E il teatro? Sempre nel cuore, come un amore mai dimenticato. In ogni progetto, in ogni battuta, c’è una parte della sua anima. E quando parla di futuro, non è solo lavoro: è curiosità, è passione, è quella luce negli occhi di chi ha ancora tanto da dare e da scoprire.
La nostra intervista esclusiva
*Foto di Giuseppe D’Anna
Ciao Alberto, benvenuto su Sbircia la Notizia Magazine! Qui ci piace andare oltre la superficie, scavare davvero dentro la tua storia. Vogliamo parlare dei sogni, dei successi, delle paure, delle sfide che ti hanno trasformato nell’uomo e nell’artista che sei oggi. Il tuo percorso ha attraversato il cuore dello spettacolo italiano, lasciando segni indelebili. Tu sei un racconto che merita di essere ascoltato, pezzo dopo pezzo, emozione dopo emozione. Oggi siamo qui per raccontare questo viaggio insieme a te.
Dopo aver conseguito il diploma all’Accademia “Silvio d’Amico”, hai debuttato in “I ragazzi del muretto” solo due settimane dopo. C’è stato un momento in cui hai realizzato l’impatto che questo rapido inizio avrebbe avuto sulla tua carriera o tutto è accaduto così velocemente da sembrare quasi surreale?
“Surreale no, perché dentro di me, in un certo senso ci speravo e me lo aspettavo. Avevo sempre e solo voluto fare quello che stavo riuscendo a fare e si stavano materializzando tutti, non solo i miei sogni, ma anche le aspettative e i desideri.”
Il tuo primo film, “L’olio di Lorenzo”, è stato un progetto internazionale diretto da George Miller. Come ha influenzato la tua visione dell’industria cinematografica italiana ed estera iniziare la tua carriera cinematografica in un contesto così globale?
“Beh, è stata un’esperienza su un set da Formula 1… difficile trovare così tanto spiegamento di mezzi su un film italiano…”
Interpretare Michele Saviani per oltre 25 anni ti ha permesso di crescere insieme al personaggio. In che modo la tua evoluzione personale ha influenzato Michele? Ci sono aspetti del personaggio che hanno a loro volta plasmato te come individuo?
“No, nella maniera più assoluta no! Michele rimane in camerino quando ne svesto i panni.”
Nel 2006 hai diretto alcuni episodi di “Un posto al sole”. Come ha arricchito questa esperienza la tua comprensione del processo creativo? C’è qualcosa che hai scoperto sul set che ti ha sorpreso come attore-regista?
“Volevo tantissimo fare quell’esperienza. E quando finalmente ci sono riuscito, è stato un po’ come coronare un’altra conferma di ciò che sentivo di avere e di poter comunicare in altro modo e forma.”
La tua partecipazione a “Notti sul ghiaccio” ha mostrato un lato di te inedito al pubblico. Quali sfide hai affrontato nel padroneggiare il pattinaggio artistico? C’è qualche lezione che hai portato con te nel tuo lavoro attoriale?
“Mah no, era tutto un altro contesto. Anche lì era Formula 1, Milly Carlucci, Rai 1, prima serata… poi tante botte, tanti lividi, tanta fisioterapia dopo… però bellissimo, magico.”
Il tatuaggio con il nome di tua figlia Ada è un gesto d’amore visibile a tutti. Come la paternità ha influenzato il tuo approccio alla vita e alla professione? In che modo questo nuovo ruolo ha arricchito la tua espressività artistica?
“Con la paternità un uomo finalmente diventa tale. Fino a quel momento non puoi percepire in tutt’altro modo la vita. Tutto diventa entusiasmo, paura, bellezza, crescita, magia… non si può definire la paternità… poi di una figlia femmina…”
Sei appassionato di tennis e vela, sport che richiedono concentrazione e armonia con l’ambiente. Vedi delle similitudini tra queste discipline e la recitazione? Come contribuiscono al tuo equilibrio personale e professionale?
“È sport, la vela significa mare, acqua, quindi il nostro inconscio, sul quale mi piace navigare (son figlio di un ammiraglio). Il tennis è disperazione, solitudine, analisi, tostissimo ma bellissimo. Soprattutto da vedere, poi ora con Sinner e company….”
Hai avuto la fortuna di lavorare con un maestro come Pupi Avati, su progetti intensi e pieni di significato come “I cavalieri che fecero l’impresa” e “Il signor Diavolo”. Raccontaci: cosa ti è rimasto di quelle esperienze?
“Due belle esperienze con un maestro. Per scavare ancora un po’ più a fondo le mie capacità.”
Ci sono opere o personaggi che sogni di interpretare per esplorare nuove dimensioni della tua arte?
“Dopo che per più di 30 anni dai Ragazzi del Muretto ad Upas, mi piacerebbe interpretare un personaggio demoniaco, malefico, al limite dello splatter come quelli della serie Monster.”
Essendo una presenza costante in “Un posto al sole” sin dal suo inizio, hai vissuto l’evoluzione della televisione italiana. Come percepisci i cambiamenti nel modo di raccontare storie in TV e quale pensi sia il futuro delle soap opera nel panorama mediatico attuale?
“Ma il futuro siamo solo noi, siamo stati i primi e siamo ancora lì… siamo passato, presente e futuro…”
In un mondo dominato dai social media, mantieni un equilibrio tra condivisione e privacy. Come gestisci la relazione con i tuoi fan attraverso piattaforme come Instagram? Quale ruolo credi che i social abbiano nel rapporto tra attore e pubblico?
“Mi divertono, li frequento parecchio ma non ne abuso.”
Guardando al futuro, c’è un ambito artistico o un progetto inedito che vorresti esplorare, magari al di là della recitazione, come la scrittura, la produzione o una nuova forma di espressione creativa?
“Con la produzione ho dato e non credo che ripeterò l’esperienza. Mi sono scottato troppo, per il resto si vedrà….”
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Interviste
Intervista a Nadia Carbone, event manager e direttrice...
A cura di Laura Solimene
Tra le figure professionali più ricercate e affermatesi negli ultimi anni, quella dell’EVENT MANAGER ricopre sicuramente un ruolo fondamentale nel settore degli eventi ancorché, probabilmente, non tutti ne conoscano ancora le numerose e svariate sfaccettature. Cominciamo col dire che un Evento, al contrario di quanto molti pensano, non è solamente un momento di svago, ma fa parte di una vera e propria strategia di marketing aziendale volta ad aumentare la consapevolezza del brand e persino ad acquisire potenziali clienti.
Un evento ben pensato, ben organizzato e ben strutturato, infatti, porterà alla realizzazione di una grande varietà di benefici: a partire dalla creazione di valori fino alla generazione di profitti e nuovi flussi. Uno strumento complesso e articolato che però richiede un’organizzata pianificazione, gestione e coordinamento di competenze diverse, oltre a tanta creatività.
Ecco perché è fondamentale per un’azienda non improvvisare ma affidarsi a professionisti del settore: un event manager è infatti la scelta vincente per tutte quelle società e realtà che desiderano ottenere il massimo da un evento, senza che alcun dettaglio sia trascurato. Ma in cosa consiste esattamente l’event planning e soprattutto cosa fa in pratica un bravo event manager? Per saperne di più ed approfondire l’argomento, abbiamo raggiunto e intervistato la pugliese NADIA CARBONE, fondatrice e direttrice artistica del GENERATION FILM FEST, e con all’attivo oltre 10 anni di esperienza nel settore EVENTI, per farci raccontare i retroscena di una figura professionale che spesso opera dietro le quinte.
Benvenuta, Nadia. Da quanti anni lavori nel settore degli eventi e quando hai capito che avresti potuto fare della tua passione un lavoro?
“La mia è un’esperienza che dura da oltre 10 anni. Nel 2012, durante il Premio Noto all’eccellenza del M° Adriano Pintaldi, io ero l’inviata per un’emittente televisiva locale e fu lo stesso Pintaldi a chiedere al direttore del canale televisivo di farmi presentare le serate sul palco. In seguito mi riconfermò nelle successive edizioni 2013/2014, permettendomi di affiancarlo anche nell’organizzazione e dandomi la possibilità di dialogare e premiare grandi icone del cinema italiano come Giancarlo Giannini, Lina Wertmuller, Pupi Avati ed Enrico Vanzina. Ho capito, fin da subito, che quell’esperienza sarebbe stata solo l’inizio di un cambiamento nel mio percorso artistico!”
Ritieni che, oggi, ci si possa ancora improvvisare “organizzatore di eventi”?
“In generale, credo che nessuno possa svegliarsi al mattino e decidere di svolgere un lavoro senza avere la giusta preparazione o esperienza. Premesso ciò, mi dispiace dire che invece, purtroppo, nel mio settore, è all’ordine del giorno improvvisare! Sono tutti organizzatori, registi, attori, scrittori…”
Sei giovane, tuttavia hai già numerosi eventi (di successo) nel tuo bagaglio professionale…
“Esatto! Il primo grande evento nel quale decisi di mettermi in gioco ‘autonomamente’ fu il Gran Galà della Cultura, nel 2014, senza dubbio un duro banco di prova. In quel periodo studiavo anche ideazione, organizzazione di eventi e show televisivi con il Dir. Rai Carlo Orichuia, grazie al quale – e in aggiunta agli insegnamenti del M° Pintaldi, – compresi tutto ciò che un libro o degli appunti possono solo fare immaginare. Si trattava di un lavoro commissionato dall’Archeoclub -Oria, una grande soddisfazione per me portare a termine due edizioni con ospiti del calibro di Lino Capolicchio, Sandra Milo, Monica Setta, Maurizio Casagrande, Sebastiano Somma e molti altri… Negli anni successivi ho poi spaziato con svariati generi di manifestazioni: musicali, sociali ed editoriali, spesso subentrando come produttrice oltre che a curarne la direzione artistica.”
In quale tipologia di eventi ritieni di essere più specializzata o di annoverare più esperienza?
“Sicuramente in quelli culturali, inerenti all’arte, alla letteratura e al cinema in particolar modo, in quanto mi permettono di dare spazio e voce anche al mio lato artistico. Il mio ruolo, naturalmente, muta in base al genere di manifestazione e alla tipologia di cliente, è chiaro che occorre un’organizzazione e un iter burocratico differente per ciascun singolo settore. Ad ogni modo, che si tratti di un evento sociale, politico o relativo allo spettacolo, il focus è portare a casa l’obiettivo che ci si prefigge.”
Quali sono le maggiori difficoltà incontrate nel tuo percorso come direttrice artistica?
“L’essere giovane e, al contempo, donna. Sai, a volte mi sono ritrovata a far fronte a situazioni imbarazzanti. Quando mi ritrovo davanti a clienti o fornitori, o anche collaboratori, non è raro sentirmi dire: ‘Ah, ma sei giovanissima!’ oppure ‘Una donna, complimenti!’ o ancora ‘Per chi lavori?’. E quando rispondo: ‘In realtà sono io che ti pago!’, spesso leggo nei volti altrui diffidenza o anche solo stupore. Purtroppo, soprattutto al sud, esiste ancora quel sottile maschilismo, figlio dell’ignoranza e del patriarcato. Tuttavia, non mi sono mai lasciata intimorire o scoraggiare e, oggi, posso dire a testa alta di essere l’artefice di tutto ciò che ho creato. E non è poco!”
Ci spieghi perché è così importante che un’azienda scelga di puntare sugli eventi per promuovere il proprio brand?
“Gli eventi, da sempre, sono una cassa di risonanza per le aziende, ecco perché è fondamentale curarne tutti i dettagli: dalla promozione al valore sociale. Sponsorizzare un evento, inoltre, è un’opportunità per i brand di ampliare la visibilità e rafforzare la propria immagine utilizzando il contatto diretto con il pubblico. È una strategia che, se ben studiata, può portare benefici duraturi come quello di instaurare partnership di lungo termine e aumentare il fatturato.”
Quali doti indispensabili dovrebbe avere un bravo organizzatore di eventi?
“Sicuramente la pazienza, la tenacia e la capacità di problem-solving. Inoltre è importante creare un ambiente di lavoro sereno e propositivo, chi svolge la mia professione ha il dovere di motivare e rispettare qualsiasi ruolo all’interno dello staff: si potrà pur essere il motore di una grossa cilindrata, ma senza gli altri pezzi non si corre da nessuna parte! Personalmente, nel team, sono una che preferisce ‘agire’, dando il buon esempio, piuttosto che impartire ordini.”
Tra tutti gli eventi da te organizzati, qual è quello che ti rende più fiera?
“Senza ombra di dubbio il GENERATION FILM FEST, il mio brand, e sottolineo ‘MIO’. Ho ideato questo format cercando di riportare tutto il mio bagaglio formativo ed esperienziale. Racconto il cinema italiano, la sua storia fino ai nostri giorni, attraverso ospiti, incontri, proiezioni e mettendo a confronto le varie generazioni. Da qui, ho dato inoltre vita ad una serie di eventi collaterali, come masterclass, workshop e la realizzazione di un cortometraggio che vedremo nel 2025. Senza nulla togliere a tutti gli altri eventi, il GFF è senza dubbio il progetto più importante e difficile da organizzare e portare avanti nel tempo, in termini di risorse ed energie.”
Ci sveli qualche tuo progetto in corso d’opera?
“Proprio in questi giorni sono in piena fase organizzativa di un evento che si terrà in primavera a Lugano e che vedrà protagonista il Luxury Magazine POPULAR (edito da Resalio Produzioni). Sarà un evento che farà parlare molto, non solo per i numerosi successi ottenuti durante il primo anno di vita del magazine, ma anche per gli ospiti che ne faranno parte, tra imprenditori, case nobiliari e artisti. È la prima volta che organizzo un evento fuori dall’Italia, spero possa essere il primo di una lunga serie!”
Esiste ‘il progetto’ nel tuo cassetto dei sogni da realizzare?
“Io non sogno un solo progetto/evento in particolare, ma tanti, tantissimi… forse anche troppi! (ride, ndr)”
Nadia, salutandoci, dove e come ti vedi tra dieci anni?
“Mi piacerebbe tramutare in realtà tutto ciò che scrivo. Creare arte è certamente ciò che mi rende felice, non desidero altro. Ovviamente mi piacciono le evoluzioni e anche gli ardui obiettivi da raggiungere, per cui, sono certa che fra dieci anni, se mi intervisterai nuovamente, avrò ancora molto altro di cui raccontare!”
Interviste
Intervista a Nicol Angelozzi, dal set a Madrina del Catania...
Nicol Angelozzi è un’attrice emergente dal talento e dalla determinazione straordinari. Nonostante la giovane età, ha già conquistato ruoli importanti, arrivando al pubblico televisivo con la serie Confusi, disponibile su RaiPlay, in cui ha interpretato un ruolo da protagonista. Ora è pronta a ricoprire il prestigioso ruolo di Madrina al prossimo Catania Film Fest, evento di spicco nel panorama del cinema indipendente.
In questa intervista, Nicol condivide la sua passione per la recitazione, i sogni ed i progetti che la attendono nel futuro.
Nicol, sei giovanissima ma hai già fatto passi importanti nella tua carriera di attrice, come ad esempio il ruolo da protagonista in Confusi. Come è nata questa passione per la recitazione e cosa ti ha spinta ad intraprendere questa strada?
“Da quando ero piccola ho sempre amato il mondo dello spettacolo. Ricordo che appena trovavo una spazzola in giro per casa, la prendevo e iniziavo a cantare, ballare e ad inventare storie. A scuola, non perdevo occasione di partecipare alle recite; ero sempre in prima linea. Da lì ho capito che quello poteva essere il mio mondo. La recitazione mi rende viva e mi fa provare emozioni intense. Per questo, mi impegno ogni giorno con tutta me stessa per inseguire il mio sogno.”
Sarai la Madrina della prossima edizione del Catania Film Fest, che si terrà dal 13 al 17 novembre 2024. Cosa significa per te questo ruolo e quale contributo speri di portare al festival?
“Sono molto emozionata di poter ricoprire un ruolo così importante, tornare nella mia città Catania e aprire le porte del festival. Spero di portare tanta freschezza e gioia, e di contribuire al successo di questo evento che valorizza il cinema indipendente.”
Il Catania Film Fest è un importante evento per il cinema indipendente. Secondo te, qual è il valore di questi festival per i giovani attori e per l’industria cinematografica in generale?
“Ieri in un’intervista dicevo che i festival avvicinano le persone al mondo del cinema e permettono di approfondire le proprie conoscenze. Avere l’opportunità di vedere film che in sala sono spesso difficili da trovare è un’occasione preziosa. Tantissime scuole ed università parteciperanno al programma del festival, e questa adesione mi rende molto felice.”
Guardando alla tua esperienza professionale, c’è un ruolo o un progetto che consideri particolarmente significativo nel tuo percorso?
“Sicuramente il ruolo di Maria Grazia in Confusi mi ha segnato particolarmente. Avere la possibilità di interpretare un personaggio per un mese intero è una sfida bellissima: ti permette di creare e cucirti il personaggio addosso, di viverlo davvero dall’inizio alla fine.”
Quali sono i tuoi progetti futuri?
“Ci sono dei progetti di cui purtroppo non posso ancora parlare, ma che saranno molto entusiasmanti. Soprattutto, continuerò a studiare ed a formarmi, perché credo che lo studio faccia davvero la differenza in questo mestiere.”
Quali attori o registi ti ispirano di più nel tuo lavoro, e con chi sogni di collaborare in futuro per continuare a crescere professionalmente?
“Mi piacerebbe interpretare un ruolo action, magari sullo stile di Lara Croft—sarebbe davvero divertente! Vorrei lavorare con Ferzan Ozpetek, per la sua grande delicatezza nella narrazione. Spero di avere la possibilità di esplorare sempre di più in questo mestiere, passando dalla recitazione alla televisione, o anche alla radio.”