Pompei: una straordinaria scoperta, riportato alla luce un Termopolio intatto
Il bancone ricoperto dalla cenere vulcanica potrebbe fornire preziose informazioni sulle abitudini gastronomiche a Pompei al tempo dell’eruzione del Vesuvio.
Straordinaria scoperta archeologica a Pompei, dove riemerge un Termopolio intatto: una sorta di banco per lo street food con tracce di pietanze ancora nelle pentole. Superlativi i colori, le decorazioni che restituiscono una fotografia del giorno dell’eruzione.
A Pompei è stato portato alla luce un Termopolio (thermopolium), una sorta di antico “fast-food”, adornato con motivi policromi e in un eccezionale stato di conservazione. Lo hanno annunciato oggi, sabato 26 dicembre, i gestori del sito archeologico. Il bancone ricoperto dalle ceneri vulcaniche era stato in parte riesumato nel 2019. I lavori sono stati ampliati per preservare al meglio l’intero sito, situato in un quartiere molto trafficato.
Oltre a un già noto affresco raffigurante una Nereide (ninfa di mare) su un cavallo, i ricercatori hanno trovato dei dipinti con colori vivaci e degli animali, in particolare pollame, comprese le anatre domestiche che dovevano essere consumate con vino o bevande calde. In particolare, gli scienziati hanno trovato dei rilievi alimentari che potrebbero fornire preziose informazioni sulle abitudini gastronomiche a Pompei all’epoca dell’eruzione del Vesuvio, nel 79 d.C.
Dai vasi di terracotta sono stati recuperati un frammento di osso d’anatra, ma anche resti di maiale, capra, pesce e lumache. Diversi ingredienti venivano cucinati insieme, proprio come una paella. Sul fondo di un barattolo sono stati trovati fagioli pestati, che servivano per modificare il gusto del vino.
Anfore e ossa umane
“Oltre ad essere una testimonianza della vita quotidiana a Pompei, le possibilità di analizzare questo Termopolio sono eccezionali, perché per la prima volta è stato portato alla luce un intero ambiente“, ha esultato Massimo Osanna, direttore generale della Parco archeologico di Pompei.
Nelle vicinanze sono state trovate anfore, una cisterna e una fontana, nonché ossa umane, comprese quelle di un uomo sulla cinquantina vicino a un presepe. “La stalla sembra essere stata frettolosamente chiusa e abbandonata dai proprietari, ma è possibile che qualcuno, forse l’uomo più anziano, sia rimasto e sia morto durante la prima fase dell’eruzione, con il crollo del solaio” , ha detto Osanna in un’intervista all’ANSA.
L’altro corpo potrebbe essere quello di un ladro o di un fuggitivo affamato “sorpreso dai vapori infuocati con il coperchio del barattolo che aveva appena aperto in mano“, ha aggiunto.
I thermopolium (dal greco thermos, che significa caldo, e pôléô, che significa vendere) erano molto popolari nel mondo romano: solo Pompei ne aveva 8.
Pompei è il secondo sito più visitato in Italia dopo il Colosseo di Roma, con quasi 4 milioni di visitatori nel 2019. Solo un terzo del sito, che attualmente copre 44 ettari non lontano da Napoli, è stato riportato in vita dagli archeologhi.
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Attualità
Concerto «Mamme del mondo: unione di cuori e culture» del progetto “Incontro con...

Solidarietà napoletana per destinare una termocamera alla Protezione Civile di Dnipropetrovsk.
La Festa della Mamma diventa, ancora una volta, occasione di solidarietà concreta: a Napoli, domenica 11 maggio alle 15.30, Villa Domi aprirà le porte a un concerto benefico capace di unire pubblico, istituzioni e artisti sotto un unico, chiaro obiettivo di sostegno alle famiglie ucraine colpite dalla guerra. L’iniziativa trasforma l’omaggio universale alle madri in un gesto tangibile d’aiuto, mostrando come la cultura possa farsi strumento di vicinanza e di pace. La manifestazione, patrocinata dal Consolato Generale dell’Ucraina e dal Corpo Diplomatico Consolare della Campania, è coordinata dall’associazione Dateci le Ali APS, da anni impegnata nell’affiancare le comunità più fragili attraverso il progetto «Incontro con l’Ucraina in Europa».
Il progetto «Incontro con l’Ucraina in Europa» e i promotori
Alla guida dell’appuntamento c’è l’associazione Dateci le Ali APS, realtà di volontariato che promuove programmi culturali e umanitari orientati a favorire un dialogo costante tra il Mezzogiorno d’Italia e l’Est Europa. Con il concerto di Villa Domi, l’organizzazione rilancia la campagna di sensibilizzazione nata con «Incontro con l’Ucraina in Europa», iniziativa che ha già favorito numerosi canali di cooperazione. L’idea di affiancare arte e impegno sociale riprende un percorso avviato all’indomani dell’invasione russa, quando la società civile partenopea scelse di mobilitarsi al fianco dei cittadini colpiti dal conflitto.

Il sostegno istituzionale non è venuto meno neppure in questa edizione: il Consolato Generale dell’Ucraina a Napoli e il Corpo Diplomatico Consolare garantiscono il loro alto patrocinio, riconoscendo nell’evento un momento di fratellanza internazionale. La sinergia fra entità diplomatiche, mondo del volontariato e settore culturale evidenzia come, di fronte a emergenze umanitarie, l’arte diventi veicolo privilegiato per costruire reti di aiuto transnazionali.
L’evento a Villa Domi: dettagli organizzativi
Il palcoscenico scelto per l’iniziativa è la seicentesca Villa Domi, dimora storica che domina il golfo di Napoli e spesso ospita manifestazioni a carattere filantropico. Domenica 11 maggio, a partire dalle 15.30, la residenza accoglierà un pubblico eterogeneo, unito dal desiderio di celebrare la maternità e di offrire un contributo concreto alla Protezione Civile ucraina. L’atmosfera raffinata della villa dialogherà con l’intensità delle esibizioni, confermando la vocazione della città a fondere bellezza architettonica e impegno sociale.
Madrina d’eccezione sarà la giornalista Claudia Conte, voce da sempre impegnata nella difesa dei diritti civili. Il suo coinvolgimento suggella l’intento benefico della serata e rende la cornice partenopea ancor più significativa. La scelta di affidare a una professionista dell’informazione il ruolo di testimonial sottolinea l’importanza di raccontare, con rigore e sensibilità, le storie di chi vive ogni giorno le conseguenze del conflitto.
Artisti di calibro internazionale sul palco
Sul fronte artistico spicca la presenza della soprano Martina Bortolotti von Haderburg, interprete di fama europea che ha collaborato con direttori del calibro di Riccardo Muti e registi come Franco Zeffirelli. La sua voce darà risalto a pagine celebri del repertorio lirico, offrendo al pubblico un’esperienza musicale di alto livello. L’eccellenza dell’esibizione si fa strumento di fratellanza, ricordando come la musica, al di là delle barriere linguistiche, sappia toccare corde di empatia profonda.
Accanto a lei si alterneranno i maestri Dmytro Khoma e Ivanko Khoma, la cantante Tetiana Semeniv, le musiciste Olena Chervinchuk e Sofia Boyko, nonché Olga Vakulich accompagnata da Moreno Pinti e lo Studio Forte. L’ampia rappresentanza di talenti ucraini, affiancati da colleghi italiani, costituisce un intreccio di culture che rispecchia il titolo del concerto: unione di cuori e tradizioni in nome della solidarietà.
Le voci istituzionali: Famiglietti e Conte
L’avvocato Gennaro Famiglietti, decano del Corpo Diplomatico Consolare della Campania, ricorda come Papa Francesco abbia in più occasioni invocato la pace per il «martoriato popolo ucraino» e sottolinea l’impegno costante delle rappresentanze consolari nella raccolta di aiuti. Le sue parole evidenziano il valore della diplomazia solidale, capace di tradurre i protocolli internazionali in azioni tangibili, dal supporto logistico all’accoglienza di donne e giovani in fuga dalle zone di conflitto.
La madrina Claudia Conte definisce l’appuntamento «un onore profondo», rimarcando come dedicare la Festa della Mamma alle donne ucraine significhi riconoscere il coraggio di madri che, nel silenzio e nel dolore, restano pilastri di amore e speranza per le proprie famiglie. L’intervento della giornalista enfatizza l’aspetto emotivo dell’evento e ribadisce la generosità di Napoli e dell’intera Campania, territori che ancora una volta trasformano la loro vocazione all’ospitalità in gesti concreti di vicinanza.
La raccolta fondi e l’obiettivo concreto
Cuore dell’iniziativa è la raccolta di donazioni destinata all’acquisto di una termocamera di salvataggio richiesta ufficialmente dalla Protezione Civile della regione di Dnipropetrovsk. Si tratta di uno strumento fondamentale per individuare, anche in condizioni estreme, persone intrappolate sotto le macerie o disperse in aree di combattimento. Ogni contributo raccolto durante il concerto si tradurrà, dunque, in un aiuto immediato e verificabile, rafforzando la capacità operativa dei soccorritori ucraini.
L’associazione Dateci le Ali APS garantirà la piena tracciabilità dei fondi, curandone il trasferimento fino alla consegna dell’apparecchiatura alle autorità competenti di Dnipropetrovsk. Questo legame diretto tra donazione e risultato finale consolida la fiducia dei partecipanti e testimonia come l’arte, sostenuta da un’organizzazione trasparente, possa generare interventi salvavita in tempi rapidi.
Attualità
Papa Leone XIV: il primo pontefice statunitense davanti alle sfide di un pontificato...

Nato a Chicago 69 anni fa, Robert Francis Prevost porta in Piazza San Pietro una biografia che mescola Midwest americano e missione latino-americana. Ordine agostiniano, laurea alla Catholic Theological Union e, subito dopo, trent’anni di ministero in Perù: un percorso che lo ha reso il primo papa statunitense e il 267° successore di Pietro. L’elezione segna anche il debutto sul soglio pontificio di un agostiniano, scelta che rompe 115 anni di tradizione di papi provenienti da altri ordini o dal clero diocesano.
Consacrato vescovo a Chiclayo nel 2015 e creato cardinale da Francesco nel 2023, Prevost era considerato un uomo schivo, più abituato a scegliere i vescovi (da prefetto del Dicastero per i Vescovi) che a stare sotto i riflettori. Eppure il Conclave lo ha preferito a profili più noti, colpito dalla sua attenzione ai poveri e dalla doppia sensibilità nord- e latino-americana.
L’elezione lampo nel Conclave
La fumata bianca di giovedì 8 maggio è arrivata al secondo giorno di votazioni: 133 cardinali riuniti in Cappella Sistina hanno superato la soglia dei due terzi dopo appena quattro scrutini. Alle 18.02 la campana di San Pietro ha confermato ciò che il fumo aveva già annunciato, mentre la folla esplodeva in grida di «Viva il Papa». Poco più di un’ora dopo, il nuovo pontefice si è affacciato dalla loggia centrale, ponendo fine a un sedis vacantia di 17 giorni iniziata con la morte di Francesco il 21 aprile.
All’atto di accettare l’elezione, Prevost ha scelto il nome Leone XIV, omaggio esplicito a Leone XIII, pontefice della Dottrina sociale. Il suo «Habemus Papam» è stato letto dal cardinale protodiacono mentre la Sistina veniva ancora areata per dissipare l’incenso del conclave. Dietro le mura, l’americano ha ottenuto 89 voti, segno di un consenso solido, maturato di fronte al bisogno di un pontefice capace di dialogare con l’America di Donald Trump senza rinnegare la linea di Francesco.
Le prime parole e il significato del nome
«La pace sia con tutti voi»: con queste parole, pronunciate in italiano e subito ripetute in spagnolo, Leone XIV ha salutato la piazza. Niente inglese, scelta di delicatezza verso il mondo intero, ma un richiamo diretto alla continuità con Francesco nell’attenzione ai migranti e agli ultimi. Subito dopo ha benedetto «la città e il mondo», ricordando il conflitto in Ucraina e invocando «ponti, non muri».
Il richiamo a Leone XIII non è solo un gioco di nomi: il pontefice dell’enciclica Rerum Novarum ispirò la moderna Dottrina sociale, e Prevost – che in Perù ha difeso i lavoratori delle piantagioni di canna da zucchero – ne condivide la sensibilità. «Guardiamo ai più fragili», ha detto dal balcone, alludendo anche allo scandalo degli abusi: un tema su cui gruppi di vittime chiedono coerenza e trasparenza.
I prossimi appuntamenti liturgici e istituzionali

Il calendario d’esordio è fitto. Venerdì 9 maggio, alle 11, Leone XIV celebra la prima messa con i cardinali nella Cappella Sistina; domenica guiderà l’Angelus a mezzogiorno dalla loggia di San Pietro e lunedì incontrerà la stampa nell’Aula Paolo VI. La messa d’inizio pontificato – l’intronizzazione con pallio e anello del pescatore – è fissata per domenica 18 maggio, in tempo per inserire il nuovo pontefice nel programma del Giubileo 2025.
Seguono tappe simboliche: il 20 maggio prenderà possesso della Basilica di San Paolo fuori le Mura; il 21 terrà la prima udienza generale; il 24 incontrerà Curia e dipendenti vaticani; il 25 assumerà la cattedra del Laterano e visiterà Santa Maria Maggiore, dove riposa papa Francesco. Intanto dovrà riassegnare tutte le cariche decadute con la morte di Bergoglio, partendo dai dicasteri-chiave come Dottrina della fede e Segreteria di Stato.
Le reazioni del mondo
La Casa Bianca ha definito «storica» l’elezione; Donald Trump, però, ha annunciato su X di volere «un confronto franco» con il pontefice che in passato lo ha criticato sui migranti. Dal Sud America, la presidente peruviana Dina Boluarte ha parlato di «orgoglio per un vescovo che ha camminato tra i campesinos», mentre il premier spagnolo Pedro Sánchez ha invocato un pontificato «di dialogo e diritti umani».
A Chicago, la Catholic Theological Union è esplosa di gioia, ma le vittime di abusi – riunite in SNAP – chiedono fatti e non parole sulla trasparenza. L’ecumenismo registra il plauso del patriarca ortodosso Bartolomeo, convinto che un pontefice americano possa avvicinare le sponde dell’Atlantico cristiano. La sfida ora è tradurre consensi e aspettative in riforme concrete senza perdere la spinta sociale che ha segnato l’ultima fase del pontificato di Francesco.
Attualità
Leone XIV, primo Papa americano: l’elezione che apre una nuova pagina per la Chiesa

Habemus Papam. Alle 18:08 di giovedì 8 maggio 2025, dal comignolo della Cappella Sistina è salita la fumata bianca, le campane di San Pietro hanno rintoccato a festa e un boato ha attraversato la piazza gremita di fedeli. In meno di due giorni di conclave, i 133 cardinali hanno scelto Robert Francis Prevost, agostiniano di Chicago, che ha assunto il nome di Leone XIV, diventando il 267° Pontefice e il primo statunitense a guidare la Chiesa Cattolica.
La fumata bianca e Piazza San Pietro in festa
La scena è stata folgorante: una colonna di fumo candido, diffusa dal braciere antico, ha annunciato al mondo che l’accordo era raggiunto. Oltre centomila persone – turisti, pellegrini e romani – hanno innalzato telefoni, stendardi e preghiere; le Guardie Svizzere, accompagnate da una banda di ottoni, hanno aperto il corridoio centrale mentre l’eco delle campane si propagava fino al Tevere. L’annuncio in latino del cardinale protodiacono Dominique Mamberti – “Annuntio vobis gaudium magnum: habemus Papam” – ha trasformato l’attesa in esultanza collettiva.
Il nuovo Pontefice è stato eletto al quarto scrutinio, un risultato rapido che secondo diversi porporati riflette “un forte senso di unità”. L’ultima volta che la scelta avvenne così presto risale al 2013 con Francesco. Alcuni osservatori sottolineano che la convergenza su Prevost sia maturata dopo un serrato dialogo tra correnti progressiste e conservatrici, preoccupate di garantire continuità pastorale e un profilo internazionale al Palazzo Apostolico.
Da Chicago al soglio di Pietro
Robert Francis Prevost è nato il 14 settembre 1955 nel quartiere operaio di Hyde Park, Chicago. Laureato in matematica a Villanova, è entrato nell’Ordine di Sant’Agostino nel 1977, emettendo i voti solenni quattro anni dopo. Ordinato sacerdote a Roma nel 1982, ha conseguito il dottorato in diritto canonico all’Angelicum. Missionario in Perù per quasi vent’anni, ha guidato il seminario di Trujillo, parlando fluentemente spagnolo e quechua. Nel 2015, Francesco lo ha nominato vescovo di Chiclayo; nel 2023 lo ha voluto prefetto del Dicastero per i Vescovi e poi cardinale.
Chi lo conosce lo descrive come “calmo, pragmatico, capace di ascoltare”. Nella Curia era considerato un moderato riformista, sostenitore di trasparenza nella scelta dei vescovi e di tolleranza zero verso gli abusi. La sua lunga esperienza latino-americana e la doppia cultura nord- e sud-americana gli conferiscono un respiro globale in linea con l’impronta missionaria tracciata da Francesco. Il fatto di appartenere a un ordine mendicante, e non al clero diocesano europeo, rafforza l’immagine di un Papa vicino alle periferie.
Il significato di un nome: Leone XIV
Prevost ha scelto di chiamarsi Leone per collegarsi a due figure decisive: Leone I, il “Magno” che nel V secolo difese Roma dagli Unni, e Leone XIII, autore dell’enciclica Rerum Novarum (1891) che fondò la dottrina sociale della Chiesa. Con questo riferimento, il nuovo Papa indica una priorità sociale: ridurre le disuguaglianze e dialogare con il mondo del lavoro in un’epoca di nuove “questioni operaie” digitali e climatiche.
Secondo storici vaticani, adottare il numero XIV allude anche a un ponte ideale con il lungo pontificato di Leone XIII, durato venticinque anni, segnato da aperture diplomatiche e dalla modernizzazione della Curia. La scelta appare quindi un programma in sé: proseguire la riforma finanza-etica avviata da Francesco, ma con l’energia simbolica di un “leone” chiamato a difendere i deboli e a mediare nei conflitti globali.
Le sfide che attendono il nuovo pontificato
Sul tavolo di Leone XIV c’è anzitutto il dossier degli abusi: continuità con la linea di tolleranza zero, rafforzamento dei tribunali laici del Vaticano e verifica di trasparenza nelle conferenze episcopali. L’altro tema interno è la sinodalità: come dare seguito ai suggerimenti, talvolta contrastanti, usciti dal Sinodo sulla fraternità 2024, senza spaccare la comunione. Infine, la riforma economica: il Papa eredità un bilancio alleggerito, ma ancora fragile, e deve completare la fusione di APSA e Segreteria per l’Economia.
All’esterno, Leone XIV dovrà mediare in aree di guerra – Ucraina, Medio Oriente, Sahel – e rilanciare la diplomazia climatica mentre il pianeta varca la soglia dei +1,5 °C. In America, la sua elezione riapre il dialogo con i cattolici statunitensi spesso divisi su immigrazione e bioetica; in Cina, riprende il negoziato sullo status dei vescovi. Anche la questione intelligenza artificiale, al centro dell’ultimo discorso di Francesco all’ONU, richiederà una bussola etica chiara.
L’eredità di Francesco e le reazioni del mondo
Papa Francesco è morto il 21 aprile dopo un ictus; il suo funerale, il 26 aprile, ha radunato tra 250.000 e 400.000 persone e 170 delegazioni internazionali. Tra le navate di San Pietro hanno sfilato capi di Stato, leader religiosi e migliaia di volontari, mentre Roma si trasformava in un santuario a cielo aperto. L’omelia ha ricordato la “Chiesa in uscita” e la difesa dei poveri, tratti che ora costituiscono il mandato morale di Leone XIV.
All’elezione del nuovo Papa, le testate globali hanno titolato “Il primo Pontefice americano”: dal New York Times alla CNN, passando per i quotidiani latino-americani. Leader politici – dal presidente USA Donald Trump al francese Emmanuel Macron – hanno inviato messaggi di auguri, mentre a Chicago le campane della parrocchia di Sant’Agostino hanno suonato insieme a quelle di San Pietro. Sui social si moltiplicano foto e video dei fedeli in lacrime, a conferma di un entusiasmo che supera i confini della Chiesa.
Con la fumata bianca dell’8 maggio, la Chiesa cattolica entra nell’era di Leone XIV: un pontefice americano, agostiniano e figlio delle periferie che promette continuità e rinnovamento. Le sfide non mancano, ma la prima sera del suo pontificato ha riportato un’immagine semplice e potente: un uomo in bianco che benedice un popolo affamato di speranza.
Attualità
Prima fumata nera nel Conclave 2025, un atteso segnale di non elezione

La fumata nera è arrivata alle 21:00 in punto, quando dal comignolo montato sopra la Cappella Sistina si è alzata una colonna di fumo scuro che ha strappato un misto di applausi e sospiri alle oltre quarantacinquemila persone radunate in Piazza San Pietro. Il segnale, iconico quanto inequivocabile, ha certificato che il primo scrutinio non ha prodotto il 267° pontefice della storia: i 133 cardinali elettori non hanno ancora trovato l’intesa necessaria ai due terzi dei voti. Gli schermi giganti, le dirette televisive e milioni di smartphone hanno rilanciato in tempo reale quell’immagine, trasformando l’istante romano in un momento condiviso sui cinque continenti.
Tre ore prima, alle 17:43, la formula Extra omnes aveva sigillato la cappella dopo l’ingresso processionale dei cardinali. Da quel momento è scattata la clausura più stretta della Chiesa: nessuna comunicazione con l’esterno se non, appunto, il colore del fumo. L’intervallo insolitamente lungo tra la chiusura delle porte e il responso – un’ora e mezzo oltre le previsioni – è stato attribuito alla meditazione introduttiva del predicatore Raniero Cantalamessa, durata 45 minuti, e al fatto che molti elettori partecipano per la prima volta a un conclave e non condividono tutti la stessa lingua di lavoro.
Il cronoprogramma di una prima giornata densa di riti
La giornata era cominciata alle 10 con la Missa pro eligendo Romano Pontifice in Basilica, seguita nel pomeriggio dall’ingresso in Sistina alle 16:30 e dal giuramento collettivo sul Vangelo. Solo alle 17:45 è iniziato il primo scrutinio, cadenzato dal canto delle litanie e dalle prescrizioni scritte da Giovanni Paolo II e aggiornate da Benedetto XVI. Alle 21 il fumo nero ha chiuso il cerchio, rimandando tutto a domani: due sessioni con doppio voto, una al mattino e una al pomeriggio, finché uno solo non raggiungerà almeno 89 preferenze.
Il ritardo rispetto al conclave del 2013 – quando la prima fumata spuntò dopo due ore – ha sorpreso i fedeli ma ha anche ricordato la crescente complessità del collegio elettorale: diciotto elettori in più, provenienze più variegate e l’esigenza di traduzioni simultanee. Secondo fonti interne, la meditazione di Cantalamessa ha voluto richiamare l’assemblea a mettere «il bene della Chiesa» davanti a ogni appartenenza, ma ha anche sottratto minuti preziosi a un rituale già scandito al secondo. La combinazione di numeri, inesperienza e lingue diverse spiega perché il responso sia slittato di oltre un’ora rispetto alle attese.
I 133 elettori: provenienza e correnti
Il collegio elettorale è il più globale di sempre: 133 cardinali sotto gli 80 anni provenienti da 70 Paesi. L’Europa resta il blocco più numeroso con 52 votanti, ma Asia (23), Africa (17) e Americhe (33 sommando Nord, Centro e Sud) pesano quasi la metà dell’assemblea, segno dell’espansione cattolica nel Sud del mondo. Per la prima volta dodici Stati – dall’Angola al Myanmar – hanno un cardinale autoctono con diritto di voto, riflesso delle nomine volute da Francesco negli ultimi concistori.
All’interno di questa geografia si muovono sensibilità molto diverse: da chi vuole proseguire le aperture di Papa Francesco a chi sogna un ritorno a linee dottrinali più tradizionali. In testa alle prime analisi rimangono l’italiano Pietro Parolin – forte di una vasta rete diplomatica – e il filippino Luis Antonio Tagle, simbolo del peso asiatico. Se però i voti dovessero bloccarsi su di loro, i consensi potrebbero scivolare verso profili di compromesso come il francese Jean-Marc Aveline, l’ungherese Péter Erdő o l’americano Robert Prevost. La dialettica fra riformisti e conservatori, provenienza geografica e capacità di mediazione appare decisiva per i prossimi scrutini.
Un significato che va oltre Piazza San Pietro
Il primo «no» del comignolo non è solo un segnale tecnico: arriva a poco più di un mese dalla morte di Papa Francesco, chiudendo simbolicamente un ciclo di dodici anni segnato da aperture verso le periferie e da tensioni dottrinali. Per 1,4 miliardi di cattolici, l’elezione del nuovo pontefice non è soltanto un cambio di guida spirituale ma anche un indicatore della direzione che la Chiesa intende prendere su riforme, diplomazia e diritti umani in un mondo polarizzato.
Fuori dal Vaticano l’attesa si misura in presenze fisiche e connessioni virtuali: oltre 45 mila persone hanno occupato la piazza, mentre più di 100 mila utenti hanno seguito la diretta streaming del comignolo. Tra la folla si sono visti cartelloni che chiedono una Chiesa più inclusiva accanto a gruppi che pregano per un ritorno alla disciplina tradizionale. L’evento, amplificato dai social, rinnova l’immagine di un’istituzione antica che continua a parlare – e a dividersi – su piattaforme digitali.
Le prossime mosse: cosa aspettarsi domani
I cardinali torneranno in Sistina alle 9 di giovedì per due votazioni mattutine e, se necessario, altre due nel pomeriggio. Dopo ogni coppia di scrutini, le schede verranno bruciate e un nuovo colore di fumo aggiornerà il mondo. La soglia resta fissa a 89 voti; se l’impasse dovesse protrarsi, il regolamento prevede una pausa di riflessione e, solo in extremis, il passaggio a un ballottaggio fra i due più votati.
Tutti gli indizi suggeriscono un esito rapido: gli ultimi due conclavi si sono chiusi in 48 ore e diversi porporati si sono detti ottimisti su una scelta entro venerdì, per mostrare unità dopo le divisioni seguite al pontificato di Bergoglio. Tuttavia la combinazione di correnti, lingue e nuove sensibilità regionali potrebbe allungare la corsa, facendo apparire un’altra fumata nera prima che la storica formula «Habemus Papam» risuoni dal balcone centrale della basilica.
Attualità
Colpi di martello sul potere, l’anello del Pescatore e il sigillo di Papa Francesco...

Questa mattina, 6 maggio 2025, i 173 cardinali riuniti nell’Aula del Sinodo hanno assistito a un rito breve ma denso di significato: il camerlengo Kevin Joseph Farrell ha proclamato ufficialmente l’annullamento dell’anello del Pescatore e del sigillo di piombo appartenuti a Papa Francesco, segnando l’apertura della sede vacante. Una giovane orafa, scelta dalla Prefettura della Casa Pontificia, ha inciso una croce sull’argento dorato dell’anello e sullo stampo in piombo, sotto lo sguardo dei porporati che tra poche ore entreranno in Conclave.
Il gesto è avvenuto al termine della dodicesima Congregazione generale: i cardinali hanno quindi lasciato l’Aula per trasferirsi a Casa Santa Marta, dove resteranno isolati dal mondo esterno fino all’elezione del nuovo pontefice. L’operazione, durata pochi minuti, è stata seguita dai media vaticani e documentata anche dalle principali testate italiane, che hanno mostrato il martello liturgico e lo scalpello poggiati sul tavolo rivestito di velluto rosso.
Cosa sono l’Anello del Pescatore e il Sigillo di piombo
L’anello del Pescatore reca l’immagine di San Pietro con le chiavi ed è il simbolo personale dell’autorità petrina: storicamente serviva a sigillare la corrispondenza privata del Papa sulla ceralacca calda, pratica attestata fin dal 1265. Con l’avvento dell’inchiostro rosso nel XIX secolo il suo uso operativo è cessato, ma il valore simbolico è rimasto intatto, tanto che i fedeli ne baciano ancora, talvolta, la superficie come gesto di omaggio.
Il sigillo di piombo, o bolla, veniva invece applicato alle lettere apostoliche pubbliche: un dischetto metallico con impresse, su una faccia, le effigie di Pietro e Paolo e, sull’altra, il nome del pontefice. Distruggerlo serve a impedire che documenti apocrifi possano essere autenticati in nome di un Papa defunto; allo stesso tempo sottolinea che il potere spirituale non è legato a un oggetto, ma all’ufficio che, in quel momento, è vacante.
La tradizione di distruggere i simboli papali
Fino al 1996 il rito prevedeva la vera e propria distruzione dell’anello con martello e scalpello, un protocollo codificato nei secoli per scongiurare falsificazioni di documenti pontifici. La costituzione apostolica Universi Dominici Gregis, firmata da Giovanni Paolo II, ha trasformato quella frantumazione in un semplice annullamento: si incide una croce sui due simboli, senza ridurli in frammenti, sufficiente a renderli inutilizzabili.
L’ultima volta che si vide la “vecchia” distruzione integrale fu alla morte di Paolo VI: dal 1978, con Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, la prassi è stata via via mitigata. Nel 2013, dopo la rinuncia di Benedetto XVI, i suoi due anelli furono solo biffati con un’incisione a croce: la stessa procedura è stata eseguita oggi per Bergoglio, confermando una tradizione che evolve ma non si interrompe.
Le ragioni dietro il gesto: prevenzione e teologia
Dal punto di vista pratico, cancellare i sigilli papali impedisce a chiunque di autenticare decreti o grazie con un sigillo non più legittimo. È una misura di prevenzione giuridica che nasce nel Medioevo, quando i documenti bollati con il piombo potevano spostare eserciti o patrimoni. Oggi l’atto ha ancora valore legale: senza l’anello e il sigillo integri, nessun atto può essere retrodatato al pontificato appena concluso.
Esiste però anche una lettura teologica: la croce incisa comunica che l’autorità del Successore di Pietro non risiede in un oggetto materiale ma nella persona eletta per volere dello Spirito Santo attraverso il voto dei cardinali. In altre parole, l’annullamento preserva la continuità istituzionale mostrando, al contempo, la radicale discontinuità fra un pontificato e il successivo, garantendo che nessuno possa parlare a nome del Papa prima che il nuovo venga eletto.
Il ruolo del Camerlengo e il protocollo della “sede vacante”
Spetta al camerlengo – oggi l’irlandese-cardinal Farrell – certificare la morte del pontefice, sigillare i suoi appartamenti, gestire i beni mobili e, soprattutto, sovrintendere a riti come l’annullamento dei sigilli. Durante la sede vacante il camerlengo governa l’ordinaria amministrazione, ma non può prendere decisioni dottrinali o nominare dirigenti: la macchina curiale resta in stand-by in attesa del nuovo Papa.
Il protocollo prevede nove giorni di lutto (novemdiales) e un massimo di venti giorni prima dell’inizio del Conclave; i cardinali, tuttavia, hanno scelto di iniziare già domani. Nel frattempo, i capi dicastero decadono automaticamente dal loro incarico, mentre i media vaticani mantengono aggiornato il mondo cattolico sugli sviluppi, in un equilibrio fra trasparenza e necessaria riservatezza.
Cosa accade ora: i prossimi passi verso l’elezione
Domani, 7 maggio, alle 10 del mattino nella Basilica di San Pietro si celebrerà la Messa pro eligendo Pontifice, presieduta dal cardinale decano Giovanni Battista Re. Alle 16:30, in processione, gli elettori entreranno nella Cappella Sistina per il giuramento di segretezza. È prevista una sola votazione nel pomeriggio, con fumata attesa intorno alle 19. Se non ci sarà subito la “bianca”, si procederà con quattro votazioni al giorno a partire da giovedì.
I 130 cardinali elettori alloggeranno nella residenza Santa Marta, isolata da telefoni e internet. Schede, urne e stufe sono già state testate: sulla volta michelangiolesca sono stati installati dispositivi che schermano i segnali. Ogni sera, all’ora dei Vespri, i porporati rientreranno in foresteria scambiando solo saluti sommessi; la procedura, definita “cum clave”, serve a evitare pressioni esterne e favorire un discernimento libero.
L’eredità di Papa Francesco e le riforme invocate dai cardinali
Nell’ultima Congregazione generale i porporati hanno dedicato ventisei interventi alle sfide che il prossimo pontefice dovrà affrontare, chiedendo di proseguire le riforme di trasparenza economica, la lotta agli abusi, la sinodalità, oltre a un impegno più forte per la pace e l’ambiente. “Un pastore che costruisca ponti in un mondo lacerato” è la sintesi fatta dal direttore della Sala Stampa Matteo Bruni.
Gli appelli ricordano l’impegno di Francesco per Fratelli tutti e Laudato si’, ma anche la semplicità scelta per il proprio funerale, che si terrà a Santa Maria Maggiore, e l’auspicio di un Vaticano più povero e vicino agli ultimi. Quel testimone ora passa ai cardinali elettori, chiamati a individuare una figura capace di guidare 1,3 miliardi di cattolici in un tempo di guerre, crisi climatiche e polarizzazioni.
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Conclave 2025, la notte prima del voto: chi sono i papabili, cosa accade in Sistina e...

Domani i 133 cardinali elettori entreranno in clausura nella Cappella Sistina per scegliere il 267° successore di Pietro. Oggi si è chiuso il ciclo delle Congregazioni generali: ultimo confronto pubblico prima del silenzio assoluto imposto dalle antiche regole. Il clima è di vigilia tesa ma operosa: si contano i minuti, si pesano i nomi, si sigillano telefoni e finestre in vista di un rituale che l’umanità seguirà con lo sguardo fisso su un comignolo.
Cardinali al completo, la Sistina sigillata
I porporati sono arrivati da settantuno Paesi, un primato di pluralità geografica che dà la misura delle diverse sensibilità raccolte sotto l’affresco michelangiolesco. Da questa sera alloggeranno nella Domus Sanctae Marthae, isolati dal mondo da jammer e da una rete di controlli che impedisce ogni fuga di notizie. Le ultime ore sono servite a verificare gli accessi e a ribadire l’obbligo di segretezza che, in caso di violazione, prevede la scomunica: “entrano da cardinali, usciranno con un papa”, ripetono nei corridoi vaticani.
La Cappella Sistina è pronta: oltre quaranta tecnici hanno sistemato tavoli, sedie e i due forni che bruceranno le schede. I vigili del fuoco vaticani hanno montato il camino da cui si alzeranno le fumate: nera se nessuno supererà i 89 voti necessari (due terzi), bianca quando l’accordo sarà raggiunto. Il restauro lampo degli addobbi e il test delle sostanze fumogene si sono conclusi ieri sera, mentre le 200 stanze dei cardinali sono state ispezionate per assicurare il blocco di ogni dispositivo elettronico.
Calendario del voto: cosa accadrà il 7 maggio
Domani alle 10 del mattino i cardinali concelebreranno la Messa pro eligendo Romano Pontifice in San Pietro, chiedendo luce allo Spirito Santo. Alle 16:30, dopo la recita delle Litanie dei Santi nella Cappella Paolina, si snoderà la processione verso la Sistina: porte chiuse, pronunciato il giuramento sul Vangelo, il cerimoniere griderà extra omnes e lascerà l’aula in segno di “solitudine deliberante”.
Nel tardo pomeriggio è prevista la prima votazione. Dal giorno successivo si voterà quattro volte al giorno, due la mattina e due il pomeriggio. Se dopo tre giorni non ci sarà il nome, la normativa prevede una giornata di pausa di preghiera e confronto informale. Ogni scrutinio terminerà con la combustione delle schede: la chimica del fumo – triphenyl e lactose per il nero, clorato di potassio per il bianco – tradurrà in colore il risultato che dentro resta segreto.
I nomi in campo e gli equilibri geopolitici
Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, l’arcivescovo di Manila Luis Antonio Tagle, l’ungherese Péter Erdő e il tedesco Reinhard Marx guidano i pronostici, ma molti elettori confessano di non avere certezze e di cambiare idea di ora in ora. Tra i criteri citati: continuità col pontificato di Francesco su trasparenza e riforma della Curia, o ritorno a un profilo più dottrinale. Alcuni vedono nel patriarca latino di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa un outsider capace di mediare tra le crisi mediorientali.
La composizione del collegio elettorale rende il processo imprevedibile: l’Europa ha perso la maggioranza assoluta, l’Asia e l’Africa insieme contano quasi un terzo dei votanti, segno di un cattolicesimo sempre più “policentrico”. Con 17 cardinali africani e 24 latino-americani, le dinamiche regionali si intrecciano a quelle pastorali. Mai un conclave aveva riunito porporati di un numero così alto di nazioni, fenomeno che potrebbe favorire un candidato di sintesi capace di parlare al Sud globale senza alienare l’Occidente.
Le attese del mondo cattolico e le sfide del prossimo Pontefice
Nei comunicati diffusi in questi giorni, i cardinali hanno chiesto ai fedeli preghiere per un discernimento “docile allo Spirito”, consapevoli del peso di guidare 1,4 miliardi di persone. In aula, i temi dominanti sono la credibilità della Chiesa presso i giovani, la trasparenza finanziaria e la lotta agli abusi, oltre alla missione verso le periferie cara a Papa Francesco. L’aspirazione comune è un “pastore vicino alla vita concreta”, come ha sintetizzato un porporato asiatico all’uscita dall’ultima congregazione.
Sul tavolo anche le emergenze globali: guerre in Ucraina e Medio Oriente, crisi climatica, disuguaglianze che mettono a dura prova la coesione sociale. In un messaggio congiunto, i cardinali hanno rivolto un appello a una “pace giusta e duratura”, ricordando che il prossimo papa erediterà dossier diplomatici caldi e un’agenda di riforme interne. Fuori dalle mura leonine, fedeli e curiosi già affollano piazza San Pietro, pronti ad alzare gli occhi al cielo quando la stufa della Sistina comincerà a parlare con il fumo.
Dietro le quinte della liturgia: giuramenti, urne e fumo
Subito dopo l’extra omnes, il predicatore emerito della Casa Pontificia offrirà ai cardinali una meditazione finale; poi verranno distribuite le schede stampate con la scritta “Eligo in Summum Pontificem”. Ogni elettore le deporrà in un calice d’argento e, a voto concluso, tre scrutatori conteranno ad alta voce i nomi prima di bruciarli. Il sistema a doppia stufa, introdotto nel 1939, assicura che il segnale di fumo sia univoco e ben visibile anche a distanza.
Per tutelare la riservatezza, all’interno della Cappella Sistina sono disattivate linee telefoniche e collegamenti internet; nei corridoi sono stati installati dispositivi che bloccano qualsiasi trasmissione radio. All’esterno, la Gendarmeria vaticana ha rafforzato i controlli con pattuglie mobili e telecamere supplementari. Solo quando la fumata passerà dal nero al bianco, la banda della Guardia Svizzera si dirigerà verso la loggia delle benedizioni e il cardinale protodiacono pronuncerà il celebre Habemus Papam, svelando nome scelto e nuovo corso del pontificato.
In Piazza San Pietro si prepara la folla, nelle stanze del potere si prepara la storia. Il conto alla rovescia è cominciato.
Attualità
Charlène di Monaco, esplosione di colore all’E-Prix: la principessa che premia e stupisce

Monte Carlo, 4 maggio 2025. Pioggia fina, rombo di monoposto elettriche, un lampo di rosso e arancio sul podio: Charlène di Monaco saluta i piloti del Monaco E-Prix con un sorriso che vale più dei riflettori. L’ex nuotatrice sudafricana indossa una gonna a ruota multicolore firmata Sara Roka e una camicia bianca senza bottoni dal taglio maschile ma dalle pieghe morbide. Con passo sicuro consegna la coppa al vincitore Sébastien Buemi, rivelando slingback scarlatti di Gianvito Rossi e una clutch Dior lucida che spunta tra le mani guantate dei commissari. In pochi secondi la scena rimbalza sui social e sui siti di moda, trasformando il podio in passerella.
Un flash di colore sulla griglia di partenza
Sul circuito, il grigio del cielo si specchia sull’asfalto bagnato; la principessa, invece, porta la tavolozza dell’estate. Le righe fucsia, arancio, giallo e rosa della gonna – ispirata alle silhouette danzanti degli anni Cinquanta – ondeggiano mentre Charlène percorre la pit-lane, affiancata da commissari in tuta ignifuga. Dal pubblico, ombrelli e smartphone si alzano all’unisono: l’obiettivo non è soltanto il passaggio delle Gen3 ma quel look inaspettatamente vivace che ribalta la sua fama di «regina dei toni neutri».
L’apparizione dura pochi minuti, giusto il tempo di premiare Buemi e scambiare due parole con i meccanici Nissan, ma basta per monopolizzare le cronache di stile. «Una ventata di colore in una giornata piovosa», scrive Vanity Fair, sottolineando come la gonna vitaminica abbia illuminato Monte-Carlo. Hello! aggiunge che la principessa ha abbinato rossetto rosa Barbie e orecchini di perle, puntando sulla semplicità nella parte superiore per lasciare la scena alla ruota di popeline rigato; Amica loda l’assenza di bottoni, dettaglio che evita sovrapposizioni con le linee orizzontali.
Dietro l’outfit: firme, materiali e dettagli nascosti
Dietro l’outfit c’è la mano di Sara Roka, designer canadese trapiantata a Milano che da anni reinventa la camicia maschile in chiave femminile. Il completo scelto da Charlène – camicia avvolgente senza bottoni e gonna midi a ruota in popeline di cotone – è approdato nei negozi a poco più di 1.200 euro. In atelier le strisce vengono stampate su tessuti comaschi e tagliate in sbieco, così ogni passo fa vibrare i colori. L’insieme ricorda le divise delle hostess anni Sessanta, ma con un twist couture studiato per enfatizzare spalle atletiche e punto vita scolpito.
Accessori e beauty look seguono la stessa logica di equilibrio. I tacchi slingback “Ascent 85” di Gianvito Rossi, in pelle rossa lucida, riprendono la riga cremisi della gonna; la Lady Perla di Dior, clutch rigida in vernice bordeaux, aggiunge un tocco formale. Ai lobi, perle coltivate a goccia; sul viso, un rossetto fucsia che riflette la striscia centrale del tessuto. Hello! nota l’armonia cromatica tra scarpe e make-up, mentre Amica elogia la scelta di rinunciare ai bottoni per non interrompere il ritmo delle righe.
Il peso dell’evento e il ruolo della principessa
Il Monaco E-Prix 2025 era attesissimo: doppia gara per celebrare i dieci anni della Formula E nel Principato e prima volta su due giorni consecutivi, 3 e 4 maggio. Sabato, sotto nuvole basse, ha trionfato Oliver Rowland; domenica, su pista scivolosa, Sébastien Buemi ha rimontato dall’ottava casella, conquistando la terza vittoria monegasca e interrompendo un digiuno che durava dal 2019. La presenza di Charlène in griglia – con look fotogenico e messaggi di sostenibilità – ha ribadito il sostegno dei Grimaldi a un campionato nato per spingere la mobilità elettrica.
Al termine della corsa la principessa è salita sul podio con il CEO di Formula E Jeff Dodds per consegnare il trofeo a Buemi e ringraziare i 20.000 spettatori stipati tra la Piscine e la Rascasse. Poche ore dopo, nelle sale dorate dell’Hôtel de Paris, ha premiato Rowland con l’inaugurale “Prince Albert II of Monaco Trophy”, destinato al pilota che totalizza più punti sul weekend. Come ricorda Monaco Tribune, l’alternanza con Pierre Casiraghi nelle cerimonie serve a marcare la continuità di una dinastia che intreccia glamour e motori fin dai tempi di Grace Kelly.
Un nuovo capitolo nello stile di Charlène
La gonna a ruota segna un passo deciso nell’evoluzione stilistica di Charlène. Fino a pochi mesi fa dominavano completi sartoriali neri, beige o navy, scelti anche per celare la lunga convalescenza seguita ai problemi di salute esplosi nel 2021. Il look del 4 maggio conferma il pieno recupero e una nuova voglia di sperimentare. Come osserva Hello!, la principessa «ha gettato il vecchio manuale», abbracciando il colore senza rinunciare a linee pulite che valorizzano la sua struttura da ex olimpionica.
Dai power suit neutri degli impegni istituzionali ai jumpsuit disco-glam del Rose Ball, passando per questo ensemble vitaminico, Charlène costruisce una narrativa di rinascita attraverso la moda. Tatler ricorda che agli esordi fu Giorgio Armani a consigliarla; oggi la principessa sembra scegliere da sola, puntando su marchi indipendenti come Sara Roka e su palette che parlano di energia. Il messaggio è chiaro: Monaco non è solo cronometri e conti offshore, ma anche un laboratorio di stile dove modernità e tradizione convivono dentro l’armadio di una principessa che non ha paura di cambiare.
Attualità
Conclave 2025 la Chiesa si chiude in Sistina per scegliere il successore di Francesco

Papa Francesco si è spento alle 7:35 del 21 aprile, a 88 anni, dopo dodici anni di pontificato. La sua salma è stata tumulata il 26 aprile nella basilica di Santa Maria Maggiore, al termine di esequie seguite da oltre 400 mila fedeli e da nove giorni di celebrazioni funebri (i Novemdiales) che si sono concluse il 4 maggio. Con la proclamazione ufficiale della Sede Vacante il cardinale camerlengo Kevin Farrell ha assunto la reggenza temporanea, avviando le procedure fissate dalla costituzione Universi Dominici Gregis.
Il giorno dopo la chiusura dei Novemdiales quasi duecento porporati si sono riuniti in congregazione generale per fissare al 7 maggio l’apertura del conclave. Degli 135 cardinali con diritto di voto, prenderanno posto in Cappella Sistina in 133: il kenyano John Njue e lo spagnolo Antonio Cañizares non parteciperanno per motivi di salute. La scelta di posticipare di 24 ore l’inizio delle votazioni — il primo termine utile era il 6 maggio — serve a dare ai cardinali ancora poco conosciuti la possibilità di confrontarsi fra loro prima di rimanere chiusi cum clave.
Segretezza assoluta: il giuramento di chi serve il Conclave
Alla Cappella Paolina, nel pomeriggio del 5 maggio, un centinaio tra medici, cuochi, addetti alle pulizie, ascensoristi, tecnici e religiosi di varie lingue hanno pronunciato la formula del “segreto assoluto”, toccando i Vangeli e promettendo di non rivelare mai nulla di ciò che vedranno o udranno durante l’elezione. La pena in caso di violazione è la scomunica latae sententiae. Lo stesso giuramento, introdotto da Benedetto XVI nel 2013, verrà ripetuto dai cardinali elettori prima dell’ingresso in Sistina.
Fra gli obbligati al silenzio compaiono il maestro delle Celebrazioni Liturgiche, i cerimonieri pontifici, il direttore dei servizi di sicurezza vaticani, due ufficiali della Guardia Svizzera e il personale che trasporterà i cardinali dalla Domus Sanctae Marthae. Per blindare l’area sono stati predisposti schermature elettroniche, jammer per i telefoni e controlli quotidiani sugli strumenti di registrazione, in modo da impedire ogni fuga di notizie, secondo quanto confermato dal Vaticano.
Il calendario: quando e come si voterà in Cappella Sistina
Le congregazioni generali – finora dodici – hanno messo a punto la tabella di marcia. Mercoledì 7 maggio alle 10 i cardinali concelebreranno la messa Pro eligendo Pontifice in San Pietro. Nel pomeriggio faranno processione verso la Sistina al canto del Veni Creator Spiritus, presteranno nuovamente giuramento e terranno la prima votazione. Dal giorno successivo sono previste fino a quattro scrutini quotidiani (due la mattina, due il pomeriggio) finché uno dei candidati non raggiungerà la maggioranza dei due terzi più uno.
Per segnalare al mondo l’esito di ogni votazione è stato testato un moderno sistema pirotecnico: bombole di fumo nero o bianco, azionate elettronicamente, sostituiscono la vecchia combustione di paglia umida e schede. Le prove, condotte dal tecnico romano Massimiliano De Sanctis, hanno confermato la visibilità della colonna di fumo anche con condizioni meteo avverse, riducendo il rischio di equivoci registrati in conclavi precedenti.
Chi può diventare Papa: nomi, profili e polemiche
Tra i più citati spicca il filippino Luis Antonio Tagle, 67 anni, già arcivescovo di Manila e oggi prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione. Definito l’“Asian Francis” per stile pastorale e attenzione ai poveri, parla cinque lingue, ha fama di teologo solido e gode di ampia rete di contatti nel Sud globale. Se eletto, sarebbe il primo pontefice dell’Asia contemporanea, segno di continuità con l’apertura alla periferia voluta da Francesco.
Non mancano però ombre e divisioni. L’italiano Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e lo stesso Tagle sono stati accusati dalla ONG Bishop Accountability di gestione opaca di casi di abuso. L’organizzazione dubita della loro volontà di riforma, mentre altri osservatori indicano il cardinale Seán O’Malley, noto per la linea dura contro la pedofilia, come opzione di raccordo. Sullo sfondo si muove il blocco conservatore guidato dal tedesco Gerhard Müller, deciso a frenare le aperture di Bergoglio su liturgia, migranti e benedizioni alle coppie LGBT.
Perché la scelta pesa sul futuro della Chiesa e del mondo
Nelle ultime congregazioni i porporati hanno elencato le priorità: lotta agli abusi, riforma delle finanze vaticane, dialogo interreligioso, difesa dell’ambiente e mediazione nei conflitti globali. Alcuni chiedono di proseguire le riforme sinodali di Francesco, altri invocano un ritorno a posizioni dottrinali più ferme. L’incertezza sul profilo ideale – pastore carismatico o amministratore pragmatico – fa prevedere un conclave forse più lungo degli ultimi due giorni di voto del 2013.
Cardinali provenienti da Iraq, Algeria, Indonesia e America Latina hanno insistito su un Papa “di unità” capace di parlare a un mondo frammentato e a una Chiesa attraversata da tensioni interne. “Non c’è fretta, l’importante è avere un buon Papa”, ha sintetizzato il francese Jean-Paul Vesco, mentre il caldeo Raphaël Sako ha evocato la necessità di una figura “vicina alla vita concreta delle persone”. La posta in gioco, ricordano molti, è la credibilità stessa di un’istituzione seguita da 1,4 miliardi di fedeli.
Attualità
Il cardinale Becciu rinuncia al Conclave: obbedienza a Francesco, innocenza rivendicata

Il cardinale Giovanni Angelo Becciu, 76 anni, ex “numero tre” della Segreteria di Stato e poi prefetto delle Cause dei Santi, dal 2020 vive ai margini dopo la brusca rimozione decisa da Papa Francesco per presunte irregolarità finanziarie. La porpora, però, gli era rimasta; per questo la scelta di non entrare in Cappella Sistina pesa non solo sul futuro conclave ma anche sull’immagine di una Curia che da anni invoca trasparenza.
Originario di Pattada, in Sardegna, Becciu godeva di una fitta rete di contatti fra ordini religiosi e conferenze episcopali. Proprio questa trama rendeva sensibile la sua presenza nel primo Conclave dopo la morte di Francesco, avvenuta il 21 aprile 2025. La condanna a cinque anni e mezzo inflittagli nel dicembre 2023 per peculato e truffa aggravata era però diventata un macigno, capace di spaccare l’assemblea dei cardinali votanti e di alimentare sospetti di divisione interna.
Il Conclave che si apre il 7 maggio
Il Conclave inizierà la sera di mercoledì 7 maggio, con 122 cardinali sotto gli 80 anni chiamati a votare. Nelle congregazioni generali dei giorni scorsi il Collegio ha definito logistica, tempi di clausura e, soprattutto, la lista degli aventi diritto: la vicenda Becciu è stata fra le più discusse, perché tocca il tema dell’idoneità morale degli elettori.
Durante quelle riunioni diversi porporati hanno chiesto se fosse opportuno ammettere al voto un cardinale condannato in primo grado, sebbene in attesa d’appello. Affrontare la questione con un voto formale avrebbe creato un precedente; la rinuncia volontaria del porporato sardo ha quindi tolto un elemento di tensione, evitando che il Conclave si aprisse sotto una nube di polemiche giuridiche.
Le ragioni del passo indietro
La scelta di non partecipare arriva in una nota secca: «Obbedisco alla volontà di Papa Francesco, ma resto convinto della mia innocenza». Secondo Avvenire, il Segretario di Stato Pietro Parolin avrebbe mostrato a Becciu due lettere firmate da Francesco – l’ultima datata 24 marzo – che chiedevano esplicitamente di farsi da parte, chiarendo così la linea da seguire e disinnescando un possibile scontro nel Collegio.
La pressione giudiziaria resta forte. Becciu è libero in attesa d’appello, ma la sentenza di primo grado prevede l’interdizione perpetua dai pubblici uffici della Santa Sede: se confermata, gli toglierebbe comunque il diritto di voto. Scegliere ora la rinuncia evita che il Conclave diventi un referendum sulla sua persona e tutela l’unità dell’assemblea cardinalizia.
Reazioni dentro e fuori le mura
Le reazioni ufficiali sono state misurate. Vatican News e Avvenire riferiscono di cardinali che definiscono il gesto «un atto di responsabilità» capace di evitare il rischio di un voto preliminare sulla sua ammissibilità; altri, soprattutto dal Sud del mondo, avrebbero espresso rammarico per la mancanza di una presa di posizione chiara sulla presunzione d’innocenza. Nei forum cattolici, intanto, molti fedeli accusano il Vaticano di aver gestito la vicenda con poca trasparenza.
Anche le associazioni che da anni chiedono controlli più severi sui conti vaticani accolgono positivamente la rinuncia, convinte che costringerà il Collegio a non minimizzare gli scandali del passato. La stampa internazionale – da El País al Messaggero – parla di gesto che «disinnesca una bomba», ma mette in luce le fratture tra riformisti e tradizionalisti che ancora segnano la Curia alla vigilia di un voto cruciale.
Cosa potrebbe accadere ora
L’appello di Becciu sarà discusso dall’alta corte vaticana in autunno. Se la condanna fosse ribaltata, tornerebbe formalmente in regola, ma l’ombra di questi anni potrebbe limitarne il ruolo pubblico. Il Collegio, intanto, valuta norme che sospendano automaticamente un elettore fin dal rinvio a giudizio, per evitare vuoti normativi e tutelare la credibilità del processo di elezione del Papa.
Gli esperti di diritto canonico leggono la vicenda come banco di prova per le riforme avviate da Francesco su giustizia e finanze. Il futuro Pontefice dovrà decidere se rafforzare i tribunali misti laici-religiosi e se fissare criteri di esclusione più stringenti per i cardinali con procedimenti in corso. La rinuncia di Becciu, quindi, non chiude il dossier: apre piuttosto la partita su come coniugare trasparenza, misericordia e governo efficace in una Chiesa globale che chiede regole chiare.
Attualità
Funerali di Papa Francesco: il Principe William rappresenta Re Carlo mentre Kate...

La scomparsa di Papa Francesco ha indotto capi di Stato, sovrani e chiamati delegati a convergere su San Pietro per le solenni esequie. In questo contesto, il Principe William assumerà il compito di portavoce ufficiale di Re Carlo III, proseguendo la consuetudine dinastica già sperimentata quando Carlo, allora erede, prese parte ai funerali di Giovanni Paolo II nel 2005. L’assenza di Kate Middleton ha destato curiosità nell’opinione pubblica, ma il protocollo, insieme a precise valutazioni istituzionali, ne chiarisce le ragioni senza lasciare spazio a congetture superflue.
La delega di Re Carlo e il ruolo del Principe William
Il sovrano britannico ha scelto di farsi rappresentare dal primogenito, perché William è destinato a diventare, un giorno, Governatore Supremo della Chiesa Anglicana. Partecipare a una cerimonia funebre di tale portata costituisce quindi un passaggio preparatorio nella formazione del futuro monarca: presenza discreta, osservanza delle regole liturgiche e dialogo con gli interlocutori religiosi riassumono il mandato ricevuto. La capitale italiana diventa così lo scenario in cui la Corona — pur rimanendo fedele alla propria tradizione confessionale — manifesta rispetto verso la massima autorità cattolica, consolidando relazioni ecumeniche che hanno radici storiche profonde.
L’investitura simbolica non comporta soltanto visibilità internazionale; essa rafforza il messaggio di continuità tra sovrano e successore. In un momento in cui la stabilità delle istituzioni viene attentamente osservata, Re Carlo affida al figlio un compito carico di valore spirituale e diplomatico, evitando al contempo inutili duplicazioni di presenze reali. Il gesto ricalca l’atteggiamento della defunta Regina Elisabetta II, la quale sedici anni fa optò per identica soluzione, segno di un codice non scritto che, nella monarchia britannica, privilegia la sostanza del ruolo rispetto alla quantità delle figure coinvolte.
Il panorama delle altre monarchie europee alle esequie
Fra le case regnanti del continente si registra una varietà di scelte. La Regina Mary di Danimarca giungerà in Vaticano da sola, poiché il consorte Re Federico X è impegnato in una missione di Stato in Giappone. Una separazione logistica, dettata da agende sovrapposte, che tuttavia non intacca la rappresentanza danese né attenua il cordoglio espresso. L’autonomia dei coniugi reali, in questo frangente, testimonia come le priorità istituzionali possano divergere senza compromettere l’unità del messaggio di lutto e rispetto.
Dall’altra parte, i Sovrani di Spagna, Felipe VI e Letizia, presenzieranno insieme, così come faranno il Principe Alberto II e la Principessa Charlene di Monaco. La loro partecipazione congiunta riflette prassi e disponibilità differenti, ma non crea parametri rigidi per giudicare scelte altrui. La composizione multiforme del parterre reale, dunque, sottolinea la libertà con cui ciascuna corona interpreta il proprio dovere di testimonianza, secondo esigenze interne e tradizioni nazionali, senza che alcuna assenza motivata possa essere intesa come mancanza di riguardo.
Le motivazioni dietro l’assenza di Kate Middleton
Catherine, Principessa del Galles, resta in patria con i figli George, Charlotte e Louis. Non si tratta di mancanza di supporto organizzativo: l’entourage dei Principi del Galles dispone infatti di tate e assistenti qualificati. La ragione è di natura istituzionale: Kate non ricopre alcun ruolo che la obblighi a partecipare a funerali pontifici, né possiede doveri spirituali analoghi a quelli che attendono il marito. L’assenza corrisponde dunque a una scelta ponderata, conforme all’etichetta di corte, che evita presenze superflue e consente alla principessa di dedicarsi agli impegni familiari senza alimentare letture distorte.
Non sussistono neppure vincoli religiosi. Kate Middleton non appartiene alla confessione cattolica, perciò non le viene richiesto l’omaggio personale al Pontefice defunto. La sua permanenza in Gran Bretagna si traduce in un gesto di rispetto delle competenze: la rappresentanza spirituale spetta esclusivamente all’erede al trono, mentre la consorte non è costretta a condividere un obbligo che non le compete. In tal modo, la Corona evita ogni forzatura e preserva l’essenzialità di un protocollo che distingue chiaramente fra dovere e consuetudine.
Il rigoroso dress code imposto dal cerimoniale vaticano
Anche se l’attenzione pubblica indulge spesso sull’eleganza femminile, il cerimoniale stabilisce prescrizioni puntuali per i rappresentanti maschili. William indosserà un completo da giorno nero, camicia bianca e cravatta anch’essa nera; accessori, soprabito e calzature dovranno allinearsi alla stessa tonalità o, in seconda istanza, a sfumature scure come blu notte o grigio antracite. È precluso qualsiasi elemento appariscente: l’unica concessione riguarda eventuali onorificenze vaticane, da appuntare discretamente sul bavero, in armonia con l’atmosfera di raccoglimento e solennità.
Se la Principessa del Galles fosse stata presente, il protocollo le avrebbe imposto un abito nero con orlo sotto il ginocchio, velo o mantiglia di pizzo, borsa minuta, scarpe chiuse e, facoltativamente, guanti anch’essi neri. Gioielli ridotti al minimo: una semplice collana di perle come unico ornamento ammesso. Tali regole, lontane da qualunque frivolezza, ribadiscono l’importanza del decoro e della sobrietà quando una comunità internazionale si raccoglie per salutare un Pontefice che ha segnato un’epoca.
Attualità
Papa Francesco muore nel 2025, lutto nazionale, funerali in Piazza San Pietro e forte...

La scomparsa di Papa Francesco ha suscitato un’onda di sconcerto e di profonda commozione tra un vasto pubblico di credenti e non, lasciando un senso di vuoto che si è diffuso rapidamente a livello globale. Nonostante le avvisaglie di un suo stato di salute precario, protrattosi per diversi giorni, la notizia della sua dipartita si è presentata in modo improvviso, generando un impatto emotivo di portata universale. La figura del pontefice, ammirata per il suo atteggiamento di vicinanza e umanità, si è distinta per un impegno incessante nel promuovere il dialogo, la solidarietà e le riforme all’interno della Curia romana. Gli insegnamenti di Francesco continueranno a vivere nel cuore di quanti hanno avuto l’opportunità di ascoltarli, lasciando un’eredità di valori e di speranza duratura.
Il suo contributo alla promozione della pace e della libertà
Nel corso del suo pontificato, Papa Francesco si è sempre schierato con fermezza in favore della pace, rivolgendo appelli affinché i conflitti mondiali si risolvessero e le tensioni internazionali si attenuassero. Tra le sue ultime dichiarazioni pubbliche, una frase rimasta impressa nella memoria collettiva affermava: «Nessuna pace è possibile laddove non c’è libertà religiosa o dove non c’è libertà di pensiero e di parola e il rispetto delle opinioni altrui. Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo!». Questi concetti, espressi con determinazione, testimoniano l’attenzione del pontefice verso le questioni più urgenti che affliggono l’umanità, sottolineando l’importanza di libertà e disarmo come pilastri fondamentali per un mondo più giusto e pacifico.
Le circostanze della dipartita e il lutto nazionale
Il decesso di Papa Francesco si è verificato nella giornata di lunedì 21 aprile 2025, coincidente con la festività del Lunedì dell’Angelo. La causa è stata un ictus cerebrale, che ha condotto il pontefice prima in coma e successivamente a un collasso cardiocircolatorio. In seguito alla sua scomparsa, il Consiglio dei Ministri ha proclamato un lutto nazionale di cinque giorni, durante i quali si svolgeranno le esequie ufficiali, in segno di rispetto e di cordoglio per questa perdita di portata storica.
Le funzioni funebri e la copertura mediatica
Le cerimonie funebri di Papa Francesco sono state programmate per sabato 26 aprile 2025, alle ore 10, in Piazza San Pietro, a Roma. La liturgia sarà trasmessa in diretta da numerose emittenti nazionali e internazionali, con un’ampia copertura mediatica dedicata a onorare la sua figura e il suo operato, che si è protratto per oltre un decennio. In particolare, su Rai Uno, le trasmissioni speciali sono iniziate alle 8:30 con uno speciale del Tg1, mentre RaiNews24 e Raiplay offriranno una copertura streaming in tempo reale. Canale 5 ha previsto uno speciale del Tg5 a partire dalle 8:45, che si concluderà intorno alle 13:30, mentre La7 seguirà le esequie con la presenza di Enrico Mentana nel corso del TgLa7. Anche Tv2000 dedicherà uno spazio speciale a Bergoglio, a partire dalle 9:10, con approfondimenti dedicati.
Il sentimento di commozione tra i fedeli a Roma
Nel frattempo, si registra una lunga fila di fedeli che si sono radunati presso la Basilica di San Pietro, desiderosi di rendere omaggio al pontefice defunto. La coda, che può estendersi fino a otto ore di attesa, testimonia l’intensità del sentimento di affetto e di rispetto che ancora permea la comunità religiosa e civile nei confronti di Papa Francesco. La presenza di numerosi fedeli, unita alla commozione generale, sottolinea come il suo esempio e il suo insegnamento abbiano lasciato un’impronta indelebile nel cuore di molti, alimentando un senso di solidarietà e di riconoscenza che si manifesta in questi momenti di lutto collettivo.
Attualità
Omaggio a Papa Francesco: la tv italiana si mobilita per il lutto

Profondo omaggio televisivo a Papa Francesco: palinsesti stravolti su Rai e Mediaset per la scomparsa del Pontefice
La giornata di lunedì 21 aprile si è tinta di lutto per la morte di Papa Francesco, spentosi all’età di 88 anni. L’evento ha determinato una revisione radicale dei palinsesti televisivi italiani, con Rai e Mediaset impegnate a rendere omaggio alla figura del Santo Padre attraverso una programmazione interamente dedicata al suo ricordo. Le principali reti nazionali hanno predisposto una copertura straordinaria, sospendendo trasmissioni ordinarie e proponendo speciali, documentari, film e approfondimenti che ripercorrono la vita e il pontificato di Jorge Bergoglio.
Mediaset: dirette, speciali e fiction per raccontare la vita di Papa Francesco
Nel pomeriggio, Canale 5 ha avviato una lunga diretta a partire dalle 14.40 fino alle 20.00 circa con Pomeriggio Cinque Speciale, affidato alla conduzione di Myrta Merlino. La trasmissione ha seguito in tempo reale gli sviluppi legati all’addio al Pontefice, alternando collegamenti e ospiti in studio. Nel corso della diretta, la linea è passata a tre edizioni speciali del Tg5, in onda rispettivamente alle 16.00, 17.00 e 18.00, per aggiornamenti costanti sulla situazione.
L’access prime time di Mediaset ha visto protagonista Toni Capuozzo con il documentario Papa Francesco – Così normale da essere straordinario, trasmesso in simulcast su Canale 5, Italia 1, Retequattro, Tgcom24 e Mediaset Extra. Questo speciale ha ripercorso le tappe fondamentali della vita del Pontefice, sottolineando la sua straordinaria normalità. In prima serata, la programmazione ordinaria è stata sospesa: al posto di The Couple, è andata in onda la miniserie diretta da Daniele Luchetti, Chiamatemi Francesco. Il Papa della gente, interamente dedicata alla biografia di Jorge Bergoglio.
Rete 4 e Italia 1: informazione e approfondimento in tempo reale
Anche Rete 4 e Italia 1 hanno modificato la loro offerta pomeridiana, trasmettendo in diretta dalle 14.00 alle 18.50 Diario del Giorno, condotto da Manuela Boselli. In serata, spazio a uno Speciale Videonews con la conduzione di Gianluigi Nuzzi e la presenza in studio di Elena Guarnieri. L’edizione di Studio Aperto delle 18.30 è stata prolungata fino alle 19.25, garantendo una copertura informativa estesa.
Rai: una giornata di memoria e riflessione tra informazione, fiction e documentari
La Rai ha predisposto una programmazione articolata su tutte le sue reti principali. Su Rai 1, il ricordo di Papa Francesco è stato affidato a La vita in diretta alle 16.30, seguito da A sua Immagine alle 18.40, dall’edizione del Tg1 delle 19.56, da Porta a Porta alle 20.30 e dal Tg1 Flash di mezzanotte. La serata è proseguita con la fiction La Bibbia e, dalle 2.00, con la copertura di RaiNews 24.
Su Rai 2, la programmazione ha incluso Il Sogno di Francesco alle 15.20, uno Speciale Tg2 alle 16.45, la fiction La Bibbia alle 19.00, il Tg2 delle 20.30, Tg2 Post alle 21.00, il documentario In viaggio su Papa Francesco alle 21.30 e il film Lourdes alle 22.50. Dopo la mezzanotte e mezza, la diretta è proseguita su RaiNews24.
Rai 3 e Rai Cultura: tra film, informazione e approfondimenti storici
La terza rete ha proposto Tgr diretta Giubileo alle 14.45, il film Il cammino di Santiago alle 17.00, il Tg3 delle 19.00, il Tg Regione delle 19.30, Blob alle 19.50, Il Cavallo e la torre alle 20.20, il film Fatima alle 20.35, La Bottega dell’orefice alle 22.20 e Linea Notte alle 23.50. Dall’1.30, la notte è stata affidata alla diretta di Rai News 24.
Nel pomeriggio, Rai Cultura ha trasmesso ritratti di Santa Caterina, Chiara e Francesco, San Domenico, Benedetto e Scolastica. In prima serata, Passato e Presente ha ricordato la Regola di San Francesco, seguito da I volti dei vangeli, in cui Papa Francesco ha offerto riflessioni tra arte e fede. Alle 22.25, spazio a Anno Santo. Pellegrini nella storia.
Le altre reti: sospensioni e variazioni per rispetto del lutto
La serata televisiva ha visto anche la sospensione di alcuni programmi di intrattenimento. GiallappaShow, condotto da Giorgio Gherarducci e Marco Santin della Gialappa’s Band, previsto in simulcast su TV8 e Sky Uno, non è andato in onda, in segno di rispetto per la scomparsa del Pontefice.
La morte di Papa Francesco ha dunque segnato profondamente la giornata televisiva italiana, con una copertura senza precedenti che ha coinvolto tutte le principali emittenti, unite nel ricordo di una figura che ha lasciato un segno indelebile nella storia contemporanea.
Attualità
Mediaset dedica il 21 aprile 2025 alla memoria di Papa Francesco

Mediaset dedica la programmazione del 21 aprile 2025 alla memoria di Papa Francesco: palinsesto straordinario e speciali in diretta
La giornata di lunedì 21 aprile 2025 segna un momento di profonda riflessione per il pubblico televisivo italiano, in seguito alla scomparsa di Papa Francesco, avvenuta nelle prime ore del mattino. Mediaset ha scelto di modificare radicalmente il proprio palinsesto, predisponendo una serie di trasmissioni speciali e approfondimenti in diretta, con l’intento di rendere omaggio alla figura del Santo Padre e di accompagnare i telespettatori nel ricordo di un pontificato che ha segnato la storia contemporanea.
Canale 5: una lunga diretta per raccontare l’addio al Pontefice
A partire dalle 14.40 e fino alle 20.00 circa, Canale 5 trasmette una lunga edizione di Pomeriggio Cinque Speciale, interamente dedicata agli ultimi aggiornamenti e alle testimonianze sull’addio a Papa Francesco. La conduzione di Myrta Merlino guida il pubblico attraverso collegamenti in tempo reale, ospiti in studio e approfondimenti, offrendo una narrazione puntuale e partecipata degli eventi che si susseguono nella Roma del Vaticano. Nel corso della diretta, la linea passa a tre edizioni straordinarie del Tg5, in onda rispettivamente alle 16.00, 17.00 e 18.00, per garantire un costante aggiornamento sulle notizie e sulle reazioni provenienti dal mondo ecclesiastico e istituzionale.
L’access prime time di Canale 5 si arricchisce di un documento d’eccezione: Papa Francesco – Così normale da essere straordinario, firmato da Toni Capuozzo. Questo speciale, realizzato con la regia di Roberto Burchielli e prodotto da VideoNews, viene trasmesso in simulcast su tutte le principali reti del gruppo – Canale 5, Italia 1, Retequattro, Tgcom24 e Mediaset Extra – e si propone di ripercorrere la vita e il pontificato di Jorge Bergoglio attraverso un racconto intimo e spirituale. Le testimonianze raccolte nello speciale vedono la partecipazione di figure di rilievo come monsignor Vincenzo Paglia, il cardinale Marcello Semeraro, il cardinale Luis Antonio Tagle e il vaticanista Mediaset Fabio Marchese Ragona, che condividono ricordi, aneddoti e riflessioni personali sul percorso umano e pastorale del Pontefice.
Prima serata: la miniserie “Chiamatemi Francesco. Il Papa della gente”
La serata di Canale 5 prosegue con la messa in onda della miniserie Chiamatemi Francesco. Il Papa della gente, diretta da Daniele Luchetti. Questo racconto televisivo, interamente dedicato alla vita di Jorge Bergoglio, offre uno sguardo approfondito sulle tappe fondamentali che hanno segnato il cammino personale e spirituale dell’uomo divenuto Papa Francesco, restituendo al pubblico un ritratto autentico e coinvolgente del Pontefice.
Retequattro e Italia 1: informazione e approfondimento in tempo reale
Anche Retequattro si unisce al ricordo del Santo Padre con una programmazione straordinaria. Dalle 14.00 alle 18.50, va in onda in diretta Diario del Giorno, condotto da Manuela Boselli, che accompagna i telespettatori attraverso le notizie e le reazioni che si susseguono nel corso della giornata. In prima serata, la rete propone uno Speciale Videonews condotto da Gianluigi Nuzzi, con la presenza in studio di Elena Guarnieri, per un ulteriore approfondimento sugli eventi e sulle implicazioni della scomparsa di Papa Francesco.
Per quanto riguarda Italia 1, l’edizione di Studio Aperto delle 18.30 viene prolungata fino alle 19.25, consentendo una copertura più ampia e dettagliata delle notizie relative alla giornata e alle reazioni suscitate dalla morte del Pontefice.
La scelta di Mediaset di dedicare l’intera programmazione del 21 aprile 2025 alla memoria di Papa Francesco rappresenta un segno tangibile della rilevanza storica e spirituale di questo momento, offrendo al pubblico italiano un’occasione di riflessione collettiva e di partecipazione al cordoglio universale per la scomparsa di una delle figure più significative del nostro tempo.
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Attualità
Google chiude i domini locali: addio a Google.it, resta solo Google.com

A pensarci bene, ha senso, no? Google ha deciso di fare una mossa che, a dirla tutta, era già nell’aria. Insomma, via tutti quei domini nazionali, quei google.it, google.fr, google.qualcosa… Basta, finito. Si va tutti su Google.com e stop. E sapete una cosa? Non è che cambi molto per noi. Perché, alla fine, già dal 2017 i risultati che ci comparivano erano legati a dove siamo, a quello che facciamo, a come parliamo. Non serviva mica quel pezzo di URL col nome del nostro Paese. Giusto?
“Perché tenere in piedi una struttura complicata quando possiamo farla semplice?!”, hanno detto loro. E se ci pensiamo, non hanno tutti i torti. Ormai sanno già tutto di noi – la posizione, la lingua… forse pure cosa stiamo pensando mentre digitiamo. E ok, magari fa un po’ impressione, ma è così. Quindi, perché far finta che quei domini nazionali servano ancora a qualcosa? Tiriamo una linea e basta.
Dicono che così l’esperienza sarà più “snella”. Beh, sì, forse è una parola un po’ fredda, ma guardiamola da un’altra prospettiva: sarà tutto più diretto, più immediato, senza filtri inutili. Forse è pure un modo per farci sentire più connessi, un po’ meno divisi da quei confini digitali che ormai non hanno più senso.
La società assicura inoltre che questo cambiamento non influirà sul funzionamento della Ricerca né sugli obblighi verso le leggi locali di ciascun Paese – continueranno ad essere rispettate le normative nazionali sui contenuti rimossi o filtrati, come avveniva prima. Le motivazioni ufficiali sottolineano quindi l’efficienza e la semplicità: concentrando le operazioni su google.com, Google elimina la complessità di gestire decine di domini differenti mantenendo comunque risultati localizzati. Sundar Pichai e il suo team considerano questa mossa un passo naturale nell’evoluzione del servizio, dato che gli utenti “ricevono la stessa esperienza locale” anche su google.com ormai da anni.
Non è stato fornito un calendario preciso per ciascun Paese, ma la transizione sarà progressiva e monitorata. Durante questo periodo, gli utenti potrebbero notare inizialmente il suffisso .com al posto di quello locale nella barra degli indirizzi. Secondo quanto riferito, il passaggio definitivo a Google.com avverrà per tutti entro alcuni mesi dall’annuncio, salvo eventuali aggiustamenti tecnici in corso d’opera. Google sta insomma spegnendo le sue “insegne” locali uno dopo l’altro, uniformando l’accesso al motore di ricerca sotto un unico dominio globale.
Come cambierà l’esperienza per gli utenti
Dal punto di vista pratico, per gli utenti comuni cambia pochissimo. Google continuerà a offrire risultati localizzati in base alla posizione dell’utente, solo che lo farà sempre attraverso google.com invece che tramite un dominio nazionale. L’esperienza di ricerca resterà la stessa: chi si collega dall’Italia vedrà comunque contenuti in italiano e relativi al proprio territorio, anche se l’indirizzo sarà google.com senza “.it”. “È importante notare che, sebbene questo aggiornamento cambi ciò che le persone vedono nella barra degli indirizzi, non influirà sul modo in cui ‘Ricerca’ funziona”, ha ribadito Google nel suo annuncio. In sostanza, la localizzazione dei contenuti non verrà meno: sarà determinata dalla geolocalizzazione e dalle impostazioni dell’utente (lingua, paese nelle preferenze di ricerca) anziché dall’estensione del dominio. L’unico cambiamento visibile sarà l’URL unificato.
È possibile che, al primo accesso dopo il cambio, venga richiesto all’utente di reimpostare alcune preferenze o di eseguire nuovamente il login al proprio account Google. Questo perché le impostazioni personalizzate (come la lingua dell’interfaccia, i filtri SafeSearch, ecc.) e i cookie di sessione erano finora legati al dominio locale: passando a google.com, possono necessitare di una nuova conferma. Google ha avvisato che potrebbe essere necessario reinserire alcune preferenze di ricerca durante il processo. Ad esempio, se un utente aveva salvato google.it come pagina iniziale e con determinate impostazioni, al redirect su google.com potrebbe dover scegliere nuovamente la lingua italiana o effettuare l’accesso all’account Google sul nuovo dominio.
Si tratta comunque di azioni una tantum. Dopodiché, la navigazione quotidiana su Google avverrà normalmente: si potrà cercare come sempre, accedere a servizi collegati (Gmail, Maps, ecc.) tramite la barra superiore e si riceveranno risultati coerenti con la propria località. “Per la maggior parte degli utenti non ci sarà alcuna differenza significativa”, confermano gli esperti, se non l’abitudine visiva di vedere .com al posto del consueto .it (o altro ccTLD) nel browser. In altre parole, la user experience rimarrà uniforme e la transizione dovrebbe risultare praticamente trasparente – “un cambiamento piccolo, poche lettere”, come lo ha definito la stampa, che però dietro le quinte nasconde un’importante unificazione tecnica.
Va aggiunto che chi in passato utilizzava espedienti come il link “Google.com” per evitare il redirect locale (ad esempio alcuni utenti italiani preferivano passare da google.com/ncr per avere Google.com in lingua inglese) vedrà quel bisogno venire meno, dato che Google.com sarà l’unica opzione. Chi invece desidera cercare contenuti di un Paese diverso dalla propria posizione (ad esempio un italiano che vuole risultati come li vedrebbe un francese) dovrà utilizzare le impostazioni di Ricerca o parametri specifici per simulare un’altra località, dato che non potrà più semplicemente cambiare dominio. Google già dal 2017 aveva introdotto nelle impostazioni la possibilità di selezionare manualmente un paese per la ricerca, opzione che rimarrà importante per le rare esigenze di questo tipo.
Implicazioni per SEO, webmaster e proprietari di siti web
Sul versante SEO (ottimizzazione per i motori di ricerca) e gestione dei siti web, l’unificazione dei domini Google ha un impatto più tecnico che sostanziale. Google ha chiarito che non ci saranno effetti sul posizionamento o sull’indicizzazione dei siti: “non influirà sul modo in cui la Ricerca classifica i risultati”, ha scritto l’azienda. John Mueller, esperto di Google Search, ha confermato sui social professionali che “nulla è cambiato per la SEO internazionale” con questo annuncio. In altri termini, i siti multilingua o multiregionali devono continuare a utilizzare le pratiche SEO standard (come i tag hreflang
per le versioni in lingue diverse o i domini locali dedicati) esattamente come prima. “Non raccomando di usare i domini di Google come modello da copiare a fini SEO”, ha spiegato Mueller, sottolineando che le scelte infrastrutturali di Google non vanno imitate alla leggera.
Un’azienda globale come Google può permettersi di consolidare tutti i contenuti su un unico dominio grazie ai suoi algoritmi avanzati di geolocalizzazione e personalizzazione; i siti web normali invece continueranno a trarre beneficio da domini locali o strategie mirate per servire diversi mercati. Ad esempio, se un’azienda ha un sito esempio.com e versioni localizzate esempio.it, esempio.fr, non deve affrettarsi a chiudere questi ultimi: per i webmaster nulla cambia in termini di indicazioni a Google su come gestire i contenuti internazionali. Gli attributi come hreflang e i ccTLD rimangono validi strumenti SEO per comunicare a Google le varianti geografiche di un sito. La mossa di Google riguarda solo i suoi propri servizi e “non è un trucco SEO” da replicare.
Per i proprietari di siti web e gli analisti di traffico, l’impatto principale sarà nelle statistiche di provenienza del traffico da Google. Attualmente molti sistemi di analytics distinguono le visite arrivate da google.it, google.fr, google.com ecc. Dopo la migrazione, tutte le visite organiche da Google Search risulteranno provenire da google.com senza differenziazione per paese. Come nota il consulente SEO Joe Davies, “se un’attività vedeva traffico referral da una versione TLD di Google – ad esempio una società UK che riceveva visite tramite google.co.uk – ora quei referral saranno semplicemente attribuiti a google.com”. Dal punto di vista del conteggio, il totale delle visite non cambia, ma sarà aggregato sotto un unico dominio. I responsabili marketing dovranno quindi adattare i report web analytics, perché non potranno più filtrare facilmente il traffico organico per paese di dominio (dovranno usare altri parametri, come la lingua del browser o la località stimata dell’IP).
Alcuni esperti SEO hanno commentato che questa unificazione complica leggermente l’analisi delle performance regionali e il monitoraggio di eventuali differenze di algoritmo tra Paesi. In passato, chi seguiva da vicino gli aggiornamenti di Google poteva confrontare i risultati su google.co.uk vs google.com.br per individuare variazioni locali; d’ora in avanti, essendo tutti su .com, tali confronti richiederanno strumenti più avanzati o l’uso intenzionale di impostazioni di Paese. “Non credo che vedrete cambiamenti da quel punto di vista”, ha rassicurato tuttavia John Mueller riferendosi alla SEO locale, minimizzando l’impatto reale. Dunque, la visibilità dei siti nei risultati di ricerca non subirà modifiche strutturali, e i webmaster non devono intraprendere azioni correttive specifiche se non, eventualmente, aggiornare nei propri manuali o interfacce eventuali riferimenti ai vecchi domini Google.
Come verranno gestiti i redirect e i link esistenti
Google ha confermato che implementerà redirect automatici dalle versioni locali al dominio .com per tutto il traffico in arrivo. In pratica, se un utente o un link richiama www.google.it, il sistema lo redirigerà verso www.google.com, molto probabilmente con un codice di redirect permanente (HTTP 301) per indicare lo spostamento definitivo. Questo significa che i link esistenti a pagine di Google con dominio locale continueranno a funzionare: segnalibri, collegamenti nei siti web, motori di ricerca interni che puntavano a google.it o simili non “romperanno” ma porteranno semplicemente all’equivalente su Google.com. Ad esempio, un modulo di ricerca personalizzata che interrogava google.fr ora restituirà risultati tramite google.com. Google preserverà anche le query inserite nell’URL: una ricerca avviata su google.de/search?q=… verrà trasferita su google.com/search?q=…, mantenendo intatti i termini cercati. In sostanza, l’unificazione avverrà con la massima continuità tecnica possibile, senza perdere richieste per strada.
Non è noto in dettaglio come Big G gestirà ogni singolo dominio nazionale una volta completata la transizione. Molto probabilmente, continuerà a detenere la proprietà di quei domini (per prevenire usi impropri da parte di terzi) ma li configurerà per reindirizzare permanentemente al .com. Per gli utenti, ciò equivale a dire che digitare qualunque vecchio indirizzo nazionale di Google li porterà sul motore globale. I registri dei domini nazionali – le autorità che gestiscono estensioni come .it, .fr, .uk – perderanno di fatto il loro sito più visitato sotto quell’estensione, dal momento che google.com è già da anni il sito più frequentato al mondo. Si tratta però di uno “smacco” principalmente simbolico: l’associazione del brand Google con i domini locali viene meno, ma i registri continueranno a incassare la registrazione annuale di google.it, google.fr, ecc… Google non rinuncerà certo al possesso di quei nomi.
Alcuni esperti di infrastrutture web notano che questa concentrazione del traffico su un solo dominio potrebbe rendere ancora più semplice per alcuni governi bloccare l’accesso a Google, se lo volessero, poiché basterebbe filtrare google.com invece del ventaglio di domini locali. Google dal canto suo ha dichiarato che onorerà gli obblighi legali locali nello stesso modo di prima, il che implica che continuerà ad applicare filtri o rimozioni di contenuti su base geografica (ad esempio per adeguarsi alle leggi europee sul diritto all’oblio o ad eventuali censure nazionali), solo che ciò avverrà all’interno di Google.com.
I contenuti specifici per paese (come Doodle locali o versioni regionali di servizi come News) dovrebbero essere serviti in base alla località o alle impostazioni dell’utente: è presumibile che vedremo la homepage di Google.com personalizzarsi in funzione della festività locale o mostrare link a servizi locali (ad esempio google.com in Italia mostrerà comunque “Offerto da Google Italia” o link a google.it/maps?). Google non ha fornito dettagli su questi aspetti, ma l’esperienza utente locale dovrebbe restare garantita, con i redirect gestiti in modo del tutto trasparente.
Opinioni e reazioni degli esperti del settore
La mossa di Google ha suscitato diverse reazioni tra esperti, analisti e operatori del settore digitale. Molti osservatori SEO e marketer hanno però ridimensionato l’impatto della novità: “Google fornisce risultati basati sulla posizione fin dal 2017, quindi questo cambiamento non è un grande sconvolgimento per gli utenti del motore di ricerca”, ha commentato ad esempio Joe Davies, CEO dell’agenzia SEO FatJoe. In pratica “non sta cambiando nulla” per imprese e siti, a parte qualche differenza nei report di traffico come detto. Anche il noto esperto SEO Barry Schwartz ha evidenziato che non ci saranno cambiamenti nei ranking o nella SEO internazionale, come confermato ufficialmente da Google.
John Mueller di Google, figura di riferimento per i webmaster, ha ribadito che il ruolo dei ccTLD e dei tag geografici rimane invariato per i siti web: “Niente nel funzionamento di hreflang cambia”, ha scritto, smontando l’idea che l’azienda stia abbandonando il concetto di contenuto geolocalizzato. Mueller ha anzi messo in guardia le aziende dal replicare questo modello: il fatto che Google “accorpi” i propri siti non significa che una multinazionale debba dismettere i suoi domini regionali – ogni caso è a sé, e Google può contare su sistemi di personalizzazione molto sofisticati che non sono la norma per tutti.
Altri analisti vedono la scelta come parte di una tendenza più ampia verso la globalizzazione dei servizi online. “Affidarsi ai domini per la localizzazione è pensiero da internet 1.0”, sostiene Tal Elyashiv, fondatore di Spice VC, riferendosi a quando il web si basava su suddivisioni nette per paese. Oggi “i sistemi usano molteplici segnali – IP, cronologia utente, modelli di comportamento – per offrire esperienze iper-personalizzate”, ha osservato Elyashiv, aggiungendo che l’unificazione dei domini riflette l’evoluzione in atto verso un web più intelligente e personalizzato.
In questo senso, la scomparsa dei Google nazionali sarebbe quasi inevitabile, un passo verso un ecosistema unico (lui spinge il ragionamento fino a dire che l’intero modello dei motori di ricerca tradizionali sta correndo verso l’obsolescenza nell’era dell’AI). C’è anche chi, nel campo del SEO, ha inizialmente reagito con sorpresa ritenendo la novità “abbastanza importante”: la consulente Lily Ray ha commentato sui social che è “una bella rivoluzione per chi si occupa di controllare le performance e le differenze negli algoritmi tra regioni diverse”. Ray stessa ha segnalato qualche potenziale criticità nel sistema unificato: ad esempio, ha notato che l’AI generativa di Google (nei risultati sperimentali) a volte mischia fonti di paesi differenti, mostrando riassunti con contenuti non perfettamente localizzati. In un caso, l’overviews dell’AI di Google ha incluso risultati dal Regno Unito per una ricerca effettuata dagli Stati Uniti – segno che ci sono ancora margini di miglioramento nella geolocalizzazione algoritmica.
Queste osservazioni indicano che, mentre la fusione dei domini semplifica l’architettura, Google dovrà assicurarsi che i suoi algoritmi continuino a distinguere le intenzioni locali con precisione, per evitare di fornire risposte “globali” dove l’utente cerca invece qualcosa di specifico del suo Paese. In generale, però, il settore ha accolto la decisione senza allarmismi: associazioni di categoria e grandi inserzionisti non hanno espresso particolari timori pubblici, segno che il cambiamento era in parte atteso e che l’importante è la continuità dei risultati locali, garantita dall’azienda.
Polemiche e reazioni degli utenti
Ogni volta che un servizio ampiamente utilizzato cambia, non mancano le reazioni dagli utenti, sia positive che critiche. In questo caso, molti utilizzatori occasionali di Google probabilmente non si accorgeranno nemmeno della differenza, come hanno sottolineato diversi commentatori. Tuttavia, sui forum e social network alcuni utenti internazionali hanno espresso preoccupazione per casi d’uso specifici.
Ad esempio, un utente francese residente in Spagna ha commentato la notizia definendola “incredibile” in senso negativo, lamentando che secondo lui “Google è terribilmente scarso nel fornire risultati geolocalizzati” e che finora “solo usando Google.fr” riusciva faticosamente a ottenere risultati pertinenti in francese. Questo utente teme che, con google.com unico, ottenere risultati nella lingua desiderata mentre si trova all’estero diventi ancora più difficile. Situazioni particolari come la sua (espatriati o viaggiatori che vogliono risultati del proprio paese d’origine) sono quelle che generano più dubbi: senza il dominio locale a cui affidarsi, dovranno affidarsi completamente ai meccanismi automatici di localizzazione o agire manualmente sulle impostazioni di ricerca.
Altri utenti hanno invece accolto positivamente la novità. “Finalmente! Stava diventando un po’ folle con tutti quei ccTLD, soprattutto viaggiando all’estero”, scrive un commentatore, descrivendo la precedente esperienza come “un ping-pong globale” in cui si veniva reindirizzati da un dominio all’altro a seconda di dove ci si trovava. Con un unico Google.com al comando, la navigazione risulterà più lineare: niente più “giostra di redirect”, ma un solo punto di accesso che servirà comunque risultati geolocalizzati senza ulteriori passaggi. Questo punto di vista sottolinea i vantaggi in termini di chiarezza e semplicità: per l’utente medio, dover ricordare di digitare .it o .es in viaggio, o essere rimbalzato automaticamente tra domini, poteva essere motivo di confusione. Ora l’esperienza sarà coerente: basta andare su Google.com da qualunque luogo e si otterrà ciò di cui si ha bisogno, con Google a gestire il resto.
Non mancano infine le polemiche di principio. Qualcuno accusa Google di arroganza: “È di nuovo l’arroganza dei colossi tech americani. Decidono tutto loro” protesta un utente, aggiungendo con enfasi che “tra qualche anno nessuno userà più questo motore di ricerca gonfiato, il mondo sarà degli LLM” (i modelli di linguaggio tipo ChatGPT). Pur trattandosi di uno sfogo esagerato, riflette un sentimento di una minoranza: la percezione che Google imponga unilateralmente le proprie scelte agli utenti globali, togliendo anche quel minimo di identità locale che erano i domini nazionali.
Alcuni utenti italiani sui social hanno scherzato sul fatto che “ci tolgono pure Google.it”, quasi fosse un pezzo di identità nazionale che sparisce; altri hanno ironizzato chiedendosi se scrivendo google.it verranno reindirizzati a un sito governativo italiano, alludendo in modo facetamente critico alla fiducia in Big G. Nel complesso, però, le discussioni tra il pubblico generico non hanno raggiunto toni drammatici: molti capiscono che si tratta di una modifica tecnica interna a Google e non di un cambiamento nelle funzionalità offerte. Dopotutto, l’esperienza quotidiana di ricerca resterà la stessa, come Google ha più volte ribaduto.
Che altro dire… Beh, addio ai domini locali come Google.it segna la fine di un’era simbolica – quella in cui ci si collegava a “Google Italia” o “Google Francia” – ma non stravolge la sostanza del servizio. Google consolida la sua presenza online sotto un’unica bandiera .com, forte della capacità di riconoscere chi siamo e da dove cerchiamo senza bisogno di chiedercelo nell’URL. Gli utenti italiani continueranno a “googlare” in italiano, quelli francesi in francese, e così via, con buona pace del .it e degli altri domini nazionali che vanno in pensione. Le realtà del web globale del 2025 rendono questa mossa quasi inevitabile: l’importante, per utenti e aziende, è che Google continui a fornire risultati pertinenti e affidabili ovunque ci troviamo, indipendentemente dal dominio – e su questo fronte, Mountain View assicura che nulla cambierà davvero.
Attualità
Il progetto “No Women No Panel” e l’impegno di Roma Capitale per una...

Roma Capitale e Rai rinnovano il loro impegno per la parità di genere nei contesti pubblici e mediatici attraverso il progetto “No Women No Panel – Senza donne non se ne parla”. Martedì 15 aprile, nella suggestiva cornice della Sala del Carroccio in Campidoglio, verranno condivisi i risultati del primo monitoraggio di genere, condotto su 682 eventi organizzati dall’amministrazione capitolina nel 2024. L’indagine, realizzata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di Ricerca sulla Popolazione e le Politiche Sociali, offre una panoramica accurata delle dinamiche di partecipazione femminile e maschile.
Secondo Lucio Pisacane, ricercatore che ha coordinato lo studio, le disparità di genere si riflettono in modo significativo nei settori Scienza ed Economia, dove la presenza maschile prevale. In contrasto, ambiti come Ambiente e Cultura registrano una maggiore parità di partecipazione. Un dato degno di nota riguarda gli eventi legati alla Politica, dove oltre il 50% degli incontri ha visto una predominanza femminile, una tendenza che si discosta nettamente dal panorama nazionale.
Svetlana Celli, presidente dell’Assemblea capitolina, ha sottolineato l’importanza di questa iniziativa per promuovere un cambiamento culturale: “L’obiettivo è offrire una fotografia concreta della situazione attuale e avviare un dialogo costruttivo sulle strategie per garantire equità e inclusività. Il convegno rappresenta un’occasione per riflettere sul ruolo fondamentale delle donne nella comunicazione e nella sfera pubblica, evidenziando la responsabilità condivisa tra istituzioni e media.”
Il monitoraggio ha evidenziato che, nei contesti culturali ed educativi, si registra un equilibrio di genere nel 31% degli eventi, mentre il 40% presenta una maggiore partecipazione maschile e il 28% una prevalenza femminile. Questi dati dimostrano la necessità di continuare a lavorare per abbattere le disparità ancora presenti in molte aree.
Simona Sala, direttrice di Rai Radio2 e promotrice della campagna originaria lanciata da Radio1 nel 2020, ha evidenziato il valore di un’iniziativa nata dal basso e poi abbracciata dall’intera azienda: “Ad oggi, 61 enti hanno aderito al progetto, ribadendo un principio essenziale: le donne meritano di essere equamente rappresentate nei dibattiti pubblici, portando il loro talento, le loro competenze e le loro idee ai centri decisionali.”
Tra i sostenitori del progetto figura anche la scrittrice Dacia Maraini, che ha espresso un appassionato sostegno all’iniziativa: “La comunicazione è uno strumento di partecipazione e responsabilità. Per secoli, le donne sono state escluse da questo diritto. È essenziale riconoscere il valore della parola come mezzo di riflessione e dialogo, capace di sostituire la violenza con il rispetto reciproco.”
Questo progetto, nato su impulso della Commissione europea e rilanciato dalla Rai, rappresenta un passo significativo verso una società più equa e inclusiva, in cui il contributo femminile trovi finalmente il giusto spazio e riconoscimento.
Attualità
Un nuovo capitolo di amicizia tra Italia e Regno Unito, il tour di Re Carlo III e Camilla

Siamo stati testimoni di giorni intensi, pieni di slanci simbolici, abbracci inattesi e passaggi solenni. A dire il vero, non ci aspettavamo un carico emotivo così coinvolgente. Quando si è parlato di una visita di Stato in Italia da parte di Re Carlo III e della Regina Camilla, pensavamo a qualcosa di formale, di rigido. E invece ci siamo ritrovati davanti a un viaggio che ha miscelato storia, attualità e sorrisi a stretto contatto con la gente. Un itinerario tra Roma e Ravenna che, oltre a rinforzare i rapporti tra i nostri due Paesi, ci ha fatto respirare un senso di vicinanza e calore.

Forse lo sentite anche voi, quel senso di stupore che ci rimane addosso pensando alle migliaia di persone dietro le transenne. Ai saluti scambiati, ai riferimenti culturali e all’affetto mostrato dai sovrani britannici. Non si è trattato di un semplice passaggio formale. Lo abbiamo visto con i nostri occhi: c’è stata voglia di incontrarsi e mettersi in gioco, dal discorso storico davanti al Parlamento fino alla passeggiata tra i mosaici bizantini. Proviamo a riannodare i fili di questi quattro giorni di visita, riorganizzando in maniera del tutto personale ciò che abbiamo vissuto. E vogliamo condividere con voi ogni dettaglio, quasi come se fossimo ancora lì, mescolati tra la folla.
Ravenna come tappa finale: un bagno di folla inaspettato
Vogliamo partire dalla fine. Succede spesso, no? Si guarda alla conclusione e da lì, si srotola la matassa per tornare indietro. L’ultima fermata di Carlo III e Camilla in terra italiana è stata Ravenna, città che di solito si immagina tranquilla, serena, quasi un gioiello discreto e lontano dalla mondanità tipica della capitale. Invece, il 10 aprile 2025, abbiamo assistito a un momento straordinario: la coppia reale, proveniente da Roma in aereo, è atterrata a Forlì per poi raggiungere Ravenna su quattro ruote. Nel centro storico, migliaia di persone li attendevano con bandierine tricolori e Union Jack sventolanti. Voi potete immaginare lo stupore di una città che, proprio in quell’istante, celebrava anche l’80º anniversario della Liberazione della provincia dal nazifascismo?

È stato come unire la memoria storica al presente, in un saliscendi emotivo di quei valori che accomunano Italia e Regno Unito da tanto tempo. Le parole d’ordine che abbiamo colto erano: rispetto, condivisione, ricordo. E sì, anche festa. Tanta festa. Il re e la regina hanno salutato tutti, facendo deviazioni dal percorso per stringere mani e scambiare parole gentili, protetti dalla scorta ma sempre aperti al contatto umano.
Un omaggio a Dante che ci ha commosso
Uno dei momenti più intensi l’abbiamo vissuto presso la Tomba di Dante. Cercate di immaginare la scena. Carlo III e Camilla a pochi passi dal sepolcro del Sommo Poeta, immersi in un silenzio quasi sacrale, seguiti da bambini che declamano versi della Divina Commedia con vocine sottili, tremanti per l’emozione. Attorno a noi, un sole caldo, tipicamente primaverile, si infilava tra i palazzi storici di Ravenna, creando un’atmosfera sospesa. Davvero, noi respiravamo l’eco della grande letteratura italiana e sentivamo, con tutta la pelle, il rispetto sincero mostrato dal re.
Ha colpito tutti il fatto che Carlo, notoriamente appassionato di arte e cultura, abbia ascoltato attentamente la preghiera di San Bernardo recitata da un’attrice locale. Non c’è stata fretta, non c’è stato stress di calendario. Sembrava che ogni parola dantesca risuonasse con forza. In quell’istante, abbiamo percepito una specie di ponte immaginario tra due tradizioni: l’amore inglese per i capolavori italiani e la fierezza tutta nostra di custodire un patrimonio poetico ineguagliabile.
Camilla e Byron: un legame letterario

Mentre Carlo si addentrava tra i mosaici bizantini di San Vitale e del Mausoleo di Galla Placidia (dove pare si sia fermato più a lungo del previsto, rapito dalle tessere dorate che brillano alla luce), Camilla si è diretta a Palazzo Guiccioli, un luogo che custodisce cimeli del poeta inglese Lord Byron. Sapete, lei è da sempre impegnata nel promuovere la lettura e la tappa ravennate si è rivelata perfetta per celebrare quest’anima letteraria. Ci è piaciuto vedere la regina interessarsi ai manoscritti antichi, sfiorare l’anello dell’amante di Byron e scambiare parole con i curatori del museo. Prima di congedarsi, ha pure lasciato in dono una selezione di libri in inglese a scuole e biblioteche locali: un gesto concreto per sottolineare come la cultura possa unire i popoli in profondità.
Il Consiglio Comunale e la memoria della Liberazione
Forse lo sapete già, magari qualcuno no, ma l’ultimo giorno di visita era anche l’anniversario della Liberazione di alcune zone romagnole dalle truppe nazifasciste. Una data importante, di quelle che non puoi dimenticare: era il 10 aprile del ’45, e quei giorni ce li hanno raccontati cento volte i nostri nonni, con tutta la rabbia, il sollievo, le lacrime di allora. Quella mattina, nel Palazzo Comunale, ci siamo trovati davanti Sergio Mattarella, serio e commosso come al solito, con gli occhi che dicevano più di qualsiasi parola.

Sentire ricordare il coraggio dei soldati britannici, quelli che erano venuti fin qui per aiutarci quando tutto sembrava perso, è emozionante. E se chiudi gli occhi riesci quasi a immaginarli, quei ragazzi lontani da casa, così giovani e così coraggiosi, che forse non sapevano nemmeno dove fosse Ravenna sulla mappa. Ma erano qui, con noi, e Carlo lo sa bene. Ecco perché le sue parole in italiano, un po’ incerte e un po’ vere, ci hanno fatto tremare il cuore.
Vedere Carlo III onorare la memoria di soldati e civili ci ha scaldato il cuore e le parole in italiano pronunciate dal re – con un accento imperfetto ma sincero – sono risuonate come un omaggio profondo. L’abbraccio tra lui e Mattarella, alla fine, non era affatto programmato nel rigido protocollo: eppure è accaduto, spontaneo, commovente. Noi lo consideriamo un segno di quell’amicizia che si rinnova, uno sguardo al passato per costruire il futuro.
Un festival enogastronomico come congedo
Dopo tutto questo, i reali non se ne sono andati senza un’ulteriore immersione nella cultura locale. Nella piazza principale di Ravenna, era stato allestito un piccolo festival gastronomico dedicato proprio ai prodotti tipici dell’Emilia-Romagna e alle specialità britanniche. Lì, tra salumi, formaggi e qualche goccia di ottimo whisky scozzese, Carlo e Mattarella hanno brindato con un insolito abbinamento di Parmigiano Reggiano e single malt. Un colpo d’occhio, ve lo assicuriamo, che non capita ogni giorno. E Camilla? Si è persino messa ai fornelli (anzi, al mattarello) per tirare la sfoglia e chiudere i cappelletti. Una scena quasi surreale: la Regina d’Inghilterra, abile con la pasta all’uovo, incoraggiata dallo chef Massimo Bottura.
Solo in seguito, verso le 16, Carlo e Camilla hanno lasciato Ravenna diretti all’aeroporto, mentre la folla li salutava con bandiere e cori. Noi siamo rimasti lì, frastornati e felici. Crediamo che questa conclusione trasmetta bene lo spirito di un viaggio che non ha voluto rimanere chiuso nei confini del protocollo. Prima di procedere al racconto cronologico inverso, cerchiamo di prendere fiato e guardare a come è iniziata tutta questa avventura.
L’arrivo a Roma: solenni onori militari e un gelato tra i vicoli
Facciamo un salto indietro. Il 7 aprile 2025, Re Carlo III e Camilla atterrano all’aeroporto di Ciampino, accolti dal classico tappeto rosso, dalle bandiere e dalla banda che intona gli inni nazionali. C’è anche l’ambasciatore britannico Ed Llewellyn, quello italiano Inigo Lambertini e una delegazione governativa guidata dal Cerimoniale diplomatico. È la prima volta che Carlo visita ufficialmente l’Italia da sovrano e si sente tutta la solennità del momento. Ma la stanchezza del lungo viaggio non sembra rallentarlo: a 76 anni, con qualche problema di salute recente, decide comunque di affrontare un tour intenso. E noi, ancora una volta, ci stupiamo della sua energia.
La deposizione della corona all’Altare della Patria
Il giorno seguente, 8 aprile, si apre con le cerimonie ufficiali al Quirinale. Il Presidente Sergio Mattarella riceve i reali con tutti gli onori: un protocollo quasi da manuale, che si conclude con l’omaggio ai caduti davanti al Milite Ignoto. Che colpo d’occhio, però, quando si sono levate in volo insieme le Frecce Tricolori italiane e le Red Arrows britanniche. A Piazza Venezia, l’aria risuonava del rumore dei jet, mentre nel cielo si mescolavano strisce colorate di fumo rosso, bianco e verde. Una perfetta sintesi del rapporto di alleanza tra i due Paesi, che negli anni si è mantenuto saldo anche attraverso momenti difficili della storia europea.
Immergersi nell’arte: Colosseo e studenti festosi

Nei pomeriggi a Roma siamo stati testimoni di qualcosa che non ti aspetti da un re. Carlo, che lo sappiamo tutti quanto sia fissato con l’arte, era lì dentro al Colosseo, proprio lì, con Alberto Angela che gli spiegava ogni angolo, ogni crepa. Lui ascoltava, annuiva, indicava e noi lì, a guardarli da lontano pensando che fosse una scena quasi normale, come quando vai in giro con un amico che sa tutto di tutto e tu lo segui incantato, cercando di non perdere nemmeno una parola.
E poi c’era Camilla. Lei aveva quell’aria di chi non vuole stare lì solo per fare presenza, no no, si vedeva che voleva capire, sentire, immergersi dentro quelle storie lontanissime, quelle delle donne romane che mica avevano le stesse libertà delle signore di corte. Insomma, era curioso vedere il re fermarsi davanti ai pannelli che raccontavano di restauri, mattoni e secoli passati, e Camilla che con occhi accesi, un po’ commossa, sembrava davvero voler capire com’era la vita di quelle donne che non hanno mai avuto voce nella Storia.

Ma non è tutto. Ancor prima di entrare, la coppia si è fermata a chiacchierare con un gruppo di studenti di scuole britanniche a Roma. Un incontro gioioso, tra selfie veloci e qualche scambio di battute in inglese. Ci ha strappato un sorriso vedere come Camilla rispondesse ai bambini con pazienza, chiedendo di loro, del loro vissuto a Roma, delle differenze rispetto al Regno Unito. Quasi un piccolo bagno di folla, in un contesto carico di storia millenaria.
Una serata informale tra alberi e solidarietà
Nella stessa giornata, i sovrani hanno varcato il cancello di Villa Wolkonsky, residenza dell’ambasciatore britannico. Lì, in un’atmosfera più rilassata, hanno incontrato la comunità inglese residente in Italia: imprenditori, accademici, artisti. Davvero, chiunque si muova tra i due Paesi, in qualche modo, ha trovato un riferimento in quell’incontro. Carlo, che da sempre si batte per la tutela dell’ambiente, ha piantato un alberello di pioppo, donato da Mattarella, nei giardini della Villa. Ha scherzato, dicendo che spera di vivere abbastanza per vederlo crescere sul serio. È un’immagine che ci ha colpito. Non tanto per il gesto in sé, ma per la spontaneità di quell’auspicio.

Nel parco, inoltre, esperti della sua Circular Bioeconomy Alliance gli hanno mostrato studi su specie invasive e riforestazione. Carlo era attentissimo, facendo domande su come si possano monitorare i cambiamenti climatici nelle aree urbane. Nel frattempo, Camilla si è soffermata a chiacchierare con il personale, apprezzandone il lavoro quotidiano e mostrando la sua tipica curiosità per ogni dettaglio organizzativo. Una chiusura di giornata tra chiacchiere, sorrisi e un leggero vento serale che accarezzava i giardini della residenza.
Il discorso a Montecitorio: un momento “storico” davvero


Se si parla di discorsi storici, di solito pensiamo a quei comizi che restano nella memoria collettiva. Ebbene, il 9 aprile 2025, Carlo III ha parlato di fronte al Parlamento italiano riunito in seduta comune. Non era mai successo che un monarca britannico, in veste di capo di Stato, prendesse la parola nell’Aula di Montecitorio. Ma non è stato solo questo a renderlo memorabile: Carlo ha scelto di farlo proprio nel giorno del ventesimo anniversario di nozze con Camilla, toccando temi profondamente legati al rapporto fra Italia e Regno Unito.
Ha iniziato con un italiano piuttosto chiaro, accogliendo un applauso generale e poi si è concesso la sua lingua madre per il cuore del discorso. Ha ricordato l’influenza culturale italiana su Shakespeare, i momenti drammatici della Seconda guerra mondiale e l’eroismo della Resistenza. Ha citato Giovanni Falcone, ricordando la visita di Elisabetta II a Capaci subito dopo l’attentato, e ci è sembrato davvero che l’Aula fosse percorsa da un brivido, testimoniato dalla standing ovation dei parlamentari.
Forse la parte che più ci ha colpiti è stata la chiusura: “E poi uscimmo a riveder le stelle,” ha detto in italiano, citando Dante e tirando in ballo quell’idea di speranza dopo le difficoltà. Un messaggio potente, se pensiamo al contesto geopolitico attuale, con la guerra in Ucraina e tante altre tensioni globali. È stato un invito a stringere ancora di più la collaborazione tra i nostri due Paesi, nonostante le divergenze e le complessità. Non è un segreto che Regno Unito e Italia condividano sfide su vari fronti, dalla sostenibilità all’innovazione tecnologica, dalla difesa comune ai flussi migratori. Abbiamo percepito la sua volontà di ricordarci: siamo tutti europei, nonostante la Brexit e i confini politici.
Dividersi i compiti: ambiente e istruzione


Quella mattina, mentre Carlo si confrontava con la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni sulle sfide bilaterali, Camilla si dedicava a un programma tutto suo, visitando una scuola elementare della capitale. Nei corridoi decorati con disegni e cartelloni, la regina ha ascoltato letture di fiabe, parlando con insegnanti e bambini, regalando sorrisi e parole di incoraggiamento sull’importanza della lettura. Lei lo ha detto chiaramente in altre occasioni: la cultura deve essere accessibile, amata e praticata, fin dall’infanzia.
In contemporanea, Carlo partecipava a una tavola rotonda su ambiente ed energia pulita nel quartiere Testaccio, dentro gli spazi riqualificati dell’ex Mattatoio. All’incontro c’erano esperti e lo stesso Presidente Mattarella. L’idea era di discutere le possibili sinergie su progetti ecologici e scambi di know-how tra Italia e Regno Unito. L’attenzione di Carlo per le questioni ecologiche è nota e non ha perso occasione per ribadire che siamo davanti a una sfida epocale, che richiede collaborazione globale.
Una passeggiata e un gelato: la Roma informale di Carlo e Camilla

Al termine del discorso in Parlamento, i sovrani hanno sorpreso tutti. Hanno deciso di farsi una passeggiata a piedi per le strade del centro. Senza avvisare troppo, così, all’improvviso, scortati ma comunque abbastanza vicini ai passanti. Come fa un re a camminare tra la folla di Roma? Ve lo diciamo noi: con un sorriso e qualche parola gentile. Qualcuno in strada ha persino offerto loro un fiore, altri scattavano foto increduli. E poi, all’angolo di una gelateria, ecco la sosta più gustosa dell’intera giornata: Carlo e Camilla che assaggiano un cono alla crema. Sembravano divertiti, un po’ come due turisti in vacanza. Un flash da ricordare, assolutamente.
L’incontro con il Papa: un gesto di reciprocità e stima
Quella sera del 9 aprile ci sembrava già piena, fitta di incontri e cose ufficiali, ma poi… poi è successo qualcosa che non era neanche sicuro succedesse. Papa Francesco, che sapete tutti stava ancora poco bene, ha voluto vederli lo stesso, Carlo e Camilla. E noi ci siamo ritrovati a immaginare quest’incontro così delicato, così intimo. Lì, a Casa Santa Marta, senza telecamere, senza clamore. Una cosa breve, sì, venti minuti appena, ma a volte bastano davvero pochi minuti per sentirsi vicini.

E allora il Papa ha augurato loro ogni felicità, per quei vent’anni di matrimonio che cadevano proprio quel giorno. E Carlo e Camilla, con quel sorriso un po’ timido, un po’ commosso che ci siamo abituati a riconoscere, hanno detto qualcosa come “stia bene, rimetta presto forza.” Non erano frasi fatte, era proprio quel genere di parole che dici quando vuoi bene a qualcuno, anche se magari non lo conosci così bene, però senti che un filo vi lega.
Questo filo, stavolta, era ancora più forte, perché dai, diciamocelo chiaramente: vedere il capo della Chiesa cattolica che abbraccia il re d’Inghilterra è qualcosa che ti lascia lì, un attimo sospeso, a pensare. Carlo lo aveva già visto nel 2019 e poi ancora a Londra per i funerali di Elisabetta, ma questa volta c’era un qualcosa in più, quel sentire comune che dice “siamo qui insieme, cerchiamo di fare qualcosa di buono per il mondo.” In tempi come questi, forse, ci serve proprio questo.
Il banchetto di Stato al Quirinale: formalità e battute fuori protocollo




Poche ore dopo l’incontro papale, la coppia reale si è diretta al Palazzo del Quirinale per il banchetto ufficiale. Stavolta, l’atmosfera era più solenne. Nel Salone delle Feste, circa 150 invitati di alto profilo (figure istituzionali, personaggi della cultura e imprenditori di prestigio) attendevano i reali. Il Presidente Mattarella, nei suoi saluti, ha ricordato la lunga storia di rapporti bilaterali tra i nostri Paesi, sottolineando come i valori democratici che condividiamo siano un solido collante.
Carlo, da parte sua, ha stupito tutti con un’uscita ironica: “Grazie, signor Presidente, per aver organizzato questa cena romantica a lume di candela giusto nel giorno del nostro anniversario.” Una battuta, certo, ma che ben riassume il tono disteso della serata. Menù di classe, con tanto di verdure biologiche dall’orto presidenziale e spigola al sale come piatto principale. Brindisi con spumante italiano, foto ufficiali, strette di mano. In quei momenti, ci pareva di respirare un’aria di reciproca ammirazione. Carlo ha anche fatto un piccolo elogio a Mattarella, definendolo “il più longevo” presidente italiano, un modo carino per riconoscere la continuità istituzionale che tanti ci invidiano.
Verso il Nord: il volo dalla capitale alla Romagna

Dopo tre giorni romani così pieni, Carlo e Camilla non avevano ancora finito. La mattina del 10 aprile, la coppia è salita su un jet privato, diretta in Emilia-Romagna. Noi non sapevamo se attendere uno stile più soft, magari un rapido saluto. Invece si è rivelata una giornata entusiasmante – come abbiamo già raccontato: atterraggio a Forlì, spostamento a Ravenna, folla e celebrazioni. Quel legame tra la Romagna e il Regno Unito affonda le radici nella storia della Seconda guerra mondiale, e possiamo dire che la visita reale ha voluto ricordare tutti quei giovani soldati, italiani e britannici, che hanno combattuto fianco a fianco sul nostro suolo.
Raccontare questi quattro giorni ci fa sentire come se avessimo sfogliato un album di foto che mescola momenti istituzionali e scatti presi al volo: il discorso di fronte al Parlamento, gli incontri con studenti, l’emozione a Ravenna. Ci ha dato l’idea di un messaggio forte: Italia e Regno Unito condividono valori e obiettivi comuni. Basti pensare alla difesa dell’Ucraina, alla volontà di stabilizzare l’Europa di fronte a conflitti e incertezze, agli sforzi sulla sostenibilità ambientale, al progetto congiunto per lo sviluppo di un caccia militare di nuova generazione. Non è retorica, perché tutto questo emerge dai fatti, dalle parole del re, dai sorrisi di Camilla mentre si confronta con la gente.
Le reazioni della stampa italiana
I media nazionali hanno parlato di un re “molto più empatico e politico” del previsto. La Repubblica ha sottolineato il modo abile in cui Carlo ha miscelato riferimenti colti – Shakespeare e Dante – e tematiche popolari. Il Corriere della Sera ha evidenziato la capacità del sovrano di muoversi da statista europeo, pur essendo monarca di un Paese che ha scelto la strada della Brexit. E poi la citazione di Falcone, l’omaggio alla Resistenza, la menzione delle Frecce Tricolori e delle Red Arrows insieme: momenti che hanno toccato la sensibilità di un Parlamento spesso diviso, ma che in quella circostanza si è unito in un unico applauso.
Le reazioni della stampa britannica
Oltre Manica, la BBC e il Times hanno raccontato con orgoglio la calorosa accoglienza italiana, celebrando un re che ha saputo parlare italiano in Aula e confrontarsi con i vertici politici e culturali del nostro Paese. The Guardian ha posto l’accento sul valore geopolitico del viaggio, in un periodo in cui il Regno Unito mira a rafforzare le relazioni con gli alleati europei. Hanno anche esaltato l’incontro con Papa Francesco, considerandolo un tassello simbolico di riconciliazione, data la storia delle due confessioni cristiane. E c’è stato un certo clamore per le scene più “leggere,” come il gelato in centro o la passeggiata tra la gente a Ravenna.
L’entusiasmo locale
In Emilia-Romagna, giornali come Il Resto del Carlino hanno pubblicato pagine intere di fotografie e titoli che gridano: “Una visita che entra nella storia di Ravenna.” Gli abitanti hanno risposto con calore genuino, e molti raccontano con emozione di aver stretto la mano a Carlo o a Camilla. Alcune signore anziane hanno parlato di un evento mai visto in città, un vero e proprio bagno di folla. Se a Roma si è percepito un clima più istituzionale, a Ravenna si è creato un mix di festa popolare e celebrazione storica.
Domande aperte sul futuro
Che cosa resterà di questo tour? Boh, a dirla tutta, non lo sappiamo mica così bene nemmeno noi. Magari resterà solo qualche ricordo un po’ sbiadito, qualche foto sul telefono o un video un po’ mosso fatto mentre Carlo e Camilla passavano lì vicino. Però, ecco, stavolta ci è sembrato che qualcosa di diverso ci fosse davvero. Abbiamo sentito un orgoglio strano, una sensazione bella, vera. Tipo quando ti rendi conto che qualcuno ci tiene sul serio a ciò che dici e pensi, e non sta lì solo per fare scena. Carlo III che parlava di Europa con quel suo modo gentile, quel suo accento un po’ traballante, ci ha toccato, inutile negarlo.
E poi vedere loro lì, in mezzo a noi, con le facce sorridenti e curiose come quelle di due che sono davvero interessati alla gente comune… beh, ci è piaciuto un sacco. È questo che resta, forse: un po’ di calore, quella sensazione che qualcosa di buono e sincero possa nascere ancora tra noi e loro. Niente di enorme, niente promesse infinite, però qualcosa di vero, sì. E forse, alla fine, è proprio questa la cosa più bella.
Una visita che celebrava anche un anniversario di nozze
Non dimentichiamo un elemento simbolico: i vent’anni di matrimonio di Carlo e Camilla cadevano esattamente il 9 aprile. Forse, a un certo punto, abbiamo anche sorriso all’idea che un re e una regina celebrassero le proprie nozze in giro per l’Italia, tra discorsi alle Camere e incontri con il Papa. È un accostamento singolare, ma in fin dei conti non così strano se consideriamo che la diplomazia spesso si intreccia alla dimensione umana. Carlo lo ha detto chiaramente in Parlamento, con tono ironico: “Spero di non rovinare la lingua di Dante.” Un modo per ridere di sé, un po’ come fanno tanti turisti inglesi che arrivano da noi per la luna di miele o per una vacanza speciale. Il fatto che loro siano sovrani non cambia la voglia di godersi il nostro Paese in un momento per loro significativo.
Piccoli gesti che hanno fatto la differenza

Se ci fermiamo a riflettere, è un viaggio pieno di simboli. L’albero piantato, il coro di bambini davanti alla Tomba di Dante, l’abbraccio col presidente Mattarella, la passeggiata imprevista tra i passanti romani, la sfoglia tirata da Camilla a Ravenna, i riferimenti a Falcone e all’impegno contro la mafia. Ognuno di questi episodi ha una propria piccola “anima.” Da giornalisti (ma soprattutto da esseri umani), abbiamo trovato in questi gesti un senso di calore che non sempre si riscontra nelle visite di Stato. A volte capita di vedere sfilare le auto blu, ascoltare i discorsi formali, prendere nota di frasi diplomatiche di circostanza. Stavolta, però, abbiamo percepito qualcosa di più. Ci è parso che Carlo e Camilla volessero davvero “vivere” questi quattro giorni, lasciando un segno personale.
Anche le istituzioni del nostro Paese hanno avuto parte attiva. Pensiamo al Presidente Mattarella, che ha accolto i reali fin dal primo giorno, accompagnandoli in diversi momenti cruciali, come l’omaggio al Milite Ignoto e il banchetto al Quirinale. O all’idea di invitare Carlo a parlare davanti a deputati e senatori riuniti a Montecitorio, un privilegio concesso a poche personalità di spicco. Senza dimenticare la partecipazione delle forze armate, la presenza costante di rappresentanti del governo e dei ministeri competenti, l’attenzione dei sindaci di Roma e Ravenna, delle autorità religiose e locali. Tutto ha concorso a creare la giusta cornice a un evento di portata non comune.
Uno sguardo ai legami futuri
La visita si è conclusa, ma la scia di emozioni e progetti rimane. Sul piano geopolitico, non è un mistero che la Gran Bretagna stia cercando sponde affidabili in Europa in un momento in cui il continente affronta diverse criticità, da questioni economiche a conflitti internazionali. L’Italia, dal canto suo, punta a mantenere un dialogo stretto con un Paese che resta un interlocutore di primaria importanza, soprattutto in tema di difesa e cooperazione scientifica. L’interesse comune per la transizione ecologica potrebbe portare a collaborazioni in settori come le energie rinnovabili o la tutela delle foreste, temi che Carlo e Camilla non hanno mancato di evidenziare con gesti tangibili.
Un viaggio che ci ha fatto sentire uniti

Se ci chiedete cosa ricordiamo di più di questi quattro giorni, potremmo rispondere in modo sparso, un po’ confuso, magari. Un re che passeggia in centro a Roma e si ferma per un gelato. Una regina che tira la sfoglia in una piazza romagnola gremita. Un discorso in Parlamento che strappa applausi bipartisan. Un omaggio alle vittime del passato, con la deposizione di corone di fiori o l’evocazione dei magistrati antimafia. Il suono di “Romagna Mia” nella piazza di Ravenna, mentre un corteo di curiosi si allunga dietro i sovrani. Il Papa che, nonostante la convalescenza, decide di ricevere Carlo e Camilla, quasi come un atto di amicizia personale verso di loro.
Tutti frammenti che compongono il ritratto di una visita intensa, capace di mescolare protocollo e autenticità, storia e futuro. Speriamo di essere riusciti a farvi respirare il clima, le emozioni contrastanti, la meraviglia della gente comune e l’importanza geopolitica di questo evento. Perché parlare di politica estera non significa rinunciare a un racconto umano. Anzi, è proprio nella fusione di questi elementi che si crea l’interesse genuino. Lo stesso interesse che, siamo certi, porterà i nostri Paesi a cercare nuove occasioni di collaborazione, a battersi per i valori condivisi e a rimanere connessi. Nonostante gli inevitabili cambiamenti della storia.
Questi quattro giorni ci hanno mostrato un volto familiare e cordiale della monarchia britannica, un volto che dialoga con l’Italia e ne apprezza il patrimonio, la gente, la cultura. Noi, dal canto nostro, abbiamo risposto con lo slancio tipico di chi ama l’ospitalità, sperando di aver fatto sentire Carlo e Camilla non ospiti occasionali, bensì amici di lunga data.
Sì, in fondo, uscimmo a riveder le stelle anche noi, con la promessa reciproca di non smettere di collaborare, di costruire ponti, di sognare insieme un’Europa e un mondo più sicuri, più giusti, più consapevoli di ciò che significa vivere sullo stesso pianeta. E in un certo senso, l’albero piantato a Villa Wolkonsky ci ricorda proprio questo: siamo parte di una storia che continua a crescere e chissà, magari saremo qui abbastanza a lungo per vederla portare i suoi frutti.
«In fondo, i confini sono soltanto linee che noi stessi abbiamo tracciato: quando due popoli si guardano negli occhi e decidono di camminare insieme, la storia diventa semplicemente il racconto di una grande amicizia.» (Junior Cristarella)
Attualità
Giustizia in discussione, cosa cambia l’8 e 9 giugno?

Ci ritroviamo con un groppo alla gola quando pensiamo alle giornate dell’8 e 9 giugno. Voi, magari, sentite mille voci in tv e ovunque, ognuna che parla di separazione delle carriere, custodia cautelare, responsabilità civile. Ma siamo davvero consapevoli di quanto questo voto possa trasformare il cuore della giustizia italiana?
Siamo un po’ smarriti noi stessi, ammettiamolo. Non è facile orientarsi tra mille proposte e controproposte. Eppure sentiamo che, se non ci fermiamo un momento a riflettere, rischiamo di perdere un’opportunità storica. I quesiti referendari, in sintesi, puntano a ridefinire la magistratura e le sue funzioni. Alcuni dicono: “Sarà la svolta che aspettavamo”. Altri rispondono: “Attenzione ai contraccolpi, potreste pentirvene”.
Il nodo della separazione delle carriere
Ci preme cominciare da questa proposta, che chiede di distinguere in modo netto il ruolo del giudice da quello del pubblico ministero. Secondo i promotori, serve a garantire processi più bilanciati e soprattutto, un giudice imparziale. Contrari? Tantissimi magistrati, che avvertono il rischio di “ingabbiarsi” in percorsi rigidi e burocratici. Chi ha ragione? Forse un po’ tutti, e il voto sarà l’occasione per mettere un punto (o almeno un’ipotesi di punto) a questo eterno scontro.
Spesso, noi stessi abbiamo ascoltato storie di persone in carcere in attesa di giudizio. Si parla di limitare il ricorso alla custodia cautelare, specialmente laddove si invochi il pericolo di reiterazione per determinati reati. I sostenitori di questo quesito insistono sull’importanza di non trasformare la carcerazione preventiva in una pena anticipata. Ma i contrari replicano: “E se invece così favoriamo chi delinque, rendendo più vulnerabile la collettività?”. Ci troviamo di fronte a un dilemma che tocca corde sensibili e non solo per gli addetti ai lavori.
Maggiore coinvolgimento di avvocati e professori
Un altro punto in discussione riguarda la valutazione dei magistrati. Alcuni gruppi vogliono dare più peso ai membri laici dei Consigli giudiziari, puntando a una maggiore trasparenza. All’opposto, c’è chi teme ingerenze esterne, magari spinte da interessi politici. Noi ci chiediamo: è giusto che avvocati e professori possano pronunciarsi in modo vincolante sul lavoro di un magistrato? O si rischia di minare quel prezioso equilibrio tra poteri dello Stato?
Poi c’è il tema più esplosivo: la responsabilità civile dei magistrati, proposta che punta a rendere i giudici chiamabili in causa per errori commessi nell’esercizio delle loro funzioni. Secondo alcuni sostenitori, è l’unica strada per contenere gli abusi. Ma dall’altra parte si paventa una magistratura intimidita, costretta a valutare con il timore di incorrere in cause personali. Chi di noi vorrebbe un giudice che decide con il freno a mano tirato?
La Legge Severino e l’incandidabilità
C’è anche chi ha chiesto di rivedere la cosiddetta Legge Severino, soprattutto sul fronte dell’incandidabilità automatica. Sostenerne l’abrogazione parziale significa restituire il principio di innocenza fino a sentenza definitiva, dicono i promotori. Eppure c’è chi, con la stessa forza, difende questa norma come baluardo di legalità nella politica. È una garanzia di trasparenza? O un meccanismo eccessivo?
Due fronti a confronto
Non dobbiamo stupirci se i partiti di centrodestra insieme ad alcune forze liberali e radicali spingono per queste modifiche, mentre buona parte della magistratura (appoggiata da centrosinistra e Movimento 5 Stelle) difende l’assetto attuale. Ogni giorno, in tv o sui social, sentiamo discorsi forti: c’è chi vede un’epoca nuova, chi invece ci ricorda i pericoli di un magistrato indebolito.
Avete presente quel 50% più uno di cui si parla sempre? Se non raggiungiamo quella soglia, il referendum rimane lettera morta. Quanti di noi si recheranno effettivamente alle urne? La storia insegna che sui temi complessi, spesso, l’affluenza fatica a decollare.
Alla fine, ci troviamo davanti a un bivio che tocca l’equilibrio tra sicurezza, presunzione di innocenza e indipendenza dei giudici. Con questo referendum, potremmo assistere a una trasformazione radicale, o a un nulla di fatto se il quorum non verrà raggiunto. L’8 e 9 giugno, saremo noi cittadini a decidere la direzione. Prepariamoci a queste due giornate con la consapevolezza di quanto posta in gioco ci sia: la giustizia è di tutti e non possiamo permetterci di restare a guardare.
Attualità
Dona il tuo 5×1000 per aiutare gli animali in difficoltà

Con un semplice gesto che non ti costa nulla, puoi fare la differenza nella vita degli animali che ogni giorno lottano per la loro sopravvivenza. Scegli di destinare il tuo 5×1000 alla Lega Italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente Onlus, con Presidente l’onorevole Michela Vittoria Brambilla, e contribuisci concretamente alla nostra azione in favore degli amici a quattro zampe.

Come fare? Basta un gesto facile e veloce. Nei moduli della dichiarazione dei redditi CUD, 730 e Modello Unico, troverai la sezione “Scelta per la destinazione del cinque per mille dell’IRPEF”. Una volta individuato il riquadro, “Sostegno degli enti del Terzo settore iscritti nel Runts di cui all’art. 46, C.1 del D.LGS 3 luglio 2017 […]”, firmalo e inserisci il codice fiscale della Lega Italiana Difesa Animali e Ambiente Onlus: 02692940139. In questo modo, potrai destinare il tuo 5×1000 a una causa che ogni giorno migliora la vita degli animali in difficoltà.
Fai sentire la tua voce! Non fermarti a fare solo il tuo gesto: invita i tuoi amici a fare altrettanto, condividendo la nostra brochure informativa e sensibilizzando più persone possibili. Ogni firma è un passo in più verso un futuro migliore per gli animali. Con il tuo 5×1000 possiamo continuare a garantire sostegno e protezione a chi non può difendersi. Grazie per il tuo prezioso contributo. Per maggiori informazioni, visita il nostro sito o contattaci direttamente.
Lega Italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente Onlus
Attualità
Adriano Formoso lancia il nuovo singolo “Né rabbia né dolore”: un inno alla...

“Né rabbia né dolore”, il nuovo singolo di Adriano Formoso, il cantaterapeuta di “Tutto il bello che c’è” in onda su Rai 2 e condotto da Silvia Vaccarezza. Il musicista psicologo, ricercatore in neuroscienze e protagonista del Formoso Therapy Show, in uscita l’11 Aprile 2025 giorno in cui si troverà su tutte le piattaforme digitali .
L’artista di origine arbëreshë e milanese d’adozione coniuga musica e psicologia nei suoi lavori, offrendo strumenti emotivi e riflessivi per il cambiamento personale e sociale.

“Né rabbia né dolore” propone una nuova prospettiva: affrontare la violenza non solo attraverso la repressione dell’aggressore, ma sostenendo le donne nel difficile “percorso di consapevolezza, aiutandole a spezzare il legame con la sofferenza, la paura e la negazione del proprio valore” afferma lo specialista cantautore. Formoso scrive nel suo libro “Nascere a tempo di rock” che “quando due individui litigano, collaborano anche se l’uno ha il sopravvento sull’altro. Basti che uno dei due si allontani dal luogo del pericolo e il fenomeno si placa”.

Con questo brano intenso e coinvolgente, Formoso si rivolge in modalità non direttiva e con intenso linguaggio poetico alle donne che hanno vissuto o vivono situazioni di abuso e violenza, con un messaggio tanto delicato quanto rivoluzionario: “non basta fermare l’uomo maltrattante, bisogna aiutare le donne a maturare e non essere complici inconsapevoli della propria sofferenza”. La canzone è uno stimolo allo sviluppo dell’intelligenza emotiva e del proprio femminile ponendosi come obiettivo una dimensione esistenziale lontani da emozioni quali la rabbia e il dolore. La canzoneterapia di Adriano è un invito a riconoscere le proprie paure, le dinamiche tossiche, la difficoltà a denunciare e il dolore profondo che si cela dietro l’illusione che il potere brutale di un uomo sia ineluttabile.
Adriano Formoso è lo psicologo che canta e racconta con delicatezza e forza, offrendo con la sua voce uno spazio di ascolto e riscatto. “Né rabbia né dolore” è la sua nuova “canzoneterapia”.
Attualità
Maestra su OnlyFans, la storia di Elena e la sfida tra privacy e professione

Un racconto di passione, diritti e responsabilità condivise…
Abbiamo riflettuto a lungo sulla linea sottile che separa la vita privata di un docente dall’immagine pubblica che l’istituto scolastico richiede. Voi, probabilmente, vi starete chiedendo se sia giusto tracciare un confine netto o se esista uno spazio di libertà in cui ognuno può costruire la propria identità senza temere ripercussioni sul lavoro. È una domanda scomoda. Eppure, il caso di Elena Maraga, maestra di 29 anni in una scuola dell’infanzia cattolica nel trevigiano, ci costringe a guardare la realtà da prospettive che non sempre coincidono con i regolamenti o con l’opinione pubblica.
Da un asilo cattolico a una piattaforma per adulti: il fatto che divide
Prima di entrare nel vivo, è essenziale ricostruire a grandi linee la vicenda. Secondo diverse fonti, una madre ha scoperto che la maestra pubblicava contenuti osé su OnlyFans, un sito per adulti con contenuti a pagamento. La donna ha avvisato la scuola, che ha immediatamente chiesto a Elena di cancellare il profilo. Lei ha detto no. Ha ribadito che l’impegno in classe era sempre stato serio e che la vita privata non intaccava il suo modo di educare i bambini.
Il passo successivo è stato drastico: sospensione e blocco dello stipendio. L’istituto si è appellato ai valori religiosi e alle clausole sulla “condotta morale” presenti nel contratto. Così, da un giorno all’altro, Elena si è ritrovata a dover difendere la propria professionalità in pubblico. Abbiamo letto di reazioni furiose, ma anche di genitori pronti a sostenerla. Ed è proprio questo sostegno che fa riflettere sulla complessità del caso.
Il sostegno dei genitori e l’amore per i bambini
Voi, al posto loro, come avreste reagito? In questo contesto, molte famiglie hanno scelto di scendere in campo a favore della maestra, definendola “fantastica” e sottolineando il suo impegno costante in classe. Circa una trentina di genitori (stando a vari resoconti) si sono uniti per firmare una lettera indirizzata alla parrocchia, chiedendo con fermezza di non allontanarla. “I bambini le vogliono bene”, hanno riferito alcuni. Per noi, questo ci dice tantissimo: il suo ruolo educativo è stato apprezzato dai più piccoli e, di conseguenza, dai loro genitori. È un punto cruciale che la stessa Elena ha ribadito: i bimbi non dovrebbero pagare il prezzo di una scelta privata.
Una clausola morale e il dibattito etico: dove finisce la libertà?
Le voci della scuola parlano di incompatibilità con i principi di un asilo d’ispirazione cattolica. Noi comprendiamo che ogni istituto abbia delle linee guida, ma siamo di fronte a un interrogativo importante: quanto può incidere un’attività personale, magari considerata inopportuna, sul diritto di insegnare? Soprattutto se non si commette alcun reato e non si infrangono norme palesi. È vero che esiste una clausola “generica” sulla condotta morale e la direzione scolastica l’ha interpretata in modo rigido, sostenendo che la presenza su OnlyFans macchi l’immagine dell’istituto.
Elena, dal canto suo, ha spiegato che non condivide contenuti pornografici e che, anzi, non ha mai promosso apertamente il suo profilo. È stato un genitore a far emergere la questione. Alcuni riferiscono che la docente fosse pienamente consapevole dei rischi, ma ciò non la distoglieva dal ritenere di essere nel giusto: “Non ho fatto nulla di male, visto che il mio dovere a scuola l’ho sempre svolto con rigore”, ha confidato in diverse interviste riportate dai media.
La posizione dei sindacati: diritti e tutele per ogni lavoratore
Mentre l’istituto difende la propria immagine, la CGIL si è schierata apertamente a favore di Elena. Il sindacato ha ricordato che non esiste alcuna norma legale che impedisca a un insegnante di svolgere attività private a pagamento, purché la sfera professionale non risulti compromessa. “Chi intende licenziarla non ha la legge dalla sua parte”, ha detto un rappresentante locale, rimarcando l’assenza di specifici divieti contrattuali. Una presa di posizione piuttosto netta, che ha aperto la strada a un possibile conflitto legale, e noi ci domandiamo come si concilieranno queste due esigenze: da un lato il diritto alla vita privata, dall’altro le regole della scuola religiosa.
La tempesta mediatica e il timore per il futuro
Il rientro di Elena era previsto il 19 marzo, ma la sospensione ha bloccato tutto. Ora si trova in una situazione d’incertezza. Nessun licenziamento formale, nessuna lettera di dimissioni, almeno per il momento. Lei spera di tornare in classe, o di trovare comunque un accordo con la scuola per uscirne in modo dignitoso. Le sue parole dicono una cosa semplice: “Mi dispiace per i bambini, non vorrei che perdessero una figura di riferimento.” Noi crediamo che questa vicenda vada oltre la singola controversia. Riflette qualcosa di più grande: l’idea che un docente debba essere valutato dal lavoro che fa tra i banchi, non da ciò che fa altrove (ammesso che non violi la legge o clausole chiaramente esplicitate).
Una possibile evoluzione: codici etici più rigidi?
In alcuni comunicati, si legge che la Federazione Italiana Scuole Materne (FISM) starebbe vagliando un codice etico più stringente. Il Ministero dell’Istruzione – a sua volta – sembrerebbe intenzionato a rivedere le linee guida sull’uso dei social media per il personale scolastico. Questo dibattito, che ci coinvolge tutti, apre uno scenario in cui i confini tra pubblico e privato potrebbero diventare sempre più sfumati. Vi chiediamo: siete convinti che bastino regole più dure per tutelare i bambini, o si rischia di limitare eccessivamente le libertà individuali?
Un messaggio finale: libertà, responsabilità e il valore di insegnare
Alla fine, resta forte la consapevolezza che chiunque, nella propria vita, possa intraprendere scelte discutibili per alcuni e naturali per altri. Ciò che conta, nel contesto lavorativo, è la professionalità. Se un insegnante rispetta i doveri, ama i bambini e li segue con dedizione, forse non dovrebbe essere condannato per attività personali che non ledono diritti altrui. Questa è la lezione che sentiamo di cogliere.
Noi, come giornalisti e osservatori, vorremmo vedere Elena riconosciuta per il suo impegno in aula, senza che un profilo online – certo, difficile da conciliare con la morale religiosa di un asilo – possa offuscare la sua capacità di educare. Ognuno di noi può scegliere come arrotondare lo stipendio o esprimere una parte di sé, purché siano rispettate le regole e i valori fondamentali del vivere civile. Se la maestra ha sempre fornito ai piccoli l’attenzione e l’amore necessari, se non ha infranto alcuna norma giuridica concreta, perché condannarla senza appello?
Concludiamo con una riflessione che ci auguriamo possa coinvolgervi: siamo convinti che la società abbia bisogno di educatori appassionati, pronti a dare il meglio ai bambini, indipendentemente dal modo in cui trascorrono il proprio tempo libero. Sì, ci sono scelte personali che possono apparire scomode, ma la professionalità dovrebbe stare al primo posto. La storia di Elena ci insegna che la dignità di una persona va misurata sul campo, nella passione che mette nel proprio lavoro. E se la passione c’è, ha senso punirla solo per qualche fotografia ritenuta inopportuna? A voi la riflessione.
Attualità
Truman Capote e la ferita di un delitto: il nuovo sguardo di “Pagine” su Rai 5

Avvertiamo sempre un brivido, quasi un sussurro inquieto, quando pensiamo a quei delitti che scuotono intere comunità. Voi vi siete mai chiesti che cosa spinga uno scrittore a immergersi così a fondo in un omicidio da farne un romanzo-capolavoro? In “A sangue freddo” Truman Capote fece esattamente questo, scavando nella tragica vicenda della famiglia Clutter e finendo per portarsi dietro un peso enorme. Adesso, questo stesso racconto torna sotto i riflettori grazie al documentario di Julien Gaurichon e Frédéric Bas, che lunedì 24 marzo verrà proposto in seconda serata su Rai 5, all’interno di “Pagine”.
La voce di Federica Sciarelli: dal crimine narrato al crimine reale
Nel nuovo programma di Rai Cultura, ci affacciamo su scenari di letteratura che spesso s’intrecciano con la cronaca. Ed è proprio Federica Sciarelli, popolare volto di “Chi l’ha visto”, a introdurre il mondo di “A sangue freddo”. Sentiamo tutta l’intensità di chi ha familiarità con storie difficili, perché la Sciarelli di crimini ne ha raccontati tanti e sa bene quanto possa pesare l’eco di un fatto violento.
Noi immaginiamo la vita a Holcomb, in Kansas, nel 1959. Un posto tranquillo dove improvvisamente accade qualcosa di mostruoso: quattro membri della famiglia Clutter vengono trovati assassinati il 15 novembre. Capote, ancora noto soprattutto per “Colazione da Tiffany”, resta catturato dalla notizia letta sul “New York Times”. Un crimine così efferato lo spinge a passare cinque anni tra interviste e ricerche, fino alla pubblicazione di “A sangue freddo” nel 1965 sulle pagine del “New Yorker”. Nel 1966 esce il romanzo completo, e quel successo esplode al punto da cambiare la sua vita e quella di una certa narrativa true crime.
Le ombre dei colpevoli e le ferite interiori
Vi siete mai chiesti come reagiremmo davanti a chi ha commesso un massacro? Capote incontrò più volte i due responsabili, Perry Smith e Dick Hickock, ex pregiudicati in libertà vigilata. Ci sconvolge sentire che lui descriveva Perry come colto e sensibile, mentre Dick sembrava incredibilmente pacato. Eppure, nel 1960 furono entrambi arrestati e poi condannati a morte. Cinque anni dopo, Capote assistette alle impiccagioni. Da lì la ferita, un vuoto che lui stesso definì insopportabile: “Nessuno conoscerà mai il vuoto che A sangue freddo ha scavato in me. In qualche modo credo che questo libro mi abbia ucciso”.
Con filmati d’archivio e testimonianze, Gaurichon e Bas riportano alla luce la forza devastante di quella storia e mostrano quanto abbia segnato Capote. Noi ci ritroviamo quasi senza fiato, perché scopriamo un autore diviso fra la voglia di raccontare e il peso di un’esperienza troppo intensa. “Pagine” – curato da Silvia De Felice, Emanuela Avallone e Alessandra Urbani, per la regia di Laura Vitali – ci accompagna lungo questo percorso fra parole e immagini, invitandoci a esplorare la letteratura come specchio della realtà più crudele.
Non sappiamo se avremo mai risposte definitive, ma restiamo uniti in questa riflessione collettiva, mentre la Sciarelli ci introduce a un racconto che vibra ancora di tensione. E forse, alla fine, ci rendiamo conto che l’anima di Capote aleggia ancora su quelle pagine, come se il crimine avesse stretto uno strano patto con la sua penna.
Attualità
Processo Priebke: l’ombra del passato che ci parla ancora

Ci sentiamo afferrare alla gola ogni volta che riemerge un episodio legato ai crimini nazisti. Non è semplice, vero? Molti di voi, probabilmente, preferirebbero non rivivere certi ricordi. Eppure sentiamo il dovere di ripercorrere fatti come l’eccidio delle Fosse Ardeatine, perché non possiamo permettere che scivolino nell’oblio.
Un processo fra indignazione e memoria
Il nome di Erich Priebke rimane un simbolo del male: ex ufficiale delle SS, coinvolto in uno dei massacri più atroci del nostro Paese. Nel 1996 lo arrestano in Argentina e lo trasferiscono in Italia. Sembra quasi un film, ma è tutto drammaticamente reale. Il tribunale militare di Roma, in un’aula piccola e soffocante, diventa il palcoscenico di un dibattito giuridico infuocato. La prima sentenza riconosce la colpevolezza di Priebke ma, incredibilmente, dichiara prescritto il reato.
Vi immaginate la rabbia? Familiari delle vittime che protestano, che occupano l’aula, che non riescono ad accettare una conclusione tanto assurda. Eppure quei momenti di tensione hanno contribuito a riaccendere l’attenzione collettiva su un capitolo oscuro della nostra storia. Nel 1997, alla fine, arriva la condanna definitiva all’ergastolo, con un principio che ormai conosciamo bene: i crimini di guerra non vanno in prescrizione.
Sentiamo un fremito nel presentarvi La verità del male – Il processo Priebke, un documentario prodotto da Golem Multimedia, in collaborazione con Rai Documentari e Fondazione Museo della Shoah, che va in onda venerdì 21 marzo in seconda serata su Rai 3. Il racconto, scritto da Giancarlo De Cataldo e Alberto Ferrari, e diretto dallo stesso Ferrari, mette in scena le voci di chi ha vissuto quei giorni intensi: Francesco Albertelli (ANFIM), Giovanni Maria Flick (Ministro della Giustizia di allora), Antonino Intelisano (pubblico ministero del Tribunale Militare) e Riccardo Pacifici, protagonista delle proteste e oggi vice presidente della European Jewish Association. La narrazione di De Cataldo penetra nelle pieghe del passato, mentre la colonna sonora, firmata da Gabriele De Cataldo e il montaggio di Luca Mariani completano un quadro crudo e necessario.
Siamo convinti che un lavoro del genere non sia solo un prodotto televisivo. È un richiamo collettivo a guardare in faccia l’orrore e a non smettere di fare i conti con ciò che è stato. Voi siete pronti a rivivere tutto questo? Noi crediamo che non ci sia scelta: occorre ricordare, sempre.
Attualità
Mafie, corruzione e innovazione: un viaggio tra resistenza civile, politiche globali e...

È strano, vero, ritrovarci con tante storie diverse che si intrecciano? Ci fa un po’ girare la testa, perché passiamo dalla lotta contro le mafie qui in Italia a proteste in altre parti del mondo. Eppure, tutto ci appare connesso. Noi stessi sentiamo il bisogno di capire in profondità come questi eventi si influenzino a vicenda. Voi potreste chiedervi: perché accostare tecnologie futuristiche, vicende di repressione politica e corruzione? Forse perché, nel loro complesso, ci mostrano la direzione in cui stiamo andando.
La rincorsa all’AI: soglia del “Sovrumano”
Iniziamo da qualcosa che cattura l’attenzione di tutti: l’intelligenza artificiale. Fino a ieri ci chiedevamo se le macchine potessero mai pensare. Ora siamo arrivati a porci una domanda più inquietante: quando supereranno le nostre abilità? Abbiamo ascoltato il parere di Nello Cristianini, professore all’Università di Bath, che sembra convinto di una prossima svolta. Ci dice che le IA non si limiteranno a eguagliare le nostre competenze, ma potrebbero addirittura superarle. C’è un brivido che corre lungo la schiena. Siamo davvero pronti?
Eppure, questa corsa alla tecnologia non è così astratta. È connessa al modo in cui gestiamo il potere, le libertà individuali e persino la trasmissione del sapere. Senza rendercene conto, l’AI irrompe nella nostra vita con una velocità inaudita. Inquieta, appassiona, spaventa. Ci sentiamo sospesi: da un lato siamo entusiasti di scoprire fin dove possiamo arrivare, dall’altro ci domandiamo se stiamo perdendo di vista i nostri valori più umani.
Riflessioni dalla Sicilia: il coraggio di dire no
Parallelamente, entriamo in un mondo che abbiamo appena dietro l’angolo, ma che a volte fingiamo di non vedere: quello delle mafie. Oltre 40 miliardi di euro, un giro d’affari colossale qui in Italia. Lì, nella giornata dedicata al ricordo delle vittime di mafia, migliaia di persone hanno sfilato a Trapani insieme a Libera e Don Ciotti. E ci siamo commossi quando abbiamo incontrato i fratelli Lionti, imprenditori di Niscemi. Loro si sono opposti al pizzo e hanno rischiato di essere ammazzati. Vivono sotto scorta, non vogliono lasciare la Sicilia, e continuano a lavorare fianco a fianco con la federazione antiracket. Uno slancio di determinazione che ci fa sentire un po’ più speranzosi.
Il Procuratore di Caltanissetta, Salvatore De Luca, ha lanciato l’allarme: ci sono sequestri frequenti di armi da guerra. Armi pesanti destinate – dice – a gesti clamorosi. Parla di un mandamento di Cosa Nostra in mano a giovani reclutati con un compenso misero, poche migliaia di euro, per uccidere. Tutto questo scuote la nostra coscienza. E ci fa chiedere se stiamo facendo abbastanza per sostenere chi non si piega.
Corruzione e proteste: drammi condivisi
Potremmo spostarci lontano, in Macedonia, dove un incendio in una discoteca abusiva – un capannone privo di uscite di sicurezza – ha causato 59 vittime e 155 feriti. Una strage che ha scioccato il Paese e che ha scatenato proteste furiose contro la corruzione. Non sono bastati gli arresti dei responsabili e le dimissioni del sindaco. In Serbia, intanto, da quattro mesi non si fermano le manifestazioni iniziate dopo il crollo di una pensilina, costato la vita a 15 persone. Più proteste, più rabbia, più richieste di cambiamento. E noi ci chiediamo: quante altre tragedie dovranno avvenire prima che le istituzioni intervengano davvero?
Tagli e repressione: gli Stati Uniti di Trump
Da un’altra parte del mondo troviamo un altro scontro. Trump vs Campus. Forse alcuni di voi hanno sentito parlare di Mahmoud Khalil, studente siriano di origine palestinese, con una famiglia, una green card e una laurea alla Columbia. La sua detenzione e la minaccia di espulsione hanno sollevato proteste accese a New York. Khalil paga per essere stato un leader delle dimostrazioni a favore della Palestina. E la Columbia rischia pure la perdita di 400 milioni di dollari di fondi federali. Pare che tutti i campus americani siano entrati nel mirino, costretti a tagliare corsi e ricerche su temi sgraditi a Trump: inclusione, riscaldamento globale, ogni cosa giudicata troppo “ribelle”. Sembra un attacco alla libertà di pensiero. A noi pare gravissimo.
Un rifugio per animali (e per noi)
Spostiamoci in Lazio, provincia di Viterbo. Due sorelle gemelle, una avvocata e una medica, hanno deciso di prendersi cura di cani, gatti, pecore non riproduttive e perfino cinghialetti. Hanno creato un rifugio per animali abbandonati, malati o capitati in eredità a chi non li voleva. Sembrava un sogno ingenuo. Invece, con un po’ di donazioni e tanta testardaggine, ci sono riuscite. Noi ammiriamo la loro scelta. Sì, perché ci dimostrano che esiste un modo diverso di vivere e trovare serenità, riscoprendo un contatto autentico con la natura.
I problemi del lago Trasimeno
Nel frattempo, in Umbria, il lago Trasimeno segna un metro e 25 centimetri sotto lo zero idrometrico. Poche piogge e cambiamenti climatici preoccupanti. Il turismo e la pesca ne risentono. Si parla di convogliare l’acqua dal lago Montedoglio, in Toscana, per evitare il peggio. Ma è un progetto da accelerare, prima che arrivi l’estate. Noi, se fossimo in voi, cercheremmo di capire quanto questo specchio d’acqua, il quarto lago d’Italia, rappresenti un patrimonio da non perdere.
Una pausa dai social?
In carne e ossa: secondo alcuni studenti della Civica scuola di cinema di Milano, i “reel” e i video brevissimi su TikTok o simili potrebbero non essere più così irresistibili. C’è voglia di stare insieme, di rallentare. Li vediamo correre e pedalare a mezzanotte per le strade della città, alla ricerca di un contatto vero. Rimane il fatto che, tramite i social, ci si organizza e si condivide ogni novità. È un paradosso che fa sorridere. Ma forse è solo la nostra natura, sempre in bilico tra tecnologia e desiderio di relazione.
Tradizioni giapponesi: spade e cicatrici dorate
Avete mai sentito parlare dei fabbri di katane? In Giappone ne sono rimasti solo 80, custodi di un’arte che esiste da mille anni. Le spade dei samurai non erano concepite come strumenti d’offesa, ma come protezione contro le forze negative. Poi c’è il kintsugi, la riparazione dei vasi rotti con oro fuso. Qualcosa che ci fa riflettere: le ferite si trasformano in elementi preziosi della nostra storia. E noi ci emozioniamo davanti a una cultura che, pur essendo proiettata al futuro, difende le proprie radici.
Come eravamo: Giappone 1963
Concludiamo con un salto indietro. L’archivio di TV7 ci mostra un Giappone del 1963 lanciato verso la modernità: treni rapidi, città in fermento, costruzioni vertiginose. Eppure il confronto con le tradizioni, il ruolo delle geishe e i ritmi antichi era già allora un enigma. Forse è sempre la stessa storia: un popolo in bilico tra evoluzione e rispetto delle proprie origini.
Alla fine di questo viaggio, abbiamo la sensazione di un’umanità che lotta, a volte soffre, e cerca risposte in mille direzioni. Siamo convinti che voi, come noi, abbiate bisogno di queste storie: per trovare il coraggio di resistere o per custodire un ricordo prezioso. Noi, tutti insieme, non dovremmo mai smettere di cercare un equilibrio tra innovazione e radici, tra legalità e libertà. Il resto è un percorso da costruire, un passo alla volta.
Tutto questo e molto altro nel prossimo appuntamento su Rai 1 con TV7, venerdì 21 marzo, a mezzanotte!
Attualità
Pino Daniele, 70 anni di musica e di cuore, Napoli abbraccia il suo Mascalzone Latino

Quella voce. Eh, lo sappiamo, è impossibile dimenticarla. Rauca, rotta, bella proprio perché imperfetta. È passato già un sacco di tempo, dieci anni precisi che Pino se n’è andato via da qui, ma è come se non fosse successo davvero. A Napoli, per noi, Pino Daniele è ancora dappertutto, sta in ogni vicolo, sta in ogni voce che urla un pezzetto di “Napule è” o di “Je so’ pazzo”. Perché lui fa questo, no? Ci fa sentire uniti, vicini, fa venir voglia di abbracciarsi forte e cantare anche se stoni, anche se non sai tutte le parole.
Quest’anno avrebbe fatto 70 anni. Settant’anni. E noi, sapete, ci emozioniamo un sacco pensando a lui così grande, con quei suoi occhi sempre un po’ malinconici ma pieni di vita. Non è facile festeggiare senza la persona che vorresti fosse ancora lì, però ci siamo detti che sì, ne vale la pena. E Napoli si è messa in moto, perché Napoli lo sa fare bene. Incontri, musica, mostre, gente che parla, che ricorda. E poi c’è stato un concerto dal vivo, di quelli che ti si ficcano dentro e ti fanno dire: sì, questa città lo ha amato davvero, lo ama ancora. E noi lo amiamo con lei.
Un ricordo inciso nella pietra: la targa a Palazzo Mirelli
Ci siamo trovati in tarda mattinata davanti a Palazzo Mirelli, in via Santa Maria La Nova, curiosi di vedere con i nostri occhi la targa che la Municipalità 2 di Napoli ha voluto dedicare a Pino. Sulla facciata dell’edificio adesso spiccano parole intense, che raccontano come lì siano nate canzoni indimenticabili. Immaginatevelo, ragazzo timido ma deciso, che scrive i primi appunti di “Napule è” o “Terra mia”. Fa venire la pelle d’oca pensare che quei muri abbiano ascoltato gli accordi iniziali di brani che avrebbero poi segnato la storia della musica italiana.
Non siamo riusciti a trattenere un moto di commozione: il legame tra Pino e Napoli non è mai stato qualcosa di superficiale. È un rapporto profondo, che ha plasmato tanto l’artista quanto la sua gente. E adesso, grazie a questa targa, siamo tutti consapevoli di respirare le sue radici semplicemente camminando per la città.
La mostra “Spiritual”: immergersi nel suo mondo interiore
Spostandoci nel pomeriggio, ci siamo diretti verso il Palazzo Reale per l’anteprima stampa di “Pino Daniele Spiritual”, la mostra curata dal figlio Alessandro. L’apertura al pubblico partirà a breve e continuerà per parecchie settimane. È un percorso multimediale, costruito su documenti inediti, materiali video privati e strumenti cari a Pino. Sapete cosa si respira lì dentro? Un senso di intimità che avvicina chi guarda alla vera essenza dell’artista.
Ci siamo ritrovati di fronte a sezioni tematiche come “Terra mia” e “Le radici e le ali”, che mettono a fuoco il legame indissolubile tra le strade partenopee e la creatività di Pino. Alessandro ha ribadito più volte quanto Napoli e suo padre fossero un tutt’uno. Condividiamo questa idea con voi: quando ascoltiamo la sua musica ci pare di vedere la gente, i colori e l’energia di una città in perenne movimento. Ecco perché la mostra si chiama “Spiritual”: rievoca quello spirito profondo che anima ogni canzone di Pino.
Un tributo filatelico e un inedito da brividi
Tra un evento e l’altro, ci ha sorpreso la notizia di un tributo filatelico lanciato da Poste Italiane. Hanno realizzato un folder con due cartoline commemorative, accompagnate da un annullo postale speciale. A prima vista potrebbe sembrare un semplice gadget, ma in realtà racconta un altro pezzetto dell’unione fra Pino e la sua terra. L’idea di un timbro dedicato a un cantautore è più unica che rara, e sottolinea come il segno lasciato da Pino vada ben oltre la musica.
Poi, d’un tratto, è arrivata la chicca: un brano inedito. “Una parte di me”, scritto da Pino nel 2009 e dedicato al figlio Francesco, è stato reso pubblico proprio in queste ore. Lo abbiamo ascoltato con grande curiosità. La sua voce profonda, che torna a parlarci dopo tanto, ci regala un’emozione pura: l’abbiamo percepita come la carezza di un amico che non se n’è mai andato del tutto.
Je Sto Vicino a Te Forever: la grande notte in Piazza del Gesù
La vera esplosione di gioia si è scatenata di sera, quando piazza del Gesù si è riempita di migliaia di persone accorse per il concerto tributo “Je Sto Vicino a Te Forever – Puorteme a casa mia”. Lo scenario era perfetto: una festa popolare a cielo aperto, luci calde, volti sorridenti. La regia artistica è stata affidata a Nello Daniele, fratello di Pino e musicista che ha voluto farci sentire l’anima di quel Neapolitan Power capace di mescolare il dialetto con il blues, il rock con la tradizione napoletana.

Vi confessiamo che abbiamo sentito i brividi quando è iniziato il primo brano, perché sembrava di rivedere Pino laggiù, in fondo al palco, con la chitarra in mano. Magia pura. La serata è stata anche l’occasione per svelare la medaglia-plettro in argento coniata dalla Zecca dello Stato, un oggetto da collezione che unisce passione musicale e arte orafa.
Tanti artisti, un solo cuore
Abbiamo poi perso il conto di quanti musicisti si siano alternati sul palco. Mario Biondi, con la sua voce calda e avvolgente, i 99 Posse, che hanno portato un’energia travolgente, e poi Serena Autieri come padrona di casa e cantante a sorpresa. E quanta carica hanno trasmesso Tullio De Piscopo, Tony Esposito, Eugenio Finardi, Michele Zarrillo, Morgan, i Negrita, Enzo Gragnaniello, Francesco Baccini, Rossana Casale, gli Audio 2, Nina Zilli, Ivan Granatino, Letizia Gambi Womanity Quintet, Lina Simons, Natalino (gruppo cileno). Un mosaico di suoni e stili così vari da riflettere l’anima eclettica del Mascalzone Latino.
Durante la serata, sul palco sono saliti non solo musicisti ma anche scrittori e attori: Maurizio De Giovanni, Gaetano Amato, Patrizio Rispo. Ognuno ha condiviso un ricordo, una lettura, una frase capace di farci rivivere momenti autentici. A un certo punto è sembrato che l’intera piazza fosse un’unica voce pronta a omaggiare un uomo che, oltre a essere un grande artista, rimane un simbolo di Napoli.
Oltre i confini partenopei: tutta l’Italia abbraccia Pino
Possiamo dire che l’evento non si è fermato ai confini napoletani. Emittenti radiofoniche e trasmissioni TV nazionali hanno aperto spazi dedicati a Pino Daniele, trasmettendo i suoi brani e intervistando chi lo ha conosciuto da vicino. Rai, media partner dell’iniziativa, ha garantito la registrazione della serata in piazza del Gesù per mandarla in onda più avanti. E sui social, milioni di interazioni: foto, video, frasi tratte dalle canzoni, il tutto a comporre un coro immenso di affetto.
Alcuni fan hanno raccontato che in altre città, da Milano a Palermo, si sono ritrovati nei club a diffondere musica di Pino e a commentarne l’eredità artistica. È come se l’Italia intera si fosse fermata un istante, pronta a dare spazio a quel groove napoletano inconfondibile che sfocia in un universale sentimento di appartenenza.
L’eredità di Pino: non solo note, ma un pezzo di anima
In fondo, perché ci emozioniamo tanto parlando di lui? Forse perché le sue canzoni sono le nostre canzoni, la colonna sonora di momenti che abbiamo vissuto in prima persona. Spesso abbiamo l’impressione che Pino Daniele sia stato un alfiere di Napoli e, al tempo stesso, un viaggiatore che dialogava con il mondo intero. Dal dialetto napoletano al blues, dal jazz al pop, la sua fusione di generi ha segnato una svolta nella canzone d’autore italiana.
Tutto ciò traspare nitidamente nelle parole di chi lo ricorda come un innovatore visionario, capace di unire le diverse culture musicali in un linguaggio unico. E ci piacerebbe che voi, pensando al suo percorso umano, coglieste il senso più profondo di queste celebrazioni: Pino Daniele rappresenta l’esempio di un artista che non si è mai chiuso, ma ha sempre cercato nuove ispirazioni.
Quando parliamo di Pino, parliamo inevitabilmente di Napoli, perché qui – tra i suoni dei vicoli e la luce del mare – lui ha trovato la sua vera identità. Questo anniversario, a dieci anni dalla scomparsa e a settanta dalla sua nascita, è la prova tangibile che le sue radici e i suoi sogni non se ne andranno mai. Anzi, continueranno a vibrare in ogni accordo e in ogni voce che lo omaggerà.
E voi, siete pronti ad accogliere ancora la sua musica? Noi siamo convinti che Pino Daniele appartenga a tutti e che la sua eredità continuerà a influenzare chiunque desideri scrivere, comporre o semplicemente amare la musica con la stessa passione che lui ci ha insegnato. E forse, in mezzo a una folla che canta “Napule è” senza sosta, lo sentiamo ancora suonare. In fondo, il Mascalzone Latino non se n’è mai andato davvero.
Attualità
Gene Hackman, un patrimonio da 80 milioni e un testamento che divide: quali spiragli per...

Ci sembra doveroso condividere una storia che lascia molte domande in sospeso. Gene Hackman, attore iconico e vincitore di un Premio Oscar, non è più tra noi, e con lui se n’è andata anche Betsy Arakawa, la compagna che gli è stata accanto a lungo. Come testata, non possiamo evitare di ripensare alla complessità di un legame familiare che, alla fine, si ritrova racchiuso in un testamento controverso. E sono 80 milioni di dollari a fare da sfondo a questa vicenda.
Una fortuna che sembrava destinata alla moglie… e poi alla beneficenza
Le carte che circolano, documenti che abbiamo esaminato con attenzione, riferiscono di un’eredità inizialmente destinata alla moglie di Hackman. In seguito, sarebbe stato creato un trust finalizzato a supportare enti benefici e a coprire spese mediche. Ora che entrambi sono scomparsi, sembra che la rete di volontà e vincoli legali diventi sempre più intricata. Non sappiamo, con certezza assoluta, chi finirà per gestire davvero questi fondi, ma diversi esperti hanno già avanzato ipotesi su eventuali strascichi giudiziari.
Ci colpisce, però, il dettaglio più sconcertante: i figli di Hackman, nati dalla precedente unione con Faye Maltese, non sarebbero menzionati. Christopher Allen, 65 anni, avrebbe manifestato in passato difficoltà nel rapporto con il padre dopo il divorzio. Leslie, 58, ed Elizabeth Jean, 62, sembrano invece aver avuto contatti più regolari con lui, almeno stando ai racconti di chi li ha visti insieme a qualche prima cinematografica. Questa potenziale esclusione, in ogni caso, ha acceso le speculazioni su un conflitto legale che potrebbe aprirsi ora che né Hackman né la moglie sono in vita.
Un testamento del 2005 e l’ombra dell’Alzheimer
Gira voce che le ultime volontà dell’attore siano state firmate nel 2005, in un periodo in cui alcune fonti ipotizzavano una diagnosi di Alzheimer. La domanda che ci poniamo, e che forse anche voi condividete, è quanto questa condizione possa aver inciso sulle sue decisioni. Non esistono prove incontrovertibili, ma persiste un senso di incertezza sulle possibili motivazioni che avrebbero portato a escludere i tre figli.
Resta la prospettiva di un lungo iter per chiarire come questi 80 milioni verranno effettivamente ripartiti. Noi continueremo a seguire la vicenda, perché sentiamo che ogni ulteriore dettaglio potrà gettare nuova luce su una storia familiare carica di dubbi e lacune. E forse, soltanto il tempo riuscirà a diradare ogni sospetto.
Attualità
Jim Morrison, il fantasma che non trova pace? Il nuovo documentario risveglia l’enigma

Una storia che mette i brividi, quasi come se ci fosse una porta socchiusa nel passato pronta a riaprirsi. Potremmo persino dire che questa vicenda ci riporta a un bivio in cui ogni certezza traballa: si parla ancora di Jim Morrison. Non si tratta della solita leggenda metropolitana da bar, ma di una questione che è riemersa con vigore grazie al documentario Before the End: Searching for Jim Morrison, firmato dal regista Jeff Finn e disponibile su Apple TV+.
Guardandolo, saltano fuori sussurri, ipotesi, tracce polverose. E c’è una domanda, lì, che spiazza: Morrison è davvero morto a Parigi nel 1971 per un attacco di cuore, come afferma la versione ufficiale, oppure ha inscenato la propria uscita di scena per sfuggire ai riflettori?
Un documentario che sfida i referti
Il film di Finn fa qualcosa di audace: non si limita a riflettere sulla vita travagliata del frontman dei Doors, ma rilancia l’idea che il suo decesso possa essere stato, in realtà, un piano per sparire. Vecchie testimonianze, interviste raccolte nel tempo e voci che continuano a puntare su un uomo misterioso, un tale “Frank,” risvegliano antiche curiosità. Alcuni sostengono di aver incontrato questo sconosciuto negli Stati Uniti, in luoghi anonimi come un condominio di Syracuse, e di aver notato su di lui una cicatrice esattamente dove Jim aveva un piccolo neo in volto.
Una realtà capovolta
Diventa sconcertante pensare a un Morrison che abbandona tutto: musica, fan, ribalta mediatica. Cosa l’avrebbe spinto a tanto? Per alcuni, la pressione insopportabile di essere un’icona rock. Per altri, la semplice voglia di respirare una vita più normale, lontana dagli assedi dei paparazzi e dall’industria discografica. C’è chi considera questa ipotesi un’eresia, eppure il documentario s’insinua negli spiragli di dubbio come un’ombra tenace.
La fragilità di un mito
Tutto ruota attorno a un conflitto tra la storia che conosciamo e le supposizioni che resistono da decenni. Da un lato, abbiamo un certificato di morte che parla chiaro: insufficienza cardiaca. Dall’altro, individui che giurano di aver visto il leggendario artista ben oltre la data del 1971. Pura follia? Oppure frammenti di verità rimasti in sordina per mezzo secolo?
A ben pensarci, la fascinazione verso i miti eterni è una costante: tanti fan, forse, non vogliono accettare che il Re Lucertola se ne sia andato così presto. E Before the End rimescola le carte, trasformando una vecchia ferita in un nuovo motivo di stupore. Noi non pretendiamo di fornirvi risposte definitive, ma ammettiamo che questa storia – proprio come la voce di Morrison – sa risvegliare in chiunque un’indomita voglia di andare oltre ciò che appare.
Attualità
Blake Lively e Justin Baldoni, scontro giudiziario a Hollywood: l’attrice ottiene un...

Una vicenda che intreccia accuse gravi, contrattacchi e il timore che dettagli intimi finiscano in pasto alla stampa. Sembra un romanzo drammatico, invece è un fatto reale: Blake Lively, in lotta legale contro il regista e attore Justin Baldoni, ha ottenuto un parziale successo per tenere al sicuro alcune informazioni delicate. Non un trionfo definitivo, ma un primo passo per impedire che conversazioni private e dati strettamente personali possano raggiungere un pubblico affamato di scandali.
È una disputa che si sta consumando nei corridoi di un tribunale federale, dove Lively ha denunciato Baldoni con pesanti accuse di molestie sessuali e ritorsione. Come se non bastasse, Baldoni ha scelto di contrattaccare, portando in causa lei e Ryan Reynolds per diffamazione. Un intreccio complicatissimo di accuse incrociate, punteggiato da strategie legali sofisticate e decisioni giudiziarie che potrebbero fare giurisprudenza. Il giudice Lewis Liman, pochi giorni fa, ha parzialmente accolto la richiesta di Lively di mantenere “solo per gli avvocati” alcuni materiali di divulgazione. Parliamo di messaggi, piani e appunti creativi che Baldoni vorrebbe introdurre come prove per sostenere le proprie ragioni.
Perché mai limitare l’accesso soltanto ai legali?
La motivazione, in fondo, è semplice: proteggere segreti commerciali, piani di marketing, questioni di salute e persino i sistemi di sicurezza dell’attrice, che sarebbero esposti a un rischio enorme se condivisi liberamente. Senza dimenticare l’aspetto ancora più delicato: la salvaguardia di terzi estranei alle diatribe giudiziarie, i cui dati riservati potrebbero emergere involontariamente e generare danni irreparabili.
L’incubo della fuga di notizie aleggia come un’ombra su tutta la vicenda. Il giudice Liman ha sottolineato che quando in gioco ci sono star, addetti stampa e un case ufficiale di accuse pesanti, il pericolo di rivelazioni non autorizzate si alza vertiginosamente. Ciò che in teoria resta “riservato” rischia di finire nel circolo dei pettegolezzi – soprattutto all’interno della comunità artistica, dove una semplice allusione può devastare carriere e reputazioni.
Gli avvocati di Baldoni, dal canto loro, ammettono la necessità di proteggere materiale sensibile ma contestano l’idea di una condivisione esclusiva fra legali. Ritengono che un simile muro possa rallentare il processo, generando inevitabili attriti e continui ricorsi al giudice su ciò che dev’essere tenuto segreto e ciò che può essere trasmesso ai rispettivi clienti. Il tribunale, però, ha scelto un equilibrio: ha accolto alcuni punti avanzati dalla difesa di Lively ma non tutti. Ha fissato paletti precisi: niente divulgazioni che possano causare danni “significativi”, con un margine piuttosto ridotto di interpretazione.
Per ora la bilancia pende leggermente dalla parte dell’attrice, anche se il conflitto legale resta aperto e denso di sfumature da chiarire. Noi continuiamo a seguire l’evoluzione di questo caso sui generis, convinti che la verità, qualsiasi essa sia, emergerà tra i faldoni legali e la fermezza di chi vigila sul rispetto della riservatezza. Non è una storia con un vincitore annunciato, ma un racconto che si aggiorna di ora in ora, in un palcoscenico giudiziario dove la tensione è tutt’altro che scesa. E alla fine, la domanda chiave resta: fino a che punto si spingerà questo duello, e cosa accadrà se i segreti di Hollywood dovessero varcare i confini di quell’aula di tribunale?
Attualità
Ian McKellen e la bellezza di dire: «Basta paura, siate voi stessi, e fatelo forte»

Parliamoci chiaro. Non è mica roba da poco, eh. Non è roba che capita tutti i giorni che uno come Ian McKellen – uno che ha fatto Gandalf, che è stato Magneto, che ci ha fatti sognare davanti allo schermo con quel suo sguardo che buca tutto – decida di mettersi lì, a cuore aperto, e dire ai ragazzi: oh, smettetela di nascondervi, basta con le bugie, basta con la paura di mostrare chi siete davvero.
Perché sì, lui che il palco lo conosce bene, lui che il cinema lo vive da una vita, sa che questa roba qua – dire al mondo “io sono così”, senza scuse, senza vergogna – è una cosa potente. Che ti scuote dentro. Una roba che cambia tutto. E allora Ian, che di certo non aveva bisogno di farlo (poteva starsene tranquillo, vivere sereno, senza farsi problemi), ha deciso invece di metterci la faccia e dire ai giovani attori gay che devono uscire fuori, devono respirare profondamente e gridare con forza quello che sono. Senza timori.
Non è facile, certo che non lo è. Ma è proprio questa la bellezza, no? Che lui ha avuto il coraggio di farlo per primo, anni fa e ora vuole che gli altri non sprechino tempo a vivere una vita a metà. Che bello sarebbe, se tutti avessero quel coraggio. Se smettessimo tutti quanti di nasconderci dietro maschere inutili. Ecco perché lui parla, con tutta la sua anima, con tutta la sua sincerità. Perché vuole scuotere qualcosa dentro di noi. E chissà che non ci riesca davvero.
La domanda che ci poniamo è: perché una figura così popolare dovrebbe occuparsi di un tema tanto intimo? Noi crediamo che la forza di McKellen non stia solo nel suo talento, ma nella volontà di usare il suo status per spronare chi vive momenti di incertezza. I consigli “conservativi” di certi agenti, secondo lui, non fanno altro che frenare la libertà individuale, creando una cappa di timori infondati.
Un’icona del cinema che parla di equità
Era il 1988, figurati, mica ieri. Ian aveva 48 anni. Non venti, non trenta, quarantotto. Un’età in cui, cavolo, ci pensi cento volte prima di cambiare tutto e dire: «eccomi qua, questa è la verità, che vi piaccia o no». E l’ha fatto proprio alla radio, capisci? Così, senza nascondersi, davanti a tutti quelli che ascoltavano il programma Third Ear della BBC. E non erano tempi semplici, eh. In Inghilterra giravano certe leggi, roba assurda, roba che ti faceva venir voglia di sparire invece che mostrarti per quel che eri. Ma lui niente, testa alta e cuore aperto. E oggi, pensa, dopo tutto questo tempo, quella sua scelta è ancora viva, forte, importante. Ancora ci fa emozionare.
Poi, sai, Ian parla di cose vere. Cose dure, scomode. Tipo il matrimonio gay che qualcuno, dall’altra parte dell’oceano, vorrebbe addirittura vietare. Lui dice: guardate che non siamo mica arrivati. Che non basta guardarsi intorno e dire «va tutto bene». No, ci vuole attenzione, ci vuole cura. Bisogna sempre tenere gli occhi aperti, perché altrove—fuori dal Regno Unito—certe battaglie sono ancora da vincere, certe porte restano chiuse, certi muri restano alzati. Lui però non vuole spaventare, non vuole deprimere nessuno. Anzi, vuole che arrivi il giorno in cui non importerà più chi ami, quando i pregiudizi saranno solo ricordi lontani. Che bello sarebbe quel giorno, vero?
La mancanza di rappresentanti dichiarati
Ci colpisce la riflessione di McKellen su vari ambiti della società: da un lato, ricorda come non si sia ancora visto un primo ministro apertamente gay nel Regno Unito, e dall’altro fa notare che neppure agli Oscar per il miglior attore è mai emerso un vincitore omosessuale dichiarato. E poi c’è il mondo del calcio: quanti giocatori di Premier League scelgono di nascondersi, un po’ per pressioni esterne e un po’ per paura di perdere contratti?
Secondo McKellen, il primo atleta di punta a fare coming out potrebbe diventare una celebrità di dimensioni globali, con sponsor pronti a sostenerlo. Questo, a suo dire, dimostrerebbe che il coraggio di mostrarsi per come si è non provoca rovine, bensì opportunità.
Una spinta che va oltre lo spettacolo
In tutto questo, il messaggio chiave è chiaro: “Non ho mai incontrato nessuno che si sia pentito di aver fatto coming out”. È una frase che tocca un nervo scoperto, perché il timore del giudizio – soprattutto se si è sotto i riflettori – può essere tremendo. Lui stesso ammette di avere rimpianti per non aver dichiarato prima la propria identità, anche perché, come sottolinea, “nascondersi è sciocco”.
Noi siamo convinti che le parole di McKellen non parlino solo agli attori, ma a voi che forse leggete e vi interrogate su come gestire la vostra storia personale. Gli agenti, la famiglia, i pregiudizi? Tutto questo pesa, ma un gesto di verità può aprire orizzonti inattesi. L’obiettivo non è solo la soddisfazione personale: è anche un segnale di cambiamento per un mondo che, ancora oggi, fatica ad accettare la ricchezza delle differenze. E se un attore simbolo del teatro britannico può darvi la spinta a essere voi stessi, forse è il momento di lasciare al buio ogni esitazione.
Attualità
Papa Francesco, nuova espressione di gratitudine nel testo destinato all’Angelus

Nel bollettino diffuso ieri, si segnala un leggero progresso e una buona reazione alle terapie.
“Notte serena per Papa Francesco”, che anche in questa domenica 9 marzo porta avanti le cure contro la polmonite bilaterale insieme alla fisioterapia motoria e respiratoria. Lo comunica la Sala stampa vaticana in un aggiornamento sulle condizioni di salute del Pontefice, ricoverato al Gemelli dal 14 febbraio scorso. Il Papa prosegue con la ventilazione alternata: di giorno viene sottoposto a ossigenazione ad alti flussi, mentre la notte riceve una ventilazione meccanica non invasiva attraverso una maschera che copre naso e bocca, favorendo un riposo più tranquillo.
Questa mattina il segretario di Stato, card. Pietro Parolin, e il sostituto, mons. Edgar Pena Parra, hanno nuovamente fatto visita al Pontefice, per aggiornarlo sulla situazione in Vaticano e sull’attività della Chiesa a livello mondiale. È la terza volta che Parolin e Pena Parra raggiungono il Papa al Gemelli.
Riguardo alle voci secondo cui a Santa Marta sarebbero in corso lavori di adattamento nella residenza del Pontefice per una possibile convalescenza post-dimissioni, fonti vaticane dichiarano che “allo stato attuale non ci sono modifiche in atto”.
La Sala stampa del Vaticano ribadisce che questa sera è assai improbabile un nuovo bollettino medico sullo stato di salute del Papa, ma intorno alle 18 verranno fornite informazioni aggiornate sulla giornata. Viene inoltre confermato che l’umore del Pontefice resta positivo. Un nuovo incontro con i medici che seguono il Papa al Gemelli “non è imminente”, ma “non è nemmeno da escludere”, poiché ci sono dei segnali di miglioramento clinico ma i sanitari preferiscono attendere ulteriori riscontri prima di fornire ulteriori dettagli.
Il testo scritto per l’Angelus
“Vorrei ringraziare tutti coloro che mi stanno manifestando la loro vicinanza nella preghiera: grazie di cuore a tutti! Anch’io prego per voi”, è il nuovo ringraziamento di Papa Francesco inserito nel testo per l’Angelus per la quarta domenica di seguito in forma scritta. Tre giorni fa, con grande sorpresa, Bergoglio ha voluto ringraziare chi prega per lui tramite un breve messaggio audio in piazza San Pietro prima della recita del rosario: un contributo di poco meno di venti secondi, in cui si è colto lo sforzo del Papa e la sua voce debole e affaticata.
“Nel mio prolungato ricovero qui in Ospedale – continua Bergoglio – anch’io sperimento la sollecitudine del servizio e la dolcezza delle cure, specialmente da parte dei medici e degli operatori sanitari, che ringrazio di cuore”. “E mentre mi trovo qui, penso a quante persone si prendono cura degli ammalati, divenendo per loro un segno della presenza del Signore. Abbiamo bisogno di questo, del ‘miracolo della tenerezza’, che sostiene chi si trova nella prova, portando un po’ di luce nella notte del dolore”.
Il Pontefice rinnova il suo appello per la pace: “Insieme continuiamo a pregare per ottenere il dono della pace, in particolare per la martoriata Ucraina, per la Palestina, per Israele, per il Libano, per il Myanmar, per il Sudan e per la Repubblica Democratica del Congo”. “In particolare,” scrive, “ho appreso con preoccupazione della ripresa di violenze in alcune zone della Siria: auspico che si concludano definitivamente, rispettando tutte le componenti etniche e religiose della società, in special modo i civili”. “Vi affido tutti alla materna intercessione della Vergine Maria. Buona domenica e arrivederci”, conclude.
Ultimo bollettino
Le condizioni cliniche del Pontefice, come indicato dall’ultimo bollettino medico di ieri sera, sono rimaste stabili negli ultimi giorni e confermano una buona risposta alle terapie. È stato osservato dunque un miglioramento progressivo, seppure lieve. Il Papa non ha mai presentato febbre, e si segnalano miglioramenti negli scambi gassosi; gli esami ematochimici ed emocrocitometrici risultano stabili. I medici, per consolidare nei prossimi giorni i risultati positivi registrati finora, mantengono una prognosi prudenziale. Fonti vaticane sottolineano che il pericolo di nuove criticità non è ancora del tutto scongiurato.
Attualità
SuperEnalotto, la combinazione vincente dell’8 marzo

Non è stato centrato alcun ‘6’ né ‘5+1’, il montepremi sale a 84,2 milioni di euro.
Nel concorso del SuperEnalotto di sabato 8 marzo, non è stato realizzato alcun ‘6’ né ‘5+1’. Per la prossima estrazione, quindi, ci sarà in palio un jackpot di 84,2 milioni di euro.
Quanto costa una schedina
La partecipazione minima al SuperEnalotto corrisponde a 1 colonna, ovvero 6 numeri. La giocata massima può arrivare a 27.132 colonne ed è realizzabile tramite i sistemi a caratura, dove si acquistano singole quote da 5 euro e si partecipa con più giocatori, dividendo l’eventuale vincita. Ogni combinazione costa 1 euro, a cui si possono aggiungere ulteriori 0,50 centesimi per l’opzione Superstar.
Se si gioca la schedina minima di 1 colonna con Superstar, il costo è quindi di 1,5 euro. Per più colonne, basta moltiplicare il numero delle colonne per 1,5 per conoscere il costo totale.
Quali sono i punteggi vincenti
Al SuperEnalotto si può vincere con combinazioni che vanno da 2 a 6 numeri indovinati, passando anche per il 5+1. L’entità dei premi dipende dal jackpot complessivo, ma in media si possono stimare:
- Con 2 numeri esatti: circa 5 euro
- Con 3 numeri esatti: circa 25 euro
- Con 4 numeri esatti: circa 300 euro
- Con 5 numeri esatti: circa 32mila euro
- Con 5+1 numeri esatti: circa 620mila euro
Come verificare le vincite
Per controllare eventuali vincite, basta usare l’App ufficiale del SuperEnalotto. Inoltre, è disponibile online un archivio che raccoglie i numeri e i premi delle ultime 30 estrazioni, utile per verificare schedine giocate in passato.
La combinazione vincente di oggi
Oggi sono stati estratti i numeri 11, 16, 35, 59, 65, 87. Il Numero Jolly è 9, mentre il Superstar è 52.
Attualità
8 marzo, migliaia in piazza a Roma contro la violenza patriarcale

Sotto lo slogan “Lotto, boicotto, sciopero”, si è svolto il corteo di Non Una di Meno tra le strade del centro della Capitale. In occasione della Giornata internazionale della donna, si sono tenute manifestazioni in oltre 60 città.
Il corteo a Roma
Per la Giornata internazionale della donna, migliaia di persone hanno preso parte all’iniziativa di Non Una di Meno, sfilando per le vie del centro di Roma con lo slogan: “Lotto, boicotto, sciopero”. La partenza è avvenuta da piazza Vittorio Emanuele, proseguendo lungo via Merulana, via Labicana, piazza del Colosseo e fino a Circo Massimo, per poi concludersi con un presidio a Largo Argentina alle 17.
Una manifestazione che si propone come un grido collettivo contro “la violenza patriarcale, la guerra e la povertà”. Non Una Di Meno spiega di voler riempire le piazze “con la nostra rabbia, ma anche con tutto l’amore e la cura per il nostro debordante corpo collettivo”.
Sul camion del movimento, erano presenti interpreti LIS che traducevano gli interventi nella lingua dei segni. Le attiviste di Non Una di Meno hanno dato il via al corteo annunciando: “È sciopero transfemminista”, accompagnate da slogan come: “Siamo tutte antifasciste” e “Siamo tutte transfemministe”, mentre in sottofondo risuonavano le note di “Rumore” di Raffaella Carrà. Dal megafono si è parlato anche di lavoro precario e sottopagato e dei problemi di sicurezza nelle periferie. A proposito del Quarticciolo, si è sottolineato che “ai problemi non si risponde con la polizia, ma con spazi come doposcuola e ambulatori. Insieme possiamo sconfiggere la violenza”.
Tra fumogeni viola e fucsia (colori del movimento), spiccavano cartelli con scritte come: “Se non te la do, non te la prendere”, “Il lavoro di cura è lavoro (pagatece)”, “Sorella non sei sola”, “Cuori accesi, fasci appesi”, oltre allo slogan: “La Palestina esiste dal fiume fino al mare”. Numerose anche le bandiere della Palestina, insieme a quelle della pace. “Siamo marea in tutto il mondo. In Argentina contro Milei, negli Stati Uniti contro Trump e Musk. Siamo ovunque. Siamo contro Meloni e Macron, contro chi vuole spendere soldi in armi e riarmare l’Europa”, hanno dichiarato le attiviste.
Un manifesto recitava “Più Trans meno Trump”, mentre uno degli slogan rivolti a Regione e Governo è stato: “Rocca Roccella e Valditara, la vostra transfobia la pagherete cara”. Nello spezzone del corteo degli studenti, si è ricordata Giulia Cecchettin con il coro: “Giulia è viva e lotta insieme a noi, le nostre idee non moriranno mai”.
Prima della partenza, in piazza Vittorio, alcune artiste indipendenti hanno inscenato una performance legandosi alle cancellate con corde che stringevano polsi e vita. I volti erano coperti da calze, mentre vestiti e mani presentavano macchie rosse a simboleggiare il sangue. Sopra di loro, un cartello chiedeva: “Cosa fai?”.
La protesta degli studenti: “Vogliamo educazione sessuo-affettiva”
Al corteo ha preso parte anche il movimento studentesco Osa. Prima di unirsi ai manifestanti in piazza Vittorio Emanuele, i ragazzi si sono fermati sotto il Ministero dell’Istruzione per protestare contro il ministro Valditara. Tra bandiere della Palestina, fumogeni e cartoni con mirini disegnati, si leggevano scritte come “educazione sessuale”, “scuola dell’emancipazione” e “diritto al dissenso”. Una gigantografia del ministro, rappresentato come uno sceriffo, è stata accompagnata dalle parole: “Siamo ora sotto il Ministero dell’Istruzione, contro la scuola di Valditara, vogliamo un’educazione sessuo-affettiva in ogni scuola!”.
Davanti al Mim, in vista dello sciopero del 4 aprile, gli studenti hanno srotolato uno striscione gigante con la scritta: “Valditara maledetto distruggi scuola e diritto”. A piazza Vittorio Emanuele, invece, sono partiti slogan contro il sindaco di Roma Gualtieri e frasi come “Israele che tu sia maledetta” e “Valditara vogliamo la tua testa”.
Non Una di Meno: “Oggi sciopero dal lavoro di cura e dai generi”
Oggi, specifica Non Una di Meno, “sarà sciopero dal lavoro produttivo, riproduttivo e di cura, sciopero dai consumi e dai generi”. L’obiettivo è rispondere “a chi sostiene la cultura patriarcale”, ribadendo che la sicurezza non significa “ordine, controllo, repressione e punizione”, ma piuttosto “educazione alla sessualità, alle emozioni e al consenso”, accompagnata da servizi sociali, “centri antiviolenza con finanziamenti strutturali, diritto alla salute e all’autodeterminazione, aborto libero”. Sicurezza, secondo le attiviste, vuol dire anche “salario minimo, stipendi dignitosi, contratti adeguati, reddito di autodeterminazione, un piano casa, riconoscere la cittadinanza alle seconde generazioni, aprire le frontiere e chiudere i Cpr in Italia e in Albania, oltre alla demilitarizzazione”.
Proseguono affermando: “Scioperiamo contro la guerra, perché l’escalation bellica è esponenziale e non vogliamo esserne né vittime né complici”. Nel mirino ci sono le politiche del governo Meloni, il ddl Sicurezza e l’asse dei governi ultra-reazionari. “Siamo insieme e siamo arrabbiate, continuiamo a riprenderci spazio, a immaginare futuri migliori”, concludono, lanciando l’appuntamento alla piazza anche per domani.
Le altre città
Non solo Roma: Non Una di Meno ha promosso eventi in tutta Italia con lo stesso slogan “Lotto, boicotto, sciopero”, coinvolgendo Ancona, Alessandria, Alba, L’Aquila, Ascoli Piceno, Asti, Bari, Bergamo, Bologna, Brescia, Brindisi, Cagliari, Catania, Como, Cosenza, Cuneo, Desenzano del Garda, Empoli, Fano, Firenze, Foligno, Genova, Imperia, Lamezia Terme, La Spezia, Livorno, Lucca, Mantova, Massa Carrara, Matera, Messina, Milano, Modena, Napoli, Novara, Olbia, Padova, Palermo, Pavia, Parma, Piacenza, Perugia, Pescara, Pisa, Pistoia, Prato, Reggio Calabria, Reggio Emilia, Rimini, Salerno, Savona, Siena, Torino, Trento, Treviso, Trieste, Udine, Varese, Venezia, Verbania, Verona e Vasto.
Attualità
Torna #NonCiFermaNessuno, il tour motivazionale di Luca Abete contro la solitudine...

Undicesima edizione, 8 tappe (da marzo a dicembre), “Nessunə è solə” il claim. Abete: “Diffonderemo il ‘Rialzismo’: l’arte di trasformare ogni caduta in trampolino di lancio. I social ci hanno insegnato a contare gli amici. Ora dobbiamo imparare ad averne davvero!”
L’undicesima edizione del tour motivazionale di Luca Abete, #NonCiFermaNessuno partirà il 12 marzo dall’Università “Parthenope” di Napoli.

#NonCiFermaNessuno è una campagna sociale motivazionale nata nel 2014, rivolta a giovani universitari: un progetto di comunicazione sperimentale basato sull’ascolto e sulla condivisione di esperienze che trova il suo compimento in un tour universitario che accorcia le distanze tra chi vive un disagio e chi invece è riuscito ad affrontarlo con successo.
Il tour si propone comeun’opportunità per ripristinare il dialogo tra gli studenti e confrontarsi su temi attuali, quali solitudine, paure, sensazione di inadeguatezza e difficoltà universitarie nel corso di 8 talk in altrettante università italiane, da Nord a Sud, isole comprese, che vedranno protagonisti migliaia di studenti a confronto con Luca Abete.
“#NonCiFermaNessuno – spiega Abete – è più di un tour, è un atto di sana ribellione contro chi semina paura invece di speranza. Questo tour rappresenta non solo un punto di riferimento per le Università italiane e per tantissimi studenti, ma anche la dimostrazione che si può affrontare il tema del disagio giovanile con strumenti semplici come ascolto reciproco, confronto proficuo e supporto concreto”.
L’obiettivo è accorciare le distanze tra chi vive un disagio e chi invece è riuscito ad affrontarlo con successo e, in questo modo, superare insieme la solitudine. Di qui il claim dell’edizione numero undici: Nessunə è Solə.
“Chi soffre non urla – commenta Abete – spesso tace e nessuno sembra in grado di riconoscere quel disagio talvolta appena sussurrato. Oggi ci ritroviamo iperconnessi ma accompagnati dalla sensazione di non aver nessuno intorno. Il claim “Nessunə è Solə” è pertanto un esperimento di rotazione della prospettiva: dall’analisi della realtà, comprendere che la solitudine dipenda più dall’assenza di connessioni significative che da quella di persone intorno a sé. Insomma i social ci hanno insegnato a contare gli amici. Ora dobbiamo imparare ad averne davvero”.
Attualità
Il 16 marzo, al Policlinico Gemelli, verrà organizzato un tango silenzioso e di preghiera...

L’iniziativa, promossa dalla ballerina argentina Daiana Guspero, consiste in una milonga all’aperto sotto l’ospedale romano dove si trova ricoverato il Pontefice, grande appassionato di tango.
“Desideriamo trasmettergli la nostra vicinanza, la nostra riconoscenza e il nostro sostegno” spiega la Guspero, che ha invitato tutti i ballerini a prendere parte a una speciale milonga per Papa Francesco. L’appuntamento è fissato per domenica 16 marzo alle 16, proprio sotto il Policlinico Gemelli. Questo ballo è dedicato a Bergoglio, argentino e amante del tango, “come segno di gratitudine e prossimità”, aggiunge la ballerina.
“Mi hanno contattato da ogni parte d’Italia e saremo in tanti – sottolinea – Spero che la nostra energia positiva e la nostra luce possano raggiungere Papa Francesco attraverso un ‘baile’ che ama in modo profondo. Sono convinta che riuscirà a superare questa prova difficile”.
“L’invito è aperto a tutti, non solo ai professionisti – continua – ma anche a chiunque ami il tango. La nostra presenza vuole essere un gesto di affetto e speranza per una rapida guarigione, un momento di raccoglimento e di sostegno. Ho chiesto semplicemente a coloro che interverranno – ricorda ancora la Guspero – di portare con sé il proprio cuore e la propria fede, come simbolo di amore.”
Attualità
A fine marzo tornerà l’ora legale: quel sottile mix di emozione, dibattito e luce...

Vi proponiamo un viaggio attraverso le pieghe di questo rito che, puntuale come l’alba, bussa alle nostre porte ogni anno a fine marzo. Forse a qualcuno pare cosa banale, un’abitudine scontata. Eppure, dietro il semplice gesto di spostare l’orologio avanti di un’ora nella notte tra sabato 29 e domenica 30 marzo, si cela un mosaico di storie, confronti accesi e dati concreti. Sentiamo di volerlo raccontare con tutta la nostra passione, perché qui non si parla soltanto di tempo ma anche di energia, salute e scelte politiche.
Quando scatta l’ora legale: ecco cosa aspettarsi
Allo scoccare delle 2, tutto si capovolge e le lancette saltano alle 3. Un’ora di sonno che svanisce, è vero, ma in cambio avremo una porzione di luce in più nelle nostre giornate. Pare una piccola magia: improvvisamente il tramonto si sposta in avanti, le serate diventano più lunghe e – magari – vi sentirete invogliati a fare una passeggiata dopo il lavoro. Questo regime resterà in vigore per ben sette mesi, fino all’ultimo fine settimana di ottobre, quando poi ritroveremo l’ora solare tra sabato 25 e domenica 26 ottobre.
Una discussione accesa in Europa
Non è un mistero che nell’Unione Europea il tema del cambio d’ora sollevi continue controversie. Diversi Paesi del Nord chiedono da tempo di abolire questa pratica, ritenendola ormai superflua. Lo scontro si è fatto sentire anche nel Parlamento europeo, dove sin dal 2015 la Commissione è stata invitata a valutare gli impatti reali del passaggio da un orario all’altro. Nel 2023, l’esecutivo ha scelto di prendere ancora tempo in attesa che gli Stati membri raggiungano un accordo. L’incertezza continua a generare reazioni contrastanti, raccolte firme e opinioni condivise in ogni angolo del continente, compresa l’Italia.
Effetti sulla salute: cosa dicono gli esperti
Un po’ di stanchezza, qualche sbadiglio di troppo al mattino, la sensazione di essere “fuori fase” per qualche giorno: secondo gli specialisti, il ritmo circadiano richiede un minimo di assestamento. Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima), ha messo in guardia proprio su questo: quando si cambia l’orario, l’orologio biologico subisce un piccolo scossone e in tanti registrano disturbi del sonno, mancanza di concentrazione e calo dell’umore. Nulla di catastrofico, di solito, ma un fastidio che può incidere sulle attività quotidiane.
Risparmio energetico: i dati di Terna
L’ora legale non nasce certo a caso. È un’antica convenzione che, fin dalle sue origini, puntava a risparmiare energia sfruttando meglio la luce solare. Secondo i dati forniti da Terna, la società che gestisce la rete elettrica italiana, nei sette mesi di ora legale il nostro Paese riduce i consumi di circa 340 milioni di kWh, pari al fabbisogno medio annuo di 130 mila famiglie. Non è poca cosa, soprattutto perché significa un risparmio di oltre 75 milioni di euro. Un beneficio economico e ambientale che spinge a rivalutare l’efficacia di questa scelta, nonostante i disagi che qualcuno lamenta.
Insomma, la nostra ora legale ha radici lontane e sempre attuali. Voi, come vivete questo cambio? Per alcuni è solo un piccolo sacrificio in termini di riposo, per altri è l’occasione di godere di più luce e orizzonti luminosi. Quel che è certo è che, scorrendo i numeri e ascoltando le tante opinioni, l’argomento non smette di pulsare. Cambiamo orario ma non la curiosità di sapere come andrà a finire la lunga storia di questo dibattito.
Attualità
SuperEnalotto: i numeri vincenti di martedì 4 marzo 2025

Centrati sei “5” da 30.112,16 euro ciascuno.
Nella giornata di oggi, 4 marzo, non è stato registrato alcun “6” né “5+” nel concorso del SuperEnalotto. Tuttavia, sei schedine hanno realizzato il “5”, ottenendo una vincita individuale di 30.112,16 euro. Il jackpot in vista del prossimo concorso raggiunge la cifra di 81.800.000 euro.
Il costo di una schedina
La puntata minima del SuperEnalotto prevede l’inserimento di 1 colonna, corrispondente a 6 numeri. La giocata massima arriva invece fino a 27.132 colonne, possibile tramite i sistemi a caratura, dove si acquistano quote da 5 euro e un gruppo numeroso di partecipanti può dividersi l’eventuale vincita. Ogni combinazione costa 1 euro e l’aggiunta del numero Superstar richiede 0,50 centesimi in più.
Di conseguenza, la schedina base con Superstar (1 colonna) costa 1,5 euro. Aumentando il numero di colonne, basta moltiplicare il totale delle colonne per 1,5 per ottenere il costo complessivo della giocata.
Come verificare una vincita
È possibile controllare eventuali vincite attraverso l’App del SuperEnalotto. Inoltre, per le giocate precedenti che non sono state verificate, è disponibile online un archivio con numeri e premi relativi alle ultime 30 estrazioni.
I punteggi vincenti
Al SuperEnalotto si ottiene un premio con punteggi da 2 a 6, incluso il 5+. L’ammontare delle vincite dipende dal jackpot complessivo. Indicativamente:
- Con 2 numeri corretti si vincono circa 5 euro
- Con 3 numeri corretti si vincono circa 25 euro
- Con 4 numeri corretti si vincono circa 300 euro
- Con 5 numeri corretti si vincono circa 32mila euro
- Con 5 numeri + 1 si vincono circa 620mila euro
La combinazione vincente di oggi, 4 marzo 2025
Ecco i numeri vincenti del concorso odierno, 4 marzo: 9, 28, 52, 63, 77, 79.
Numero Jolly: 11.
Numero SuperStar: 39.
Attualità
Primavera da oggi a domenica, con sole e temperature in rialzo: ecco le previsioni meteo

Precipitazioni localizzate su Sardegna e Sicilia da giovedì
La stagione primaverile guiderà l’andamento di questa settimana a partire da oggi, martedì 4 marzo, coinvolgendo da Milano a Roma, da Napoli a Palermo, con una situazione meteorologica caratterizzata da cielo sereno e temperature in crescita. Il bel tempo si manterrà stabile, mentre i valori termici raggiungeranno i 17-20 gradi da Nord a Sud.
Fino a giovedì 6 marzo, non si attendono particolari cambiamenti sotto il profilo meteo, se non qualche mattinata ancora fresca al Nord e nelle aree interne del Centro, dove non sono escluse lievi gelate in pianura, come segnala ilmeteo.it.
Da giovedì sera, le uniche novità riguarderanno le Isole Maggiori: sono previste precipitazioni anche di una certa intensità tra la Sardegna meridionale e la Sicilia occidentale, a causa dell’avanzata di un ciclone dal Nord Africa. Sul resto del territorio permarranno condizioni tipicamente primaverili, senza variazioni di rilievo.
Venerdì, le perturbazioni di origine nordafricana porteranno ancora piogge a tratti su Sardegna e Sicilia; durante il fine settimana, si assisterà al graduale spostamento di una perturbazione atlantica in arrivo dalla Spagna verso la Francia (mentre la depressione proveniente dal Nord Africa avrà perso energia dirigendosi verso i Balcani).
La perturbazione atlantica franco-spagnola potrebbe determinare precipitazioni abbondanti sul nostro Paese a partire dalla sera di domenica o dalle ore notturne. Nel weekend, in ogni caso, non si prevedono fenomeni di rilievo, a meno di cambiamenti improvvisi delle proiezioni meteo, che verranno attentamente seguiti.
In sintesi, la Primavera resterà protagonista per tutta la settimana, con l’unica eccezione di rovesci sulle Isole Maggiori tra giovedì sera e venerdì; domenica si attende un aumento della nuvolosità sul Nord-Ovest. Nel complesso, le notizie sono buone: possiamo goderci le abbuffate del Martedì Grasso e approfittare dei raggi del primo sole deciso di stagione per un po’ di abbronzatura anticipata.
Le previsioni meteo:
- Martedì 4.
Al Nord: cielo sereno e temperature miti di giorno.
Al Centro: sereno o poco nuvoloso.
Al Sud: tempo soleggiato. - Mercoledì 5.
Al Nord: bel tempo e clima primaverile.
Al Centro: prevalenza di cielo sereno.
Al Sud: nubi sparse. - Giovedì 6.
Al Nord: bel tempo e clima primaverile.
Al Centro: generalmente soleggiato; peggioramento in Sardegna.
Al Sud: nubi irregolari, peggiora in Sicilia. - Tendenza:
Venerdì piogge sparse sulle Isole Maggiori; nel fine settimana, in generale, tempo stabile.
Attualità
L’Italia media tra Stati Uniti e Ucraina: Meloni a Londra per un nuovo dialogo occidentale

Dall’inviato Adnkronos ANTONIO ATTE.
LONDRA – La presidente del Consiglio Giorgia Meloni si prepara a incontrare, in data odierna, il primo ministro britannico Keir Starmer, con l’obiettivo di sollecitare una collaborazione rafforzata tra Washington e l’Unione Europea sulla crisi ucraina. L’iniziativa si inserisce in un quadro politico internazionale che, nelle ultime ore, ha subito forti scossoni a seguito di un acceso confronto alla Casa Bianca fra il presidente statunitense Donald Trump e il leader ucraino Volodymyr Zelensky.
In vista di un vertice europeo ospitato a Lancaster House e dedicato alla sicurezza in Ucraina e in tutto il continente, la premier italiana si è detta pronta a proporre un incontro immediato fra Stati Uniti e partner europei. L’intento dichiarato è di arginare possibili fratture all’interno del blocco occidentale, reputate da Meloni dannose per la stabilità geopolitica e potenzialmente favorevoli a potenze ostili. Alla vigilia degli eventi londinesi, la presidente del Consiglio ha ribadito come una divisione fra alleati risulti «controproducente per chi crede nel valore della libertà».
Tensioni fra Usa e Ucraina: lo scontro alla Casa Bianca
L’episodio che ha acceso i riflettori internazionali si è consumato a Washington: un diverbio diretto tra Trump e Zelensky ha allarmato diverse capitali europee. Il presidente americano ha rivolto dure critiche al suo omologo ucraino, turbando l’equilibrio diplomatico in un conflitto già segnato da tre anni di ostilità sul suolo ucraino. Berlino, Parigi, Madrid e Varsavia hanno immediatamente espresso sostegno alla leadership di Kiev, nel timore che un ulteriore deterioramento dei rapporti con gli Stati Uniti possa compromettere gli sforzi di mediazione in corso.
Meloni, dal canto suo, sembra puntare a una soluzione moderata. Secondo fonti vicine a Palazzo Chigi, la presidente del Consiglio reputa essenziale scongiurare la frattura fra l’Europa e la sponda oltreoceano. A suo avviso, un’eventuale cesura comporterebbe rischi non solo per la stabilità regionale, ma anche per i principi fondanti dell’Occidente: la libertà e la democrazia.
Summit a Lancaster House: 18 Paesi e i vertici di Nato e Ue
Nel pomeriggio di oggi, i principali leader europei si riuniranno a Lancaster House per un summit incentrato principalmente sui risvolti della guerra fra Russia e Ucraina. L’evento fa seguito a un precedente incontro tenutosi a Parigi lo scorso 17 febbraio e ospiterà 18 capi di governo, oltre ai rappresentanti di NATO e Unione Europea. L’obiettivo dichiarato è definire una strategia comune che, nelle intenzioni di Londra, possa rafforzare la posizione dell’Ucraina e garantire sicurezza all’intera area continentale.
In apertura del vertice, Meloni avrà un incontro bilaterale con Starmer a Downing Street, previsto alle 11:00 (ora locale). L’argomento centrale del faccia a faccia sarà la crisi ucraina, ma non mancherà spazio per discutere temi connessi, quali la gestione dei flussi migratori e la cooperazione in materia di difesa. I due leader si confronteranno inoltre su settori di possibile convergenza economica, con un occhio di riguardo ai progetti energetici e agli investimenti strategici.
La posizione dell’Italia: nessun intervento Nato, possibile ruolo Onu
Stando a quanto trapela dalle istituzioni italiane, la presidente Meloni è intenzionata a respingere l’idea di un intervento militare diretto in Ucraina da parte dei Paesi membri della NATO. Francia e Regno Unito, guidate rispettivamente da Emmanuel Macron e dallo stesso Starmer, non escluderebbero invece uno scenario che coinvolga truppe europee. In questo contesto, Palazzo Chigi manifesta scetticismo e si dichiara più incline a valutare un’eventuale operazione di peacekeeping sotto l’egida delle Nazioni Unite, qualora si delineasse un accordo internazionale capace di instaurare una tregua solida e condivisa.
Su tali aspetti, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari ha osservato che al momento non esistono i presupposti politici per una missione Onu, essendo tuttora distante la prospettiva di un cessate il fuoco stabile. Resta però sul tavolo l’idea che l’Alleanza Atlantica possa fungere da “cornice” preferenziale per fornire garanzie di sicurezza a Kiev e per immaginare un processo di pace in grado di consolidare risultati duraturi.
L’agenda di Zelensky: incontro con Starmer e appello all’unità
Volodymyr Zelensky, intanto, è sbarcato a Londra ieri per discutere con Starmer delle necessità più urgenti dell’Ucraina. Da quanto filtra dagli ambienti governativi britannici, il premier del Regno Unito ha assicurato che il sostegno a Kiev verrà garantito «fino a quando sarà necessario». Nel corso della giornata, il presidente ucraino dovrebbe anche avere un colloquio con re Carlo III e un gruppo ristretto di delegazioni europee, in un tentativo di rafforzare i rapporti diplomatici e ottenere impegni concreti in termini di aiuti.
Sul fronte dei rapporti con gli Stati Uniti, Zelensky ha lasciato intendere di essere disponibile a firmare un accordo in materia di terre rare, ma ha ribadito che un cessate il fuoco privo di tutele internazionali potrebbe rivelarsi insidioso per il suo Paese. Secondo il segretario generale della NATO, Mark Rutte, la priorità rimane ricomporre le fratture nate dopo l’incontro con Trump, evitando che divergenti visioni strategiche allontanino Washington, Kiev e l’Europa dal raggiungimento di una pace duratura.
Reazioni in Italia: divisioni fra maggioranza e opposizione
L’eco dello scontro Trump-Zelensky si è propagato anche nel contesto italiano, dove il dibattito politico appare sempre più polarizzato. Mentre le forze di opposizione sollecitano un intervento di Meloni in Parlamento per riferire sugli sviluppi della crisi e sul ruolo assunto dal governo, dentro la maggioranza non manca una certa dissonanza di opinioni. Il leader della Lega Matteo Salvini, ad esempio, si schiera apertamente dalla parte della Casa Bianca, convinto che dopo anni di violenze e perdite umane, sia indispensabile trovare una via per la pace.
Di diverso avviso è Antonio Tajani, vicepremier e titolare degli Affari Esteri, il quale ribadisce la necessità di mantenere salda l’alleanza con l’Unione Europea. Tajani ha inoltre annunciato che Forza Italia confermerà la propria adesione a un progetto di un’Europa unita e autorevole nel prossimo congresso del Partito Popolare Europeo previsto a Valencia, sottolineando come la coesione interna rappresenti la base per negoziati efficaci sul piano internazionale.
Contatti diretti fra Meloni e Trump
Nella serata di ieri, prima della partenza per Londra, Meloni ha avuto una conversazione telefonica con Trump. Secondo quanto divulgato da Palazzo Chigi, il colloquio è stato incentrato sul confronto con Zelensky che la premier italiana si prepara a tenere a margine del summit di Lancaster House. L’obiettivo di tali colloqui resta quello di allineare posizioni ed evitare che l’Ucraina, colpita dal conflitto, venga ulteriormente indebolita da divergenze tra i principali attori occidentali.
Con lo sguardo rivolto alla riunione londinese, Meloni spera di compattare le posizioni di Washington e Bruxelles, convinta che il sostegno occidentale non possa frammentarsi in un momento tanto cruciale. In questo scenario, l’Italia mira ad assumere un ruolo di mediazione attiva, rinnovando l’appello a un’azione coordinata, capace di rispondere alla crisi ucraina senza intaccare il tessuto di valori e principi condivisi.
Attualità
Daredevil: Rinascita, la nuova serie Marvel arriva in Italia – Data di uscita,...

Daredevil: Rinascita è roba che fa venire i brividi, punto. Sette anni, cavolo. Sette anni che aspettavamo di rivedere Matt Murdock – non solo Daredevil, no: Matt. Matt, con le sue cicatrici dentro e fuori, quelle che puoi vedere e quelle che riesci solo a sentire. È lui che torna, con quella vita assurda tra aule di tribunale e notti a Hell’s Kitchen, con quella rabbia e quella voglia di giustizia che ti brucia dentro, fino a toglierti il respiro.
E poi c’è lui, Fisk. Wilson Fisk, quel gigante che mette paura anche solo a guardarlo negli occhi. Ora lo ritroviamo in giacca e cravatta, che sorride come un politico vero, che vuole diventare sindaco di New York. Ma dietro quel sorriso c’è sempre l’ombra di chi è stato, l’ombra di quello che ha fatto. E sai già che prima o poi tutto esploderà.
La storia è così, piena di crepe, di vita vera, dura e tagliente. Due uomini, due strade, due vite che non possono fare altro che scontrarsi, perché il passato è sempre lì, come una ferita che non guarisce mai davvero. E poi c’è pure questo nuovo tipo, “Muse”, uno che mette ansia già solo dal nome – e tu lo sai che ci metterà un attimo a rendere tutto ancora più incasinato, più oscuro…
Insomma, sarà un caos ma sarà bellissimo, intenso, che ti spacca il cuore e te lo rimette insieme, forse più ammaccato di prima, ma con quella voglia matta di non perdere nemmeno un secondo di questa storia.
Il cast
Charlie Cox è tornato. Proprio lui, il Matt che ci ha fatto piangere, arrabbiare e sperare per tre stagioni intere. Di nuovo lui, con quella faccia da bravo ragazzo che ti convince e quel buio dietro gli occhi che ti spezza dentro ogni volta.
E vicino a lui, c’è ancora Vincent D’Onofrio. Fisk. Kingpin. Chiunque tu voglia che sia, tanto basta il nome per metterti ansia. Fisk non cambia, no, non cambia mai davvero—lo vedi lì, elegante e freddo, ma sai già che sotto c’è una tempesta pronta a esplodere. Deborah Ann Woll e Elden Henson tornano anche loro, e questa è una bella cosa perché Karen e Foggy sono quella famiglia strana, imperfetta, che ogni storia come questa deve avere. Loro due fanno sembrare tutto più reale, più vicino. Li guardi e pensi che potrebbero essere davvero quelli che incontri al bar sotto casa.
E poi c’è Jon Bernthal. Sì, Frank Castle, il Punisher – quel tipo che non puoi fare a meno di amare anche se forse non dovresti. Quello che non chiede permesso, quello che ti travolge e basta. Insomma, il Punisher è sempre il Punisher, punto. Ci sono anche Ayelet Zurer, la glaciale, inquietante Vanessa Marianna-Fisk, e Wilson Bethel, quello lì, “Dex”, Bullseye, quello che fa paura davvero, perché è imprevedibile, è dannatamente inquietante, e sai già che ogni volta che appare qualcosa va storto. È questo il cast, persone vere con ferite e ombre, che tornano perché probabilmente avevano bisogno anche loro, come noi, di raccontare un’altra storia.
Accanto ai volti noti, Rinascita introduce una schiera di nuovi personaggi nel franchise. Margarita Levieva interpreta Heather Glenn, una terapeuta nonché nuovo interesse sentimentale di Matt Murdock. Michael Gandolfini – figlio del compianto James Gandolfini – entra nel cast nel ruolo inedito di Daniel Blake, un comune cittadino che potrebbe nascondere più di quanto appaia. Troviamo poi Nikki M. James nei panni di Kirsten McDuffie, giovane avvocata con cui Matt incrocerà il suo cammino.
Completano le new entry Genneya Walton (nel ruolo di “BB” Urich), Arty Froushan (che interpreta Buck Cashman), Clark Johnson (un personaggio chiamato Cherry) e Zabryna Guevara (Sheila Rivera), tutti personaggi nuovi creati per l’occasione. Da segnalare anche la presenza di White Tiger: la serie vedrà infatti comparire l’eroe portoricano Hector Ayala, alias White Tiger, interpretato dall’attore Kamar de los Reyes – un ruolo di peso confermato solo dopo la prematura scomparsa dell’attore nel 2023.
Produzione
Dietro le quinte, Daredevil: Rinascita è una produzione Marvel Studios (sotto l’etichetta Marvel Television) pensata per integrare completamente il personaggio nel MCU. Lo showrunner incaricato è Dario Scardapane, già noto per il suo lavoro in serie d’azione come The Punisher e Jack Ryan. Scardapane ha preso le redini creative dopo un iniziale sviluppo avviato nel 2022 da Matt Corman e Chris Ord, ingaggiati come head writer per concepire una stagione da ben 18 episodi.
La produzione, però, ha subito un’importante riorganizzazione nel 2023: in seguito allo sciopero degli sceneggiatori e a valutazioni interne, Marvel Studios ha deciso di “resettare” il progetto a metà lavorazione. Corman e Ord sono stati sostituiti e la serie è stata ripensata in forma più serializzata e in maggiore continuità con lo show originale. Il numero di episodi previsto è stato ridotto e suddiviso in due parti: la prima stagione conterà 9 episodi e una seconda stagione di 8 episodi è già pianificata. Questa scelta riflette la volontà dei Marvel Studios di investire a lungo termine sul personaggio, garantendo un arco narrativo esteso e approfondito.
Dal punto di vista registico e produttivo, Rinascita vanta nomi di spicco dell’attuale scuderia Marvel. Il duo Justin Benson & Aaron Moorhead, già dietro la macchina da presa in Moon Knight e Loki, figura tra i registi principali ed è anche coinvolto come executive producer. Insieme a loro firmano la regia degli episodi Michael Cuesta, Jeffrey Nachmanoff e David Boyd – tutti veterani della serialità – apportando diverse visioni alla messa in scena. I produttori esecutivi includono figure chiave dei Marvel Studios come Kevin Feige, Louis D’Esposito e Brad Winderbaum, affiancati da Sana Amanat (editor di Marvel Comics e co-creatrice di Ms. Marvel) e dagli stessi Scardapane, Corman, Ord, Benson e Moorhead.
Le riprese si sono svolte a New York, location fondamentale per restituire l’autenticità urbana della storia, con una particolare attenzione alle atmosfere cupe e realistiche: stazioni di polizia, aule di tribunale e vicoli di Manhattan fanno da sfondo alla vicenda, ricreati con cura dal reparto fotografia e scenografia per far “sentire” allo spettatore il vero cuore della città.
Differenze con la serie Netflix e legami con il MCU
Matt Murdock (Charlie Cox) e Wilson Fisk (Vincent D’Onofrio) si ritrovano faccia a faccia in un diner di New York in una scena di Daredevil: Rinascita, a testimonianza del filo diretto con la serie originale e dell’evoluzione dei personaggi nel MCU.
Sin dal titolo, Rinascita si propone come una revival in continuità con la serie Netflix originale, più che un reboot scollegato. Molti elementi della serie del 2015-2018 vengono ripresi: stessa ambientazione (Hell’s Kitchen), stessi protagonisti e un filo narrativo che si collega direttamente agli eventi dell’ultima stagione conclusa nel 2018. Come confermato dallo showrunner Scardapane, Daredevil: Rinascita segue un “filo diretto” con la precedente serie, riprendendo i personaggi dove li avevamo lasciati e portando avanti le loro storie, pur inaugurando “un nuovo inizio” per Matt Murdock. In pratica, si tratta dello stesso Daredevil che pubblico e critica hanno conosciuto e amato, ma ora inserito ufficialmente nell’universo condiviso dei Marvel Studios.
Non mancano però differenze significative rispetto all’era Netflix, dovute sia al cambio di produzione sia all’evoluzione dei personaggi. Tono e stile narrativo sono stati argomenti al centro dell’attenzione dei fan: la serie originale era nota per la sua cupezza, la violenza esplicita e l’impostazione da crime noir. Marvel Studios ha inizialmente pensato a un approccio un po’ più leggero e “procedurale” per il nuovo Daredevil, con episodi autoconclusivi e uno sguardo diverso sul personaggio. Tuttavia, dopo le prime riprese, Cox e D’Onofrio stessi hanno manifestato perplessità su un eccessivo allontanamento dallo spirito originale. La direzione creativa è stata quindi ricalibrata: Rinascita tornerà ad abbracciare la tonalità oscura e matura che ha fatto il successo della serie, pur introducendo alcune novità.
Dario Scardapane ha dichiarato che il nuovo show avrà meno introspezioni fine a se stesse e più momenti di interazione umana, definendolo “un crime drama newyorkese” che si ispira a classici come I Soprano o Il re di New York, piuttosto che un racconto puramente noir. I produttori Marvel hanno addirittura paragonato la storia a una sorta di Game of Thrones ambientato a New York, con diverse “fazioni” criminali e politiche che si contendono il potere nella città. Il risultato, promettono, sarà un equilibrio tra fedeltà allo spirito originale e una narrazione fresca: «È lo stesso personaggio che conosciamo, influenzato da ciò che ha passato. Per essere la versione migliore di Daredevil deve spingersi ad esplorare la sua parte peggiore… ed è divertente farlo!», ha spiegato Charlie Cox riguardo all’evoluzione di Matt.
L’integrazione nel Marvel Cinematic Universe è l’altro grande fattore di novità. A differenza della serie Netflix – che era solo nominalmente collegata al MCU, senza mai interagire davvero con gli eventi dei film – Daredevil: Rinascita è pienamente inserita nella continuity ufficiale. Già dal 2021 Charlie Cox e Vincent D’Onofrio hanno fatto apparizioni nei prodotti Marvel Studios (Matt Murdock in una scena di Spider-Man: No Way Home e nella serie She-Hulk, Kingpin nella serie Hawkeye e successivamente in Echo), preparando il terreno al loro ritorno da protagonisti. Questo significa che la nuova serie potrà riferirsi agli eventi globali del MCU – ad esempio le conseguenze del “Blip” – e far interagire Daredevil con altri personaggi dell’universo Marvel.
Cox ha rivelato di aver apprezzato molto poter far interagire Matt con altri eroi, cosa che la serie originale non poteva fare, e ha anticipato che in Rinascita compariranno camei divertenti di altri personaggi MCU, “piccoli momenti di collisione” inseriti con naturalezza. Un esempio già confermato è l’apparizione di Yusuf Khan (il padre di Ms. Marvel), personaggio proveniente da una storia di tono ben diverso, a riprova di come Marvel voglia mostrare l’interconnessione del suo mondo anche mescolando registri differenti. Ovviamente il legame più importante resta quello con gli ex-compagni di avventure di Matt: Rinascita riporterà in scena figure come Karen, Foggy e Frank Castle, sanando il “vuoto” lasciato dalla fine delle serie Netflix e sancendo ufficialmente che quelle vicende – magari con qualche licenza creativa – fanno parte integrante della saga MCU principale.
Impatto sulla nuova fase del Marvel Cinematic Universe
L’arrivo di Daredevil: Rinascita è strategico per la nuova fase del Marvel Cinematic Universe. La prima stagione della serie è infatti parte integrante della Fase 5 dell’MCU, lo stesso segmento narrativo che comprende film recenti e serie Disney+ come Ant-Man and the Wasp: Quantumania, Guardiani della Galassia Vol. 3, The Marvels, Secret Invasion e Loki 2. Introdurre Daredevil in questa fase significa riportare l’attenzione sul lato “stradale” e urbano dell’universo Marvel, bilanciando le trame cosmiche e multiversali con storie più realistiche e oscure.
Il Diavolo di Hell’s Kitchen diventa così uno dei volti centrali della saga attuale, contribuendo ad arricchire la varietà di toni e generi all’interno del franchise. Marvel Studios dimostra di puntare fortemente sul personaggio: non solo Rinascita avrà due stagioni (la seconda, già prevista in fase 6, arriverà nel 2026), ma il capo dei Marvel Studios Kevin Feige e i suoi collaboratori vedono in Daredevil un perno per future storyline.
Il trailer ufficiale
L’impatto di Rinascita potrebbe farsi sentire ben oltre la serie stessa. La trama che vede Wilson Fisk lanciato in politica – candidato sindaco di New York – apre scenari interessanti: se Kingpin riuscisse a ottenere una posizione di potere legale, le sue macchinazioni potrebbero toccare altri angoli dell’MCU. Nei fumetti, ad esempio, Fisk da sindaco ha incrociato la strada di vari eroi, imponendo leggi contro i vigilanti e scatenando eventi come la saga Devil’s Reign. Non è da escludere che la sua “campagna” nella serie porti a conseguenze che vedremo riflesse in altri titoli Marvel futuri, specie quelli ambientati a New York.
Inoltre, la presenza di Frank Castle/Punisher prepara il terreno a possibili espansioni: è stato confermato ufficialmente dal produttore Brad Winderbaum che il Punisher avrà un proprio Special Presentation (uno spin-off in formato speciale televisivo) nell’ambito del MCU. Ciò indica che Rinascita funge anche da trampolino di lancio per altri progetti, inserendosi in una più ampia strategia di Marvel nel recuperare i cosiddetti “eroi di strada” (come Jessica Jones, Luke Cage o Iron Fist) e integrarli gradualmente nell’universo condiviso. Questa mossa era attesa da tempo dai fan e rappresenta un tassello fondamentale della nuova fase: l’MCU post-Endgame sta cercando nuove direzioni narrative e Daredevil, con il suo seguito e la sua ricca mitologia, promette di giocare un ruolo di primo piano nell’equilibrio generale della saga.
Distribuzione in Italia
Finalmente ci siamo, ragazzi. 4 marzo 2025. Segnatevelo da qualche parte, tatuatevelo sul braccio, fate qualcosa perché quel giorno lì succede davvero: Daredevil torna ed è roba seria. Ok, da noi arriva tipo il 5 marzo, sapete com’è, fuso orario, roba tecnica – ma che importa davvero un giorno in più?
Disney+ fa le cose come si deve stavolta, perché ce ne spara subito due di episodi. Due. Così, dritti in faccia, per farci capire subito che non scherzano per niente. Poi sì, i successivi sette arriveranno ogni settimana, che è un po’ una tortura ma pure una gioia perché hai quella roba bella dell’attesa, della tensione, che quando finalmente premi play, senti che te lo sei guadagnato.
E poi la domanda delle domande: guardarselo in originale o doppiato? Che vi devo dire, fate come volete, perché comunque vada cascate bene. Originale sottotitolato se siete di quelli “Matt lo devo sentire davvero, lo devo sentire vivo”, oppure doppiato perché diciamocelo: Alessandro Budroni che fa Matt e Pasquale Anselmo che fa Fisk, quelli sono voci vere, sono roba che ti rimane dentro e non ti lascia andare.
Ah, giusto, niente TV normale, niente DVD – Disney se lo tiene stretto, questo Daredevil. Sarà tutto streaming su Disney+, punto e basta. Ormai è così, ma almeno sai dove trovarlo, sempre lì, nel catalogo Marvel. Casa nuova, storie nuove, emozioni vecchie che tornano fortissimo. E va bene così.
Aspettative del pubblico e critica
L’hype attorno a Daredevil: Rinascita è altissimo. I fan storici del Diavolo di Hell’s Kitchen, orfani della serie Netflix dal 2018, hanno accolto con entusiasmo la notizia del revival e il ritorno di Cox e D’Onofrio, pur manifestando inizialmente qualche timore sul passaggio a Disney+ (censura e ammorbidimento dei toni erano le principali preoccupazioni). Queste ansie sembrano essere state placate sia dalle dichiarazioni del cast sia dalle prime anticipazioni. Charlie Cox ha rassicurato il pubblico promettendo che la serie sarà «spaventosa, cupa e inquietante», garantendo che Rinascita non perderà il lato oscuro che i fan amano. «Sì, sarà dark, potete fidarvi», ha aggiunto l’attore, confermando che Marvel ha mantenuto la promessa di restituire l’atmosfera brutale originaria.
Anche Vincent D’Onofrio ha suggerito che la nuova storia di Fisk sarà in linea con quella vista su Netflix, sebbene il personaggio si trovi ora in una posizione diversa («È lo stesso villain… ma ha un nuovo piano. Diciamo che per lui sarà difficile vivere più alla luce del giorno» ha detto, alludendo alla sfida di un criminale che tenta di ripulirsi in ambito pubblico). Queste parole, insieme a trailer dall’impronta decisamente cruda, hanno riacceso l’entusiasmo della fanbase.
Ma le conferme più incoraggianti arrivano dai primi riscontri della critica. La serie è stata presentata in anteprima stampa con i primi episodi, e le reazioni sulle social media da parte di giornalisti ed esperti sono state entusiastiche. Liam Crowley di ScreenRant ha definito la puntata d’esordio «il miglior episodio pilota di qualsiasi serie MCU finora», elogiando la tensione costante che tiene lo spettatore col fiato sospeso e lodando le interpretazioni di Cox e D’Onofrio. Un altro esperto, Brandon Davis (Phase Zero), parla di Rinascita come di una “vera continuazione della serie Netflix” che “spacca, si muove velocemente e non fa prigionieri”, sottolineando come i due attori protagonisti non abbiano perso un colpo nei loro ruoli iconici. In generale i critici concordano che lo show segna un ritorno trionfale del Diavolo di Hell’s Kitchen: l’azione è intensa, il tono è brutale e la narrazione avvincente, fedele allo spirito originale ma con la sicurezza produttiva dei Marvel Studios.
Qualche piccola riserva è stata espressa solo sugli effetti visivi in alcune scene, considerati migliorabili, ma si tratta di dettagli che non intaccano il giudizio complessivo molto positivo. «Daredevil: Rinascita ti scuoterà fin nel profondo fin dall’inizio», assicura Rayyan Akbar di The Illuminerdi, evidenziando come già la sequenza iniziale del primo episodio sia “brutale” e “devastante” per impatto. Insomma, le aspettative sia del pubblico che della critica sono elevatissime e tutto lascia presagire che questa nuova incarnazione di Daredevil possa non solo eguagliare la qualità della serie originale, ma addirittura rilanciare il personaggio verso vette ancora più alte nel panorama del Marvel Cinematic Universe. Con Rinascita, il diavolo di Hell’s Kitchen è pronto a risorgere più in forma che mai, portando con sé una ventata di adrenalina e maturità nella grande famiglia MCU.
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Attualità
La determinazione di Papa Francesco, ripresa e nomine dal Gemelli

Un nuovo slancio per la Chiesa universale, tra decisioni cruciali e impegni di governo.
C’è un’energia inaspettata che attraversa il decimo piano del Policlinico Gemelli, dove Papa Francesco si trova ricoverato dal 14 febbraio. Se qualcuno di voi immagina un ambiente sospeso, fatto di luce fioca e silenzio, forse dovrà ricredersi: l’atmosfera è tutt’altro che statica. Noi, seguendo le evoluzioni di queste ore, percepiamo un desiderio di rimettersi in movimento che risuona in ogni parola e in ogni decisione presa dal Pontefice. Sarà il suo spirito gesuita, quel motto ad maiorem Dei gloriam tipico di Ignazio di Loyola, sarà il suo continuo richiamo a «fare baccano» e non lasciarsi ingabbiare dalla stasi. Fatto sta che, nonostante la prognosi riservata, Papa Francesco non ha esitato a tornare in carreggiata.
Incontro chiave con il Segretario di Stato
Lunedì scorso, in modo quasi sottotraccia, il Santo Padre ha ricevuto il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, insieme all’arcivescovo Edgar Peña Parra, figura di rilievo che agisce come una sorta di “coordinatore interno” della Santa Sede. Non è stato un colloquio ordinario. Da quanto ci risulta, il cardinale Parolin aveva inizialmente suggerito di ridurre al minimo gli incontri, per proteggere il Pontefice da un eccessivo affaticamento. Ma Francesco ha preferito riavviare le attività e Parolin non ha potuto che confermare la sua disponibilità a raggiungerlo, proprio come il Papa desiderava.
Qual è il segnale più forte? Che la macchina del governo ecclesiale non si ferma. Anzi, la volontà di proseguire pare più vivace che mai. Anche mentre si trova ancora tra flebo e controlli clinici, Francesco ha posto la sua firma su documenti importanti, tra cui i decreti del Dicastero delle cause dei santi.
Nuovi santi e venerabili: il ruolo di Salvo D’Acquisto
A essere elevati alle prossime tappe verso la santità, in base alle indicazioni ricevute, sono diversi nomi di grande impatto. Tra i cinque “venerabili” c’è anche Salvo D’Acquisto, giovane carabiniere che sacrificò la propria vita per salvare ostaggi innocenti durante la Seconda guerra mondiale. E si aggiungono due nuovi santi: Bartolo Longo e Gregorio Hernandez. Riconoscimenti che, a quanto sappiamo, il Papa aveva già in cuore da tempo ma che adesso hanno ricevuto il via ufficiale.
Un nuovo concistoro in arrivo?
Si parla poi di un prossimo concistoro dedicato alle canonizzazioni. È un tema che, diciamocelo, in molti hanno subito collegato all’evento dell’11 febbraio 2013, quando Benedetto XVI annunciò la rinuncia al pontificato alla fine di un concistoro per la canonizzazione dei martiri di Otranto. Stavolta, però, i timori di qualche colpo di scena sembrano del tutto infondati. Nei corridoi vaticani ci hanno ribadito che non c’entra nulla con eventuali rinunce e che le date non sono ancora state fissate. Insomma, c’è un clima di solenne normalità intorno a questa prospettiva.
Una Chiesa in marcia: nomine, messaggi e attenzione globale
In parallelo, notiamo un flusso di provvedimenti e nomine che rende ancora più chiaro come Francesco, anche dalla sua poltrona d’ospedale, continui a governare la Chiesa con fermezza. Ha appena nominato due vescovi, uno in Canada e uno in Brasile, oltre a due nuovi segretari generali per il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. E non è tutto: ha ribadito in un messaggio indirizzato a un congresso in Perù l’urgenza di estirpare il cancro degli abusi dal tessuto ecclesiale e sociale, invitando tutti a un uso responsabile e umano dell’Intelligenza artificiale.
Un cambiamento storico è stato già annunciato qualche giorno dopo il ricovero: la nomina di suor Raffaella Petrini a presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano e del Governatorato. Partirà ufficialmente dal 1° marzo. È la prima volta che una donna ricopre un ruolo così alto, finora affidato esclusivamente a cardinali. Da allora, è giunta un’altra conferma: il Papa ha stabilito che potrà delegare e conferire competenze specifiche ai Segretari Generali. Una novità che potremmo definire concreto passo in avanti, soprattutto sul versante della presenza femminile nelle strutture di vertice.
Sguardo alla Quaresima: la speranza secondo Francesco
Non si è fermato nemmeno il consueto appuntamento con il messaggio per la Quaresima, intitolato «Camminiamo insieme nella speranza». La riflessione si aggancia a quanto scritto dal papa emerito Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi: la certezza che la morte, in Cristo, è stata trasformata in vittoria. E quando si scorgono nel testo i riferimenti alla fede come ancoraggio di speranza, si avverte lo stile di Francesco che invita a non sedersi, a non cedere alla rassegnazione. Da questa stanza d’ospedale, ricordiamolo, sta continuando a mandare un messaggio di fiducia e responsabilità.
La sensazione è netta: rimanere fermo non è un’opzione per Papa Bergoglio. Ogni nuovo atto ufficiale, ogni comunicazione rilasciata, sottolinea quanto il Pontefice faccia di tutto per rimanere connesso ai dossier caldi. C’è un Paese da guidare? No, è molto di più: c’è un’intera comunità mondiale di fedeli. E mentre i medici si preoccupano di tenerlo al riparo da un affaticamento eccessivo, Francesco sembra piuttosto concentrato a riprendere in mano, con slancio, le redini della Chiesa.
La verità, se vogliamo dirla tutta, è che questo Papa, anche tra le stanze del Gemelli, resta in tensione verso un obiettivo più grande. E voi, seguendo quest’onda, potreste aver l’impressione che tutto prosegua in modo quasi frenetico. Forse è proprio così: è la sua maniera di non lasciarsi frenare, di non rimanere immobile. E nel contempo, a modo suo, continua a farci intravedere che, anche quando le forze fisiche vacillano, si può ancora scegliere di camminare insieme nella speranza.
Attualità
Papa Francesco ricoverato, Vaticano: “Condizioni critiche, crisi respiratoria:...

L’aggiornamento della Santa Sede sulle condizioni del Pontefice al Gemelli dal 14 febbraio scorso. Si è resa necessaria anche una trasfusione per la piastrinopenia associata all’anemia

Papa Francesco “è in prognosi riservata”. Lo fa sapere oggi, 22 febbraio, il Vaticano, con un aggiornamento sulle condizioni del Pontefice 88enne, ricoverato dal 14 febbraio al Gemelli per una polmonite bilaterale. “Le condizioni del Santo Padre continuano a essere critiche, pertanto, come spiegato ieri, il Papa non è fuori pericolo”. “Questa mattina Papa Francesco ha presentato una crisi respiratoria asmatiforme di entità prolungata nel tempo, che ha richiesto anche l’applicazione di ossigeno ad alti flussi”.
“Gli esami del sangue odierni hanno, inoltre, evidenziato una piastrinopenia associata a un’anemia, che ha richiesto la somministrazione di emotrasfusioni. Il Santo Padre continua a essere vigile e ha trascorso la giornata in poltrona anche se più sofferente rispetto a ieri“, aggiunge il Vaticano.
Nel bollettino, diramato dal Vaticano, vengono evidenziate delle criticità della salute di Bergoglio che ancora non erano mai apparse in quelli precedenti.
Pregliasco: “Bollettino preoccupa”
Il bollettino medico di questa sera di Papa Francesco, dice all’Adnkronos Salute, del virologo Fabrizio Pregliasco, “mette in luce un percorso non piacevole che evidenzia le difficoltà di reazione del paziente alla terapia. E ci preoccupa un po’, soprattutto perché non c’è solo la polmonite, da quello che ci viene riferito, ma anche questi problemi di bronchite asmatica di cui già soffriva e che in questo momento non aiutano a migliorare le condizioni del polmone”.
“È chiaro che in una persona dell’età del Pontefice, con le sue problematiche di salute di base, gli elementi riferiti oggi – la lunga crisi respiratoria di questa mattina e la piastrinopenia, associata ad un’anemia – non evidenziano un percorso di stabilizzazione e guarigione. Per questo motivo i medici hanno parlato di prognosi riservata. Ci auguriamo che Pontefice superi presto questo delicato momento” conclude Pregliasco.
Attualità
Papa, cardinal Bagnasco: “Dimissioni? Tormenti inutili, prego perché Francesco...

L’ex presidente della Cei parlando all’Adnkronos si conferma sulla stessa linea di Parolin: “Giustamente si tiene al largo”

Parlare di dimissioni del Papa? “Tormenti inutili”. Il cardinale Angelo Bagnasco, già presidente della Conferenza episcopale italiana, all’Adnkronos definisce in questi termini il dibattito che si è rinfocolato attorno alle dimissioni del Pontefice da quando Francesco è ricoverato al Gemelli.
A rompere il tabù era stato nei giorni scorsi il cardinale Gianfranco Ravasi, ex ‘ministro’ della Cultura, che non ha escluso l’eventualità. Oggi interviene anche il cardinale Bagnasco che concorda con le parole espresse dal segretario di Stato vaticano Pietro Parolin.
“Ho sentito la dichiarazione del cardinale Parolin che si tiene giustamente al largo da certe questioni, proprio diciamo tormenti inutili”. Bagnasco poi con gli auguri al Pontefice unisce “anche la preghiera personale per il suo ristabilimento al più presto e il ritorno alle attività normali e consuete”.
Un dibattito inopportuno dunque quello sulle dimissioni? “Inopportuno sì, non c’è nessun motivo per trattare queste cose, non mi pare proprio”.
Attualità
Miss Italia, un’icona in bilico: Netflix indaga il passato e il futuro del concorso

C’è qualcosa di elettrizzante e malinconico nel pensare a Miss Italia come un evento che un tempo dominava la prima serata televisiva, mentre oggi arranca tra mille dubbi. Abbiamo voluto avvicinarci a voi per raccontare una storia che, in fondo, appartiene a tutti. È un racconto di splendore e incertezze, di cambiamenti sociali e tentativi di resistere a un presente che sembra in costante mutazione.
Un documentario che apre il sipario
Il 26 febbraio 2024 arriva su Netflix Miss Italia non deve morire, diretto da Pietro Daviddi e David Gallerano. Non si tratta di un semplice amarcord: è un viaggio dentro il cuore di un concorso che, per decenni, ha fatto compagnia a milioni di persone, tenendole incollate allo schermo. Abbiamo tutti visto quelle sfilate in diretta su Rai 1, momenti in cui la bellezza diventava spettacolo, tensione, persino un biglietto d’ingresso verso il mondo dello show business.
Il trailer ufficiale
In primo piano c’è Patrizia Mirigliani, erede di un padre (Enzo) che fondò questo concorso leggendario. Sembra quasi di sentire il suo conflitto interiore mentre tenta di portare avanti una tradizione radicata nel costume italiano, ma anche di adattarla a un presente che chiede molto di più: empowerment femminile, inclusione, una nuova definizione di “valore”. Patrizia stessa lo ricorda con un misto di orgoglio e amarezza: c’erano anni in cui Miss Italia sfiorava gli stessi ascolti del Festival di Sanremo, mentre adesso la corsa per restare rilevanti è diventata aspra e impervia.
La domanda che ci tormenta
Si avverte un’urgenza emotiva in questa storia. Che senso ha oggi un concorso di bellezza, quando il dibattito sul ruolo delle donne si fa sempre più acceso? Miss Italia non deve morire svela le luci e le ombre di un evento che, un tempo, sembrava impossibile da mettere in discussione. Nel documentario, frammenti di archivio e testimonianze si intrecciano per ricordarci momenti di gloria, ma anche contraddizioni difficili da ignorare.
Una tradizione da salvare o un mito da superare?
Non cerchiamo di darvi risposte assolute, perché forse non ce ne sono. Noi osserviamo, ci interroghiamo. Quel che emerge è il desiderio di Patrizia Mirigliani di non consegnare Miss Italia al passato, ma di darle un nuovo slancio. Funzionerà? È la sfida che questo documentario lancia a tutti noi, senza troppi veli. E chissà che, tra memoria e futuro, non si trovi una strada capace di far convivere innovazione e tradizione.
Attualità
SuperEnalotto: estrazione del 21 febbraio 2025, assente il “6” e montepremi a 77 milioni...

Oggi, 21 febbraio 2025, il SuperEnalotto non ha registrato alcun vincitore né con il “6” né con il “5+”, lasciando invariata la rincorsa al montepremi principale. Il jackpot previsto per il prossimo appuntamento si attesta a 77.000.000 di euro, una cifra che continua a suscitare l’interesse di numerosi appassionati in tutta Italia.
La combinazione estratta nell’ultimo concorso
La sestina vincente di oggi è: 21, 45, 48, 72, 79, 87. Il Numero Jolly estratto è 73, mentre il Superstar è 89. Sebbene non siano emerse vincite di prima o seconda fascia, le estrazioni confermano comunque diverse opportunità di premio per chiunque abbia realizzato i punteggi da 2 a 5+.
Costi e modalità di giocata
È possibile partecipare al SuperEnalotto compilando almeno 1 colonna, composta da 6 numeri e dal costo di 1 euro. Chi desidera aggiungere il numero Superstar può farlo con un sovrapprezzo di 0,50 centesimi a colonna. Ciò significa che una singola colonna più Superstar comporta una spesa di 1,5 euro.
Chi predilige giocate più consistenti può sfruttare la formula dei sistemi a caratura, che consente di arrivare fino a 27.132 colonne. Questa soluzione permette di suddividere la spesa totale in quote da 5 euro, in modo da coinvolgere più partecipanti che concorrono collettivamente a un’eventuale vincita. La posta complessiva, in ogni caso, dipende dal numero di colonne giocate e dal costo aggiuntivo del Superstar.
Come variano le vincite
Il SuperEnalotto prevede premi a partire da chi indovina 2 numeri corretti, per poi salire progressivamente fino al “6”. Nello specifico, sulla base dei dati medi:
- Con 2 numeri centrati si possono vincere circa 5 euro
- Con 3 numeri la vincita si aggira attorno a 25 euro
- Con 4 numeri l’importo si alza intorno a 300 euro
- Con 5 numeri la stima è di circa 32mila euro
- Con 5 numeri + 1 (il cosiddetto “5+”) si raggiunge una vincita di circa 620mila euro
Il jackpot più alto rimane comunque quello legato all’indovinare tutti e 6 i numeri estratti, che attualmente si attesta sui 77 milioni di euro.
Verifica delle schedine
Gli esiti delle giocate possono essere controllati attraverso l’App ufficiale del SuperEnalotto o consultando l’archivio online, dove sono disponibili i dati relativi alle ultime 30 estrazioni. Questo servizio risulta particolarmente utile a chi, per qualsiasi ragione, non abbia ancora avuto modo di confrontare i propri numeri con quelli sorteggiati nei concorsi precedenti.
In assenza di vincite di prima fascia, la prossima estrazione rimane dunque molto attesa, con milioni di giocatori che sperano di raggiungere il tanto ambito obiettivo del “6”. Nel frattempo, i riflettori restano puntati sui 77 milioni di euro in palio nel prossimo concorso.
Attualità
Sabotaggio a pista da bob Cortina per Olimpiadi 2026, Salvini: “Gesto vile”

Nella notte, un tubo di refrigerazione è stato staccato e ritrovato per strada. Importanti i disagi al cantiere dei prossimi Giochi invernali

Sabotaggio nel corso della notte alla pista di bob, skeleton e slittino di Cortina d’Ampezzo. Un tubo di refrigerazione è stato staccato e ritrovato in mezzo alla strada, bloccando la circolazione stradale e creando notevoli disagi ai lavori del cantiere dei Giochi di Milano Cortina 2026, anche in vista del sopralluogo del Cio previsto lunedì 24 febbraio. “Quanto accaduto sulla pista da bob di Cortina è un gesto vile e irresponsabile” ha scritto su X il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini. “Chi vuole sabotare le Olimpiadi del 2026 colpisce non solo l’impegno di tanti lavoratori ma anche il Paese davanti a tutto il mondo. Non ci faremo intimidire. All’odio e al livore dei signori del ‘No’ rispondiamo con l’Italia dei Sì: avanti con le opere, senza sosta e senza paura”.
? SABOTAGGIO A CORTINA, ATTO GRAVE CONTRO L’ITALIA
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) February 21, 2025
Quanto accaduto sulla pista da bob di Cortina è un gesto vile e irresponsabile. Chi vuole sabotare le Olimpiadi del 2026 colpisce non solo l’impegno di tanti lavoratori ma anche il Paese davanti a tutto il mondo. Non ci faremo… pic.twitter.com/qEHJsGpXKl
Il sabotaggio alla pista da bob
Il sabotaggio della pista è stato denunciato alle autorità di competenza dal commissario di governo Fabio Saldini, Ceo della Società Infrastrutture Milano Cortina 2026: “Un atto irrispettoso che mette in difficoltà chi lavora giorno e notte”. Sul fatto è intervenuta anche Luana Zanella, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera: “Non è ancora chiara la natura di quanto è avvenuto questa notte lungo la pista da bob in costruzione a Cortina. Se fosse un atto doloso lo condanneremo senza indugi ma parlare di sabotaggio sembra un po’ forzare i fatti. In ogni caso, la nostra completa opposizione a una grande opera devastatrice come è questa pista da bob resta intatta nelle sue ragioni e chi provasse ad arruolarci per questo in un fronte ‘del male’ contro quello ‘buono’ sbaglia di grosso i propri calcoli”.
Attualità
I giovani snobbano i ruoli dirigenziali: il management non è più di moda?

C’era un tempo in cui la scalata aziendale era un obiettivo chiaro e condiviso: fare carriera significava puntare alla scrivania con la vista migliore, al titolo di “manager” e ai benefit annessi. Ma oggi qualcosa è cambiato. La Generazione Z, i giovani nati tra la fine degli anni ’90 e il 2010, sembra tutt’altro che entusiasta all’idea di assumere ruoli manageriali tradizionali. Secondo una ricerca condotta da Robert Walters su 3.600 giovani lavoratori, il 72% preferirebbe progredire in un ruolo individuale piuttosto che diventare un manager responsabile di altre persone.
Un dato che non stupisce se consideriamo le dinamiche attuali del mercato del lavoro. Il Work Change Report di LinkedIn mostra come il concetto di carriera stia rapidamente mutando, con i lavoratori di oggi destinati a cambiare in media il doppio dei ruoli rispetto a quelli di quindici anni fa. Il management tradizionale, con le sue gerarchie e le sue rigidità, è sempre meno appetibile per una generazione che punta alla flessibilità e all’autonomia.
Il peso dello stress e le nuove priorità
Un altro dato significativo emerge dal Workforce Confidence Index di LinkedIn: il 69% della Gen Z italiana sarebbe disposto a lasciare il proprio lavoro se il manager non fosse all’altezza delle aspettative, contro il 46% dei Boomer. Questo suggerisce una relazione complessa con la figura del responsabile: mentre le generazioni precedenti erano più inclini a sopportare leadership discutibili pur di avanzare in carriera, i giovani di oggi vogliono ambienti di lavoro stimolanti e responsabili capaci di supportarli attivamente.
Non sorprende quindi che il 75% dei manager Millennial si dichiari sopraffatto e stressato dal carico di lavoro. Le nuove generazioni vedono i loro superiori vivere vite professionali logoranti, con e-mail a tutte le ore, responsabilità continue e un equilibrio vita-lavoro sempre più precario. Se a questo si aggiunge che, secondo lo studio di ADP, la maggior parte dei lavoratori ritiene che il proprio datore di lavoro potrebbe fare molto di più per lo sviluppo delle competenze, il quadro è chiaro: il middle management non è più un sogno, ma una trappola da evitare.
Founder e influencer crescono
Se la carriera manageriale non è più l’aspirazione massima, allora qual è l’alternativa? Sempre secondo LinkedIn, il secondo titolo professionale in più rapida crescita tra i laureati della Gen Z è “fondatore“. Il sogno non è più fare carriera dentro un’azienda, ma creare qualcosa di proprio, essere imprenditori o professionisti indipendenti.
A rafforzare questa tendenza c’è il fenomeno del conscious unbossing, ovvero la scelta consapevole di evitare ruoli di leadership tradizionali. Secondo Robert Walters, anche tra coloro che prevedono di assumere in futuro un ruolo manageriale, il 36% dichiara di non desiderarlo realmente.
Non è solo un tema di carriera imprenditoriale: la Gen Z è fortemente attratta da opportunità di lavoro che valorizzino la creatività e l’autenticità. Secondo i dati, oltre la metà dei giovani di oggi afferma che accetterebbe di diventare un influencer a tempo pieno se ne avesse l’opportunità. Perché gestire un team quando si può gestire il proprio brand personale e lavorare alle proprie condizioni?
Il management è morto? No, ma deve cambiare
Se le aziende vogliono attrarre e trattenere i talenti della Gen Z, devono ripensare il concetto stesso di leadership. I dati LinkedIn mostrano che il 50% della Gen Z e il 45% dei Millennial si sentono supportati dal proprio manager, mentre i dipendenti più anziani tendono a percepire meno sostegno. E ancora, il 42% degli italiani ritiene che sia necessario vedersi fisicamente con i propri responsabili per aspirare a una promozione, segno che il contatto umano e il supporto diretto giocano ancora un ruolo cruciale. Nel contesto italiano, questa trasformazione è ancora più marcata. Le donne, ad esempio, si sentono più supportate dai propri manager rispetto agli uomini (41% contro 28%), ma lamentano anche una maggiore difficoltà nel ricevere il giusto supporto a causa dello stress dei loro superiori (34%). Eppure, sono proprio le donne a mostrare una maggiore propensione a voler ricoprire ruoli manageriali (31% contro il 28% degli uomini), a dimostrazione che la leadership sta cambiando pelle e diventando più inclusiva.
Allo stesso tempo, il 34% dei lavoratori italiani ritiene di non essere adeguatamente retribuito per il proprio ruolo, con la soddisfazione che cala sensibilmente tra i più giovani (solo il 28% della Gen Z si sente ben pagato). Questo potrebbe spiegare perché molti scelgano strade alternative al management aziendale, preferendo percorsi più autonomi e remunerativi.
Più che una semplice avversione al management, la riluttanza della Gen Z riflette un cambiamento profondo nel mondo del lavoro. Le aziende che sapranno adattarsi a questa nuova realtà, abbandonando le rigide gerarchie del passato e adottando modelli di leadership più flessibili e orientati alla crescita, saranno quelle che prospereranno nel lungo periodo.
Attualità
Weekend dal sapore primaverile, ma non durerà molto: le previsioni meteo

La prossima settimana si aprirà la ‘Porta Atlantica’ e un treno di perturbazioni porterà tanta pioggia, freddo e neve.

Temperature miti, sole e giusto po’ di nuvole: queste le previsioni meteo del weekend del 22-23 febbraio. Ma non durerà molto: la prossima settimana si aprirà la ‘Porta Atlantica’ e un treno di perturbazioni porterà tanta pioggia, freddo e neve. Ma non è finita qui. Dopo un temporaneo miglioramento nei primi giorni di marzo, il tempo tornerà a peggiorare nuovamente con l’arrivo di un’altra perturbazione atlantica, questa volta molto più forte e più fredda.
Antonio Sanò, fondatore del sito www.iLMeteo.it, conferma che, dopo il passaggio della storica ondata di freddo vicino all’Italia, le temperature sono in sensibile ripresa sul nostro Paese: si respira aria quasi primaverile ad un mese dalla stagione dei fiori, ma sarà solo un’illusione. Da mercoledì 26 Febbraio, il flusso perturbato nordatlantico invierà infatti una perturbazione pilotata da un ciclone che si posizionerà nei pressi del Mar Ligure.
Intanto, prossime ore, avremo un sole splendente su gran parte della penisola; le Isole Maggiori saranno invece grigie come lo sarà, in giornata, la Liguria: su queste zone non sono da escludere isolati piovaschi. Le temperature saranno in aumento fino a 20-21°C al Sud e fino a 15-17°C anche al Centro; al Nord saremo intorno ai 10-12°C salvo in Liguria dove il termometro salirà fino a 15°C nonostante le nuvole.
Nel weekend una perturbazione, centrata sulla Francia, provocherà anche da noi un parziale aumento della nuvolosità, specie al Centro-Nord, mentre al Sud e sul versante adriatico prevarranno le schiarite con tempo in prevalenza soleggiato, stabile e mite.
Nel dettaglio, la giornata di sabato vedrà ancora qualche pioggia bagnare Liguria, Toscana, Alto Lazio e localmente le zone tra Piemonte e Lombardia. Domenica gli ombrelli saranno aperti tra Liguria ed Alta Toscana, mentre al Sud si toccheranno i 23°C con un bel sole.
La prossima settimana segnerà però una svolta: un treno di perturbazioni ci farà ripiombare sotto cieli grigi e piogge frequenti, con temperature di nuovo leggermente sotto la media del periodo: si prevedono piogge sparse fino a martedì, poi un ciclone e una perturbazione atlantica colpiranno gran parte dell’Italia fino a fine mese, specie il Nord Est e il Centro-Sud.
Ci aspettiamo dunque un primo e forte peggioramento sulle regioni di Nordest e poi dal Centro verso il Sud. Sono attese precipitazioni a tratti forti, localmente temporalesche e nevose sui settori alpini. Secondo gli ultimi aggiornamenti i fiocchi potrebbero spingersi fin verso i 1000 metri di quota al Nord e sopra i 1500 metri al Centro (sui dettagli saremo più precisi nei prossimi aggiornamenti). Anche febbraio riserverà sorprese meteo, fino alla fine.
Attualità
Kristen Bell torna a guidare i SAG Awards 2025 su Netflix

Sorrisi, sorprese e la (strana) questione del bacio con Adam Brody.
Soffermarsi sulla magia di Hollywood può regalare momenti esilaranti. Soprattutto se, in scena, compare un’attrice che dialoga con sé stessa di sette anni prima, la propria “versione fantasma”, pronta a domandarle: “Che succede nel futuro?” Forse è un modo insolito per promuovere un premio, ma rispecchia il carattere brillante e un po’ imprevedibile di Kristen Bell. Eppure, eccoci qui: la conduttrice ritorna per la seconda volta sul palco degli Screen Actors Guild Awards (SAG), stavolta trasmessi in diretta su Netflix il 23 febbraio. Siamo al terzo anno consecutivo in cui la piattaforma di streaming sposa l’evento, arricchendo una stagione di premi che punta dritto agli Oscar, fissati il 2 marzo. Anche se, ammettiamolo, le due cerimonie non sempre viaggiano in parallelo.
Un evento che fa tremare la corsa all’Oscar
C’è chi sostiene che, per comprendere chi trionferà agli Oscar, basti dare un’occhiata ai SAG Awards. In parte è vero. Negli ultimi dieci anni, il riconoscimento più prestigioso, il Miglior ensemble, ha anticipato il vincitore dell’Oscar al Miglior film in sei occasioni (e, fra i trionfatori, spunta anche Oppenheimer). La miglior attrice tra SAG e Academy converge sette volte su dieci, e via di questo passo, con numeri leggermente più alti per miglior attore e miglior attrice non protagonista.
Invece, per la categoria miglior attore non protagonista, la coincidenza negli ultimi dieci anni è stata pressoché assoluta: dieci vincitori in perfetta sintonia. Però non basta guardare alle statistiche per avere certezze. Alcune volte – e i cinefili lo sanno bene – i pronostici vengono clamorosamente ribaltati.
Il ritorno di Kristen Bell: tra gag e ironiche premonizioni
La notizia grossa, quella che diverte tutti noi, è che la frizzante Kristen Bell ci riprova come presentatrice: dopo aver tenuto in mano le redini dello show nel 2018, si dice pronta a replicare. Nel video promozionale diffuso da Netflix, Bell compare nello specchio del suo camerino insieme alla versione di sé stessa di sette anni fa, come fosse un fantasma intrappolato in un passaggio temporale. Una trovata simpatica, certo, ma che riserva scambi di battute spiazzanti: la Bell del presente, all’improvviso, confessa di aver baciato Adam Brody. Di colpo, quel fantasma del 2018 – una Kristen ancora rigorosamente vegetariana – reagisce con un’aria di sconforto, quasi più scandalizzata dal fatto che lei, nel futuro, mangi carne piuttosto che della rivelazione sul bacio con Brody.
Forse qualcuno di voi si chiede: com’è possibile? In realtà, nel teaser la “Kristen-2018” tenta persino di calcolare l’età della Kristen del presente, provocandone l’indignazione. E quando arriva il momento di discutere dei nominati ai SAG 2025, le due versioni manifestano un entusiasmo contagioso. C’è spazio anche per un appunto su Timothée Chalamet, definito “una scommessa solida” per la sua carriera. Sembra uno strano teatro, ma tutto appare perfettamente in linea con lo stile vivace dell’attrice.
La nuova serie “Nobody Wants This”
Non possiamo ignorare il ruolo di Bell in “Nobody Wants This”, serie per cui l’attrice ha ottenuto una nomination come Miglior attrice in una serie comedy. La storia ruota intorno a Joanne, una podcaster agnostica convinta di sapere tutto sulle relazioni. Poi, certo, spunta Noah, e la sua vita emotiva si ribalta. Solo che Noah è un rabbino. Comprensibile restare spiazzati, no? Lo show parte con questa tensione fra due mondi: da un lato la scettica e disinvolta Joanne, dall’altro un uomo di fede. La passione però divampa e, prima ancora di rendersene conto, sono costretti a confrontarsi con dubbi e differenze di stile di vita. Già nel secondo episodio c’è un bacio carico di aspettative, e ci si chiede se un’agnostica e un rabbino possano davvero conciliare le proprie visioni. Per quanto assurdo, la serie funziona, e il successo della nomination di Bell ne è la prova.
Sorprese e pronostici
Ai SAG 2025 sfilano volti celebri, fra cui Timothée Chalamet (“A Complete Unknown”) in lizza come miglior attore protagonista in un film. Difficile restare indifferenti quando si scorre la lista, perché saltano all’occhio star come Ariana Grande (candidata come miglior attrice non protagonista per “Wicked”) e Adam Brody (nominato come miglior attore in una serie comedy per “Nobody Wants This”). Certo, l’effetto curiosità aumenta se, pochi minuti dopo, la stessa Bell dichiara di averlo baciato. Resta, comunque, una sfida agguerrita in quasi tutte le categorie, e vedere i SAG come anticamera degli Oscar non è così scontato. Eppure, guardare chi trionfa qui può offrire qualche indizio.
Nomination principali: uno sguardo d’insieme
Per chiarezza, abbiamo raccolto i candidati in diverse categorie, così da offrirvi un colpo d’occhio immediato. Se un titolo o un nome già vi intriga, perché non iniziare a fare il tifo?
NOMINATION CINEMA
Categoria | Nominati |
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Miglior attore protagonista in un film | Adrien Brody (The Brutalist), Timothée Chalamet (A Complete Unknown), Daniel Craig (Queer), Colman Domingo (Sing Sing), Ralph Fiennes (Conclave) |
Miglior attrice protagonista in un film | Pamela Anderson (The Last Showgirl), Cynthia Erivo (Wicked), Karla Sofía Gascón (Emilia Pérez), Mikey Madison (Anora), Demi Moore (The Substance) |
Miglior attore non protagonista | Jonathan Bailey (Wicked), Yura Borisov (Anora), Kieran Culkin (A Real Pain), Edward Norton (A Complete Unknown), Jeremy Strong (The Apprentice) |
Miglior attrice non protagonista | Monica Barbaro (A Complete Unknown), Jamie Lee Curtis (The Last Showgirl), Danielle Deadwyler (The Piano Lesson), Ariana Grande (Wicked), Zoe Saldaña (Emilia Pérez) |
Miglior ensemble in un film | A Complete Unknown, Anora, Conclave, Emilia Pérez, Wicked |
Miglior stunt ensemble in un film | Deadpool & Wolverine, Dune: Parte Due, The Fall Guy, Il gladiatore II, Wicked |
NOMINATION SERIE TV
Categoria | Nominati |
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Miglior attore in una miniserie o film TV | Javier Bardem (Monsters – La storia di Lyle ed Erik Menendez), Colin Farrell (The Penguin), Richard Gadd (Baby Reindeer), Kevin Kline (Disclaimer), Andrew Scott (Ripley) |
Miglior attrice in una miniserie o film TV | Kathy Bates (The Great Lillian Hall), Cate Blanchett (Disclaimer), Jodie Foster (True Detective: Night Country), Lily Gladstone (Under The Bridge), Jessica Gunning (Baby Reindeer), Cristin Milioti (The Penguin) |
Miglior attore in una serie drama | Tadanobu Asano (Shōgun), Jeff Bridges (The Old Man), Gary Oldman (Slow Horses), Eddie Redmayne (The Day of the Jackal), Hiroyuki Sanada (Shōgun) |
Miglior attrice in una serie drama | Kathy Bates (Matlock), Nicola Coughlan (Bridgerton), Allison Janney (The Diplomat), Keri Russell (The Diplomat), Anna Sawai (Shōgun) |
Miglior attore in una serie comedy | Adam Brody (Nobody Wants This), Ted Danson (A Man on the Inside), Harrison Ford (Shrinking), Martin Short (Only Murders in the Building), Jeremy Allen White (The Bear) |
Miglior attrice in una serie comedy | Kristen Bell (Nobody Wants This), Quinta Brunson (Abbott Elementary), Liza Colón–Zayas (The Bear), Ayo Edebiri (The Bear), Jean Smart (Hacks) |
Miglior ensemble in una serie drama | Bridgerton, The Day of the Jackal, The Diplomat, Shōgun, Slow Horses |
Miglior ensemble in una serie comedy | Abbott Elementary, The Bear, Hacks, Only Murders in the Building, Shrinking |
Miglior stunt ensemble in una serie | The Boys, Fallout, House of the Dragon, The Penguin, Shōgun |
Guardare avanti e (forse) sorprenderci
Tutto è pronto per questo appuntamento a metà strada fra lo spettacolo e la competizione. Chi non si diverte a indovinare se Chalamet, Ariana Grande o un veterano come Daniel Craig porteranno a casa la statuetta? Quanto peserà questa serata sui destini degli Oscar? Domande che ronzano in testa e che ci incuriosiscono: è come se il red carpet dei SAG ci desse un piccolo assaggio di quello che accadrà agli Academy Awards.
Nel frattempo, l’idea che Kristen Bell, in un improbabile passaggio temporale, abbia predetto un bacio con Adam Brody la dice lunga sullo spirito di autoironia e spontaneità che animerà la cerimonia. E se possiamo dirlo, è un piacevole diversivo in un contesto che, a volte, rischia di prendersi troppo sul serio. Perciò vi invitiamo a rimanere con noi (e con i SAG Awards) per scoprire chi raccoglierà la sfida. Siamo certi che questa edizione regalerà momenti inaspettati, e forse qualche colpo di scena. Del resto, la vera magia di Hollywood sta proprio nel farci sognare e sorridere, anche per un bacio fuori copione. E chissà che non si trasformi in un altro evento capace di farci esclamare: “Ero quasi sicur* che sarebbe accaduto, ma non così!”
Buona visione e buon divertimento. Ci rivediamo dopo la diretta, quando – ne siamo certi – inizierà il classico toto-Oscar basato (anche) sull’esito di questi SAG Awards. Dopotutto, un pizzico di incertezza rende tutto molto più vivo. E noi siamo qui per raccontarvelo.
Attualità
BAFTA 2025: Tutti i vincitori, momenti indimenticabili e sorprese della 78ª edizione

Uno spettacolo che scuote il cuore e illumina lo sguardo. Così potremmo definire la 78esima edizione dei BAFTA Awards, andata in scena alla Royal Festival Hall di Londra in questo 2025. Ci siamo trovati proiettati in una notte che aveva l’aria di essere ordinaria solo in apparenza, poi – come spesso accade quando il cinema incontra la celebrazione delle grandi storie – ogni aspettativa è stata trascesa, stravolta, trasformata in pura magia.
Immaginatevi l’eleganza dei tappeti rossi, un fermento palpabile e, soprattutto, l’eco di una passione che accomuna tutti noi: il desiderio di veder premiate quelle visioni capaci di scuotere il panorama culturale e regalare frammenti di verità, di finzione, di emozioni. In questa sede, vogliamo raccontarvi le sensazioni vissute, i momenti di commozione e, perché no, le controversie che hanno mantenuto vivo il dibattito durante l’intera cerimonia. Voi, davanti a queste righe, potete immaginare il brivido dei riflettori che si accendono, e noi, presenti sul posto, cercheremo di restituirvi almeno un po’ di quell’atmosfera.
Un tuffo fra stupore e riflessione
Non è soltanto una notte di gloria: i BAFTA rappresentano la quintessenza di un cinema che ambisce a connettere con il vissuto collettivo. Avete mai pensato, osservando un film, a quanto un regista o un’attrice riescano a farci sentire parte di quell’universo narrativo? Ecco, durante questa edizione, la domanda si è fatta ancora più intensa. Sara Putt, presidente della BAFTA, ha voluto ribadire che la settima arte si nutre del mondo circostante e, con uno sguardo carico di umanità, ha dedicato un passaggio del suo discorso alle vittime dei recenti incendi in California. Sul momento, si è percepita una sorta di sospensione, come se l’intero pubblico – noi compresi – si raccogliesse in un istante di profonda condivisione.
Nel frattempo, l’emozione si respirava ovunque: riflettori dorati sulle teste degli ospiti, chiacchiere frenetiche nei foyer, volti noti e attesi. E poi quella curiosa tensione prima di ogni vittoria annunciata, quel frullio di cuore che scatta quando i presentatori aprono la busta: Chi si porterà a casa il prossimo premio? Quale storia potrà fare quel salto verso l’immortalità?
Il mattatore della serata: David Tennant
Ospitare un evento del genere non è cosa facile, ma David Tennant è riuscito a gestire il palco con una disinvoltura quasi disarmante. Il suo ingresso ci ha subito strappato un sorriso: ha preso una delle canzoni più iconiche dei Proclaimers, “I’m Gonna Be (500 Miles)”, per trasformarla in un inno BAFTA. Ha sfoderato la battuta “I would walk 500 miles to host one BAFTA more”, riuscendo in un colpo solo a scaldare la sala e farci canticchiare insieme a lui, a bassa voce, perché sì, lo confesso, la tentazione era irresistibile.
Ma Tennant non si è fermato a un semplice show. Ha saputo tessere una trama di ironia e profondità, passando con disinvoltura dagli scherzi leggeri ai momenti in cui l’atmosfera si faceva solenne, quasi sacra. E vi garantiamo che condurre i BAFTA, con tutte le sue complessità e tensioni, non è impresa che si possa improvvisare.
“Conclave”: il boato di una doppia vittoria
Il film “Conclave” di Edward Berger è stato al centro di un’ovazione che ha scosso la platea due volte: Miglior Film e Miglior Film Britannico. Chi era seduto vicino a noi ha sussurrato un “Wow” quasi strozzato, come se non si aspettasse la doppietta. D’altra parte, quest’opera ha affrontato temi di potere e segreti con un’impronta narrativa che non lascia indifferenti, spingendoci a ragionare su dinamiche spesso chiuse in stanze lontane dagli sguardi del pubblico. Nick Emerson (montatore di “Conclave”) è stato premiato anche per il suo lavoro di cesellatura delle sequenze e Peter Straughan ha portato a casa il trofeo per la miglior sceneggiatura adattata. Quattro riconoscimenti in totale, un bottino da capogiro.
Noi, nel frattempo, ci siamo chiesti: Cosa rende questo film così speciale ai vostri occhi? Forse è l’equilibrio sottile fra suspense e riflessione, oppure la capacità di raccontare l’invisibile. Se cercate qualcosa che possa spingervi a guardare il mondo con uno sguardo nuovo, ecco, “Conclave” potrebbe essere la vostra risposta.
“The Brutalist” e l’imprevedibilità del genio
Non di sola politica vive il cinema: “The Brutalist” di Brady Corbet si è portato a casa l’ambitissimo premio per la miglior regia, regalando anche la statuetta di Miglior Attore Protagonista a Adrien Brody. Il suo ruolo sembra quasi un viaggio nelle crepe dell’animo umano, ci è venuto da commentare: questo perché il film scava nelle vicende di un artista che affronta contesti architettonici e visioni esistenziali dimenticate, risvegliando in chi guarda un senso di fascinazione e smarrimento al tempo stesso.
Sulla scia di questo successo, “The Brutalist” ha dominato anche per la fotografia di Lol Crawley e per la miglior colonna sonora, firmata da Daniel Blumberg. L’impressione è che Corbet sia riuscito a cucire insieme regia, musiche e immagini con un nitore quasi tattile, lasciandoci addosso la strana sensazione di aver varcato soglie sconosciute.
L’intensa dedica di Mikey Madison
Chi l’avrebbe detto che la corsa per la Miglior Attrice Protagonista avrebbe riservato un colpo di scena tanto potente? Mikey Madison, premiata per “Anora”, ha voluto dedicare il suo discorso a una realtà spesso ignorata, quella delle lavoratrici e dei lavoratori del sesso, riaffermandone i diritti e il valore umano. Tutti in silenzio, lì a pendere dalle sue parole. Alcuni con gli occhi lucidi, altri sorpresi da un messaggio così diretto, eppure innegabilmente sincero.
Fra l’altro, se consideriamo chi c’era in lizza con lei – Demi Moore e Marianne Jean-Baptiste, tanto per citarne due – si capisce la portata di una vittoria che ha ribaltato i pronostici. La cosa che più ci ha colpito è stata la sua umanità palpabile: niente retorica, piuttosto un invito a riflettere sulla dignità e la complessità della vita di coloro che spesso vengono marginalizzati.
Warwick Davis: il tributo di una vita
Hai presente quando il silenzio diventa assordante? Quando senti che tutti, ma proprio tutti, stanno trattenendo il fiato insieme a te? Ecco, è successo esattamente questo quando Warwick Davis è salito sul palco per ricevere il BAFTA Fellowship. E non era solo un premio, non era solo un momento di gloria: era un uomo con il cuore a pezzi che, davanti a centinaia di occhi lucidi, ha parlato della sua perdita, del vuoto lasciato da sua moglie. Ha parlato della fatica di andare avanti. E ha ringraziato i figli, perché sono loro che lo tengono in piedi, che gli hanno dato la forza di continuare, di restare.
Dietro di lui, sullo schermo, scorrevano le parole di George Lucas, di Mark Hamill. Non frasi di circostanza, ma pezzi di vita, testimonianze di chi lo ha visto crescere, lottare, brillare. E poi, all’improvviso, un applauso. Forte, di quelli che ti scuotono il petto, che ti costringono a deglutire per non farti travolgere dalle emozioni. Una standing ovation che non era solo per la sua carriera, ma per il suo coraggio. Per il dolore che si è portato addosso, e che ha avuto la forza di condividere. Anche chi di solito non si lascia coinvolgere, anche chi resta impassibile di fronte a tutto… be’, quella sera, nessuno è rimasto indifferente.
Le tensioni intorno a Karla Sofía Gascón
Bafta non significa solo applausi. Karla Sofía Gascón, nominata come miglior attrice per “Emilia Pérez”, non si è presentata. Questo ha generato chiacchiere, dubbi e sussurri su presunte dichiarazioni controverse. Un alone di curiosità ha aleggiato per tutta la serata, e i presenti si chiedevano come la produzione avrebbe gestito la questione.
Nonostante tutto, “Emilia Pérez” è riuscito a ottenere la vittoria come Miglior Film Non in Lingua Inglese e a far alzare in piedi il pubblico quando Zoe Saldaña, premiata come miglior attrice non protagonista, ha espresso la propria gratitudine. Sul palco con lei anche Selena Gomez, che ha fatto un sentito riconoscimento al regista dell’opera. Ne è emerso un messaggio chiaro: la forza di una pellicola può trascendere, almeno in parte, le controversie individuali.
“Dune: Part Two” e “Wicked” al potere tecnico
Poteri visivi e design sorprendenti hanno trasformato due colossi cinematografici in veri protagonisti delle categorie tecniche. “Dune: Part Two” ha confermato la propria forza grazie a Paul Lambert e colleghi, premiati per i migliori effetti visivi, e al gruppo di Ron Bartlett che si è aggiudicato il riconoscimento per il miglior sonoro. L’universo di Denis Villeneuve, insomma, continua a rapirci e a farci percepire la grandiosità di un mondo futuro che sembra, paradossalmente, così reale.
Nel frattempo, “Wicked” non è rimasto nell’ombra, vincendo il premio per i migliori costumi (realizzati da Paul Tazewell) e quello per la miglior produzione, merito di Nathan Crowley e Lee Sandales. Vedendo i costumi in scena, con quei toni brillanti e quelle finiture spettacolari, è chiaro che la cura per il dettaglio sia stata elevata al rango di arte. Ci siamo detti: Se la forma stessa di uno spettacolo diventa racconto, allora Wicked è uno dei migliori esempi possibili.
Le sorprese più inattese
Sicuramente “Super/Man: The Christopher Reeve Story” è riuscito a stupire parecchi osservatori, aggiudicandosi la categoria Documentario al posto del favorito “No Other Land”. È una vittoria che parla di resilienza, di coraggio, di quella forza interiore che ha permesso a Christopher Reeve di diventare simbolo di speranza, sia dentro che fuori dal grande schermo.
“Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl” ha riscaldato i cuori nella categoria Film Animato: lo stile inconfondibile e l’umorismo sottile di Aardman Studios continuano a colpire nel segno, e i giurati – come del resto molti spettatori – non hanno potuto resistere a un racconto che alterna gag esilaranti a momenti di dolcezza ineffabile.
Kieran Culkin, Jesse Eisenberg e la forza di “A Real Pain”
Non possiamo dimenticare il riconoscimento ottenuto da Kieran Culkin, miglior attore non protagonista per “A Real Pain”. In un film che porta la firma di Jesse Eisenberg (premiato per la miglior sceneggiatura originale), Culkin interpreta un personaggio tormentato, che unisce ironia e malinconia in modo sorprendentemente fluido. Curioso come questo titolo, “A Real Pain”, sia al contempo un viaggio interiore e una riflessione sulle relazioni. Eisenberg ha dimostrato che, oltre a essere un volto iconico davanti alla macchina da presa, sa anche costruire storie che scavano sotto la superficie.
Esordienti da tenere d’occhio: Rich Peppiatt e altre novità
La cerimonia dei BAFTA è anche una piattaforma fondamentale per chi si affaccia ora alla scena cinematografica. Rich Peppiatt, con il suo “Kneecap”, ha conquistato il premio come miglior debutto britannico in scrittura, regia o produzione. Ci ha colpito la sua modestia quando ha ringraziato tutti coloro che l’hanno supportato fin dal primo momento, sottolineando l’importanza di narrare storie locali, talvolta trascurate o vittime di luoghi comuni. Questi nuovi autori ci ricordano che il cinema non smette mai di evolversi e di puntare sulle voci emergenti.
Inoltre, i BAFTA portano sempre in luce cortometraggi di grande intensità. “Wander to Wonder” ha vinto come miglior corto animato britannico, e “Rock, Paper, Scissors” si è aggiudicato la categoria cortometraggio britannico. Sono produzioni di breve durata, ma con un impatto emotivo che non si dimentica facilmente. E, parlando di scoperte, da non trascurare l’EE Rising Star: il premio è andato a David Jonsson, un nome su cui si concentrano già parecchie aspettative.
Il ruggito finale di una notte memorabile
La cerimonia si è conclusa con sorrisi, qualche lacrima, discorsi di ringraziamento e persino abbracci fra persone che, magari, avevano appena incrociato i propri sguardi. È questo il potere che il cinema riesce a sprigionare: crea legami, anche se temporanei, che si traducono in un senso collettivo di appartenenza. “Non restiamo immobili,” sembrava voler dire la voce collettiva di registi, produttori, attori e attrici, unita come a voler ribadire che il futuro della settima arte va costruito con coraggio, diversità e innovazione.
Prima di lasciarvi, riportiamo qui l’elenco dei premi più significativi, senza alcun ordine preciso di apparizione:
- Miglior Debutto Britannico: Rich Peppiatt (Kneecap)
- Miglior Film Animato: Wallace & Gromit: Vengeance Most Fowl
- Miglior Design della Produzione: Nathan Crowley e Lee Sandales (Wicked)
- Miglior Film: Conclave
- Miglior Attore Protagonista: Adrien Brody (The Brutalist)
- Miglior Design dei Costumi: Paul Tazewell (Wicked)
- Miglior Attore Non Protagonista: Kieran Culkin (A Real Pain)
- Casting: Sean Baker e Samantha Quan (Anora)
- Miglior Trucco e Parrucco: Pierre-Olivier Persin et al. (The Substance)
- Miglior Film Britannico: Conclave
- Miglior Attrice Non Protagonista: Zoe Saldaña (Emilia Pérez)
- Cortometraggio Animato Britannico: Wander to Wonder
- Sceneggiatura Originale: Jesse Eisenberg (A Real Pain)
- Migliori Effetti Visivi: Paul Lambert et al. (Dune: Part Two)
- Miglior Regista: Brady Corbet (The Brutalist)
- Cortometraggio Britannico: Rock, Paper, Scissors
- Miglior Attrice Protagonista: Mikey Madison (Anora)
- Montaggio: Nick Emerson (Conclave)
- Film Non in Lingua Inglese: Emilia Pérez
- Miglior Colonna Sonora: Daniel Blumberg (The Brutalist)
- Miglior Documentario: Super/Man: The Christopher Reeve Story
- Miglior Cinematografia: Lol Crawley (The Brutalist)
- Sceneggiatura Adattata: Peter Straughan (Conclave)
- Miglior Suono: Ron Bartlett et al. (Dune: Part Two)
- EE Rising Star: David Jonsson
In questa carrellata di nomi e titoli, ciò che conta di più è la luce che ognuno di questi artisti – veterani o emergenti – ha saputo portare nella settima arte. Uscendo dalla sala, ci si portava nel cuore una riflessione: le storie hanno il potere di unire, di farci rivivere esperienze di vita, magari anche dolorose, ma con un nuovo sguardo.
Giunti al termine, avete forse ancora negli occhi i flash dei fotografi e il luccichio di quei trofei esibiti con orgoglio. Oppure, vi immaginate i dietro le quinte, con i protagonisti che si scambiano strette di mano e sussurrano complimenti sinceri. Noi, dal nostro canto, abbiamo raccolto impressioni, reazioni, riflessioni di una serata che non è stata solo glamour, ma anche voglia di offrire al mondo qualcosa di vero e tangibile. Questo è il cinema che amiamo: la sua capacità di riflettere tanto le ombre quanto le luci dell’esistenza umana, in un gioco continuo di specchi.
E ora, quale sarà il prossimo passo? Abbiamo visto film che entrano con decisione nella storia dei BAFTA. Chi si prenderà la scena nella prossima edizione? Quali nuovi registi, interpreti o produttori porteranno avanti la fiaccola di questa passione che sembra inesauribile? L’unica certezza è che continueremo a tenere gli occhi ben aperti, con l’adrenalina e la meraviglia di chi non sa mai dove la prossima grande storia potrebbe nascondersi. Un tappeto rosso, una sala gremita, un annuncio dal palco… e di nuovo, si ricomincia a sognare.
Attualità
“Il Gattopardo” torna a ruggire su Netflix: una Sicilia carica di fascino e contrasti

Scriviamo queste righe con ancora negli occhi le immagini maestose della Sicilia ottocentesca. Questa storia… ah, chi non la conosce? “Il Gattopardo“, quel capolavoro che sa di Sicilia antica, di polvere dorata e tramonti struggenti. Magari l’avete sfogliato tra le pagine di Tomasi di Lampedusa, o vi siete lasciati ipnotizzare dalla pellicola immortale di Visconti. Beh, ora riappare. Netflix ci mette le mani, gli dà una spolverata e lo riporta in vita con una serie. Sei episodi, pronti a sbarcare il 5 marzo. Sarà lo stesso, sarà diverso? Chissà. Di certo, promette di non essere la solita minestra riscaldata. Forse riuscirà a catturare anche chi, finora, al Gattopardo non si è mai avvicinato. O magari farà storcere il naso ai puristi. Ma una cosa è sicura: se ne parlerà.
Un’epoca che si trasforma
Nel romanzo e nel film storici, il principe di Salina – interpretato da Burt Lancaster sul grande schermo – si muoveva con un’aria di malinconico distacco, osservando il proprio mondo scricchiolare sotto il vento dell’unificazione italiana.


Kim Rossi Stuart, attore dalla straordinaria versatilità, raccoglie oggi quell’eredità, lasciando il segno con la sua interpretazione del principe don Fabrizio Corbera. E non finisce qui: Benedetta Porcaroli sarà Concetta, la figlia un po’ trascurata nella pellicola di Visconti, ma che nella serie diventa voce narrante e cuore pulsante dell’intera vicenda.
Il trailer ufficiale
Uno sguardo diverso, un racconto al femminile
Ci teniamo a sottolinearlo: a detta dei produttori e dello stesso regista Tom Shankland, uno degli aspetti più interessanti di questo nuovo “Gattopardo” risiede proprio nello spazio inedito dato a Concetta. Non sarà più un personaggio di sfondo, bensì la lente attraverso cui scoprire passioni e ambizioni di una società aristocratica in crisi, mentre l’isola e tutta la penisola si accingono a diventare un unico Regno d’Italia.
Il cast: tra nomi affermati e volti in ascesa
In molti si chiedevano chi avrebbe preso il posto di Claudia Cardinale nel ruolo della splendida Angelica. Deva Cassel, figlia di Monica Bellucci e Vincent Cassel, è il volto che la produzione ha scelto per incarnare la bellezza e la determinazione di questo personaggio. È un salto decisivo per la sua carriera, ancora all’inizio ma già osservata con grande curiosità.


Al suo fianco, Saul Nanni – precedentemente impegnato in produzioni Disney e in “Sotto il sole di Riccione” – veste i panni di Tancredi, nipote del principe. E qui pare proprio che si voglia rendere omaggio al celebre motto del romanzo: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.”
Regia, produzione e luoghi magici
Il colosso dello streaming promette una cura del dettaglio degna di un kolossal. Paolo Calabresi indosserà l’abito di padre Pirrone, Astrid Meloni sarà l’austera Maria Stella, mentre la regia vede Tom Shankland affiancato da Giuseppe Capotondi e Laura Luchetti. Ci saranno 5 mila comparse, 6 mila costumi e decine di location diverse sparse per la Sicilia: borghi antichi, palazzi nobiliari, paesaggi che tolgono il fiato.
Perché guardare questo “Gattopardo”
In molti si domandano se sia davvero possibile aggiornare un classico tanto amato senza tradirne lo spirito. Noi ammettiamo di essere curiosi: la rilettura di una storia così radicata nel nostro immaginario può rivelarci sfumature inattese e restituirci il ritratto di un’epoca fragile e potentissima al tempo stesso. Una storia di mutamenti, in cui tradizione e cambiamento si urtano, si compenetrano e – talvolta – si scambiano di posto pur di sopravvivere.
Chi ama l’originale non deve temere: questa nuova serie non si propone di cancellare ciò che è stato, ma di offrire un’altra prospettiva. Sarà un’occasione per immergersi di nuovo nei saloni sfarzosi e nelle contraddizioni di un’aristocrazia in decadenza, per poi riscoprire la passione di un racconto che continua a parlare al presente. Con la speranza, magari, di accendere un desiderio di approfondire o rileggere il romanzo che tutto ha iniziato. E se la frase simbolo del Gattopardo risuona ancora in noi, forse è perché certi dilemmi non sono mai davvero tramontati.
Attualità
Sanremo 2025: Iva Zanicchi, una vita di musica, un premio che sa di abbraccio

Sanremo, 14 febbraio 2025 – Che notte, ragazzi. Quella che non ti scordi più. L’Ariston in delirio, la gente in piedi, un applauso infinito. E lei, Iva. Uno sguardo che dice tutto, gli occhi lucidi, il sorriso che prova a contenere l’emozione… ma è impossibile. Perché dopo sessant’anni di carriera, sessant’anni di musica, è impossibile non sentirsi travolti da un’ondata d’affetto che ti fa tremare le gambe.
Il Premio alla Carriera “Città di Sanremo”, una targa, un riconoscimento ufficiale, sì. Ma è molto di più: è un grazie collettivo, è il pubblico che ti dice “sei parte della nostra vita”. E lei lo sa. Iva lo sente, lo vive, lo respira.
Vestita di nero, elegantissima, quasi a voler ricordare a tutti che la classe non ha età, non ha tempo. Ottantacinque anni e la voce che ancora sa graffiare, accarezzare, far venire i brividi. “Non pensavo di emozionarmi così“, dice stringendo il premio, mentre il pubblico la ricopre d’amore. L’Aquila di Ligonchio ha spiccato il volo ancora una volta. E nessuno ha avuto il coraggio di farla atterrare.
Un riconoscimento alla carriera da record
Il Premio alla Carriera è stato consegnato a Iva Zanicchi direttamente dal conduttore e direttore artistico Carlo Conti, affiancato dal maestro Pinuccio Pirazzoli. Si tratta di un tributo prestigioso, una sorta di “blasone” per una vera signora della musica italiana – come Conti stesso l’ha definita – che vanta ben tre vittorie al Festival di Sanremo (nel 1967, 1969 e 1974). “Che emozione!”, ha esclamato Iva appena ricevuto il premio, visibilmente emozionata di fronte al teatro gremito. Conti l’ha presentata al pubblico sottolineando la sua statura artistica – “una donna straordinaria” – e ricordando con affetto di aver condiviso con lei un’esperienza televisiva a Domenica In molti anni fa.
Discorsi, ringraziamenti e ironia sul palco
Durante il suo discorso di ringraziamento, Iva Zanicchi ha più volte espresso gratitudine. “Grazie, sono veramente onorata”, ha dichiarato con semplicità, rivolgendosi sia a Conti che al pubblico dell’Ariston. L’artista non ha nascosto la propria emozione per essere celebrata nella “sua” Sanremo: “Sono passati 60 anni dal mio primo Festival… quando ritirerò questo premio rivivrò tutta la mia vita, perché io sono nata qua”, aveva confidato alla vigilia, ricordando il suo esordio sanremese nel 1965. Sul palco, Zanicchi ha voluto dedicare simbolicamente il riconoscimento alle due persone a lei più care, rendendo omaggio alla madre – che fin da giovane l’aveva sostenuta con grandi sacrifici – e al compagno di una vita, Fausto Pinna, scomparso pochi mesi fa: “Lo dedico a mia mamma… E a Fausto, mio marito, da poco scomparso”.
Fedele al suo carattere gioviale, Iva ha saputo stemperare la solennità con l’ironia che da sempre la contraddistingue. “Come mi hanno detto in tanti, meglio un omaggio da viva che da morta”, ha scherzato la cantante, strappando sorrisi e applausi durante i ringraziamenti finali. Un momento divertente si è avuto quando Conti le ha chiesto di regalare al pubblico un assaggio dei suoi brani più celebri: inizialmente Iva ha risposto ridendo che avrebbe preferito ascoltare i Duran Duran (ospiti internazionali della serata) piuttosto che esibirsi. Convinta dall’entusiasmo del teatro, ha poi accettato con un sorriso, pronta a cantare per il suo pubblico.
Non sono mancati piccoli fuori programma scherzosi: al momento della consegna fisica del trofeo, quando il maestro Pirazzoli è salito sul palco per porgerle il premio, la cantante – nel salutarlo affettuosamente – si è lasciata sfuggire una battuta sulla sua età: “Sei un po’ rincogl”, gli ha detto ridendo. La frase colloquiale, rivolta a un amico di vecchia data, ha creato un attimo di sorpresa divertita in platea, testimonianza dello spirito vivace di Iva anche in diretta televisiva.
L’esibizione: un medley di successi intramontabili
Dopo la premiazione, Iva Zanicchi ha incantato l’Ariston con la sua voce, dimostrando una volta di più la forza interpretativa che l’ha resa celebre. Su invito di Conti, ha proposto un medley dei suoi brani più amati, in particolare le tre canzoni con cui conquistò Sanremo negli anni ’60 e ’70. Dal palco sono risuonate le note di “Non pensare a me” (vincitrice nel 1967), “Zingara” (trionfo del 1969) e “Ciao cara come stai?” (primo posto nel 1974). L’artista ha accennato anche qualche altro motivo del suo repertorio e di colleghi a cui è legata: ad esempio ha intonato poche note de “L’arca di Noè” di Sergio Endrigo, omaggiando un grande della musica italiana che aveva condiviso con lei il palco in passato.
La performance ha messo in luce l’intonazione e la potenza vocale di Zanicchi, rimaste impressionanti nonostante l’età. La cantante, 85 anni compiuti a gennaio, ha dominato il palco con una presenza scenica energica “che ha più energia di alcuni giovani”, come notato ironicamente da commentatori in rete. La sua voce calda e inconfondibile ha suscitato grande nostalgia nei fan di lunga data e sorpresa nelle nuove generazioni, regalando al Festival uno dei momenti musicali più alti e celebrativi della serata.
Ovazioni del pubblico e applausi della critica
L’omaggio a Iva Zanicchi si è trasformato in una vera festa collettiva. Già al suo ingresso, il pubblico dell’Ariston l’ha accolta scandendo a gran voce il suo nome (“Iva, Iva, Iva!”) in un coro affettuoso. Al termine del medley, l’intera platea si è alzata in piedi tributando all’artista una calorosa standing ovation. È stato un tributo spontaneo e prolungato, con Zanicchi visibilmente commossa mentre stringeva al petto il premio appena ricevuto.
Le reazioni entusiaste non si sono limitate al teatro. Sui social network, durante e dopo l’esibizione, sono fioccati i commenti ammirati: molti utenti hanno celebrato la “voce incredibile che Iva ha ancora alla sua età”, lodando la sua grinta e la sua vocalità senza tempo. Tweet e post con l’hashtag #Zanicchi hanno sottolineato come l’artista ottantacinquenne abbia saputo tenere testa – in fatto di talento e carisma – a colleghi ben più giovani, ribadendo il suo status di icona amata da generazioni.
Anche la critica e gli addetti ai lavori hanno riconosciuto quello di Iva come uno dei momenti clou di Sanremo 2025. Nella sala stampa dell’Ariston, tradizionalmente severa, l’omaggio alla Zanicchi ha scatenato addirittura un’insolita ondata di entusiasmo: i giornalisti si sono lasciati andare a una “ola” collettiva mentre la cantante si esibiva, un fatto mai visto nelle serate precedenti. “Standing ovation anche per la Iva nazionale, icona del nazional-popolare”, ha titolato efficacemente un commentatore, a rimarcare il sentimento unanime di stima verso un pilastro della musica leggera italiana. Nel complesso, stampa e pubblico hanno concordato nel definire la premiazione di Iva Zanicchi come un momento storico e toccante del Festival, capace di unire generazioni davanti alla TV e di ricordare a tutti l’importanza della memoria musicale collettiva.
Un tributo alla carriera e alla storia della musica italiana
La serata del 13 febbraio non ha celebrato solo l’artista Iva Zanicchi ma anche il suo contributo indelebile alla cultura popolare italiana. Con oltre sei decenni di carriera, Zanicchi ha attraversato epoche e mode, restando sempre fedele a se stessa e conquistando successi in ambito musicale, televisivo e perfino politico. Le sue interpretazioni hanno segnato la storia del Festival di Sanremo – è l’unica cantante donna ad aver vinto tre edizioni, record che la iscrive nell’albo d’oro della manifestazione – e brani come “Zingara” o “Ciao cara come stai?” fanno parte del patrimonio della canzone italiana. Non a caso, questo Premio alla Carriera all’Ariston ha voluto riconoscere proprio l’impronta lasciata da Zanicchi nella musica italiana, celebrandone il timbro potente, la personalità vulcanica e la capacità di emozionare il grande pubblico attraverso le generazioni.
Sul palco, Iva stessa ha sottolineato il legame profondo con Sanremo, definendolo il luogo dove artisticamente è “nata” e cresciuta. “Qui c’è il cuore”, ha confessato parlando della città dei fiori, “è sempre molto emozionante tornare”. Sanremo per lei non è solo un palco. È casa. È vita. È quel posto che l’ha vista crescere, cambiare, diventare un pezzo di storia della musica italiana. Ma Iva non si è fermata lì. Negli anni ’70 e ’80 ha fatto cantare gli italiani in TV, li ha emozionati nelle loro case, ha portato la sua voce forte e vera ovunque. E non è finita lì: è stata anche all’Eurovision nel ‘69, ha calcato i teatri, ha scritto libri, ha persino vissuto un’esperienza in politica, sempre con quella grinta che la rende unica. Però, diciamocelo, la musica… la musica è sempre stata il suo cuore, la sua anima. E quello non l’ha mai tradito.
La celebrazione di Sanremo 2025 ha dunque suggellato un percorso artistico ricchissimo. Ma Iva Zanicchi guarda ancora avanti. Dopo aver spento 85 candeline il mese scorso, l’inarrestabile artista ha rivelato di avere nuovi progetti musicali in cantiere: “Sto preparando un nuovo album con brani del passato ma anche canzoni nuove, inedite”, ha confidato, a testimonianza di un entusiasmo creativo che non si è affievolito col tempo. La serata della premiazione si è conclusa tra applausi scroscianti, fiori e abbracci, con Iva che lascia il palco felice e visibilmente emozionata, ringraziando ancora una volta Sanremo – il palcoscenico dove tutto ebbe inizio – per averle regalato un’altra notte indimenticabile.
“Ci sono voci che non appartengono solo a chi le possiede ma a un intero popolo. Iva Zanicchi ha dato voce ai battiti del cuore di generazioni intere. E mentre la sua voce si alza ancora, vibrante e intensa, ci ricorda che la musica non ha età, ma solo emozioni da donare. Perché leggende come lei non si ascoltano soltanto: si sentono dentro, per sempre.” (Junior Cristarella)
Attualità
Gli Anelli del Potere 3, tutto quello che sappiamo sulla nuova stagione: riprese, cast,...

La passione per la Terra di Mezzo non si è mai veramente assopita, e sembra che il futuro ci riservi nuovi capitoli da scoprire. Ci siamo lasciati trascinare, negli ultimi anni, dalle vicende di “Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere” come se fossimo lì, in mezzo a elfi, nani e stregoni, annusando l’aria frizzante di boschi incantati. Ora, la notizia del rinnovo per una terza stagione ci ha fatto vibrare d’emozione: non è semplice curiosità, è un attaccamento viscerale a mondi in cui adoriamo perderci, pagina dopo pagina, episodio dopo episodio.
Un percorso già tracciato… e ancora da scrivere
A dire il vero, l’idea di realizzare fino a cinque stagioni aleggia da tempo. Patrick McKay e JD Payne, gli showrunner che hanno preso per mano la serie fin dal principio, non hanno mai nascosto l’ambizione di raccontare una storia davvero estesa. Con la conferma della terza stagione, ci avviciniamo ancora di più a quel disegno originario.
Ecco, però, una piccola puntualizzazione: secondo quanto riportato da Variety, la stanza degli sceneggiatori non si è ancora messa ufficialmente al lavoro. Nessuno, dunque, sta ancora scrivendo i copioni. Ma, stando alle voci che filtrano, McKay e Payne sono già in fermento creativo: idee, appunti, possibili snodi narrativi. Tutto è lì, in attesa di trovare forma e ritmo.
Un cambio di set che racconta l’evoluzione della serie
C’è sempre qualcosa di affascinante quando una produzione di questa portata decide di cambiare location. Prima erano i Bray Studios a fare da quartier generale, ora sembra che il testimone passerà agli Shepperton Studios, sempre in Regno Unito.
È un segno di crescita? Forse, o magari è solo la naturale evoluzione di un progetto che cerca spazi e strutture capaci di supportarne le ambizioni. Quel che ci rende entusiasti è la presunta data d’inizio riprese: primavera 2025.
Uno sguardo indietro: dove ci eravamo lasciati
È sempre utile fare un rapido tuffo nel passato, per capire come siamo arrivati fin qui. La prima stagione è atterrata su Prime Video il 2 settembre 2022, conquistando un pubblico vastissimo. La seconda, in arrivo il 29 agosto 2024, già promette di approfondire le dinamiche tra personaggi chiave come Galadriel, Elrond e il misterioso Straniero (che, stando a quanto è trapelato, scopre di essere Gandalf).
Il destino degli elfi e la sorte di Durin IV sembrano intrecciarsi a un’oscurità sempre più palpabile, mentre i pelopiedi – e tutti coloro che ruotano attorno a loro – potrebbero trovarsi di fronte a sfide inaspettate. Insomma, c’è moltissima carne al fuoco e la terza stagione arriva a rimestare ancor di più il calderone.
Produzione extra-large e tempi lunghi
Dai, diciamolo: tutti abbiamo la stessa domanda che ci gira in testa. Quando esce? Eh, bella domanda. Per ora, niente di ufficiale. Ma facendo due conti – la seconda stagione è finita nel 2024, le riprese della terza iniziano nel 2025 – il 2026 sembra un’opzione plausibile. Magari pure l’inizio del 2027. Sì, è un’attesa lunga, lo sappiamo.
Ma, oh, mica si può buttare su una roba del genere in fretta e furia! Effetti speciali pazzeschi, scenari da togliere il fiato, una storia che deve respirare e crescere. Insomma, ci tocca aspettare. Ma se l’attesa significa qualità, allora va bene così. L’importante è che quando arriverà, ci lascerà di nuovo senza fiato.
Dietro le quinte: registi e volti noti
Dietro ogni grande storia c’è sempre qualcuno che tira le fila, e stavolta tornano nomi che ormai conosciamo bene. Charlotte Brändström, che ha già lasciato il suo tocco nelle prime due stagioni, sarà di nuovo in cabina di regia, stavolta con un ruolo ancora più importante come executive producer. Accanto a lei, Sanaa Hamri, che già aveva diretto alcuni episodi della seconda stagione e Stefan Schwartz, pronto a fare il suo debutto in questo universo narrativo. Insomma, un mix di mani esperte e nuovi sguardi, il che può solo far bene.
E il cast? Ma dai, davvero ce li togliamo dalla testa Robert Aramayo (Elrond), Morfydd Clark (Galadriel), Cynthia Addai-Robinson (regina reggente Míriel) e Ismael Cruz Córdova (Arondir)? No, perché diciamocelo: li abbiamo seguiti, ci hanno fatto arrabbiare, emozionare, ci hanno strappato il cuore a pezzi e poi ce lo hanno ricucito. E ora, con tutto quello che hanno vissuto, con tutto quello che ci hanno fatto vivere… come si fa a immaginare il viaggio senza di loro? Hanno ancora troppe battaglie da combattere, troppi passi da fare, troppi dubbi da sciogliere.
Poi ci sono quelli che ci hanno sorpreso nel secondo capitolo: Rory Kinnear come Tom Bombadil, quel tipo fuori da ogni schema, Gabriel Akuwudike e Sara Zwangobani, che hanno saputo ritagliarsi il loro spazio. Nessuno ha detto niente di ufficiale, nessun contratto nero su bianco, ma certe storie non possono esistere senza i loro volti, le loro voci, il loro respiro.
E noi? Noi siamo qui, già pronti ad accoglierli. Perché certe storie restano addosso, ti si infilano dentro, e non puoi far altro che aspettare di ritrovare quei volti come vecchi amici che, finalmente, tornano a casa.
Nulla di certo su trailer ed episodi
Lo ammettiamo, un bel trailer adesso ci risolleverebbe l’umore, permettendoci di sbirciare nel futuro e anticipare le emozioni in arrivo. Ma non è ancora il momento. Nessun teaser, nulla di tangibile e ci mancherebbe: le riprese non sono nemmeno iniziate. Quanto al numero degli episodi, le prime due stagioni ne hanno proposti otto ciascuna, quindi c’è da aspettarsi un formato simile, ma l’ufficialità scarseggia. Meglio, forse, non correre dietro a indiscrezioni sprovviste di basi concrete.
Un approdo globale su Prime Video
Resta, invece, una certezza: la prossima stagione verrà distribuita su Prime Video in oltre 240 Paesi. Un bacino impressionante che racconta la portata globale di quest’avventura. È incredibile come un racconto ambientato in un mondo di fantasia continui a unire persone di culture e lingue differenti, tutte accomunate dal desiderio di vedere come prosegue il viaggio di elfi, umani, nani e hobbit. Eppure, è proprio questa la magia di Tolkien e di chi oggi cerca di onorarlo attraverso una serie che ne riprende i temi, i personaggi, le paure e le speranze.
La strada che conduce alla terza stagione potrebbe essere lunga e incerta, ma non ci spaventa. In fondo, fa parte della meraviglia di chi ama seguire una saga: attendere, sperare, discutere tra amici e immaginare come si incastreranno i pezzi di un mosaico tanto vasto. E allora, continuiamo a tenere gli occhi puntati sugli aggiornamenti, pronti a gettarci – ancora una volta – nel cuore della Terra di Mezzo appena quel grande portale si riaprirà. Nel frattempo, possiamo solo custodire l’entusiasmo e lasciare che la curiosità ci guidi. Un po’ come fanno gli hobbit quando si avventurano oltre i confini della Contea.
Attualità
Harry Potter torna in TV: John Lithgow verso il ruolo di Silente, riprese al via nel 2025

La serie TV di Harry Potter in sviluppo presso HBO (per la piattaforma Max) inizia a prendere forma concreta. La notizia più sorprendente riguarda il professor Albus Silente (Dumbledore): l’attore veterano John Lithgow – sei volte vincitore dell’Emmy – sarebbe in trattative finali per interpretare il celebre Preside di Hogwarts. Secondo fonti vicine alla produzione, Lithgow è “vicino a chiudere un accordo” per vestire i panni di Silente nella nuova serie. Si tratterebbe della prima volta che un attore americano ricopre questo ruolo iconico, storicamente affidato a britannici (da Richard Harris e Michael Gambon nei film originali a Jude Law nella saga prequel di Animali Fantastici).
HBO per ora mantiene il riserbo sul casting: contattata sulla possibile presenza di Lithgow, la rete ha dichiarato che “confermerà i dettagli solo quando gli accordi saranno finalizzati”. Questa linea cauta è comprensibile data l’attenzione mediatica: “Ci rendiamo conto che una serie di così alto profilo genererà molte voci e speculazioni” ha aggiunto un portavoce, ribadendo l’intenzione di ufficializzare il cast solo a contratti firmati.
Il cast prende forma: dagli open casting ai primi nomi
Oltre a Silente, iniziano a circolare nomi per altri ruoli chiave. In particolare, l’attore britannico Paapa Essiedu (visto in I May Destroy You e The Lazarus Project) sarebbe “il favorito di HBO” per interpretare Severus Piton (Snape), il tenebroso maestro di Pozioni. Stando a un’indiscrezione riportata da The Hollywood Reporter, HBO avrebbe già offerto a Essiedu la parte che fu del compianto Alan Rickman. Va sottolineato che un’offerta non equivale ancora a una firma sul contratto: al momento nessun accordo è stato ufficialmente concluso né accettato e HBO, in linea con la sua policy, non commenta casting non finalizzati.
Cercano Harry, Ron e Hermione. Tre facce nuove, fresche, che sappiano portare sullo schermo la magia dell’inizio, quel senso di scoperta e avventura che ci ha fatto innamorare anni fa. HBO ha aperto i casting in UK e Irlanda, e il risultato? Una valanga di provini. Trentaduemila. Trentaduemila sogni di bambini tra i 9 e gli 11 anni, tutti pronti a impugnare una bacchetta e a dire “Wingardium Leviosa” davanti a una telecamera. Un numero da capogiro, un mare di speranze.
Francesca Gardiner, la showrunner, ha giurato che guarderanno ogni singolo provino. E con una risata – di quelle che nascondono un filo di disperazione – ha confessato di aver ricevuto persino l’audizione di… un uomo di 42 anni per Hermione. Sì, avete letto bene. La passione per il mondo di Harry Potter non conosce limiti. Ma ora tocca alla produzione scegliere quei tre volti che diventeranno il nuovo volto della saga. Chi saranno? Ancora nessuno lo sa. Ma chiunque siano, si porteranno sulle spalle un’eredità gigantesca.
Finora nessun annuncio ufficiale è stato fatto sul trio protagonista, ma la produzione ha confermato che intende rispettare l’età dei personaggi come nei libri. “Manteniamo le età cronologiche esatte” ha spiegato Gardiner, citando ad esempio che Severus Piton ha 31 anni nel 1991 (periodo in cui è ambientata la prima stagione) e che anche personaggi come i coniugi Dursley saranno più giovani di come appaiono nei film. Questo approccio age-accurate dovrebbe contribuire a dare freschezza al reboot e a distinguere i nuovi volti da quelli della saga cinematografica.
Oltre a Lithgow ed Essiedu, il toto-casting alimentato dai fan ha fatto circolare nei mesi scorsi ipotesi fantasiose: da Mark Rylance (ipotizzato inizialmente per Silente) a Brett Goldstein per il ruolo di Rubeus Hagrid, fino a voci su Cillian Murphy nei panni di Lord Voldemort. Gli stessi insider che hanno svelato l’interesse per Essiedu, però, smentiscono almeno alcune di queste speculazioni – in particolare il rumor su Murphy viene definito “inaccurato”. Segno che, mentre i provini proseguono, nulla è ancora certo tranne la volontà dei produttori di scegliere “il meglio del talento britannico” per popolare Hogwarts.
La squadra creativa: showrunner, regia e produzione
Dietro le quinte del progetto troviamo nomi di alto profilo della TV britannica. Francesca Gardiner sarà showrunner e principale sceneggiatrice della serie – una scelta significativa dato il suo curriculum che include serie acclamate come Succession, His Dark Materials e Killing Eve. Al suo fianco, nel ruolo di produttore esecutivo e regista principale, c’è Mark Mylod, veterano di HBO noto per aver diretto episodi di Game of Thrones, Succession e Shameless. L’ingaggio di Gardiner e Mylod è stato annunciato pubblicamente durante un evento di presentazione di Max a Londra lo scorso dicembre, confermando che il reboot è in mano a creativi esperti del genere.
La coppia Gardiner-Mylod ha già iniziato a delineare la visione creativa della serie, promettendo un adattamento fedele ma arricchito rispetto ai film. “Siamo entrambi affezionati ai film – sono incredibili – ma avere a disposizione un formato seriale ci dà una sandbox più grande in cui giocare” ha dichiarato Gardiner, entusiasta di poter esplorare dettagli del mondo magico rimasti fuori dalle pellicole. Un esempio? Il fantasma burlone Peeves (Pix), presente nei libri ma tagliato dai film che gli autori assicurano di voler finalmente portare in scena nei corridoi di Hogwarts. Mylod aggiunge che l’approccio sarà un’“evoluzione” di quanto visto al cinema: grazie alla lunga durata della serie potranno ampliare ambientazioni e sottotrame.
“Abbiamo otto ore per raccontare il primo libro, così da poter scavare nei dettagli più nascosti di Hogwarts… è un privilegio incredibile ma anche intimidatorio”, ha spiegato il regista, sottolineando il vantaggio del racconto esteso rispetto al limite di due ore di un film. L’obiettivo dichiarato non è stravolgere l’immaginario amato dai fan, ma espanderlo rispettosamente: “Non vogliamo sminuire lo splendido lavoro fatto in passato, ma farlo evolvere avendo la conoscenza di tutti e sette i libri” ha detto Mylod.
Sul fronte produttivo, la serie è sviluppata dalla Warner Bros. Television in associazione con la Brontë Film and TV (casa di produzione legata a J.K. Rowling). La stessa J.K. Rowling figura come produttore esecutivo del progetto, affiancata dai suoi collaboratori storici Neil Blair e Ruth Kenley-Letts. Inoltre, David Heyman – produttore di tutti gli otto film originali – è in trattative per unirsi come produttore esecutivo anche per la serie.
Casey Bloys, presidente di HBO e Max Content, ha chiarito che pur avendo Rowling un ruolo di supervisione, la scelta di affidare la showrunner a Gardiner indica che saranno nuovi autori a scrivere gli episodi, con Rowling in funzione di consulenza e garante della coerenza con l’opera originale. Bloys ha rivelato che l’autrice è stata “molto coinvolta nel processo di selezione dello sceneggiatore e del regista” (quindi nella scelta di Gardiner e Mylod) e che “avrà sicuramente opinioni sul casting” ma ha assicurato che la produzione non ha “avvertito alcun impatto” negativo legato alle controversie che circondano la figura di Rowling.
Riprese al via e uscita prevista: il calendario HBO
Ci siamo. Le telecamere stanno per accendersi e Hogwarts tornerà a vivere. Le riprese partiranno ufficialmente nell’estate del 2025 ai Warner Bros. Studios di Leavesden, Inghilterra. Lo stesso posto dove tutto è cominciato. Stessa magia, stesso set, stesso odore di legno e polvere che sanno di storia. Perché puoi rifare una storia mille volte, ma certe radici non le strappi.
E ora? Ora ci tocca aspettare. E l’attesa sarà lunga. 2026. Questo è l’anno segnato sul calendario per il debutto della serie. Certo, non sarà facile pazientare, ma forse ne varrà la pena. David Zaslav, il boss della Warner Bros. Discovery, ha promesso che non ci saranno corse inutili: si vuole fare le cose bene, senza affrettare il cast, senza bruciare la produzione. Il piano è chiaro: sarà un viaggio lungo, un pezzo di vita, non un’avventura mordi e fuggi. La serie arriverà su Max, il servizio streaming di HBO e sarà rilasciata con il ritmo di sempre: episodi settimanali, discussioni infinite online, teorie, attese snervanti tra un episodio e l’altro. Sarà come tornare indietro nel tempo.
E no, non sarà una semplice serie, una di quelle che guardi in una settimana e dimentichi. Questa sarà una maratona, una cavalcata di dieci anni. Sette stagioni, sette libri, sette viaggi dentro un mondo che ormai ci appartiene. E HBO non ha alcuna intenzione di tagliare angoli o saltare dettagli. Tutto verrà raccontato con calma, con spazio, con rispetto.
“Ci aspettano dieci anni incredibili”, ha detto Zaslav. E chissà cosa accadrà nel frattempo. I vecchi film resteranno lì, pronti a farsi riguardare quando la nostalgia colpirà. Ma questa nuova storia avrà una missione tutta sua: riportare a Hogwarts una generazione che l’ha lasciata da anni e far scoprire la magia a chi non l’ha mai vissuta. Sarà una sfida. Ma forse è proprio questo il bello.
Dichiarazioni ufficiali e reazioni
Da quando è stata annunciata, questa nuova serie su Harry Potter è sotto i riflettori. I fan, la stampa, perfino chi di magia non ha mai voluto sentir parlare… tutti a chiedersi come sarà, cosa cambierà, cosa rimarrà uguale. E HBO? HBO va avanti dritta per la sua strada.
J.K. Rowling sarà della partita, eccome. Nonostante tutto, le polemiche, le discussioni infinite sui social, i comunicati ufficiali… HBO continua a considerarla un pilastro del progetto. “Abbiamo lavorato con lei per più di vent’anni. Il suo contributo? Fondamentale” hanno dichiarato con fermezza. Fine della storia. O forse no.
Perché il punto è che questa serie vuole parlare di amicizia, crescita, avventura, quella magia che ha incantato milioni di lettori nel mondo. E sì, Rowling sarà coinvolta, perché senza di lei il mondo di Harry Potter non esisterebbe. HBO lo sa e lo dice chiaro. Ma intanto rassicura chi teme il peggio: la serie sarà fedele ai valori che hanno reso grande questa storia. La diversità, l’accoglienza, il coraggio di essere sé stessi. Insomma, la nave è partita e la rotta è tracciata. Ora resta da vedere se sarà un viaggio sereno o se ci saranno tempeste all’orizzonte.
Allo stesso tempo, i responsabili di HBO hanno precisato che la produzione del telefilm va avanti in autonomia creativa. Casey Bloys di HBO ha dichiarato che, finora, “non abbiamo percepito alcun impatto” delle polemiche su Rowling all’interno del progetto. La selezione di cast e sceneggiatori procede senza intoppi o boicottaggi, segno che il team è concentrato sul portare sullo schermo la miglior versione possibile della saga. Anche i fan, inizialmente divisi all’idea di un reboot televisivo così ravvicinato ai film originali, sembrano in buona parte incuriositi dalle potenzialità offerte dal formato seriale. L’idea di esplorare capitoli mai visti a Hogwarts – dalle storie secondarie dei personaggi al respiro più ampio di sottotrame lasciate ai margini – sta alimentando un cauto entusiasmo, in attesa di vedere i primi risultati concreti di questa ambiziosa operazione.
Il mondo magico di Harry Potter è pronto a rivivere con una nuova luce sul piccolo schermo. Con John Lithgow in pole position per raccogliere l’eredità di Silente e talenti emergenti destinati a riportarci tra i banchi di Hogwarts, la serie HBO punta a un difficile equilibrio: rinnovare la magia senza tradirla. Le premesse – dal team creativo di livello alla volontà di restare fedeli ai sette libri – promettono un viaggio televisivo epico. Il primo ciak è fissato per l’estate 2025 ma l’incantesimo è già iniziato: nei prossimi mesi scopriremo volti e ulteriori dettagli che daranno forma a questa nuova avventura, in attesa di tornare a Hogwarts quando la serie debutterà su Max nel 2026.
Concludiamo questo articolo con le sagge parole di Albus Silente: “Non fa bene soffermarsi sui sogni e dimenticare di vivere.” E così, mentre attendiamo di vedere Hogwarts risorgere sullo schermo, ricordiamoci che la vera magia è anche nel presente, nei momenti che viviamo ogni giorno. Noi di Sbircia la Notizia Magazine continueremo a tenervi aggiornati su tutte le novità del mondo di Harry Potter e oltre. Restate con noi, perché la magia è appena iniziata!
Attualità
Miss Fallaci con Miriam Leone: la serie che racconta la giovane Oriana

La serie Miss Fallaci butta tutti nella mischia dei primi anni di carriera di Oriana Fallaci, quella ragazza tosta, testarda, con una fame di verità che bruciava più di ogni altra cosa. Un’epoca in cui essere donna in redazione significava dover sgomitare per uscire dalla solita bolla degli articoli di costume. Qui non si parla della Fallaci mito, della giornalista che il mondo avrebbe imparato a conoscere, ma della giovane Oriana che voleva tutto, che voleva esserci e raccontare.
Il trailer ufficiale
Paramount+ e Minerva Pictures si sono buttati in questo progetto con l’ambizione di farci vivere il mondo di Fallaci prima che diventasse leggenda. E Miriam Leone? Lei non la interpreta, la incarna. Non è un ruolo qualunque, è un tuffo nelle sue fragilità, nella rabbia, nella voglia di non accettare un destino già scritto. E allora eccola lì, con il bloc-notes in mano e un fuoco dentro impossibile da spegnere.
Trama
Miss Fallaci si concentra sulla fase iniziale della carriera della giornalista: l’ingresso nella redazione de “L’Europeo”, i primi reportage, i viaggi negli Stati Uniti e l’incontro con star come Marilyn Monroe. La serie, pur evitando spoiler, lascia intendere come quegli incontri e quegli articoli abbiano influenzato profondamente la formazione di Oriana, spingendola a ricercare una verità senza compromessi. È un racconto che mette in scena il fervore di un’epoca in cui l’Italia era in pieno boom economico, mentre l’America viveva il fascino dell’età d’oro di Hollywood.Miriam Leone nei panni di Oriana
La scelta di Miriam Leone come interprete principale ha suscitato grande curiosità. L’attrice, già premiata in passato per ruoli cinematografici e televisivi, ha dichiarato in diverse interviste di sentirsi onorata di portare sullo schermo una figura femminile così influente. Il suo impegno si nota nell’attenzione dedicata alla gestualità, alla parlata toscana di Oriana e all’energia che traspare negli articoli firmati dalla reporter quando era ancora definita “la ragazza del cinema”.
Cast e personaggi
Accanto a Leone, la serie schiera un cast ricco di volti italiani e internazionali. Maurizio Lastrico interpreta Alfredo Pieroni, collega e figura importante per la crescita professionale e sentimentale di Oriana. Sono presenti inoltre personaggi ispirati a reali icone del periodo, come Orson Welles e Marilyn Monroe, che arricchiscono l’affresco storico.
Grazie a un sapiente lavoro di costumi e scenografie, ogni incontro regala un tuffo nell’atmosfera degli anni Cinquanta, epoca di contrasti tra l’Italia del dopoguerra e l’America dell’opulenza.
Produzione e regia
Dietro la macchina da presa c’è Alessandra Gonnella, già autrice di un corto su Fallaci. Ma qui non si tratta di un semplice biopic. Hanno scavato, cercato, ascoltato chi l’ha conosciuta. Il risultato? Un viaggio vero, senza filtri, che non vuole solo raccontare, ma far vivere la giovane Oriana. New York, Los Angeles? No, sono set italiani, ma così ben fatti che sembra di esserci dentro, tra le strade ruggenti dell’America degli anni ‘50.
E Oriana? Una forza della natura. Sguardo fisso sull’obiettivo, parole affilate come lame, domande che squarciano le maschere del potere. Kissinger, Arafat… le ha incontrate tutte, senza mai abbassare lo sguardo. Reporter di guerra, senza paura, in Vietnam con il taccuino in una mano e il coraggio nell’altra. E sì, negli anni ha diviso l’opinione pubblica, ha fatto discutere, ha infiammato dibattiti. Ma dimenticarla? Impossibile. Raccontarla ora, così, significa immergersi nelle origini di una donna che ha scelto il proprio destino, senza aspettare che qualcuno glielo scrivesse addosso.
Accoglienza e critiche
Presentata in anteprima a Roma, Miss Fallaci ha suscitato reazioni differenti. La performance di Miriam Leone è stata lodata quasi all’unanimità, considerandola il motore emotivo della serie. Al tempo stesso, alcuni critici hanno notato un taglio narrativo piuttosto tradizionale, definendo la produzione “generalista ma ambiziosa”.
Nonostante qualche perplessità, gli elogi per la cura nei dettagli e per il rigore nella ricerca storica evidenziano un notevole lavoro dietro le quinte.
Impatto e riflessioni finali
Al di là delle valutazioni critiche, la serie ha già contribuito a riaccendere il dibattito sulla figura di Fallaci e sulle sfide affrontate dalle donne nel giornalismo. Il possibile successo di Miss Fallaci potrebbe spingere nuove generazioni a scoprire i libri e gli articoli di Oriana, approfondendo le vicende di una donna che ha rotto barriere e affrontato fronti di guerra con la stessa determinazione con cui intervistava i potenti.
Se la qualità complessiva si confermerà all’altezza delle attese, Miss Fallaci non sarà solo una biografia televisiva, ma un invito a riconsiderare la passione con cui la giovane Oriana plasmò il proprio destino, anticipando un percorso d’indipendenza femminile che continua a ispirare.
Attualità
Sanremo 2025, prima serata: emozioni, brividi e sorprese all’Ariston

Ci siamo. Sipario su! Il Festival è iniziato… e che botta di emozioni. L’11 febbraio 2025 segna la partenza della 75ª edizione di Sanremo e l’Ariston esplode: luci, adrenalina, un’attesa che si taglia col coltello. In regia c’è Carlo Conti, elegante ma sciolto, spalleggiato da una coppia che nessuno si aspettava ma che funziona da dio: Antonella Clerici e Gerry Scotti. Tre volti amati, tre mondi diversi, ma lo stesso affetto del pubblico.
E subito arriva quel momento che ti prende lo stomaco: Conti ferma tutto, prende fiato e ricorda due giganti, due anime che mancano come l’aria. Ezio Bosso, il musicista che faceva parlare il pianoforte e Fabrizio Frizzi, la voce gentile che riempiva le case di tutti. Silenzio, applausi, brividi. E il festival parte così, con la pelle d’oca e gli occhi lucidi. E va bene così.
Durante il toccante omaggio, sulle note di “Un amico in me” cantata in un video d’archivio dallo stesso Frizzi, la commozione ha preso il sopravvento: Clerici è scoppiata in lacrime, Conti visibilmente emozionato e Scotti si è asciugato gli occhi lucidi. Proprio in apertura c’è stato un piccolo fuori programma tecnico: il microfono di Conti ha avuto un guasto audio, coprendo le sue prime parole in mondovisione. Il problema è stato risolto in pochi secondi, permettendo al conduttore di proseguire con un sorriso e stemperare la tensione iniziale.
Conti – anche direttore artistico del festival – aveva promesso uno show snello e focalizzato sulla musica, senza i lunghi monologhi che negli ultimi anni avevano diviso il pubblico. E così è stato: dopo gli omaggi iniziali, la gara è partita senza indugi. C’è però spazio per una sorpresa istituzionale: Papa Francesco è apparso in un videomessaggio a inizio serata, salutando il pubblico e definendo “la musica uno strumento di pace”. Un momento inaspettato che ha strappato un applauso unanime dell’Ariston, in linea con il messaggio di fratellanza che poco dopo ha pervaso il teatro grazie all’esibizione di due ospiti internazionali.
Ospiti speciali: il messaggio di pace e l’energia di Jovanotti
Ad impreziosire la prima serata sono stati ospiti d’eccezione, italiani e internazionali. Sul palco, poco dopo l’avvio della gara, sono salite Noa – cantante israeliana – e Mira Awad – cantautrice palestinese – che hanno regalato uno dei momenti più emozionanti: un’interpretazione intensa di “Imagine” di John Lennon. La performance, carica di significato alla luce del loro connubio artistico israelo-palestinese, ha incantato il pubblico del’Ariston sottolineando ancora una volta il tema della pace attraverso la musica.
Il superospite italiano della serata è Jovanotti, accolto da una vera ovazione. Il cantautore romano ha infiammato l’Ariston a metà show con un medley dei suoi successi più trascinanti: da “L’ombelico del mondo” a “Il più grande spettacolo dopo il Big Bang”, passando per “Ragazzo fortunato”. Jovanotti ha fatto ballare tutto il teatro, portando una scarica di energia pop e funk. La sua esibizione è stata accompagnata dall’orchestra e da un gioco di luci coloratissimo, trasformando per alcuni minuti il festival in una festa coinvolgente. Al termine, il pubblico in piedi gli ha tributato un lungo applauso.
Non sono mancati altri camei: durante la serata è stato inquadrato più volte in platea Alessandro Cattelan, impegnato nel DopoFestival e sul palco è stato invitato il campione olimpico di salto in alto Gianmarco Tamberi per un saluto. Sebbene non abbia cantato, Tamberi – con la medaglia al collo – ha scherzato con Conti sulla “gara” in corso, portando un tocco di sport e ironia. Inoltre, nessun artista internazionale è stato previsto in linea con la scelta di Conti di valorizzare la musica italiana (lo stesso Conti in conferenza stampa aveva spiegato il no agli ospiti stranieri per puntare sui nostri talenti). Gli ingredienti della serata, tra star italiane e ospiti portatori di messaggi forti, hanno così trovato un equilibrio apprezzato dal pubblico.
I 29 Big in gara e le esibizioni: musica al centro
Cuore dello show sono state ovviamente le canzoni in gara. Tutti i 29 artisti Big si sono esibiti nella prima serata, presentando per la prima volta i propri brani sul palco dell’Ariston. Di seguito l’elenco completo dei cantanti e dei titoli delle canzoni, con l’indicazione dell’esito provvisorio dopo la votazione della Giuria della Sala Stampa, Tv e Web (che ha espresso le preferenze della serata):
Artista | Brano in gara | Esito 1ª serata |
---|---|---|
Achille Lauro | “Incoscienti giovani” | Top 5 provvisorio |
Bresh | “La tana del granchio” | – |
Brunori Sas | “L’albero delle noci” | Top 5 provvisorio |
Clara | “Febbre” | – |
Coma_Cose | “Cuoricini” | – |
Elodie | “Dimenticarsi alle sette” | – |
Fedez | “Battito” | – |
Gaia | “Chiamo io, chiami tu” | – |
Giorgia | “La cura per me” | Top 5 provvisorio |
Irama | “Lentamente” | – |
Lucio Corsi | “Volevo essere un duro” | Top 5 provvisorio |
Olly | “Balorda nostalgia” | – |
Rose Villain | “Fuorilegge” | – |
Serena Brancale | “Anema e core” | – |
Simone Cristicchi | “Quando sarai piccola” | Top 5 provvisorio |
Willie Peyote | “Grazie ma no grazie” | – |
Come mostrato nella tabella, la prima serata ha visto un parterre eterogeneo di artisti, dagli esponenti della nuova generazione ai nomi già affermati. Ad aprire la gara è stata la giovane Gaia con un brano dal ritmo uptempo, seguita a ruota da colleghi come Bresh e Clara, due nuove leve provenienti dalla scena indie-rap e dal circuito dei giovani.
Non sono mancati i big di ritorno: Giorgia – vincitrice nel 1995 – ha portato la sua potente vocalità in “La cura per me”, mentre Simone Cristicchi (vincitore nel 2007) ha emozionato con “Quando sarai piccola”, una ballata intensa dedicata al rapporto genitori-figli. Elodie ha sfoggiato grinta e glamour in “Dimenticarsi alle sette”, Fedez ha duettato idealmente col pubblico in “Battito” (segnando il suo debutto solista in gara) e il cantautore di culto Brunori Sas ha proposto immagini poetiche ne “L’albero delle noci”. Non da meno Achille Lauro, al suo ritorno sul palco sanremese: noto per le performance provocatorie, stavolta ha vestito i panni di un elegante dandy anni Venti – ispirato a Rodolfo Valentino – offrendo con “Incoscienti giovani” una performance più sobria ma comunque carismatica.
La rosa dei 29 Big ha incluso anche nomi come Coma_Cose (il duo indie-pop al terzo Sanremo), Irama (in gara con una ballad dal titolo emblematico “Lentamente”), Lucio Corsi (cantautore esordiente che ha colpito con la sua “Volevo essere un duro” dal sapore rétro) e Olly – giovane artista genovese già visto lo scorso anno – che ha fatto cantare i fan più giovani con il ritornello orecchiabile di “Balorda nostalgia”. Da segnalare anche Rose Villain, all’esordio a Sanremo: la cantante milanese dall’attitudine urban ha presentato “Fuorilegge”, brano grintoso che unisce pop e rap, sottolineando la varietà di generi presente in questa edizione.
La classifica provvisoria: prime posizioni e sorprese
Al termine di tutte le esibizioni, Carlo Conti ha svelato la classifica provvisoria basata esclusivamente sui voti della Sala Stampa (giornalisti carta stampata, web e radio). Come da tradizione, non è stata resa nota l’intera graduatoria dei 29, ma solo la Top 5 (in ordine alfabetico) dei più votati. I cinque artisti che guidano la competizione dopo la prima serata – senza indicazione di posizione precisa – sono: Giorgia, Brunori Sas, Lucio Corsi, Simone Cristicchi e Achille Lauro. Si tratta di un mix equilibrato tra star già affermate e nuove proposte: Giorgia era considerata alla vigilia una delle favorite e ha confermato le aspettative con un’interpretazione da brividi (ricevendo anche una standing ovation in teatro), mentre Achille Lauro ha riconquistato la platea sanremese con il suo stile unico. Brunori Sas e Simone Cristicchi hanno convinto la critica grazie ai testi profondi e all’intensità delle loro performance, così come Lucio Corsi, vera sorpresa tra i debuttanti, il cui brano originale e arrangiato con gusto ha attirato l’attenzione della stampa.
Fuori dalla cinquina di testa restano per ora molti favoriti del pubblico: ad esempio Elodie e Fedez, molto discussi sui social, non compaiono nei primi posti provvisori. In particolare, Fedez – pur protagonista di una prova energica – non ha conquistato i giornalisti e dovrà puntare sulle prossime serate per risalire. Va detto che la gara è ancora lunga: nella seconda serata voterà una giuria diversa (demoscopica e televoto nelle fasi successive), quindi gli equilibri possono ribaltarsi. La classifica completa resta segreta ma è noto che tutti gli altri 24 artisti risultano al momento ex aequo al 6º posto. La tensione competitiva quindi rimane apertissima, alimentando le discussioni tra fan e addetti ai lavori su chi riuscirà a spuntarla nelle prossime votazioni.
Momenti clou e curiosità della serata
Tra un brano e l’altro, la prima serata di Sanremo 2025 ha regalato numerosi momenti salienti e curiosità degni di nota. Oltre agli omaggi iniziali e alle performance degli ospiti, c’è stato spazio per gag e siparietti che hanno alleggerito la maratona musicale. Gerry Scotti, volto storico della TV commerciale italiana al debutto sul palco dell’Ariston, ha scherzato sulla sua insolita presenza in Rai: “Mi avete persino messo la cravatta!” ha esclamato ridendo, alludendo al suo look insolitamente formale per l’occasione. Il pubblico ha apprezzato la sua autoironia, mentre Conti ha colto l’assist per ricordare l’amicizia che li lega da anni nonostante le “reti diverse”.
Un altro momento applaudito è stato quando Conti ha coinvolto l’orchestra e il pubblico in sala in un breve tributo a Lucio Dalla nel giorno del suo compleanno: qualche verso di “Piazza Grande” intonato collettivamente, a sorpresa, ha creato un’atmosfera di grande comunità musicale. Si è trattato di una parentesi non prevista dalla scaletta, nata spontaneamente dopo l’esibizione di un concorrente (il cui brano richiamava nelle atmosfere lo stile di Dalla). Questa improvvisazione ha mostrato il lato più autentico e umano del festival, con Conti che ha dichiarato sul momento: “Sanremo è di tutti, come le canzoni che fanno parte della nostra vita”.
In platea e sul web non sono mancati standing ovation e reazioni calorose. Oltre a Giorgia, anche Simone Cristicchi ha ricevuto una standing ovation prolungata al termine del suo brano: l’intero Ariston si è alzato in piedi, tributando al cantautore un applauso commosso. Antonella Clerici, visibilmente colpita, ha commentato a caldo: “Questa è la magia di Sanremo”, sottolineando come la canzone di Cristicchi avesse toccato le corde emotive di molti spettatori.
Intanto sui social media il Festival dominava le tendenze serali: l’hashtag #Sanremo2025 è stato di gran lunga il più utilizzato su Twitter (X) Italia. Gli utenti hanno commentato in tempo reale ogni esibizione, generando meme e discussioni. In molti hanno elogiato la voce stellare di Giorgia e l’eleganza scenica di Achille Lauro, che infatti risultavano tra i nomi più citati positivamente online. Un sondaggio social informale ha visto proprio Giorgia e Lauro in testa tra i preferiti del pubblico del web, mentre Fedez è parso deludere le aspettative di alcuni utenti, risultando meno votato nei cuori dei fan digitali.
Anche l’assenza dei classici monologhi è stata al centro dei commenti: molti hanno apprezzato il ritmo incalzante della serata, con pochissime pause discorsive e tanta musica. “Finalmente un Sanremo senza prediche, solo canzoni!” ha twittato un utente, rispecchiando un sentimento diffuso. Altri invece hanno scherzato sul fatto che la scaletta serrata rendeva difficile stare dietro a tutti gli avvenimenti: “Il ritmo forsennato delle esibizioni manda in tilt i social, non faccio in tempo a twittare!” ha scritto ironicamente qualcuno.
Non sono emerse grandi polemiche in questo debutto: il clima è apparso piuttosto disteso, complice la scelta di Conti di evitare provocazioni gratuite. L’unico inconveniente, l’incidente audio iniziale, è diventato esso stesso oggetto di meme (qualcuno ha definito “#SanremoMut” il curioso avvio silenzioso di Conti). Nel complesso, però, la prima serata ha segnato un successo sia per lo spettacolo offerto sia per i dati di ascolto, che secondo le prime rilevazioni sarebbero in linea con le ottime performance degli ultimi anni.
Le reazioni e il futuro della gara
La prima serata di Sanremo 2025 si chiude quindi con un bilancio molto positivo. Il pubblico in sala ha mostrato entusiasmo e partecipazione, mentre sui media tradizionali e online prevalgono i commenti favorevoli: si applaude la capacità di Conti di tenere insieme intrattenimento leggero ed emozione, senza cadere nelle divisioni delle scorse edizioni. Il videomessaggio del Papa e l’esibizione di “Imagine” hanno dato una cornice di significato alto alla kermesse, bilanciata dal puro divertimento portato da Jovanotti e dai momenti di nostalgia canora.
Dal punto di vista della gara canora, la situazione è ancora apertissima. I cinque artisti in vetta alla classifica provvisoria dovranno confermare il loro status nelle prossime serate, quando entreranno in gioco anche il televoto del pubblico da casa e la giuria demoscopica. Già dalla seconda serata (in programma stasera, 12 febbraio) si attendono possibili rimescolamenti: gli artisti cercheranno di migliorare le proprie performance, magari correggendo piccoli difetti (qualche imprecisione vocale c’è stata, complice l’emozione e la diretta). Inoltre, la serata successiva porterà altri ospiti – tra cui Damiano David dei Måneskin annunciato per il mercoledì – e momenti dedicati alle cover celebri, elementi che potrebbero mettere in luce nuove sfumature dei cantanti in gara.
Sui social già impazzano i pronostici su chi vincerà questo Sanremo: c’è chi vede Giorgia favorita per esperienza e talento, chi punta su una sorpresa come Lucio Corsi o Brunori Sas per la qualità autorale, senza dimenticare il fattore imprevedibile del televoto che potrebbe premiare personaggi amatissimi come Achille Lauro o Elodie. Insomma, la corsa è appena iniziata ma promette scintille.
La prima nottata all’Ariston si consegna agli archivi con una certezza: Sanremo 2025 ha trovato il modo di rinnovarsi nella tradizione, mettendo davvero la musica (e i messaggi positivi ad essa legati) al centro della scena. Se il buongiorno si vede dal mattino – o meglio, se la prima serata si vede dal debutto – ci attendono altre quattro serate ricche di spettacolo, emozioni e naturalmente, canzoni che faranno parlare il pubblico per molto tempo.
Le luci si spengono oltre la mezzanotte inoltrata ma l’eco di questa prima serata risuona forte: il Festival è ripartito alla grande, tra applausi, tweet e condivisibili note di speranza. Appuntamento alla seconda serata, con la consapevolezza che Sanremo è appena entrato nel vivo e ha già scritto pagine memorabili di questa edizione.
Attualità
Settimana dal 3 al 9 febbraio 2025: il mondo in sette giorni

Noi, con voi, in un viaggio di notizie che hanno attraversato continenti, coscienze e qualche telefonata inaspettata.
Uno sguardo rapido (ma non troppo)
Data | Evento chiave | Area | Curiosità |
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3-4 Febbraio | Vertice UE su Difesa | Europa | Discussioni su più spesa militare e rapporti tesi con gli USA |
4-6 Febbraio | Tensioni Italia-magistratura | Italia | Riforma giustizia e prime aperture al dialogo |
5 Febbraio | Allarme Doomsday Clock | Globale | Lancette più vicine che mai alla mezzanotte |
6 Febbraio | Truffa hi-tech con finta voce di Crosetto | Italia | Vittime eccellenti del mondo imprenditoriale |
7 Febbraio | Telefonata Trump-Putin per la guerra in Ucraina | USA-Russia-Ucraina | Zelensky scettico, nessuna tregua effettiva |
8 Febbraio | Nuovi scambi di ostaggi Israele-Hamas | Medio Oriente | Liberate persone anziane e un giovane in cambio di prigionieri |
9 Febbraio | Super Bowl, campionati di calcio e atletica | USA-Italia | Chiefs vs Eagles, volata scudetto in Serie A, giovane stella azzurra |
Questa tabella ci aiuta a vedere tutto dall’alto, in un colpo d’occhio. Ma ora addentriamoci in storie, volti e contraddizioni di questi sette giorni così pieni di contrasti.
L’eco lontana dei conflitti: dal Donbass al Medio Oriente
Un’Europa che si riarma?
Trovarsi con un discorso acceso sulla difesa comune europea non è una novità, ma questa settimana la sensazione è che i leader UE abbiano premuto leggermente sul pedale dell’acceleratore. Hanno parlato di maggiore spesa militare e di nuove forme di condivisione finanziaria. E non è tutto: c’è chi vorrebbe spostare certi costi fuori dai vincoli di bilancio, quasi a dire “la sicurezza non ha prezzo, paghiamo dopo”.
Ma il retroscena più teso, in verità, è quello dei rapporti con gli Stati Uniti di Donald Trump, sempre più inclini a dazi e scambi di colpi commerciali. Se ci si mettono anche i nuovi dazi contro Canada e Messico, il cerchio dell’incertezza si stringe. E Bruxelles risponde: “Se ci toccate, reagiamo”. Parole dure, che ci ricordano come la partita globale non sia mai solo militare ma anche economica.
Telefonate e scetticismo sulla pace in Ucraina
Uno dei momenti più significativi (o forse più grotteschi, a seconda dei punti di vista) di questi giorni è stata la telefonata tra Trump e Putin per cercare uno spiraglio di pace in Ucraina. Sì, si parlerebbe di negoziati. Ma Zelensky, da Kiev, non la vede come una reale intenzione di ridurre le ostilità. Dice che Mosca si prepara a mobilitare altre decine di migliaia di soldati, e che la Corea del Nord potrebbe supportare la Russia con droni e missili.
Domanda che ci poniamo da qui: possibile che due telefonate bastino a smuovere un conflitto così radicato e cruento? Forse no. E l’inverno ucraino continua a essere una trincea di tensioni.
Vite scambiate a Gaza
Mentre qui in Italia scalpitiamo per la finale di coppa, a Gaza c’è in gioco qualcosa di più prezioso: vite umane. Hamas libera tre ostaggi israeliani – tra cui due donne anziane – e Israele rilascia tre detenuti palestinesi. La scena rimane appesa a un filo, con la gente del posto divisa tra lacrime di gioia e timori di futuri raid. Per ora, la “tregua” è un fuoco di paglia, e restano aperte domande su come si possa arrivare a un vero processo di pace. Nel frattempo, chi è tornato a casa lo fa in condizioni fisiche e psicologiche complicate. Solo una tregua fragile, senza orizzonti certi, ma almeno un barlume di speranza per queste famiglie.
Italia, storie e retroscena
Uno scontro istituzionale che (forse) si ammorbidisce
Ricordate quel clima di guerra tra Governo e magistratura? Bene, in settimana la polemica si è un filo placata. Giorgia Meloni e i giudici si scambiano qualche segnale di disgelo dopo che l’Associazione Nazionale Magistrati ha eletto un nuovo presidente. C’è aria di dialogo su una riforma della giustizia definita “necessaria ma rispettosa”.
Resterà davvero questa musica più dolce? O si tratta di un momento di quiete apparente prima di uno tsunami di polemiche? Anche in questo caso – e lo sappiamo tutti – le nubi potrebbero ricomporsi all’improvviso. Ma almeno sembra che qualcuno abbia voglia di sedersi attorno a un tavolo.
Clamorosa truffa con la voce di Crosetto
La settimana ha regalato anche un racconto ai limiti della fantascienza. Parecchi grandi imprenditori italiani, gente navigata, sarebbero stati contattati da una voce uguale a quella del ministro della Difesa Guido Crosetto. Il risultato? Bonifici ingenti partiti verso conti orientali, in nome di fantomatici progetti di Difesa.
È come se la tecnologia fosse scivolata in un lato oscuro: se persino nomi come Bertelli, Tronchetti Provera, Moratti o Della Valle si sono fatti gabbare, vuol dire che la qualità del “fake vocale” è tale da far venire i brividi. Il ministro vero, Crosetto, si è detto indignato e la Polizia Postale sta cercando di risalire ai responsabili. E noi, nel frattempo, ci chiediamo cosa potrebbe succedere se in futuro fossero “clonate” altre voci istituzionali.
Tra economia e mercati: passi incerti
Inflazione, tassi, tensioni commerciali
Qualcuno di noi si aspettava un po’ di ripresa, altri temevano il peggio: la realtà è che i dati Istat sull’inflazione in Italia mostrano un leggero rialzo (+1,5% su base annua), ancora gestibile ma pur sempre un segnale che i prezzi stanno tornando a muoversi verso l’alto. Il resto d’Europa non sta meglio, con un’inflazione media al 2,5%. La BCE osserva e decide se e come intervenire sui tassi.
In parallelo, la politica di Trump sui dazi al Canada e al Messico tiene tutti col fiato sospeso: si teme un effetto domino. Per fortuna, in Italia, il prezzo del gas è leggermente calato e anche il petrolio non è schizzato verso l’alto. I mercati, intanto, ballano tra speranze e paure. Siamo onesti: gli investitori restano a scrutare segnali: un tweet di troppo da parte di Washington potrebbe bastare a far deragliare i listini.
In sintesi?
- PIL italiano: stagnante, con crescita annuale dello 0,5% per il 2024.
- Disoccupazione giovanile: in leggero calo (una buona notizia, finalmente).
- Cauta attesa: la definizione perfetta per descrivere lo stato d’animo di chi investe o fa impresa oggi in Italia.
Tocco di scienza e tecnologia
Doomsday Clock: paura e realismo
No, ma… sì? Dai, 89 secondi alla mezzanotte suona tipo il trailer di un film apocalittico, solo che stavolta non ci sono eroi hollywoodiani a salvarci. Gli scienziati del Bulletin of the Atomic Scientists ci hanno praticamente messo il timer in mano: tic, tac. Siamo mai stati così vicini al disastro? No. Dobbiamo preoccuparci? Direi di sì. Bombe atomiche, il clima che impazzisce, l’AI che potrebbe sfuggire di mano… roba da brividi. E mentre tutto questo succede, chi dovrebbe prendere in mano la situazione sembra fare il minimo indispensabile. Ma dai, una svegliata no?
Ci piace pensare che ci sia ancora margine per allontanare quel pericoloso “tic tac”. Ma serve uno sforzo collettivo. Una corsa contro il tempo, insomma, e la domanda è: siamo pronti a correre più veloci delle nostre stesse invenzioni?
Elon Musk, il vero presidente?
Pare che Time Magazine abbia osato raffigurare Elon Musk nello Studio Ovale, come se fosse lui il vero leader degli Stati Uniti, mentre Trump si gode – o subisce – la scena a distanza. Sicuramente Musk, con le sue aziende e i suoi progetti, pesa eccome sulle decisioni della Casa Bianca. Basti pensare al dipartimento creato apposta per stanare sprechi (DOGE), che lui stesso dirige con piglio e ironia.
La domanda che ci poniamo è: quanto potere viene esercitato in modo palese, e quanto dietro le quinte, da un genio poliedrico come Musk? Il precedente di Steve Bannon insegna che certi protagonismi potrebbero rivelarsi pericolosi agli occhi di Trump. Sta di fatto che il connubio fra big tech e politica americana è più saldo che mai.
Sport, passioni e sorprese
Il fascino (senza tempo) del Super Bowl
Notte tra domenica e lunedì. Negli USA si gioca il Super Bowl LIX: da una parte i Kansas City Chiefs, dall’altra i Philadelphia Eagles, in un remake della finale di qualche anno fa. Mahomes e compagni puntano addirittura al terzo titolo consecutivo, cosa mai riuscita nell’era moderna, mentre gli Eagles sognano la rivincita.
È molto più di un evento sportivo. È un rito collettivo, con tanto di Halftime Show targato Kendrick Lamar e pubblicità multi-milionarie che vanno in onda solo per pochi secondi. Da noi forse lo seguiamo di notte e in streaming, ma chiunque l’abbia visto almeno una volta sa che non si tratta solo di football ma di un vero e proprio show a tutto tondo.
Calcio italiano, volata e mercato
Dopo la chiusura del mercato invernale, la Serie A vive un momento di transizione. Acquisti nuovi di zecca scendono in campo nel weekend e alcuni già decidono le partite. La corsa scudetto è aperta, con Inter, Juventus e Napoli racchiuse in un fazzoletto. Il big match Juventus-Milan si è chiuso in un pareggio avvincente, mantenendo invariate le distanze.
La Roma lancia un giovane talento, la Sampdoria rifiata dopo mille sofferenze, l’Udinese annaspa nonostante il nuovo tecnico. E in Coppa Italia, le semifinali restano in bilico dopo partite tiratissime. In sostanza, tutto è ancora aperto: chi ama il calcio con i nervi a fior di pelle si divertirà.
Nuovo diamante dell’atletica azzurra
E poi c’è lei, Kelly Ann Doualla Edimo, 15 anni appena, che corre i 60 metri indoor in 7’’19. Una forza della natura, capace di abbattere record europei Under 18 come fossero paletti di carta. Ha addosso uno di quei sorrisi che ti fanno venire voglia di crederci, di tifare forte.
La ragazzina italo-camerunense ha fatto capolino sui giornali sportivi: la chiamano già la “freccia azzurra”. Il pericolo? Bruciarla troppo in fretta.
Chi se ne intende sa che bisogna crescere piano, con la testa a posto, evitando pressioni eccessive. Ma intanto, in un Paese calcisticamente ipnotizzato, un talento di questa portata è come una boccata di ossigeno: chissà che a giugno, negli Europei Juniores, non ci faccia già sognare.
Riflessioni conclusive
Qualcuno, leggendo tutte queste notizie, potrebbe sentirsi sopraffatto: dai conflitti armati alle tensioni politiche, dal Doomsday Clock all’inflazione che non dà pace. Ma poi arrivano le storie di sport, le telefonate assurde e i talenti inesauribili che spuntano dove meno te lo aspetti. È la nostra normalità, fatta di contrasti. E in mezzo a tutto questo, cerchiamo di orientare bussola e speranze verso un futuro che sia, possibilmente, più luminoso del presente.
Buona domenica e buon inizio di nuova settimana a tutti. A presto, con lo sguardo sempre puntato sulle cose che contano (e con un occhio attento a eventuali voci “sospette” al telefono).
Attualità
PlayStation Network in blackout globale: milioni di gamer bloccati per ore

L’8 febbraio si è trasformato in un incubo per milioni di videogiocatori PlayStation. Senza preavviso, il PlayStation Network (PSN) è crollato a livello globale, lasciando offline tutti i servizi e impedendo qualsiasi attività online. Immaginate la scena: venerdì notte, il momento clou per rilassarsi con gli amici dopo una lunga settimana e improvvisamente niente partite, niente chat, niente store. I social media sono stati immediatamente sommersi da migliaia di segnalazioni e commenti furiosi. C’è chi, con amara ironia, ha scherzato “Ora dovrò davvero interagire con la mia famiglia? Che orrore!”, mentre altri hanno espresso rabbia e delusione più dirette. Su Reddit e su X (il vecchio Twitter) l’hashtag #PSNdown è esploso, tra meme e sfoghi di utenti che si sentivano “persi” senza la loro dose di gioco online del weekend.
Un blackout globale nel momento peggiore
Il blackout è iniziato intorno alle 01:00 di notte (ora italiana) tra venerdì e sabato, quando le prime disconnessioni hanno colpito i giocatori. Nel giro di pochi minuti, tutti i servizi PlayStation Network – dalla gestione account al PlayStation Store – sono risultati indisponibili. Il problema, di portata globale, ha interessato PS5, PS4 ma anche le “vecchie” PS3 e PS Vita, segno di un guasto esteso all’intera infrastruttura di Sony. Purtroppo è successo nel momento peggiore: un venerdì sera. Moltissimi utenti hanno visto svanire i propri piani di gioco programmati per la serata, ritrovandosi davanti a un “muro invalicabile” quando tentavano di accedere alle partite online o anche solo alla lista amici. In Italia, il sito Downdetector ha registrato un picco di oltre 1.600 segnalazioni nel giro di poche ore, a riprova di quanti si siano accorti all’istante del disservizio.
Alcuni hanno provato ad attendere speranzosi: in piena notte le segnalazioni sembravano diminuite (forse perché molti hanno rinunciato andando a dormire), ma all’alba le lamentele sono riesplose. Ore ed ore di blackout senza precedenti recenti: in mattinata il PSN risultava ancora completamente KO e sarebbe rimasto così per quasi tutta la giornata. Solo nel tardo pomeriggio sono apparsi i primi segnali di miglioramento, con qualcuno che riusciva a vedere la lista amici o scaricare un gioco dalla libreria. Per la maggior parte dei giocatori, tuttavia, l’errore di connessione continuava imperterrito a comparire ad ogni tentativo, rendendo impossibile giocare online praticamente per oltre 15 ore consecutive.
Giochi popolari inaccessibili e disagi a catena
Le conseguenze del down sono state a cascata su tutto l’ecosistema PlayStation. Non parliamo solo dell’ovvia impossibilità di giocare in multiplayer: alcuni non sono riusciti nemmeno ad avviare giochi single-player acquistati digitalmente, perché la console non poteva verificare la licenza online, restituendo messaggi di errore surreali (“Cannot connect to server to verify your license”). In pratica, anche chi voleva farsi una partita in solitaria è rimasto al palo. Figuriamoci chi puntava a sfide competitive: titoli amatissimi come Call of Duty: Modern Warfare III, Fortnite, Grand Theft Auto Online, EA Sports FC 24 (FIFA) o Destiny 2 sono risultati del tutto inaccessibili durante il blackout. I giocatori non potevano connettersi alle partite, ai server o persino al proprio profilo, con il risultato che leaderboard, eventi speciali del weekend e modalità online sono rimasti deserti.
Anche servizi aggiuntivi come PlayStation Video e lo shop digitale PS Store erano fuori uso, impedendo di fatto qualsiasi acquisto o download. Persino il cloud saving e le funzionalità dell’app mobile PSN hanno smesso di funzionare, dato che tutto il network Sony era in tilt. Insomma, un’interruzione totale che ha mandato in crisi sia i giocatori casual che i pro-player: c’è chi si è ritrovato tagliato fuori da un torneo online, chi ha visto svanire l’evento a tempo limitato del suo gioco preferito e chi semplicemente non ha potuto godersi la serata di svago programmata da tempo – il tutto proprio durante il fine settimana, quando il gaming per molti diventa protagonista.
Sony rompe il silenzio (in ritardo) sulle cause
Mentre il malcontento montava, in tanti si sono chiesti: cosa sta succedendo a PSN? Si tratta di un guasto tecnico o di qualcosa di più grave? Per ore Sony è rimasta insolitamente silenziosa. Inizialmente la pagina ufficiale di stato PSN non riportava problemi, nonostante migliaia di utenti stessero già segnalando il contrario. Solo dopo circa 45 minuti dall’inizio del blackout, il sito di status è stato aggiornato, ammettendo che “tutti i servizi sono in manutenzione”. Sui social ufficiali, tuttavia, le informazioni sono arrivate col contagocce. PlayStation (via il suo account di supporto “Ask PlayStation”) ha riconosciuto la situazione con un breve messaggio su X intorno alle 3 di notte: “Siamo consapevoli che alcuni utenti potrebbero attualmente riscontrare problemi con PSN. Stiamo lavorando per risolvere il problema il prima possibile”.
Un annuncio stringato, senza alcun dettaglio sulle cause, che ha lasciato molti utenti ancora più irritati. “Almeno diteci perché non funziona!”, era il sentimento comune leggendo le risposte al tweet di Sony. Nessuna spiegazione ufficiale, dunque, almeno nell’immediato. Guasto tecnico imprevedibile? Problemi di server? Attacco hacker? – tutte ipotesi sul tavolo, ma senza conferme. La stessa Sony, al momento, non ha fornito alcuna spiegazione precisa sull’origine del problema. Questo alone di mistero ha fatto volare la fantasia (e la preoccupazione) della community: in molti hanno temuto il peggio, riecheggiando lo spettro del famigerato attacco del 2011, quando un’intrusione hacker mandò KO il PSN addirittura per 23 giorni consecutivi.
Fortunatamente, finora non ci sono segnali concreti che si tratti di un nuovo data breach o di qualcosa di altrettanto grave. Più probabilmente, si è trattato di un grave guasto tecnico a livello di server o infrastruttura – un evento raro per Sony, che negli ultimi anni aveva evitato interruzioni prolungate di questo tipo. Resta il fatto che la vicenda ha messo a nudo la dipendenza dei nostri giochi preferiti dal funzionamento dei server centrali: un singolo blackout ha paralizzato un intero ecosistema digitale.
Rabbia e richieste di indennizzo
Comprensibilmente, l’umore dei giocatori col passare delle ore è passato dalla sorpresa alla frustrazione, fino alla rabbia aperta. Sui forum e su X, molti utenti hanno definito “inaccettabile” la mancanza di comunicazione da parte di Sony nelle fasi iniziali del down. Pagare un abbonamento annuale (PS Plus) per ritrovarsi senza servizio proprio nel weekend ha fatto infuriare più di qualcuno. “We pay for your services… a refund will be what is due” ha tuonato un giocatore, chiedendo rimborsi per il disservizio. L’idea di qualche forma di indennizzo ha preso piede rapidamente: c’è chi pretende il rimborso di una quota di abbonamento, chi spera almeno in qualche giorno di PS Plus gratis o in contenuti extra in omaggio come segno di scusa.
Le richieste di compensazione si moltiplicano man mano che le ore passavano senza una soluzione. Finora, però, Sony non ha annunciato né promesso alcun “regalo” o estensione degli abbonamenti per farsi perdonare – probabilmente concentrata prima di tutto a ripristinare i servizi e capire le cause. In passato l’azienda giapponese aveva offerto bonus ai giocatori dopo lunghi blackout (celebre il “Welcome Back” del 2011 con giochi gratuiti e abbonamenti estesi), ma in questo caso non è detto che accada lo stesso, visto che la situazione si è risolta in meno di 24 ore. Al momento, l’unico impegno ufficiale di Sony è stato quello di risolvere il problema il prima possibile e ripristinare la normalità.
Un weekend da dimenticare, in attesa di risposte
Questa “notte buia” per il PlayStation Network si è conclusa solo sul finire di sabato 8 febbraio, con i servizi che pian piano tornavano operativi e i giocatori che hanno potuto tirare un sospiro di sollievo. Resta però la macchia di un weekend rovinato e di una comunicazione non all’altezza delle aspettative della community. Episodi come questo sollevano interrogativi importanti sull’affidabilità delle piattaforme online e su come le aziende gestiscono le crisi: i gamer chiedono maggiore trasparenza e magari qualche gesto di buona volontà quando le cose vanno storte. Sony, dal canto suo, dovrà probabilmente fornire spiegazioni più dettagliate nei prossimi giorni: cosa ha mandato in tilt il PSN a livello mondiale?
Un aggiornamento andato male, un problema ai server centralizzati, o magari un attacco esterno sventato? La speranza è che l’azienda faccia luce sull’accaduto e prenda misure per evitare che un simile blackout globale si ripeta. Nel frattempo, i videogiocatori di tutto il mondo hanno imparato quanto possa essere fragile quella routine quotidiana fatta di partite online e amicizie digitali: bastano poche ore di offline per scatenare il caos e ricordarci quanto diamo per scontato poter giocare sempre e comunque. Questo fine settimana ce lo ricorderemo a lungo – e si spera, anche Sony.
Attualità
Assegno Unico 2025: tutto su importi, novità e come ottenerlo

Ci siamo di nuovo: il tempo scorre, le bollette bussano e l’Assegno Unico 2025 è pronto a entrare nei conti correnti delle famiglie. Alcuni di noi, già dall’anno scorso, hanno fatto i conti con la novità, cercando di capire come funziona, perché funziona e se sta davvero aiutando. Altri, forse, non si sono mai davvero fermati a studiare la questione, un po’ per pigrizia, un po’ per confusione. Beh, stavolta cerchiamo di fare chiarezza. Tutto in un unico, grande respiro. L’obiettivo? Darvi ogni singolo tassello di informazione senza dover fare troppo zapping. E se alla fine avrete la sensazione di aver letto un romanzo – o un diario scritto di getto, con pensieri sparsi ma sinceri – sappiate che è normale: come sempre, noi desideriamo coinvolgervi, pur restando giornalisticamente accurati. Mettetevi comodi.
Cosa cambia davvero nel 2025
Sappiamo che l’Assegno Unico esiste dal 2022, giusto? Una grande riforma, un unico assegno per (quasi) ogni famiglia con figli, addio alle vecchie detrazioni, agli assegni familiari e tutto il resto. Adesso, nel 2025, la misura va avanti, ma con alcuni ritocchi.
- Rivalutazione importi: l’inflazione degli ultimi anni si fa sentire. Gli importi vengono leggermente aumentati (circa +0,8% rispetto allo scorso anno). Non parliamo di un mega-balzo, ma è pur sempre un adeguamento che tiene conto dei costi quotidiani che, diciamocelo, ci travolgono in ogni dove.
- Fine del periodo transitorio: la famosa maggiorazione transitoria, quella prevista per chi poteva essere penalizzato dal passaggio al nuovo sistema, andrà a esaurirsi. A dire il vero, per gennaio e febbraio 2025 ancora resiste, ma da marzo in poi scompare. È un po’ come salutare quei bonus temporanei che si erano pensati per evitare scossoni eccessivi alla riforma.
- Conferme delle maggiorazioni “speciali”: per il terzo figlio, per i più piccini sotto l’anno di età, per i figli con disabilità, tutto resta in piedi. In molti temevano che qualche aiuto sparisse, invece è ancora lì, vivo e vegeto.
In fondo, se potessimo usare una metafora, potremmo dire che siamo davanti a un “Assegno Unico maturo”, stabile, ben radicato. Non ci sono più grandi rivoluzioni in vista, almeno per ora.
Importi, fasce di reddito e ISEE: due minuti di pazienza
Cerchiamo di entrare nel cuore di tutto. Lo so, leggere di numeri può intimidire, ma fate un piccolo sforzo.
Gli importi di base
- Figli minorenni (0-17 anni): la cifra massima mensile (per ISEE bassi) si aggira attorno a 201 euro per figlio. Se il vostro ISEE schizza alle stelle (sopra i 40-45 mila euro), riceverete un minimo che si attesta intorno ai 57-58 euro.
- Figli da 18 a 21 anni: la quota massima crolla un po’ (a circa 98 euro), sempre scalando verso il minimo, come sopra.
- Aggiornamenti ogni anno: ricordate che, per non finire “incastrati” con la cifra minima, dovete presentare l’ISEE nuovo di zecca a inizio anno (entro il 30 giugno ci sono ancora margini per ottenere arretrati).
Per qualche dettaglio in più, abbiamo preparato per voi una tabella dedicata
Fascia ISEE (annuo) | Importi base Figli 0-17 / 18-21 | Maggiorazioni per famiglie numerose Terzo figlio e oltre / 4 o più figli | Figli con disabilità Maggiorazioni mensili |
---|---|---|---|
Fino a ~€17.300(ISEE basso) | • 0-17 anni: €201 (max) • 18-21 anni: €98 (max) Gli importi decrescono se l’ISEE sale | • Terzo figlio in poi: +€97,70 (max) per ogni figlio • 4 o più figli: +€150 (forfettari per nucleo) | • Disabilità media: +€97,70 • Disabilità grave: +€109,10 • Non autosufficiente: +€120,60 |
~€17.300 – ~€46.000(ISEE medio) | • 0-17 anni: da €201 a €57,50 (decresce) • 18-21 anni: da €98 a €28,70 (decresce) | • Terzo figlio in poi: importo extra decrescente (da €97,70 a ~€17,21) • 4 o più figli: +€150 (fisso) | • Disabilità media: +€97,70 • Disabilità grave: +€109,10 • Non autosufficiente: +€120,60 |
Oltre ~€46.000(ISEE alto) o senza ISEE | • 0-17 anni: €57,50 (minimo fisso) • 18-21 anni: €28,70 (minimo fisso) | • Terzo figlio in poi: €17,21 (minimo fisso) • 4 o più figli: +€150 (fisso) | • Disabilità media: +€97,70 • Disabilità grave: +€109,10 • Non autosufficiente: +€120,60 |
Abbiamo cercato di offrirvi sguardo sintetico su quanto spetta ogni mese con l’Assegno Unico 2025. Per calcolare esattamente la propria quota, è indispensabile presentare l’ISEE aggiornato e consultare l’area riservata sul sito dell’INPS, dove vengono effettuati i calcoli dettagliati.
Piccole note personali
Mi viene da pensare a una coppia di amici che, negli scorsi mesi, ha dimenticato di rinnovare l’ISEE fino a marzo inoltrato… e hanno visto arrivare sul conto un accredito ben sotto le loro aspettative. Un momento di panico. Poi hanno fatto l’ISEE, l’INPS ha ricalcolato gli importi e finalmente hanno ottenuto i conguagli. Quindi, davvero, state attenti alle scadenze – è una sciocchezza, ma fa la differenza.
Come si fa la domanda e chi deve (o non deve) rifarla
Domanda unica e (per fortuna) permanente
Se in passato avevate già fatto richiesta e nulla è cambiato nella vostra famiglia, non dovete inoltrare nulla di nuovo: l’erogazione si rinnova in automatico. E questa, lasciatemelo dire, è una gran bella semplificazione rispetto ai tanti bonus che spuntavano, scomparivano e andavano rinnovati ogni tre per due.
Attenzione: se c’è un nuovo nato o qualche modifica (un figlio che diventa maggiorenne, un cambio di affidamento, ecc.), allora dovete comunicare la variazione. Ma non dovrete ripresentare tutto da zero: basta aggiornare i dati sul sito INPS o tramite CAF/patronato.
Canali di presentazione
- Sito INPS con SPID, CIE o CNS (se avete la pazienza di navigare tra le varie schermate).
- Patronati e CAF, se preferite delegare a chi maneggia scartoffie tutti i giorni.
Una volta caricata la domanda, solitamente l’INPS impiega qualche settimana per “accoglierla” e far partire i pagamenti. Inizialmente c’è sempre un certo “disallineamento”, per cui è normale ricevere la prima mensilità in ritardo (o tutta assieme a quella del mese successivo). Poi si stabilizza, di solito attorno al 15-20 del mese.
Famiglie numerose, genitori separati, figli con disabilità… come si incastrano queste situazioni?
Capita spesso di sentirsi dire: “Sì, vabbè, ma io ho tre figli piccoli e spendo più in pannolini che in affitto”, oppure “Nella mia famiglia il padre non c’è, come gestisco i pagamenti?”. Non tutte le famiglie sono “standard” e l’Assegno Unico cerca di essere flessibile. Vediamo come.
Famiglie con tre o più figli
- Maggiore importo dopo il secondo figlio: nelle famiglie numerose (da tre figli in su) scattano bonus extra. In particolare, c’è una maggiorazione forfettaria (circa 150 euro al mese) se nel nucleo ci sono almeno quattro figli.
- Rivalutazione per figli piccoli: se avete bimbi con meno di 3 anni in una famiglia già ricca di pargoli, l’assegno cresce di un ulteriore 50%. Significa che, per i secondi o terzi figli molto piccoli, l’importo può diventare interessante. È un piccolo segnale concreto di sostegno.
Genitori separati
Qui, lo ammetto, spesso si crea confusione. L’assegno può essere:
- Accreditato al 50% ciascuno, se c’è un affidamento condiviso e i genitori lo richiedono in modo equo.
- Al 100% a uno solo dei due, se l’altro genitore è d’accordo.
- Se c’è disaccordo o situazioni complicate, di solito si cerca di rispettare l’affidamento stabilito dal tribunale. L’INPS opera su indicazioni precise e divide le somme come da normativa.
Figli con disabilità
- Nessun limite di età: per i figli disabili, l’assegno continua oltre i 21 anni.
- Importi più alti: a seconda del livello di disabilità (media, grave, non autosufficiente), si aggiungono da 97 a 120 euro in più al mese per ogni figlio.
- Situazioni 18-21 anni: i disabili in questa fascia ricevono comunque l’importo “pieno” (come se fossero minorenni). È un aiuto concreto, specie per chi ha necessità di cure costanti.
Qualche tempo fa, chiacchierando con una persona che ha un figlio disabile grave, ho percepito un piccolo sollievo nel sapere che l’assegno non si interrompe e anzi cresce, perché l’angoscia economica è sempre lì, a ogni nuovo esame o terapia. Non è la bacchetta magica, certo, ma un po’ di respiro in più può fare la differenza, almeno dal punto di vista pratico.
Perché esiste l’Assegno Unico (e funziona?)
Qualcuno si chiede ancora se l’Assegno Unico abbia centrato l’obiettivo di sostenere le famiglie e contrasto alla denatalità. È una bella domanda.
- Universale: prima c’erano assegni familiari per alcuni lavoratori, detrazioni fiscali per altri, bonus bebè limitati a certe fasce di reddito. Ora, teoricamente, tutti ricevono qualcosa, anche chi è autonomo, disoccupato o ha contratti atipici.
- Aiuta di più chi ha un ISEE basso: c’è una finalità redistributiva netta. I redditi bassi prendono di più, i redditi alti comunque ricevono un piccolo contributo (non se ne esce mai completamente a mani vuote).
- Incoraggiamento o goccia nel mare? Difficile dire se una famiglia deciderà di fare (o non fare) un figlio per qualche centinaio di euro in più al mese. È un tema personale, legato ai servizi sul territorio, alla possibilità di conciliare lavoro e vita privata, e a mille altri fattori. Però, almeno, l’Assegno Unico toglie la sensazione di “abbandono” in cui molte famiglie si sentivano prima, soprattutto se non rientravano in categorie tutelate.
Criticità e dibattiti aperti
Nessuna misura pubblica è immune da critiche, ovvio. E l’Assegno Unico ne ha ricevute parecchie.
- Importi non esorbitanti: può sembrare strano lamentarsi di un aiuto ma molte famiglie dicono: “Sì, 200 euro sono utili, ma non bastano a coprire le spese.” Probabilmente hanno ragione, considerato che tutto – dal carrello della spesa all’affitto – costa un occhio della testa.
- Redditi medi-alti penalizzati: chi guadagna di più riceve meno rispetto alle vecchie detrazioni fiscali, e non tutti hanno gradito questo “taglio”. È pur vero che lo scopo è rafforzare chi sta peggio.
- Occhio all’ISEE: alcune persone hanno zero dimestichezza con l’ISEE. Dimenticano di rinnovarlo, scatta l’importo minimo e poi si crea confusione. Sarebbe forse più semplice agganciare il tutto in automatico ai dati fiscali? Il dibattito è aperto.
Come e quando arrivano i pagamenti
- Finestra di erogazione: di norma, l’INPS paga a metà mese, indicativamente tra il 15 e il 20, se la domanda è già in elaborazione da tempo.
- Nuove domande: se l’avete presentata di recente, potreste ricevere la prima mensilità un po’ più tardi, magari a fine mese ma con gli eventuali arretrati inclusi.
- Arretrati e scadenze: per i bambini nati durante l’anno, è fondamentale fare domanda entro 120 giorni dalla nascita per non perdere i mesi precedenti. Se lo fate tardi, riparte solo da quel momento in poi.
Un bilancio personale
Ci permettiamo, a costo di sembrare “fuori luogo”, di aggiungere un tocco più intimo. L’Assegno Unico, da quando è nato, è stato un cantiere aperto. Abbiamo visto forum online pieni di dubbi, genitori in ansia per pochi euro di differenza, giovani coppie che si chiedono se questa misura possa davvero convincerli a mettere al mondo un figlio in più. Forse no, non da sola. Servirebbero più asili nido, lavoro stabile, congedi ben strutturati e una mentalità collettiva che non penalizzi la maternità. Ma l’Assegno Unico è lì, fisso, a ricordarci che un supporto finanziario dello Stato può – almeno un po’ – far sentire le famiglie meno sole. E questa è una piccola rivoluzione culturale, in un Paese che per troppo tempo è sembrato vecchio e disinteressato alle nuove generazioni.
In sintesi
- Assegno Unico 2025: prosegue con un leggero incremento degli importi (+0,8%) e l’uscita definitiva dal periodo transitorio.
- ISEE sempre fondamentale: se non lo rinnovate, ricevete il minimo.
- Maggiorazioni speciali per famiglie numerose, figli disabili e prime mensilità per bimbi sotto l’anno di età.
- Pagamenti mensili erogati dall’INPS, quasi sempre a metà mese.
- Nessuna domanda da rifare se già beneficiari: il tutto si rinnova in automatico.
- Non la panacea di tutti i mali, ma un sostegno reale e tangibile, specie per i redditi bassi.
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Attualità
Grammy Awards 2025: tutti i vincitori e i momenti indimenticabili

Una notte di musica, emozioni e primati: i Grammy Awards 2025 hanno consegnato statuette a star affermate e nuovi talenti, in un’edizione ricca di sorprese e momenti memorabili. Dalle previsioni della vigilia ai discorsi dal palco, ripercorriamo insieme i protagonisti e le vittorie in tutte le categorie, dalle principali a quelle più di nicchia. Vi raccontiamo come Beyoncé ha fatto la storia, come i giovani emergenti hanno brillato e perché questa è stata “la serata delle donne” che ha acceso i riflettori sul futuro della musica.
Contesto pre-Grammy: favoriti, previsioni e sorprese attese
La vigilia dei Grammy 2025 è stata carica di aspettative. Beyoncé guidava la corsa con ben 11 nomination, un record per un’artista femminile in un solo anno. In molti scommettevano che sarebbe stata la volta buona per vederla trionfare nelle categorie regine – magari finalmente con l’Album dell’Anno – soprattutto grazie al suo audace progetto Cowboy Carter, un album dalle sonorità country che aveva incuriosito critica e pubblico. Ma la competizione era serrata: Taylor Swift (forte di un settimo Album of the Year in carriera, un primato tra le donne schierava The Tortured Poets Department, mentre nomi come Billie Eilish e Kendrick Lamar erano pronti a contendere i premi principali.
Accanto ai veterani, spiccavano giovani outsider pronti a ribaltare i pronostici. Sabrina Carpenter e Chappell Roan erano le rivelazioni dell’anno: entrambe nominate contemporaneamente nelle quattro categorie generali (un evento rarissimo nella storia dei Grammy dalla canzone all’album dell’anno, fino a Miglior Nuovo Artista. Questo “en plein” di candidature le inseriva di diritto tra le possibili sorprese della serata. C’era chi fantasticava su una vittoria clamorosa di Sabrina contro colleghe ben più note, o su Chappell capace di sbaragliare tutti come Best New Artist. Anche il mondo hip hop seguiva con interesse la sfida in famiglia tra Kendrick Lamar e sua cugina Baby Keem (in gara con un featuring di rilievo), mentre i fan dei Beatles speravano in un riconoscimento storico per Now and Then, il brano postumo realizzato con l’ausilio dell’AI e candidato come Registrazione dell’Anno – prima canzone “assistita” dall’intelligenza artificiale a concorrere ai Grammy.
Insomma, i pronostici della vigilia delineavano da un lato Beyoncé come favorita assoluta con il maggior numero di nomination, dall’altro un parterre di nuove leve pronte a dare filo da torcere alle superstar. E proprio questa tensione tra icone affermate e volti nuovi ha preparato il terreno a una cerimonia carica di aspettative, dove ci si attendevano anche colpi di scena: una possibile rivincita storica di Beyoncé, qualche upset nelle categorie pop, e magari il trionfo di giovani outsider capaci di prendersi la scena contro ogni previsione.
Tutti i vincitori dei Grammy 2025 (dalle categorie top alle nicchie)
La notte dei Grammy 2025 ha incoronato vincitori in ogni angolo della musica, celebrando sia le popstar planetarie sia gli artisti dei generi più specifici. Ecco un riepilogo completo, categoria per categoria, dei trionfatori e dei momenti salienti associati a ciascuna vittoria.
Le categorie “Big Four”: trionfi di Beyoncé e Kendrick Lamar
Come da pronostico, la regina della serata è stata Beyoncé. La star di Houston si è aggiudicata l’Album dell’Anno con Cowboy Carter, compiendo un’impresa storica: è la prima donna di colore a vincere questo premio dal 1999 (quando trionfò Lauryn Hill). Beyoncé ha realizzato così quel riconoscimento che le sfuggiva da tempo, e lo ha fatto con un album coraggioso in ambito country. Ma le soddisfazioni per lei non finiscono qui: Cowboy Carter ha vinto anche come Miglior Album Country, rendendo Beyoncé la prima artista nera di sempre a conquistare quella categoria. La cantante, visibilmente emozionata sul palco, ha sottolineato il significato di questa vittoria oltre le barriere di genere musicale: “A volte i generi sono solo codici per tenerci al nostro posto come artisti… incoraggio tutti a seguire le proprie passioni e a perseverare”, ha dichiarato nel suo discorso di ringraziamento, ringraziando poi “tutti gli incredibili artisti country che hanno accolto questo album”. Un momento davvero epocale per Beyoncé, che con Cowboy Carter porta a casa in totale 3 Grammy Awards e scrive un nuovo capitolo di storia.
L’altro grande protagonista assoluto è Kendrick Lamar. Il rapper di Compton ha fatto incetta di premi nelle categorie generali dedicate ai singoli: la sua travolgente Not Like Us è stata eletta sia Registrazione dell’Anno che Canzone dell’Anno, una doppietta rarissima che finora nel rap era riuscita solo a “This Is America” di Childish Gambino. Kendrick, con Not Like Us, ottiene dunque il riconoscimento per la migliore incisione (premiando la performance vocale e la produzione) e per il miglior brano a livello di scrittura. Questo successo incrociato ha reso Not Like Us la canzone più premiata della serata e ha confermato Kendrick Lamar come voce trascinante del panorama musicale attuale. Oltre ai due premi generali, Kendrick ha dominato anche nel suo genere: Not Like Us ha vinto come Miglior Brano Rap e Miglior Interpretazione Rap dell’anno, portando a casa in totale ben 5 Grammy, il bottino più ricco per un singolo artista quest’anno. Un trionfo meritato coronato da un discorso sentito in cui Kendrick ha dedicato i premi “a tutti i rapper che usano la musica per raccontare la verità”.
Nella categoria Song of the Year, assegnata agli autori, la vittoria di Not Like Us ha visto lo stesso Kendrick Lamar premiato anche come songwriter principale del brano. Miglior Nuovo Artista, infine, è stata proclamata Chappell Roan: la giovane cantautrice indie-pop ha avuto la meglio sugli altri esordienti, coronando una stagione di debutto da sogno. Chappell (vero nome Kayleigh Amstutz) ha ritirato il premio tra le lacrime, incredula di fronte al suo nome accostato a quello di leggende che in passato hanno vinto in questa categoria. Emozionata e con la voce rotta, ha ringraziato “il pubblico che ha creduto in una ragazza con un sogno” e dedicato il Grammy alla comunità LGBTQ+ che l’ha ispirata. La sua vittoria conferma il trend di rinnovamento: il 2025 è davvero l’anno delle nuove voci, capaci di affermarsi anche sul palco più prestigioso.
Pop, dance e elettronica: Sabrina Carpenter superstar, Gaga e Bruno incantano
Il pop quest’anno parla al femminile e porta il nome di Sabrina Carpenter. L’ex stellina Disney si è trasformata in una popstar di successo e ai Grammy ha fatto faville: Miglior Performance Pop Solista e Miglior Album Pop Vocale portano entrambi il suo nome. La sua hit frizzante Espresso ha sbaragliato la concorrenza (inclusa una certa Beyoncé, candidata con Bodyguard) aggiudicandosi il premio per la miglior performance pop individuale.
Ma soprattutto Sabrina ha trionfato con l’album Short n’ Sweet, eletto Best Pop Vocal Album dell’anno: un riconoscimento enorme se si pensa che in quella categoria erano in lizza heavyweights come Taylor Swift, Billie Eilish, Ariana Grande e la collega emergente Chappell Roan. Vedere Sabrina, 24 anni, sul palco con in mano il Grammy di miglior album pop è stato uno dei momenti più belli per la “new generation” della musica. “Sto per mettermi a piangere – è il mio primo Grammy, è un sogno che si avvera!” ha detto Sabrina con voce tremante. Non ha trattenuto l’entusiasmo nemmeno di fronte alla platea mondiale in diretta TV, lasciandosi scappare un’esclamazione colorita (“Thank you, holy shit, bye!”, cioè “Grazie, santo cielo – anzi altra parola – ciao!”) che è stata censurata in diretta ma ha fatto sorridere tutti. Con due premi su due nomination vinte, Sabrina Carpenter esce dai Grammy consacrata come nuova principessa del pop.
A condividere la gloria nel campo pop c’è anche una collaborazione d’eccezione: Lady Gaga e Bruno Mars. I due hanno conquistato il titolo di Miglior Performance di Duo/Gruppo Pop grazie al loro duetto Die with a Smile, un brano inedito dal sapore retro-soul che ha infiammato la platea. Gaga e Bruno, entrambi veterani del palco Grammy, hanno mostrato una chimica straordinaria sia nella performance live (di cui diremo dopo) sia nel ritiro del premio, quando hanno scherzato abbracciati ringraziando “per aver creduto in questa strana coppia”. Hanno battuto avversari illustri come Ariana Grande (in trio con Brandy e Monica per una versione aggiornata di The Boy Is Mine) e la strana accoppiata Beyoncé/Post Malone. Un Grammy davvero meritato, che unisce due delle voci più potenti della musica pop attuale.
Sul fronte dance/elettronica, a farla da padrone è stata Charli XCX. L’eclettica artista britannica, che oscilla tra pop e avanguardia elettronica, porta a casa tre Grammy Awards: ha vinto come Miglior Brano Dance/Pop con la scatenata Von Dutch, come Miglior Album Dance/Elettronico con il suo progetto sperimentale Brat e perfino un premio “visivo”, il Best Recording Package, per l’artwork creativo dello stesso album Brat. Charli XCX si conferma così una delle artiste più versatili in circolazione, capace di eccellere sia nella musica da club sia nell’estetica: il suo look e l’intero immaginario di Brat sono stati celebrati dai giurati per l’originalità grafica. Nella categoria dance recording, in verità, il Grammy è andato al sorprendente duo formato dai francesi Justice e dagli australiani Tame Impala, premiati per il brano elettronico-psichedelico Neverender.
Ma Charli si è rifatta ampiamente dominando altrove. Nota di merito anche per il produttore Mark Ronson, vincitore del Best Remixed Recording grazie al remix di Espresso di Sabrina Carpenter (una collaborazione inedita Ronson+FnZ che ha dato nuova veste al brano di Sabrina). Insomma, la parte dance/elettronica dei Grammy 2025 ha visto convivere icone dell’EDM, popstar camaleontiche e produttori di razza, riflettendo la grande vivacità di questo genere.
Rock e alternative: ritorno dei giganti (Rolling Stones e Beatles) e tripletta di St. Vincent
Il rock ai Grammy 2025 celebra sia le leggende senza tempo sia le avanguardie moderne. A 60 anni dal loro debutto, The Rolling Stones aggiungono un altro riconoscimento alla loro collezione vincendo il Best Rock Album con Hackney Diamonds. L’ultimo lavoro di Jagger e soci – pieno di energia e ospiti illustri – ha conquistato la giuria, regalando agli Stones il loro primo Grammy competitivo in una categoria importante da molti anni. “Il rock non muore mai!” ha scherzato Mick Jagger sul palco, mentre Keith Richards dedicava il premio a Charlie Watts, il batterista storico scomparso di recente. Nella stessa categoria erano nominati anche Pearl Jam, Green Day, Idles e Jack White, ma alla fine i “vecchi leoni” hanno avuto la meglio sui discepoli più giovani.
Un altro momento dal sapore storico è stato il Grammy ai Beatles: incredibile ma vero, Paul McCartney e Ringo Starr hanno vinto il Best Rock Performance grazie a Now and Then, la commovente canzone ricavata da un demo di John Lennon e completata grazie all’intelligenza artificiale. Il brano, uscito a fine 2024, ha fatto impazzire i fan e non solo – e ai Grammy ha prevalso come miglior performance rock, battendo band come Green Day e Pearl Jam. Vedere i Beatles premiati nel 2025 è stato un momento quasi surreale e molto emozionante: Paul e Ringo, saliti sul palco insieme, hanno ringraziato “il caro amico John” e dedicato il premio a George Harrison, completando così la reunion almeno nello spirito. Now and Then diventa così non solo la prima canzone con AI ad essere nominata ma anche la prima a vincere un Grammy, a testimonianza di come innovazione tecnologica e nostalgia possano creare magia.
Nel metal c’è spazio per la contaminazione: a sorpresa i francesi Gojira hanno vinto il Best Metal Performance con Mea Culpa (Ah! Ça ira!), una travolgente traccia realizzata in collaborazione con il mezzosoprano Marina Viotti e l’arrangiatore Victor Le Masne. Questa inedita unione di metal estremo e lirica ha convinto i giurati, superando pesi massimi come Metallica e Judas Priest. Gojira, durante il ritiro del premio, hanno definito il brano “un esperimento folle, una rivoluzione in musica” – non a caso Revolución Diamantina è il titolo di un’opera contemporanea premiata in ambito classico, quasi un filo rosso tra generi (e infatti ne riparleremo più avanti). Un segnale che anche nel metal vince chi osa.
La categoria rock/alternative ha visto anche il dominio di St. Vincent. L’artista americana (alias Annie Clark) si è portata a casa tre Grammy in questo campo: Miglior Canzone Rock per Broken Man (un brano graffiante scritto e cantato da lei), Miglior Performance Alternative per Flea e Miglior Album Alternative per il suo visionario All Born Screaming. In pratica St. Vincent ha fatto strike: miglior brano rock, miglior performance e album nell’alternative. Un risultato eccezionale, che la conferma come una delle voci più autorevoli del rock contemporaneo, capace di piacere tanto ai cultori dell’indie quanto ai palati dell’Academy. Annie Clark, elegantissima in un abito futurista, ha dedicato i premi “a tutte le ragazze che imparano la chitarra in garage sognando questo momento”. Sconfitti di lusso in queste categorie sono stati i Black Keys, Nick Cave, Fontaines D.C. e Kim Gordon, che nulla hanno potuto contro la poliedricità di St. Vincent.
Da segnalare infine che nella Miglior Canzone Rock la stessa St. Vincent ha avuto la meglio su leggende come i Pearl Jam (in gara con Dark Matter) e i Green Day (con The American Dream Is Killing Me), mentre in Best Alternative Album ha superato concorrenti del calibro di Nick Cave e della giovane cantautrice Clairo. Insomma, quest’anno il rock ha parlato al femminile e in modo sperimentale, senza dimenticare di onorare i padri fondatori. Un perfetto equilibrio tra passato e futuro.
R&B e rap: voci femminili sugli scudi, Doechii fa la storia hip hop
Le categorie R&B e rap dei Grammy 2025 hanno riservato momenti di grande soddisfazione soprattutto per le artiste donne, con alcuni risultati che entreranno negli annali.
Nel R&B, la serata è stata dolcissima per Muni Long: la cantante già nota per la hit Hrs & Hrs si è aggiudicata il Best R&B Performance con la versione live di Made for Me, un’interpretazione vibrante registrata ai BET Awards che ha stregato la giuria. Muni (vero nome Priscilla Renea) era visibilmente commossa: “Questo brano dal vivo è stata una preghiera in musica, grazie per averla ascoltata” ha detto ricevendo il premio. A sorpresa ha avuto la meglio su colleghe come SZA (in gara con Saturn) e Jhené Aiko, segno che la sua voce soul ha lasciato il segno. Proprio SZA si consola però con il titolo di Miglior Canzone R&B: il premio per il brano R&B dell’anno va a Saturn, una ballata eterea co-scritta dalla stessa Solána Rowe. SZA, che in passato ha spesso sfiorato il Grammy senza vincerlo, stavolta può festeggiare ringraziando gli autori e dedicando la vittoria “a chi ha il coraggio di esplorare nuovi pianeti emotivi in una relazione” (facendo un gioco di parole col titolo Saturn).
Tra le performance R&B tradizionali brilla Lucky Daye, che si porta a casa il Best Traditional R&B Performance con That’s You – un pezzo dal gusto vintage che l’ha visto sbaragliare grandi voci come Lalah Hathaway e Marsha Ambrosius. L’R&B contemporaneo premia anche Chris Brown: il controverso artista vince il Best R&B Album con 11:11 (Deluxe), superando album di Usher e Kacey Musgraves (che concorreva in una curiosa incursione country-R&B). Brown, sul palco, ha fatto un discorso conciso limitandosi ai ringraziamenti al team e ai fan. Non sono mancate però polemiche online per questo premio, data la storia dell’artista – ma la Recording Academy ha scelto di concentrarsi sul merito musicale del disco, ricco di collaborazioni e produzioni raffinate.
Una menzione d’onore nel campo R&B va inoltre ad AverySunshine, vincitrice del Best Progressive R&B Album per So Glad to Know You. Questo album, che fonde gospel, soul e neo-soul, ha battuto in volata il progetto di NxWorries (il duo di Anderson Paak) e Crash di Kehlani, consegnando ad AverySunshine (pianista e vocalist indie) il suo primo Grammy. Un riconoscimento importante per la scena R&B indipendente.
Passando al rap, la notizia del giorno è il trionfo di Doechii e il potente messaggio che porta con sé. La rapper di Tampa ha vinto il Best Rap Album con il suo mixtape Alligator Bites Never Heal, diventando soltanto la terza donna nella storia a vincere questa categoria. Prima di lei, solo Lauryn Hill (1999) e Cardi B (2019) c’erano riuscite – e proprio Cardi B è salita sul palco a consegnarle il Grammy, in un simbolico passaggio di testimone. Doechii, visibilmente in lacrime e avvolta in un elegante abito Thom Browne, ha tenuto uno dei discorsi più emozionanti della serata: “So che là fuori c’è qualche ragazza nera – anzi, tante donne nere – che mi sta guardando. Voglio dirvi che potete farcela”, ha proclamato tra gli applausi. “Tutto è possibile. Non permettete a nessuno di appiccicarvi addosso stereotipi”. Un momento da brividi, che suggella un premio meritatissimo: Doechii ha avuto la meglio su giganti come J. Cole, Eminem e Future, e con questo Grammy scrive una pagina di storia hip hop. Oltre all’album rap dell’anno, la giovane MC ha regalato sul palco una performance infuocata e ha mostrato quanto la scena femminile sia ormai centrale anche nel rap game.
Nel rap performance e nelle categorie canzone rap, come detto, ha dominato Kendrick Lamar con Not Like Us. Da segnalare però la vittoria di Rapsody nella categoria Miglior Performance Rap Melodica: la rapper e poetessa ha conquistato il premio con 3:AM, una traccia notturna impreziosita dal featuring soul di Erykah Badu. Rapsody ha dedicato il riconoscimento “alle donne del rap che sanno essere forti e dolci insieme” e ricevuto una standing ovation da colleghi come Queen Latifah in platea.
Tra gli altri premi rap spicca la Miglior Canzone Rap (songwriting) ancora appannaggio di Kendrick Lamar per Not Like Us, mentre nella Miglior Performance Rap classica (voce non cantata) Kendrick ha prevalso sulla concorrenza di Eminem, Common e della stessa Doechii (nominata con Nissan Altima). Infine, il Best Spoken Word Poetry Album – categoria introdotta di recente per gli album di poesia – è andato al gruppo Tank and the Bangas per The Heart, The Mind, The Soul, battendo candidati come Malik Yusef e Omari Hardwick. Un segnale che il legame tra musica e poesia è vivo e viene celebrato anche in un contesto mainstream come i Grammy.
In sintesi, il blocco R&B/rap di questi Grammy 2025 ha visto un forte protagonismo delle donne e degli artisti black, con messaggi di empowerment e inclusione. Dal soul raffinato di Muni Long al rap incendiario di Doechii, passando per il R&B innovativo di SZA e l’hip hop conscious di Kendrick, la musica nera si è presa con merito la scena, lanciando un messaggio chiaro: “You can do it”, potete farcela – parola di Doechii.
Country e American Roots: Beyoncé regina country, la favola di Sierra Ferrell
Se c’era un premio che in pochi avrebbero pronosticato all’inizio dell’anno, era Beyoncé vincitrice in campo country. E invece è successo davvero: oltre al già citato Album of the Year, Cowboy Carter ha regalato a Queen B anche il titolo di Miglior Album Country, sancendo una svolta epocale. Beyoncé è la prima artista di colore a vincere il Grammy per il Best Country Album e ha ringraziato commossa la comunità di Nashville per aver accolto la sua incursione nel genere. Nel suo speech per questo premio – meno teso rispetto a quello per l’AOTY – Beyoncé ha dichiarato: “Vorrei ringraziare tutti gli incredibili artisti country che hanno accettato questo album. Abbiamo lavorato così duramente… A volte il termine ‘genere’ è solo un codice per tenerci al nostro posto, ma seguite ciò che vi appassiona e siate persistenti”. Parole forti, che hanno zittito le poche polemiche sollevate dai puristi nei mesi scorsi. Beyoncé nel country era la “straniera”, eppure è riuscita in un’impresa storica abbattendo barriere razziali e musicali.
Insieme a lei, sul podio country sale anche Miley Cyrus: il duetto Beyoncé–Miley II Most Wanted ha infatti vinto come Miglior Performance Country di Duo o Gruppo. Un brano dal sapore outlaw interpretato magistralmente dalle due popstar, che ha surclassato collaborazioni più tradizionali (come quella di Kelsea Ballerini & Noah Kahan). Beyoncé quindi porta a casa pure questo Grammy condiviso con Miley – e fanno tre premi totali nella sua notte magica. La Miglior Performance Country Solista invece è andata a un nome classico: Chris Stapleton con la ballata It Takes a Woman. La voce roca di Stapleton ha avuto la meglio su candidate insolite come la stessa Beyoncé (nominata qui con 16 Carriages, poi sconfitta) e sul fenomeno Jelly Roll. Stapleton, veterano dei Grammy country, ha dedicato il premio “a tutte le donne che ci ispirano canzoni” e si è detto onorato di condividerlo con colleghi di generi diversi, citando proprio Beyoncé come “fonte di ispirazione trasversale”.
Il premio per la Miglior Canzone Country (rivolto agli autori) ha visto trionfare Kacey Musgraves, cantautrice amatissima dalla comunità country-pop. La sua The Architect, scritta insieme ai fidati Shane McAnally e Josh Osborne, ha conquistato il Grammy come miglior brano country dell’anno. Kacey si è detta sorpresa, essendo stata ferma discograficamente nel 2024 (il brano è parte di una colonna sonora), ma evidentemente la sua penna è ancora d’oro. Ha battuto persino Texas Hold ’Em di Beyoncé e I Am Not Okay di Jelly Roll: una vittoria che consolida Musgraves come una delle migliori songwriter della sua generazione.
Ma la favola più bella in ambito country/American roots è quella di Sierra Ferrell. Questa giovane artista originaria della West Virginia ha fatto incetta di premi nelle categorie roots, realizzando un en plein incredibile: quattro nomination e quattro vittorie! Sierra ha vinto Miglior Performance American Roots con Lighthouse, un’intima canzone folk dai profumi appalachiani; ha vinto Miglior Performance Americana (categoria nuova di zecca) con American Dreaming; ha portato a casa anche Miglior Canzone American Roots con lo stesso brano American Dreaming, di cui è co-autrice; e infine ha trionfato come Miglior Album Americana per Trail of Flowers. Un vero dominio nella musica tradizionale americana. Vedere Sierra Ferrell – ancora poco conosciuta al grande pubblico – salire ripetutamente sul palco è stato sorprendente e rinfrancante: col suo stile vintage (indossava un abito retrò e su ogni premio posava un fiore) ha ringraziato più volte “la mia piccola band che suonava per strada” e dedicato i successi “a chi tiene viva la musica delle radici”.
Sierra ha letteralmente sbaragliato la concorrenza: ha avuto la meglio su veterani come Rhiannon Giddens e Taj Mahal (invitato su un brano dei Fabulous Thunderbirds), su colleghe emergenti come Allison Russell, e perfino su Beyoncé (anche lei nominata in Best Americana Performance con Ya Ya, senza vittoria). La sua è una vittoria che sa di fiaba: dalla carovana folk ai Grammy, quadruplo riconoscimento.
In ambito bluegrass, il virtuoso Billy Strings si conferma una garanzia, vincendo il Best Bluegrass Album per il live Me and Dad (in realtà il titolo era Live Vol. 1, registrato col padre – un progetto genuino che ha toccato il cuore dell’Academy). Nei blues, due leggende si dividono la posta: Taj Mahal con i suoi The Taj Mahal Sextet conquista il Best Traditional Blues Album grazie al live Swingin’ Live at The Church in Tulsa, mentre Ruthie Foster vince il Best Contemporary Blues Album con Mileage, superando nientemeno che Joe Bonamassa e Shemekia Copeland. E parlando di Copeland: pur non vincendo nei blues contemporanei, la sua Blame It On Eve era nominata sia lì sia tra le performance roots, segno dell’apprezzamento trasversale per la blueswoman di Harlem.
Chiudono il cerchio delle radici il Best Folk Album, andato a Gillian Welch & David Rawlings per Woodland – album di puro folk acustico, preferito a progetti di Adrianne Lenker (Big Thief) e Aoife O’Donovan – e il Best Regional Roots Album che premia la musica hawaiiana di Kalani Pe’a (Kuini), a testimonianza della ricchezza culturale abbracciata dai Grammy. In definitiva, il settore country/Americana di questa edizione sarà ricordato come quello delle grandi prime volte (Beyoncé) e delle scoperte dal sottobosco folk (Sierra Ferrell), un mix di star power e autenticità rurale che ha reso la serata indimenticabile anche per gli appassionati delle sonorità tradizionali.
Latin, global e world music: Shakira e Residente protagonisti, world music in festa
Lo sguardo internazionale dei Grammy 2025 si è posato con attenzione sulla musica latina e mondiale, riflettendo la crescita esponenziale di questi generi nel mainstream.
Partiamo dal mondo latino. La regina assoluta qui è Shakira, che aggiunge un altro Grammy al suo palmarès vincendo il Best Latin Pop Album con Las Mujeres Ya No Lloran. Il titolo – “Le donne non piangono più” – cita il celebre verso del suo tormentone con Bizarrap e in effetti Shakira quest’anno ha fatto piangere solo di gioia: l’album, intriso di empowerment e ritmi pop-urbani, ha convinto tutti. Shakira ha battuto rivali come Anitta (in lizza con l’EP Funk Generation) e Kali Uchis, confermando di essere ancora la numero uno del pop latino. Nel suo discorso, ha ringraziato in spagnolo le “mujeres fuertes” e ha fatto ballare la platea intonando a cappella un ritornello. Non contenta, la colombiana ha anche offerto una delle performance live più spettacolari della serata, di cui parleremo a breve.
Sul versante Música Urbana (reggaeton e affini) c’è stata una piccola sorpresa: ha vinto Residente (ex Calle 13) con il suo album concettuale Las Letras Ya No Importan, superando il superfavorito Bad Bunny. Nadie Sabe Lo Que Va a Pasar Mañana di Bad Bunny, campione di vendite, era dato per vincitore sicuro, ma la giuria ha premiato l’originalità lirica e politica di Residente. “Le lettere non importano più” è un titolo ironico per un album che invece dà moltissima importanza ai testi: Residente nel suo speech ha lanciato stoccate (non troppo velate) all’industria, sottolineando come “non basta una base a fare una buona canzone”. La decisione ha fatto discutere i fan di Bunny, ma aggiunge pepe a una categoria dominata finora dal trap e che stavolta ha visto affermarsi un lavoro più alternativo. Da notare che tra i nominati c’erano anche J Balvin, Feid e la rivelazione Young Miko, segno di una scena urbana ricchissima.
Nella categoria Latin Rock o Alternative, vittoria a sorpresa per la band venezuelana Rawayana con l’album ¿Quién Trae las Cornetas?, un mix di reggae, funk e rock tropicale che ha conquistato i votanti. Hanno avuto la meglio su nomi come Mon Laferte e Nathy Peluso. Il cantante di Rawayana, nel ritirare il premio, ha esclamato felice: “¡Viva Latinoamérica unida en la música!”. Per il Miglior Album di Música Mexicana (incl. Tejano), il vincitore è Carín León con Boca Chueca, Vol. 1, ennesima conferma della popolarità travolgente delle nuove correnti regional mex (basti pensare che ha superato la stella Peso Pluma, nominato con Éxodo).
Il Best Tropical Latin Album vede trionfare un progetto familiare: Tony Succar & Mimy Succar vincono col live Alma, Corazón y Salsa, registrato in Perù con un’orchestra spettacolare. Tony Succar (percussioni) e sua madre Mimy (cantante) hanno dedicato il premio “a la patria y la familia”, commuovendo tutti. Sconfitti eccellenti: Marc Anthony e Juan Luis Guerra, che si consolano con il successo popolare dei loro dischi.
Nei premi global e world, l’edizione 2025 ha continuato sulla linea dell’inclusività introdotta di recente. Il Best Global Music Performance è stato vinto da una collaborazione tutta latina: Bemba Colorá, esibizione trascinante di Sheila E. con Gloria Estefan e la percussionista Mimy Succar, ha conquistato il Grammy come miglior performance globale. Questo brano (un classico della salsa reso celebre da Celia Cruz) ha unito tre icone – la regina della timbales Sheila E., la leggenda pop cubana Gloria e la giovane Succar – ed è stato premiato per la sua energia transgenerazionale. Da brividi il momento in cui, dopo aver vinto, Gloria Estefan ha detto: “Questo Grammy lo dedichiamo a Celia, la cui bemba colora sorride con noi stanotte”. Nella stessa categoria erano nominati artisti da ogni dove: dall’afro-jazz di Angélique Kidjo al sitar di Anoushka Shankar con Jacob Collier, fino alla cantautrice pakistana Arooj Aftab – a testimonianza della varietà incredibile in gara.
Il neonato premio per la Miglior Performance di Musica Africana è andato alla nigeriana Tems per Love Me Jeje, un pezzo afro-fusion romantico che ha superato la concorrenza di Burna Boy, Yemi Alade e di una collaborazione afrobeat USA/Nigeria (Chris Brown con Davido). Tems, già nota per le collaborazioni con Wizkid e Future, consolida così la sua posizione di nuova regina dell’Afrobeats. Emozionante il suo speech: “Questa vittoria è per l’Africa e per ogni ragazza che sogna con una canzone”.
Il Best Global Music Album ha premiato un progetto interessante: Alkebulan II del cantante Matt B con la Royal Philharmonic Orchestra. Matt B, americano con cuore in Africa, ha voluto creare un ponte tra sonorità afro e orchestra sinfonica, e il risultato gli è valso il Grammy, prevalendo su un favorito come Rema (in gara con Heis) e sulla beniamina Tems (nominata anche per l’album Born in the Wild). “Questo Grammy è per il mondo intero, la nostra vera orchestra” ha detto Matt B, sollevando il trofeo.
In ambito Reggae, vittoria un po’ atipica: il Best Reggae Album va alla compilation Bob Marley: One Love – Music Inspired by the Film. Si tratta della colonna sonora ispirata al film biografico su Marley, con vari artisti. Ha battuto album di Collie Buddz, Shenseea e perfino The Wailers (la storica band di Marley, nominata con Evolution). Un tributo che vince sul tributo: segno che il mito di Marley è vivo e continua a raccogliere riconoscimenti.
Chiudiamo con il Best New Age, Ambient or Chant Album, categoria che abbraccia le musiche di meditazione: a vincere sono stati il flautista sudafricano Wouter Kellerman, la violoncellista giapponese Eru Matsumoto e la cantante indo-americana Chandrika Tandon con il progetto Triveni, un viaggio sonoro tra India e Africa. Sconfitti di lusso: il compianto Ryuichi Sakamoto (nominato postumo per Opus) e Anoushka Shankar con Chapter II. Un premio che testimonia la capacità dei Grammy di onorare anche le musiche spirituali e sperimentali.
In sintesi, il panorama “world” dei Grammy 2025 è stato ricchissimo e variegato. Shakira e Residente hanno portato alto il vessillo latino, mentre sul fronte globale nomi emergenti come Tems e progetti multiculturali innovativi sono stati consacrati. Una festa della musica senza confini, dove ritmi e melodie di tutto il mondo si sono dati appuntamento sotto lo stesso tetto.
Jazz e classica: tra nuove stelle e tributi d’autore
Anche i premi jazz e classica hanno avuto i loro momenti di gloria, sebbene lontano dai riflettori principali. Nel jazz, continua la favola di Samara Joy: la giovane vocalist che l’anno scorso era stata Miglior Nuova Artista, quest’anno fa doppietta vincendo sia Miglior Performance Jazz che Miglior Album Vocal Jazz. Samara ha trionfato con la sua interpretazione di Twinkle Twinkle Little Me (feat. Sullivan Fortner) come migliore performance jazz dell’anno e con l’album natalizio A Joyful Holiday come miglior disco vocale. La sua voce calda e retrò conquista ancora – e divertente è stato vederla sul palco con in mano un Grammy per una canzone il cui titolo ricorda una filastrocca (Twinkle Twinkle). Samara Joy ha ringraziato “il nonno che le faceva ascoltare Ella Fitzgerald” e ha dedicato i premi alla memoria di Tony Bennett (commuovendo tutti, essendo Bennett scomparso proprio nel 2023).
Il Best Jazz Instrumental Album è andato a due giganti, Chick Corea & Béla Fleck, per Remembrance. Un lavoro postumo (Corea ci ha lasciati nel 2021) che unisce piano jazz e banjo bluegrass in modo sublime. Corea e Fleck avevano già collaborato in passato, e questo album-tributo ha prevalso su progetti di Ambrose Akinmusire e Lakecia Benjamin. Béla Fleck, presente per ritirare il premio, l’ha dedicato “all’amico Chick, che suona tra le stelle stasera”.
La scena big band ha visto la vittoria della Dan Pugach Big Band (già nominata in passato) col progetto Bianca Reimagined come Best Large Jazz Ensemble Album. Nel Latin Jazz, il Grammy va a Cubop Lives! – un album collettivo di musicisti come i fratelli Curtis – che ha celebrato la fusione di jazz e ritmi cubani. E il nuovo premio Best Alternative Jazz Album (dedicato a sonorità jazz d’avanguardia) ha incoronato la bassista/cantautrice Meshell Ndegeocello per il suo concept album No More Water: The Gospel of James Baldwin, preferito persino all’esperimento ambient di André 3000 (New Blue Sun, rimasto a bocca asciutta dopo tante nomination). Meshell, iconica figura queer black, ha dedicato la vittoria “allo spirito di James Baldwin” e ricordato come jazz e impegno sociale siano storicamente legati.
Nel campo classico, protagonista assoluto è stato Gustavo Dudamel: il carismatico direttore d’orchestra venezuelano ha vinto sia il Best Orchestral Performance con Revolución Diamantina di Gabriela Ortiz (un’opera sinfonica contemporanea eseguita dalla Los Angeles Philharmonic), sia il Best Classical Compendium – di fatto un secondo premio per lo stesso progetto discografico – condiviso con la compositrice Gabriela Ortiz. Dudamel, che ha condotto magistralmente questa suite che fonde classica e richiami latini, ha ringraziato in spagnolo e abbracciato la compositrice sul palco. Ortiz a sua volta ha vinto anche il Best Contemporary Classical Composition proprio per Revolución Diamantina, completando così un clamoroso triplete (opera, album compendium e composizione dell’anno). Un trionfo per la musica classica contemporanea ispirata dal Messico.
Tra gli altri premi classici: il Best Opera Recording è andato all’innovativo allestimento di Adriana Mater di Kaija Saariaho (diretto da Esa-Pekka Salonen), un premio postumo e affettuoso dato che la compositrice finlandese è scomparsa nel 2023. Donald Nally & The Crossing hanno vinto il Best Choral Performance con Ochre, un lavoro corale sperimentale. Caroline Shaw & Sō Percussion si sono aggiudicati il Best Chamber/Small Ensemble Performance per Rectangles and Circumstance. Il Best Classical Instrumental Solo ha premiato il pianista islandese Víkingur Ólafsson per la sua interpretazione delle Variazioni Goldberg di Bach (incisione straordinaria che ha prevalso su progetti di musica contemporanea).
Il Best Classical Vocal Solo Album è andato al soprano Karen Slack per Beyond The Years: Unpublished Songs of Florence Price – un omaggio a Florence Price, prima compositrice afroamericana di successo, scopertasi un vero gioiello. Infine, una chicca: il Producer of the Year, Classical è stato assegnato a Elaine Martone, mentre il Producer of the Year, Non-Classical al pop mastermind Dan Nigro (che ha lavorato ai successi di Olivia Rodrigo e Sabrina Carpenter) e il Songwriter of the Year, Non-Classical alla talentuosa Amy Allen, co-autrice di Espresso e di brani per Justin Timberlake e altri.
Pur essendo categorie meno seguite dal grande pubblico, i premi jazz e classica hanno raccontato un anno di grande fermento: nuove composizioni, talenti emergenti e tributi a giganti scomparsi. E soprattutto hanno sottolineato come la musica sia un continuum dove il passato ispira il presente (si pensi all’omaggio a Price o alla vittoria di Saariaho) e dove culture diverse si incontrano (Dudamel e Ortiz uniscono Los Angeles e Città del Messico in un solo abbraccio sinfonico). Un bel segnale di vitalità anche nei generi più “colti”.
Performance memorabili della serata
Oltre ai premi, i Grammy sono uno show spettacolare, e l’edizione 2025 non ha fatto eccezione, regalando esibizioni destinate a rimanere negli annali – alcune per la qualità artistica, altre per l’alto tasso di intrattenimento e di emozione. Eccone alcune che noi, insieme a voi, ricorderemo a lungo.
Beyoncé non si esibisce… ma Shakira la fa ballare! – Uno dei momenti più chiacchierati è stato quando Shakira, durante la sua performance, è scesa dal palco per abbracciare Beyoncé tra il pubblico. La popstar colombiana stava infiammando l’arena con un medley mozzafiato: prima l’iconica Ojos Así, poi – a sorpresa – un frammento della Music Session Vol. 53 (il famoso brano in cui “le donne non piangono più, fatturano”). Proprio a metà di quest’ultimo, Shakira ha individuato Beyoncé in prima fila, si è avvicinata e le due si sono strette in un abbraccio sorpreso e sorridente. Un gesto spontaneo che ha mandato in visibilio il pubblico. Beyoncé, sulle note del ritornello “las mujeres ya no lloran…”, ha accennato qualche passo con Shakira, in una scena di sorellanza latina-pop destinata a diventare virale. È stato bello vedere una superstar del calibro di Bey divertirsi come una fan qualunque: in quel momento, sul palco come in platea, c’era l’essenza della festa della musica. Shakira ha poi ripreso lo show con agilità, dimostrando perché rimane una performer di serie A: voce, danza del ventre e band al top. Ma quell’abbraccio improvvisato è stato forse il frame più condiviso della serata sui social.
L’omaggio a Los Angeles con super band di leggende – Per celebrare la città che ospitava l’evento, i Grammy hanno messo in piedi un tributo a Los Angeles che ha riunito sul palco artisti di epoche e generi diversi. La performance collettiva ha visto esibirsi, tra gli altri, Bruno Mars e Lady Gaga in un duetto sognante di California Dreamin’, seguito da una sequenza di classici guidata dall’inarrestabile Stevie Wonder. In un medley dedicato al produttore Quincy Jones e alla città degli angeli, Stevie (al pianoforte e all’armonica) ha trascinato con sé Herbie Hancock al piano jazz, Cynthia Erivo e Lainey Wilson alla voce, Janelle Monáe al microfono e persino il giovane polistrumentista Jacob Collier.
Hanno spaziato da Fly Me to the Moon a We Are the World, fino a un coinvolgente finale con Don’t Stop ’Til You Get Enough di Michael Jackson che ha fatto alzare in piedi tutto il pubblico. Una “All-Star band” generazionale come raramente se ne vedono: c’era il funk, il soul, il country e il pop uniti in un unico inno alla Città delle Stelle. Il momento clou? Probabilmente quando Stevie Wonder ha iniziato Let the Good Times Roll e ha passato il microfono a Janelle Monáe: le telecamere hanno inquadrato Alicia Keys e Taylor Swift tra il pubblico cantare a squarciagola e muoversi a ritmo, segno che la jam session ha contagiato proprio tutti. Questo tributo a L.A. è stato un segmento di spettacolo puro, dall’aria quasi improvvisata e gioiosa – il genere di momento che rende i Grammy uno show unico.
Il ritorno a sorpresa di The Weeknd (con Playboi Carti) – Uno degli eventi più inattesi è stato il ritorno sul palco dei Grammy di The Weeknd, che dal 2021 boicottava la manifestazione per dissapori legati alle nomination mancate. Nessuno si aspettava di vederlo, e invece nel bel mezzo della serata, dopo un’introduzione a sorpresa del CEO della Recording Academy, ecco apparire The Weeknd in tenuta total black, affiancato dal rapper Playboi Carti. I due hanno regalato un’esibizione inedita, presentata come “Surprise Performance”: hanno cantato a sorpresa Cry for Me e Timeless, due brani misteriosi non presenti in nessun album (forse anticipazioni di un progetto futuro).
L’atmosfera è diventata subito elettrica: Weeknd ha dominato il palco con la sua voce struggente tra falsetti e melismi, mentre Playboi Carti ha aggiunto la sua carica trap-punk in contrasto. La presenza di Weeknd, che fino a pochi mesi fa dichiarava che non avrebbe più permesso alla sua musica di essere candidata, è stata accolta con un boato dal pubblico e ha segnato una riconciliazione simbolica. Sui social, la clip della sua apparizione inattesa è esplosa: “He’s back!”. Al termine dell’esibizione, The Weeknd ha semplicemente sorriso e alzato un pollice, mentre Carti esultava. Un ritorno in grande stile, il suo, che ha aggiunto pepe alla serata e – chissà – forse anticipa una nuova era di collaborazione con i Grammy.
Le giovani stelle mostrano il loro talento live – A rubare la scena ci hanno pensato anche i volti nuovi, determinati a dimostrare di meritare i riflettori. Sabrina Carpenter ha messo in piedi un numero da musical di Broadway: la cantante si è esibita in un medley di Espresso e Please Please Please con una scenografia da coffee-shop parigino, ballerini e persino un breve intermezzo recitato. Con piglio da “theater kid” (come l’ha definita Teen Vogue), Sabrina ha cantato e ballato energicamente, concludendo tra gli applausi e – come ha ammesso lei stessa – “con il fiatone” tanto da arrivare senza fiato al momento del suo premio poco dopo.
Anche Chappell Roan ha avuto un momento di gloria live, eseguendo la sua Pink Pony Club in un’ambientazione degna di un night club anni ’80: sullo sfondo luci al neon rosa e un palo da pole dance (su cui si è esibita una ballerina), mentre Chappell cantava con voce potente questo inno liberatorio. In platea, come raccontato, c’era Alicia Keys che cantava ogni parola – e su Twitter Lady Gaga ha definito la performance “iconica e libera”. Doechii, dal canto suo, ha portato sul palco tutta la sua grinta rap: la sua performance di What It Is (che pur non avendo vinto premi era stata una delle hit urban dell’anno) si è trasformata in un’esibizione corale quando, al termine, decine di ballerine – tutte donne di colore di diverse forme e taglie – si sono unite a lei ballando sulle note finali, ricevendo una standing ovation. Un modo per ribadire visivamente il messaggio del suo discorso: “siamo qui, noi donne, e spacchiamo”.
Il medley delle Nomination Miglior Artista Esordiente – Un segmento ormai tradizionale, ma sempre apprezzato, è stato il medley dedicato ai candidati come Best New Artist. Quest’anno è stato particolarmente vario e avvincente: sul palco si sono alternati RAYE (dalla Gran Bretagna) con la sua soul ballad Oscar Winning Tears, Shaboozey (rapper emergente) con l’irriverente A Bar Song (Tipsy), Doechii con uno snippet di Catfish, Benson Boone con la pop ballad Beautiful Things, Teddy Swims con la funky Lose Control e Madison Beer (anche se non era nominata BNA, ha partecipato al medley come guest) con la dolce Good News.
Il tutto mixato abilmente dalla DJ Miss Milan che in console cuciva un pezzo all’altro. Un’esibizione collettiva che ha messo in luce la prossima generazione di stelle: generi diversi, stili diversi ma tutti uniti dall’entusiasmo del debutto. E poco dopo, la vincitrice Chappell Roan è stata annunciata: in quel momento tutti i partecipanti al medley sono tornati sul palco per abbracciarla, in una scena di genuina camaraderie che ha scaldato i cuori.
L’omaggio In Memoriam e il ricordo di Liam Payne – Il segmento In Memoriam è stato particolarmente toccante quest’anno. Ad aprirlo, un emozionato Chris Martin dei Coldplay al pianoforte, che ha eseguito All My Love in una luce soffusa. Mentre scorrevano sullo schermo i volti degli artisti scomparsi nell’ultimo anno, il tributo si è aperto con la foto di Liam Payne: l’ex membro degli One Direction, la cui morte improvvisa a fine 2024 ha sconvolto il mondo pop, è stato ricordato per primo. Chris Martin gli ha dedicato le prime strofe, visibilmente commosso, dando il via a un silenzio solenne nell’arena. A seguire, la cantautrice Brandi Carlile si è unita alla band di Martin per cantare Don’t Give Up in duo, rendendo omaggio anche a musicisti come Sinéad O’Connor, Burt Bacharach e Tony Bennett.
Il segmento si è chiuso con un coro gospel che ha intonato Forever Young mentre scorrevano gli ultimi nomi. È stato uno dei momenti più commoventi della serata, culminato con la platea in piedi e un lungo applauso per chi non c’è più. Molti occhi lucidi tra il pubblico – vedere anche artisti apparentemente “duri” come Eminem asciugarsi una lacrima durante la foto di Coolio, o Taylor Swift sussurrare “we love you” guardando l’immagine di Sinéad, ha fatto capire quanto questi tributi vadano oltre i generi e tocchino l’umanità condivisa degli artisti.
Altre performance degne di nota: impossibile citarle tutte ma non possiamo dimenticare Billie Eilish che, accompagnata dal fratello Finneas, ha presentato il nuovo singolo Birds of a Feather in un’ambientazione onirica con gabbie illuminate sullo sfondo; l’esibizione travolgente di Jon Batiste tratta dal documentario American Symphony – un mix di classica e jazz con orchestra – poco prima che vincesse il Grammy per il Miglior Film Musicale; e ancora Anitta che ha portato un pezzo di carnevale brasiliano sul palco duettando a sorpresa con Karol G in un mashup funk carioca/reggaeton che ha fatto saltare tutti. Da segnalare anche un momento divertente: Trevor Noah, presentatore della serata, in un intermezzo ha duettato ironicamente con Cynthia Erivo su un breve pezzo rap scritto da lui dal titolo Crypto Arena Blues, scatenando le risate. In definitiva, le performance dei Grammy 2025 sono state all’altezza della fama dello show: memorabili, spettacolari e capaci di toccare tutte le corde emotive, dalla gioia sfrenata al ricordo commosso.
Discorsi dei vincitori: citazioni e momenti da brividi
I discorsi di accettazione dei premi ai Grammy spesso regalano perle di spontaneità, emozione e – talvolta – messaggi potenti. L’edizione 2025 ci ha offerto un ventaglio di speech memorabili, dai ringraziamenti più teneri alle dichiarazioni dal forte impatto sociale. Ecco alcuni estratti e momenti top dai microfoni dei vincitori.
Beyoncé (“genre is a code word”) – Il discorso di Beyoncé per il Best Country Album è già entrato negli annali per la sua importanza. La diva, con in mano il suo Grammy country, ha scelto di lanciare un messaggio al di là dei ringraziamenti di rito: “Credo che a volte il termine ‘genere’ sia un codice per tenerci al nostro posto come artisti” ha affermato decisa, guardando la platea dei colleghi. Parole forti, pronunciate da una donna nera che ha appena vinto in un genere storicamente dominato da bianchi: la sala è scoppiata in un applauso fragoroso.
Beyoncé ha poi incoraggiato tutti gli artisti a “fare ciò per cui si sentono portati, con passione e perseveranza”, perché – ha sottolineato – seguire l’ispirazione può portare a risultati inattesi come quello. Ha quindi ringraziato i “meravigliosi artisti country che l’hanno accolta”, la sua famiglia e Dio, concludendo di essere ancora sotto shock per l’onore ricevuto. Questo discorso, applaudito in piedi da molti (si è vista Kelsea Ballerini asciugarsi una lacrima), è stato celebrato sui social come manifesto contro le barriere di genere musicale e in generale contro le etichette limitanti. “Genre is a code word…” è già diventato un quote iconico attribuito a Beyoncé. Indubbiamente uno dei momenti chiave della serata.
Doechii (“You can do it – anything is possible”) – Se c’è un discorso che ha strappato lacrime e applausi unanimi, è stato quello di Doechii per il Best Rap Album. La rapper, come raccontato, ha fatto notare con orgoglio di essere solo la terza donna a vincere quel premio in oltre 30 anni. “Questo premio fu introdotto nel 1989 e solo due donne lo avevano vinto… Lauryn Hill – anzi, aspetta, tre donne: Lauryn Hill, Cardi B e ora Doechii!” ha esclamato all’inizio del suo speech, quasi incredula lei stessa. La platea è esplosa in un “yeah!” liberatorio. Doechii ha poi condiviso parte del suo percorso personale: “Ho messo il cuore e l’anima in questo mixtape… Ho attraversato così tanto e mi sono dedicata alla sobrietà, e Dio mi aveva detto che sarei stata ricompensata, facendomi vedere quanto in alto potevo arrivare”.
La voce di Doechii si è rotta più volte mentre parlava, ma il momento più potente è giunto verso la fine, quando ha guardato la telecamera e ha lanciato un messaggio diretto: “So che c’è qualche ragazza nera – anzi tante donne nere – che mi guarda in questo momento. Voglio dirvi che potete farcela. Tutto è possibile. Non permettete a nessuno di imporvi stereotipi”. La commozione era tangibile: Doechii piangeva, Cardi B dietro di lei piangeva, Lizzo in platea piangeva. Le sue parole di empowerment, “you can do it, anything is possible”, sono state condivise milioni di volte online e acclamate come uno dei discorsi più ispirazionali visti ai Grammy negli ultimi anni. La rapper ha concluso con un semplice “grazie di cuore, sto vivendo un sogno”. Un sogno che lei stessa ha trasformato in una testimonianza di forza per altre giovani come lei.
Sabrina Carpenter (“Thank you, holy sh—, bye!”) – Sul versante opposto in termini di tono, ma ugualmente memorabile, c’è il discorso di Sabrina Carpenter per il Best Pop Vocal Album. Sabrina è salita sul palco ancora ansimante per la performance appena conclusa e ha iniziato in modo adorabilmente scomposto: “Hello! Sto ancora senza fiato dall’esibizione, quindi davvero non mi aspettavo questo…” ha detto ridendo e cercando di ricomporsi. Ha poi guardato il monitor con i nomi delle altre nominate e ha confessato candidamente: “Tutte quelle nominate sullo schermo sono tra le mie artiste preferite al mondo, non posso credere di essere nella stessa categoria”. Già qui molti in sala (inclusa Taylor Swift) hanno fatto un applauso affettuoso alla giovane collega.
Sabrina ha continuato dicendo che era il suo primo Grammy e che “si era scritta i nomi su un tovagliolo per non dimenticare nessuno, ma adesso è tutto sudato e illeggibile”, suscitando risate generali. Ha ringraziato l’Academy “per averci riuniti tutti stasera a celebrare la musica” e i suoi fan “che hanno fatto sì che la mia musica fosse ascoltata”. Poi, ringraziando il suo team e la famiglia, Sabrina si è lasciata scappare: “…ringrazio Island Records e—what the hell? Non so se posso dire ‘hell’ in diretta, ma ormai l’ho detto tre volte, quindi grazie lo stesso!”. La sala è scoppiata a ridere: questa spontaneità così fresca è stata davvero divertente.
E il finale, come già menzionato, è stato del tutto fuori copione: dopo aver elencato velocemente produttori e autori (“Jack, John, Amy, Julian, Ian… vi amo, non avete idea di quanto amo voi e quanto significhi questo album per me”), Sabrina ha salutato esclamando: “Grazie, holy shit, ciao!”. Naturalmente l’ultima parolina – un’imprecazione affettuosa intraducibile se non con “caspita” – è stata censurata in TV, ma tutti l’hanno letta sulle labbra. Sabrina stessa se n’è andata scoppiando a ridere e coprendosi la bocca, consapevole della gaffe. Un momento di spontanea autenticità che ha reso il suo discorso uno dei più amati dai fan sui social, memato e celebrato con affetto: “Sabrina che bestemmia teneramente ringraziando, mood 2025”. Persino la Recording Academy ha poi twittato ironicamente: “Tranquilla Sabrina, ai Grammy hell si può dire ?”. Un discorso magari non solenne ma genuino, perfetto specchio dell’emozione sincera di una giovane alla sua prima grande vittoria.
Altri momenti notevoli dai discorsi: da citare anche Lizzo, che ritirando (a sorpresa) il premio di Registrazione dell’Anno al fianco di Kendrick Lamar (che l’ha voluta condividere con lei, essendo lei co-autrice di Not Like Us) ha detto scherzando “Kendrick, sei sicuro? Ti presto volentieri il Grammy nel weekend”, facendo ridere tutti – un siparietto nato dal fatto che Not Like Us contiene un sample vocale di Lizzo e l’artista ha partecipato al processo creativo. Jimmy Carter, vincitore a 100 anni del Best Audio Book, non era ovviamente presente (il premio è stato ritirato dal figlio) ma la sala gli ha tributato una standing ovation straordinaria quando è stata annunciata la vittoria postuma – un momento toccante di unità e rispetto per un uomo che ha vinto 4 volte in quella categoria.
Charli XCX, vincendo Best Dance/Electronic Album, è saltata letteralmente di gioia gridando “I didn’t expect this, let’s rage!” e poi ha ringraziato i fan della comunità LGBTQ+ che la sostengono da sempre. Jon Batiste, premiato per il suo documentario musicale, ha parlato con la solita grazia del “potere curativo della musica” citando una frase di Quincy Jones: “Love is love is love”, dedicando il premio a chi lotta per esprimere se stesso. E commovente è stato anche il ringraziamento di Meshell Ndegeocello, che vincendo per l’album ispirato a James Baldwin ha citato proprio lo scrittore: “Come disse Baldwin, la musica è il luogo in cui incontriamo Dio. Grazie per aver incontrato me attraverso la mia musica”, suscitando un lungo applauso dagli addetti ai lavori presenti.
Insomma, dai discorsi di questa edizione sono venute fuori lacrime, risate e messaggi importanti. Tra una Beyoncé che rompe gli schemi, una Doechii che ispira una generazione, e una Sabrina che impreca per la felicità, possiamo dire che i Grammy 2025 hanno mostrato il lato più umano e spontaneo degli artisti, avvicinandoli un po’ di più a tutti noi. Ed è forse questo l’aspetto più bello: dietro ai premi luccicanti, abbiamo visto persone con emozioni vere, valori, paure e sogni – proprio come i fan che li guardano da casa.
Momenti salienti, curiosità e imprevisti dell’evento
Oltre alle esibizioni e ai discorsi, i Grammy ogni anno regalano una serie di “momenti di contorno” – alcune piccole curiosità, sketch, episodi imprevisti o persino polemiche – che contribuiscono a dare sapore all’evento. Ecco alcuni highlight extra che hanno segnato l’edizione 2025:
- La “reunion” di famiglia Carter sul palco: quando Beyoncé è stata chiamata per l’Album dell’Anno, a consegnarle il Grammy sono stati invitati nientemeno che il capo dei pompieri di Los Angeles, Anthony Marrone e una squadra di vigili del fuoco in uniforme. Questa scelta insolita – dei pompieri sul palco dei Grammy! – è stata un omaggio della produzione a tutti i first responder che hanno affrontato i gravi incendi che hanno colpito la California nei mesi scorsi. Beyoncé, sorpresa, ha abbracciato ciascun pompiere mentre riceveva il trofeo e ha speso parole di elogio: “Voglio ringraziare e lodare tutti i vigili del fuoco per tenerci al sicuro”, ha detto nel suo speech, menzionando proprio i pompieri sul palco. Un bel momento di congiunzione tra spettacolo e vita reale, con l’arte che rende onore all’eroismo quotidiano.
- La gag di Trevor Noah e il “quasi incidente” Kanye-Taylor: il presentatore Trevor Noah ha condotto con la consueta verve, infilando battute sui temi caldi della musica. Una delle gag più riuscite è stata quando, scherzando su passate controversie ai Grammy, ha detto: “Tranquilli, quest’anno non ci saranno slap improvvisi” (allusione allo schiaffo di Will Smith agli Oscar) e poi ha aggiunto “Abbiamo Kanye West qui in prima fila e Taylor Swift seduta proprio dietro… cosa mai potrebbe andare storto?”. La regia a quel punto ha inquadrato Kanye West e Taylor Swift separati da poche poltrone, con espressioni divertite e imbarazzate. Taylor ha fatto finta di guardare altrove ridendo, Kanye ha alzato le mani come a dire “non farò nulla, giuro”. Il pubblico ha colto l’ironia e applaudito – era la prima volta che i due si trovavano nella stessa stanza ai Grammy dopo anni. Non c’è stato alcun incidente ovviamente, anzi a fine serata pare (secondo video rubati) che Taylor e Ye si siano salutati brevemente dietro le quinte. Una piccola curiosità che i media hanno rilanciato come “Peace at last?”. Sicuramente Trevor Noah ha saputo sdrammatizzare antiche tensioni con intelligenza.
- Il “bleep” a Sabrina Carpenter: ne abbiamo parlato, ma vale la pena inserirlo tra gli imprevisti divertenti. Il finale di discorso di Sabrina (“thank you, holy sh—, bye!”) è stato completamente silenziato in diretta TV. In sala naturalmente si è sentito tutto e c’è stata una risata generale. Su Twitter, #HolyShitBye è diventato trend immediatamente, con la stessa Sabrina che ha twittato scherzando “oops ? #IDidntKnowICouldntSayThat”. Un piccolo incidente di censura che però ha fatto aumentare la simpatia del pubblico verso la giovane cantante.
- La standing ovation a Jimmy Carter: va segnalato ancora l’ovazione spontanea dedicata all’ex Presidente Carter, vincitore postumo a 100 anni. Quando il figlio ha ritirato il premio per il miglior audiolibro narrato, tutta la Crypto.com Arena si è alzata in piedi – un momento davvero insolito per una categoria tecnica, segno dell’affetto verso Carter. Molti inquadrati avevano la mano sul cuore. Un tributo genuino che ha unito tutti in sala, a prescindere dalla generazione o dal genere musicale.
- Gli abbracci euforici nel backstage: a fine serata, i social dei Grammy hanno diffuso clip dal backstage mostrando scene di giubilo tra artisti. Bellissimo il video in cui Lizzo salta letteralmente al collo di Doechii urlando “You did it girl!” subito dopo il suo premio. O quello di Charli XCX che balla con Raye brandendo i propri Grammy come fossero maracas. Anche Beyoncé e Taylor Swift si sono incrociate dietro le quinte e si sono abbracciate calorosamente – un momento colto dalle telecamere interne e che ha mandato i fan in visibilio (Queen B e TayTay non si vedevano insieme in pubblico da molto tempo). Insomma, tanta camerateria e complimenti sinceri tra colleghi, a riprova del clima positivo respirato quest’anno.
- Le polemiche mancate: stranamente, questa edizione non ha visto grosse polemiche. Qualche commentatore ha sollevato perplessità sul fatto che Beyoncé, con 11 nomination, abbia vinto “solo” 3 premi, insinuando che l’Academy continui a riservarle un trattamento non all’altezza (una vecchia storia, considerando le passate sconfitte di Beyoncé per Album of the Year). Ma in realtà stavolta Queen B ha preso proprio l’Album dell’Anno, quindi i critici hanno avuto poco da dire. Altri avrebbero voluto vedere premiata Taylor Swift almeno in una categoria (Taylor è tornata a casa a mani vuote nonostante 6 nomination), ma la stessa Swift si è mostrata serena e sorridente tutta la sera, sostenendo i colleghi. Forse l’unico appunto diffusosi sui social riguarda Bad Bunny: alcuni fan hanno definito “snobbata” la sua sconfitta nella categoria urbana, parlando di una possibile sottovalutazione del reggaeton mainstream da parte dell’Academy. Tuttavia, Bad Bunny aveva già vinto molto negli scorsi anni e lui stesso è stato visto ridere e scherzare con Residente dopo la premiazione. Dunque poche ombre e tante luci, segno che la cerimonia è stata gestita al meglio, senza gaffe organizzative né momenti di tensione.
I Grammy 2025 hanno saputo intrattenere anche oltre la musica, con piccole grandi storie nei corridoi, sul palco e dietro le quinte. Dall’abbraccio Shakira-Beyoncé alla gag Kanye-Taylor, dai bleep sfuggiti ai fan in lacrime per Carter, è stata una serata ricca di umanità e leggerezza. E forse è proprio questo che ha reso l’evento così riuscito: oltre alla competizione artistica, c’è stato spazio per celebrare la comunità musicale e i suoi legami, in modo spontaneo e divertito.
Nuove leve ed eredità storiche: un equilibrio perfetto
Volendo tirare le somme finali, i Grammy Awards 2025 si possono definire come l’edizione dell’equilibrio tra il nuovo e il “classico”. Abbiamo assistito all’incoronazione di giovani artisti emergenti – Sabrina Carpenter, Doechii, Chappell Roan, Raye, Meshell Ndegeocello – che simboleggiano il futuro della musica, portando freschezza e messaggi di cambiamento. Allo stesso tempo, figure leggendarie – dai Rolling Stones ai Beatles, da Beyoncé a Stevie Wonder – hanno ottenuto il giusto riconoscimento e hanno mostrato che la loro eredità è più viva che mai.
È stata la notte in cui Beyoncé ha finalmente ottenuto quel Grammy all’altezza del suo status (Album dell’Anno), infrangendo barriere di genere sia musicali che sociali. La notte in cui Kendrick Lamar ha rafforzato il suo ruolo di voce della coscienza rap e Doechii ha aperto la strada a tante ragazze che sognano di fare hip hop. Ma anche la notte in cui le icone del passato come i Beatles hanno potuto brillare ancora una volta con l’aiuto della tecnologia, creando un ponte tra epoche.
Altrettanto importante, questa edizione ha evidenziato un cambio di paradigma: la centralità delle donne e delle diversità. Le donne dominano molte categorie – pop, R&B, rap, country – non solo con il talento ma anche con narrative forti di emancipazione (si pensi ai discorsi di Beyoncé e Doechii). Artisti di background diversi (per provenienza geografica, etnica, culturale) sono stati celebrati: dall’afrobeat di Tems al folk dei Monti Appalachi di Sierra Ferrell, fino all’elettronica queer di Charli XCX. I Grammy 2025 hanno davvero rappresentato uno specchio fedele della musica globale contemporanea, inclusiva e molteplice.
Dal punto di vista spettacolare, lo show è stato avvincente e fluido, segno di un formato che sta trovando nuova linfa. Merito anche di una “nuova guardia” di star che hanno saputo animare il palco: Sabrina, Doechii, Karol G, Olivia Rodrigo (che ha presentato un premio ed era nominata per una canzone da film), e così via. Come ha scritto Harper’s Bazaar, “le dive pop hanno salvato i Grammy”, riferendosi proprio alla ventata di entusiasmo portata da queste giovani donne sul palco. E contemporaneamente, le grandi reunion (Beatles, Run-DMC nel documentario premiato, la celebrazione di Los Angeles) hanno soddisfatto i nostalgici.
In conclusione, l’edizione 2025 può ben dirsi una delle più complete e riuscite degli ultimi anni. Ha incoronato i vincitori più meritevoli in tutte le categorie – e noi li abbiamo elencati tutti, dalle superstar del pop alle categorie più di nicchia e tecniche – evitando clamorose ingiustizie. Ha offerto momenti di spettacolo puro, ma anche riflessioni e messaggi di spessore. Ha saputo emozionare, divertire e far discutere nelle giuste dosi.
In questo articolo abbiamo esplorato tutti i vincitori, categoria per categoria – ma anche l’anima di una serata che è stata, a detta di molti, “la migliore degli ultimi anni”. Noi ve l’abbiamo raccontata così, con passione e dovizia di particolari, sperando di avervi fatto rivivere quelle ore di musica e magia. E se c’è un’immagine con cui congedarci, scegliamo quella forse più simbolica: Beyoncé che alza il Grammy al cielo mentre dietro di lei una fila di vigili del fuoco applaude e in prima fila, Sabrina Carpenter e Doechii saltano e gridano di gioia come fossero sue sorelle minori. È la fotografia perfetta di questi Grammy: tradizione e novità che si abbracciano, in un unico, emozionante evento che guarda al futuro senza dimenticare da dove viene. Alla prossima edizione, con la musica che evolve ma resta sempre la nostra compagna più fedele!
Attualità
Giuseppe Cossentino e il romanzo Passioni senza fine: un amore senza barriere conquista...

Il romanzo Passioni senza fine di Giuseppe Cossentino, scrittore e autore italiano, si prepara a conquistare uno dei più prestigiosi palcoscenici culturali italiani: Casa Sanremo Writers 2025. Questo esclusivo salotto letterario, in partnership con RaiLibri, accompagna ogni anno il Festival della Canzone Italiana, offrendo un’importante vetrina ai protagonisti della narrativa contemporanea.
Passioni senza fine è un’opera che nasce dall innovativo radiodramma web ideato e diretto dallo stesso Cossentino dal 2011, il primo e unico nel suo genere in Italia. Con oltre 14 anni di successo, il progetto ha ricevuto importanti riconoscimenti, tra cui numerosi Oscar del Web, e ha saputo unire tradizione narrativa e nuove forme di comunicazione, coinvolgendo un pubblico sempre più ampio e appassionato.
Il romanzo racconta una storia d’amore profonda e “proibita” tra Ginevra De Santis, una donna matura, e Brando, un uomo molto più giovane. Questa relazione, carica di emozioni e sfide, diventa il punto di partenza per riflettere su temi attualissimi come la libertà personale, il superamento dei pregiudizi e il coraggio di vivere secondo le proprie regole. Attraverso le sue pagine, Cossentino invita il lettore a mettere in discussione le convenzioni sociali e a esplorare la forza di un amore che rompe ogni barriera.
La selezione di Passioni senza fine per Casa Sanremo Writers 2025 rappresenta un ulteriore traguardo per l’autore, che con il suo talento e la sua capacità di innovare ha saputo farsi spazio nel panorama letterario italiano e internazionale. Il romanzo, già apprezzato da critica e pubblico, promette di emozionare anche i lettori più esigenti durante questo importante appuntamento culturale.
Giuseppe Cossentino ha dichiarato: “Essere selezionato per Casa Sanremo Writers è un grande onore. Questo romanzo è il frutto di anni di lavoro e passione, e spero che la storia di Ginevra e Brando possa ispirare chiunque si trovi a lottare per seguire il proprio cuore.”
Non resta che attendere il Festival della Canzone Italiana per scoprire come Passioni senza fine saprà incantare anche il pubblico di Casa Sanremo, confermandosi come una delle opere più interessanti e coraggiose del panorama narrativo attuale.
Il volume è edito da Olisterno Editore. La prefazione è del giornalista Giuseppe Nappa.
Attualità
Noi e Loro: il nuovo film di Muriel e Delphine Coulin arriva nelle sale italiane

C’è qualcosa di profondamente viscerale in certi racconti familiari: si insinua nelle fessure della nostra quotidianità, ci costringe a riflettere, ci sfida a fare i conti con la realtà. Ecco perché noi abbiamo sentito l’urgenza di condividere con voi ciò che sta per accadere intorno a Noi e Loro (titolo originale: Jouer avec le feu), il nuovo lavoro delle registe francesi Muriel e Delphine Coulin. Un film che, dal 27 febbraio, troverete al cinema, portato in Italia da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.

Sappiamo che la curiosità per questa pellicola non nasce dal nulla. La sua presentazione in anteprima mondiale durante l’81. Mostra del Cinema di Venezia ha acceso i riflettori su un dramma familiare dal taglio contemporaneo, premiato anche con la Coppa Volpi al suo protagonista, Vincent Lindon.
Vale la pena fermarsi un secondo su questo riconoscimento: la Coppa Volpi, storicamente, è un tributo tra i più prestigiosi nel panorama cinematografico internazionale. E non a caso: l’interpretazione di Lindon sembra trasmettere un dolore concreto, quasi tangibile, che a tratti abbraccia e a tratti respinge. Un’interpretazione magistrale, insomma, che da sola varrebbe già il prezzo del biglietto.
Un tour che attraversa Firenze, Milano e Bologna
Se però volete andare oltre la visione in sala e immergervi nell’esperienza collettiva, Noi e Loro porterà con sé parte del cast in un tour di presentazioni. Sarà un’occasione speciale per incontrare chi ha dato un volto, un’anima e una voce ai personaggi, con momenti di dialogo che spesso rivelano retroscena inattesi.
- 8 febbraio, Firenze, Spazio Alfieri (ore 21.15)
- 9 febbraio, Milano, Anteo Palazzo del Cinema (ore 11.00)
- 9 febbraio, Milano, cinema Colosseo (ore 16.30)
- 10 febbraio, Bologna, cinema Pop Up Arlecchino (ore 19.30)
- 10 febbraio, Bologna, cinema Modernissimo (ore 19.45)
- 11 febbraio, Bologna, cinema Pop Up Arlecchino (ore 9.00)
Ogni tappa sembra pensata per creare un contatto diretto con voi, che magari avete già adocchiato il trailer e vi siete chiesti: “Vale la pena coinvolgere il cuore in questa storia?”. Forse sì, soprattutto se vi interessa ascoltare dal vivo coloro che hanno trasformato la carta in immagini e dialoghi intensi.
Un racconto di padri, figli e contrasti sociali
Soffermiamoci sulla trama, che nasce dal romanzo “Quello che serve di notte” di Laurent Petitmangin (edito in Italia da Mondadori). Il fulcro è Pierre, un padre vedovo che prova a crescere i suoi due figli in un equilibrio precario tra lavoro e responsabilità genitoriali. Da un lato, c’è il più giovane, Louis, pronto a spiccare il volo verso l’università di Parigi. Dall’altro, c’è Fus, che imbocca una strada pericolosa, dominata da movimenti estremisti e razzisti.
Capita, talvolta, di sentirsi spaesati di fronte alle scelte di chi amiamo. E proprio questo ci sembra il nucleo emotivo di Noi e Loro: la paura che un figlio prenda una direzione inconciliabile con i valori trasmessi in famiglia. Ed è qui che la mano delle sorelle Coulin fa la differenza, mettendo a fuoco tensioni che non si sciolgono facilmente, restituendoci tutta la fatica e l’amore di un genitore di fronte a un percorso che sfugge al suo controllo.
Un cast di volti noti e nuove promesse
Vincent Lindon, che interpreta Pierre, non ha certo bisogno di grandi presentazioni. La sua lunga carriera, costellata di prove vibranti, è un biglietto da visita sufficiente per suscitare attese notevoli. Accanto a lui, troviamo due volti della nuova generazione: Benjamin Voisin, già apprezzato in titoli come Estate ’85 e Illusioni Perdute, e Stefan Crepon, noto per la sua versatilità in opere come Peter von Kant e la serie Lupin. Lo scontro generazionale fra questi interpreti, ciascuno con il proprio bagaglio di sensibilità, emerge con forza e rende la dinamica familiare ancor più autentica.
Riconoscimenti e appuntamenti speciali
Oltre alla Coppa Volpi, la pellicola ha ottenuto il Leoncino d’oro, un premio collaterale assegnato da una giuria di giovani di tutta Italia. Un segnale forte: vuol dire che il film riesce a catturare e parlare anche alle nuove generazioni, un traguardo non sempre scontato per un dramma dai toni così intimi. Non finisce qui: il 10 febbraio, l’Università IULM di Milano conferirà a Vincent Lindon il “Master Honoris Causa in Arti Del Racconto”, a suggello di una carriera che ha esplorato ruoli complessi con intensità e coraggio.
Perché non perderselo
A chi ama le storie che lasciano un segno, consigliamo di non sottovalutare la portata emotiva di Noi e Loro. Non è un racconto patinato, né cerca di compiacere tutti: è, al contrario, un viaggio turbolento nei rapporti umani, nei conflitti di ideali e nell’amore incondizionato di un padre. Spesso la vita familiare ci mette di fronte a bivi dove la logica si scontra con l’istinto e questo film ne offre uno spaccato senza risparmiare nulla allo spettatore.
Ci sarà modo di parlarne ancora, magari dopo averlo visto in sala e aver raccolto quelle emozioni che solo il grande schermo sa restituire. Intanto, il tour con il cast tra Firenze, Milano e Bologna rappresenta un’occasione irripetibile per immergersi nell’atmosfera del film e scoprire aneddoti direttamente dalla voce dei protagonisti.
Noi non vediamo l’ora di sentire le vostre impressioni. E voi, siete pronti a farvi trasportare in una storia che parla di noi, di loro, di madri assenti, padri che resistono e figli in bilico? Il 27 febbraio si avvicina in fretta: preparatevi a un viaggio che, forse, vi lascerà domande, stimoli e qualche certezza in meno.
Attualità
Lily Collins e il nuovo cammino della maternità: un racconto di coraggio, sogni e...

Siamo onesti: a volte basta una frase, una foto, persino un emoji per farci vibrare dentro. E stavolta è successo. Una notizia che ha un sapore speciale, un’emozione che arriva dritta allo stomaco e ci resta. Lily Collins è diventata mamma. Lei, quella che abbiamo imparato a conoscere e amare nei panni di Emily in Paris, ha accolto nella sua vita la piccola Tove Jane McDowell. E no, non è solo un titolo da tabloid, è molto di più. È un sogno che prende forma, un desiderio coltivato con cura, una storia che parla di amore vero. E noi, oggi, vogliamo immergerci in questa storia, lasciarci trascinare dall’onda di emozioni che ci ha travolti nel momento stesso in cui abbiamo letto quelle parole. Perché certe notizie non si leggono, si sentono.
Un annuncio che sa di svolta
La prima volta che ci siamo imbattuti nel nome di Tove Jane McDowell, siamo rimasti sorpresi dal suono dolce e dalla storia di affetti che sembra racchiudere. Non è un nome comune, eppure ci appare intriso di una grazia familiare, come se fosse stato scelto con cura per celebrare un nuovo inizio. Lily, conosciuta a livello mondiale non solo per le sue doti recitative ma anche per un fascino naturale che incanta lo schermo, ha condiviso la notizia della nascita della piccola Tove in modo estremamente intimo e riconoscente. E lo ha fatto senza retorica ma con una dolcezza che sembra provenire da un luogo profondamente autentico.

Sappiamo bene come gli annunci delle star possano a volte apparire patinati, quasi freddi. Ma in questo caso, è stato impossibile non percepire un senso di gioia sincera che traboccava. Ed è forse proprio quella spontaneità a rendere questa vicenda ancora più toccante: la condivisione di un momento intimo, accompagnata da un ringraziamento sentito a chi ha reso possibile l’arrivo di Tove. Una gratitudine rivolta verso coloro che hanno supportato Lily e il marito, il regista Charlie McDowell, in un percorso che – anche se da lontano – non è mai banale né privo di sfide personali.
L’origine di un desiderio
Torniamo un attimo indietro. Lily Collins, nata nel 1989 in Inghilterra ma cresciuta a Los Angeles. Un’infanzia con un cognome che pesa – suo padre è Phil Collins – e una carriera che sembra segnata dal destino. Una di quelle storie che sembrano scritte prima ancora di essere vissute. Ma la verità? La vita di Lily non è stata tutta luci e tappeti rossi. Anzi. Dietro quel sorriso perfetto, dietro i riflettori, c’era una ragazza che ha dovuto combattere con i suoi demoni. Un disturbo alimentare, una lotta vera, profonda, di quelle che ti segnano dentro. Un percorso in salita, tra fragilità e forza, tra momenti di sconforto e voglia di rinascere. E ce l’ha fatta, ha trasformato quella battaglia in un punto di svolta. Si è guardata dentro, ha scavato, ha scelto di ricostruire. E oggi, con l’arrivo di Tove, quel cammino sembra trovare un nuovo significato. Un viaggio che non è stato facile, ma che l’ha portata esattamente dove voleva essere.
Negli ultimi anni, tanti fan avevano già percepito il desiderio di maternità che germogliava in lei. Non servivano parole esplicite: bastava vedere la determinazione con cui, in varie interviste, lei accennava a un futuro carico di speranze. È come se, gradualmente, l’idea di diventare madre fosse diventata sempre più nitida, sino a rivelarsi una scelta concreta. Forse, in parte, è anche questa determinazione a renderla così vicina a chi la segue: vedere una figura pubblica che non ha timore di mostrare la propria vulnerabilità può davvero toccare corde profonde.
Un approccio diverso alla genitorialità
La maternità surrogata fa discutere, divide, crea scontri. C’è chi la accoglie come una benedizione e chi la guarda con sospetto. Eppure, se ci fermiamo un secondo, lasciando da parte i pregiudizi, possiamo vedere qualcosa di più grande. Per Lily e Charlie, questa non è stata una decisione presa su due piedi, ma un viaggio lungo, fatto di dubbi, speranze, riflessioni infinite. Un cammino intriso di desiderio, paura, coraggio. Non un capriccio, non una scorciatoia, ma la strada giusta per loro, per il loro sogno di famiglia.
Chi può davvero dire di sapere cosa spinge qualcuno a fare certe scelte? Nessuno, davvero. Ogni storia ha i suoi perché, le sue ombre, le sue luci. Ma c’è una cosa che è chiara come il sole: Lily e Charlie non si sono nascosti. Hanno parlato, spiegato, messo a nudo il loro sogno di diventare genitori. Hanno mostrato un desiderio vero, profondo, senza filtri. E forse proprio questa sincerità ha fatto crollare qualche muro, ha aperto una breccia nelle polemiche, ha fatto spazio al rispetto. Perché alla fine quando c’è amore, quando c’è gratitudine, tutto il resto diventa rumore di fondo.
Le critiche come banco di prova
Certo, sarebbe ingenuo pensare che una scelta così delicata venga accolta sempre e soltanto con applausi. Numerose voci, come spesso accade, si sono levate per mettere in discussione la maternità surrogata. Alcuni hanno puntato il dito sull’aspetto etico, altri hanno sollevato dubbi sul significato stesso di “famiglia”. Ma la coppia, di fronte a questi appunti, ha mantenuto una calma che colpisce. Piuttosto che ingaggiare battaglie a distanza, Lily e Charlie hanno preferito raccontare la loro esperienza con sincerità, lasciando che la forza dei sentimenti parlasse da sé.
A pensarci bene, è un atteggiamento che rispecchia l’immagine della stessa Lily: una donna che ha sempre affrontato le proprie battaglie interiori con coraggio e riservatezza, senza gridare né nascondersi. Forse, in un certo senso, questa serenità di fronte alle critiche è figlia dell’esperienza di chi ha già vissuto momenti complicati e ha imparato a non farsi definire dalle opinioni altrui. L’amore, dopotutto, non ha bisogno di giustificazioni quando è sincero.
Uno sguardo al percorso artistico
Chi la conosce da tempo ricorderà alcuni dei ruoli che l’hanno consacrata a icona internazionale. Dai film come The Blind Side e Mirror Mirror alla serie che l’ha definitivamente proiettata nell’Olimpo della televisione – “Emily in Paris” – Lily Collins ha dimostrato versatilità, carisma e un’eleganza che solo pochi possiedono. E nel frattempo non ha mai perso occasione per sensibilizzare il pubblico su temi a lei cari, dalla lotta ai disordini alimentari al diritto di ogni individuo di scegliere la propria strada.
La sua figura professionale, dunque, non può essere scissa dal suo percorso umano. Negli ultimi anni, Lily si è espressa più volte a favore della consapevolezza rispetto a ciò che accade dietro le quinte di una vita apparentemente perfetta. Mettere in scena la gioia di avere una bambina attraverso surrogacy, in un ambiente come quello hollywoodiano, può sembrare quasi un atto di ribellione: è come dire al mondo che ci sono tanti modi di diventare madri, e che non esiste un’unica verità valida per tutti.
L’incontro di due famiglie illustri
C’è anche una cornice affascinante, in questa storia: la famiglia di Lily, con una tradizione artistica che gravita attorno alla musica di suo padre, Phil Collins, e quella di Charlie, legata al mondo del cinema. Da un lato, il cognome Collins evoca subito note celebri e concerti che hanno fatto la storia. Dall’altro, McDowell rimanda a un lignaggio attoriale noto a Hollywood. Pensare che questi due percorsi si siano uniti in un matrimonio, e che da tale unione sia nata una bambina con un nome decisamente peculiare come Tove Jane, ci fa quasi venire voglia di rispolverare le grandi saghe familiari di un tempo.
Per noi, il fascino di questo incontro non si riduce a un mero pettegolezzo da salotto: rappresenta un ponte tra passati artistici diversi, un’integrazione di storie che potrebbe proiettare la piccola Tove in un futuro altrettanto creativo. E considerando la tenacia di Lily e l’estro di Charlie, chissà che questa bambina non ci riservi sorprese in ambiti impensabili. Ma questo, naturalmente, è solo un piccolo gioco di fantasia che ci concediamo, osservando da lontano un nuovo nucleo familiare in formazione.
La potenza di un messaggio universale
Lo sappiamo bene: il mondo dello spettacolo sa essere spietato, con i suoi ritmi incalzanti, i riflettori sempre accesi e una pressione costante che spesso schiaccia persino i migliori. Ecco perché, quando un’attrice di fama internazionale come Lily Collins decide di condividere qualcosa di tanto intimo, ne rimaniamo toccati. È come se ci mostrasse che, al di là dei set cinematografici e dei riflettori, esiste un essere umano alle prese con desideri, paure e speranze non così diverse dalle nostre.
Alcuni fan hanno detto di essersi commossi leggendo le prime righe del suo annuncio, altri hanno mandato messaggi di vicinanza sui social network. Da parte nostra, notiamo come ogni parola, ogni immagine di Tove avvolta in una piccola coperta, trasudi amore incondizionato e desiderio di protezione. Questo flusso di entusiasmo e partecipazione racconta bene quanto certi temi – come la nascita di un figlio – tocchino corde profonde nell’animo di ognuno di noi, rendendoci per un attimo meno estranei, meno distanti, perfino in un contesto apparentemente dorato come Hollywood.
Il viaggio oltre i percorsi tradizionali
Aver deciso di intraprendere la via della maternità surrogata può apparire, agli occhi di qualcuno, come un passo ardito. Ma se guardiamo la storia di Lily con attenzione, ci accorgiamo che è stata segnata da difficoltà personali, da momenti di buio e da uno slancio continuo verso la luce. Nel 2017, raccontano alcune testimonianze, la voglia di diventare madre iniziava già a pulsare nel suo cuore, nonostante le sfide e le incognite. Oggi, quella speranza è diventata realtà.
Eppure, non possiamo ignorare il contesto culturale in cui viviamo: la surrogacy è ancora considerata un tabù da tanti, un argomento che suscita giudizi contraddittori. Tuttavia, la serenità di Lily nel parlare di questo percorso fa emergere un messaggio di apertura. Ci invita a considerare che, in una società in continua evoluzione, le famiglie possono nascere in modi diversi e nessuno di questi andrebbe sminuito o etichettato come inferiore. Che la piccola Tove fosse attesa con amore, questo è palese. E, in fondo, non è l’amore lo zoccolo duro di ogni relazione umana?
L’eredità di una storia personale
Un altro aspetto che non possiamo trascurare è la vicenda di Lily legata al disturbo alimentare. È impossibile non pensare a quanta forza serva per superare certe barriere mentali, quanta volontà occorra per dire a se stessi: “Ora sto meglio, sono pronta a prendermi cura di un altro essere vivente.” Ci piace credere che la scelta di diventare mamma, di affidarsi a una surrogata per realizzare quel sogno, possa essere letta anche come il coronamento di un lungo viaggio verso la serenità.
Il fatto che lei stessa abbia parlato apertamente di tali difficoltà in passato mostra il desiderio di trasformare la propria vulnerabilità in un punto di contatto con gli altri. In questo risiede una sorta di insegnamento: persino una persona famosa, con tutte le opportunità del caso, deve fare i conti con le proprie insicurezze e i propri demoni. E la maternità, in questo senso, può diventare un simbolo di rinascita: un modo per dire al mondo che si può voltare pagina e ricostruirsi, a volte anche in maniera inusuale.
La normalità di un atto straordinario
Tornando al nocciolo della questione, è sorprendente notare come, in mezzo a riflettori e flash, Lily e Charlie stiano provando a vivere la genitorialità in maniera normale, con quell’aria di chi sta ancora scoprendo ogni singolo dettaglio di una neonata. Certo, le telecamere potranno essere sempre pronte a catturare il loro prossimo passo. Ma viene da immaginare la quotidianità di questa coppia come un susseguirsi di gesti semplici: il primo vagito al mattino, i pianti notturni, le poppate e i cambi di pannolino. Scene che, in fondo, appartengono a tutti i genitori, indipendentemente dalla fama.
C’è un messaggio di fondo che emerge da questa vicenda: non c’è nulla di più potente della vita che sboccia e ogni storia che la riguarda ci riguarda tutti, almeno un po’. Anche quando la vita prende forma attraverso una soluzione che esce dai canoni. Forse il punto è proprio questo: aprirsi alla diversità, ammettere che non tutti i percorsi sono lineari. E la risonanza mediatica di Lily Collins e Charlie McDowell, in tale contesto, potrebbe aiutarci a fare un passettino in più verso la comprensione e il rispetto delle scelte altrui.
Passione e riflessioni per il futuro
È impossibile non chiederci che cosa accadrà domani. Lily, adesso, si ritroverà a unire l’impegno di neo-mamma a quello di attrice affermata e Charlie continuerà a lavorare dietro la macchina da presa. Sicuramente, vi saranno momenti di caos, probabilmente qualche nottata in bianco, ma anche scoperte emozionanti che solo chi vive la genitorialità da vicino può comprendere.
Le persone che la seguono sperano di vedere, in qualche modo, questo nuovo aspetto della sua vita riflesso nei progetti futuri. Ci saranno interviste in cui racconterà la propria esperienza? Condividerà qualche scorcio della piccola Tove, magari mostrandoci come sta crescendo? Non lo sappiamo con certezza e in fondo potrebbe essere più bello così, lasciando a questa famiglia il sacrosanto diritto alla propria intimità.
Un inno alla vita e alla resilienza
Eccoci, infine, giunti a tirare le fila di una storia che ci ha coinvolti più del previsto. Abbiamo parlato di Lily Collins, di un sogno che a lungo ha custodito, di un percorso non convenzionale e di una bambina che porta con sé un nome carico di speranze. Abbiamo rivisto le luci e le ombre di una carriera brillante, accostate alle battaglie private di chi ha dovuto lottare contro i propri limiti. E soprattutto, abbiamo osservato come, nel tumulto del mondo dello spettacolo, si sia aperto uno spiraglio di semplice e pura gioia.
La maternità surrogata, che a molti potrebbe apparire un territorio ancora inesplorato o controverso, si svela qui come una scelta compiuta con responsabilità e amore. Laddove in altri contesti si sarebbe potuta generare solo tensione, Lily e Charlie hanno invece costruito un’occasione per raccontare un nuovo tipo di famiglia, un nuovo modo di vedere la nascita, un rinnovato senso di speranza. E noi ci troviamo a celebrare questa notizia con un misto di stupore e commozione, perché siamo convinti che ogni essere umano abbia il diritto di trovare la strada che lo rende davvero felice.
Questa non è la solita storia di una star che diventa mamma. È il viaggio di due persone, due anime che hanno scelto di affidarsi a un’altra per realizzare un sogno, quello di tenere tra le braccia la loro bambina, di guardarla negli occhi e vedere il futuro riflesso lì dentro. È un atto di amore puro. E in un mondo che spesso sembra cinico, freddo, tutto giudizi e parole vuote, una notizia come questa ci ricorda cosa conta davvero. Una nuova vita. Una pagina bianca da riempire. Un battito di ciglia, un respiro, un primo sorriso che cambia tutto. Perché, alla fine, è questo il cuore di tutto: l’amore che si rinnova, che cresce, che vince su tutto.
Potrebbe sembrare retorico, eppure certe realtà ci toccano in profondità proprio perché sono universali. E magari questo lieto evento, raccontato con semplicità e gratitudine, saprà accendere in tanti la scintilla del dialogo, della consapevolezza e del rispetto. Perché in fin dei conti, ogni volta che celebriamo la nascita di un bambino, celebriamo la possibilità di un domani migliore, un domani in cui ognuno può scegliere come e con chi costruire la propria vita.
Lily Collins e Charlie McDowell ci mostrano, con questa piccola grande avventura, che l’amore ha mille forme e non si lascia definire dai pregiudizi. Oggi, noi vogliamo soltanto raccogliere tutta la gioia e la sincerità che traspaiono da questo nuovo capitolo della loro esistenza, condividendo la speranza che un giorno anche i dibattiti più complessi possano trovare un punto d’incontro, a partire dal riconoscimento della dignità di ogni scelta compiuta con il cuore. E nel frattempo, salutiamo Tove con un sorriso, felici di sapere che nel mondo c’è una nuova storia d’affetto, pronta a germogliare e a brillare proprio come un raggio di sole inaspettato.
Attualità
La Farfalla Impazzita: Giulia Spizzichino, dal trauma della Shoah all’estradizione di...

La storia, a volte, si mostra come un paesaggio sfocato: racconti troppo lontani nel tempo per riaccendere sentimenti veri. Eppure ci sono momenti in cui tutto si fa vivido e tremendo, come un lampo che squarcia il cielo. È quello che succede guardando La farfalla impazzita, il film che la Rai ha trasmesso in prima serata il 29 gennaio e che ora si può trovare su RaiPlay. Non stiamo parlando di un semplice racconto di guerra o di un documento per i posteri: qui c’è la vita stessa di Giulia Spizzichino, una donna che, a costo di sanguinare ancora, ha deciso di donare la propria testimonianza su alcuni fra i capitoli più atroci del Novecento.
Sì, perché Giulia non era soltanto una sopravvissuta all’eccidio delle Fosse Ardeatine, dove in un colpo solo perse 26 familiari. Era anche colei che, decenni più tardi, avrebbe avuto il coraggio di guardare in faccia l’ex ufficiale nazista Erich Priebke e sfidarlo in tribunale. Questa sua storia di dolore e determinazione è l’anima del film diretto da Kiko Rosati, tratto dall’omonimo libro che Giulia scrisse insieme a Roberto Riccardi, pubblicato per la prima volta nel 2013.
Un’anziana signora ebrea romana, una ferita mai rimarginata, la voglia di ottenere giustizia: ecco, in sintesi, i cardini attorno ai quali ruota La farfalla impazzita. Eppure, forse, la definizione di “cardini” è troppo rigida. Qui nulla rimane fermo; c’è, piuttosto, un tremolio incessante – proprio come le ali di una farfalla che non riesce a posarsi. Ecco perché Giulia si è definita così, “farfalla impazzita”: sempre in movimento, sempre in fuga dal passato o in corsa verso un brandello di verità.
Un salto indietro: dal rastrellamento di Roma al dolore che non guarisce
Torniamo per un attimo al 1944, quando l’Italia piangeva lacrime indescrivibili sotto il tallone nazista. Giulia, poco più che adolescente, vide andare in frantumi la propria famiglia. Chi finì deportato, chi venne giustiziato senza un briciolo di pietà. Il film, così come le pagine del libro, ricostruisce quell’orrore con immagini che bruciano ancora oggi. C’è una sequenza, nel racconto di Giulia, che lascia il fiato sospeso: la madre intenta a riconoscere le salme dei suoi cari attraverso pezzetti di stoffa sopravvissuti ai massacri. Basti questo a dare la misura della tragedia.
Molti penserebbero che, finita la guerra, iniziasse una nuova vita. Ma per Giulia non è stato così semplice. Impossibile dimenticare il piccolo cuginetto di appena cinque anni. Impossibile perdonare chi ha strappato in modo tanto crudele le sue zie, i nonni, gli zii, lasciandole soltanto un vuoto urlante al posto di un futuro sereno. Dentro di lei, un’angoscia silenziosa che l’ha resa “aspra e dura”, come dice Elena Sofia Ricci, l’attrice che ne interpreta il ruolo nella pellicola.
L’incontro con il passato che riapre la voragine
Nel film, la storia parte dal 1994, con Giulia che si ritrova a guardare uno spezzone televisivo su Rai 1, dove riconosce, quasi senza volerci credere, il volto di sua madre in un vecchio filmato. È un momento straziante: rivedere quella donna che tocca i resti dei propri cari e capisce che non c’è più nulla da fare.
Da quel punto in poi, Giulia viene risucchiata in una spirale di ricordi. Accetta a fatica di intervenire in quello stesso studio televisivo, esponendosi così a tutto il peso delle sue memorie. Vorrebbe scappare, se potesse. Ma non si può fuggire all’infinito. Se la chiamiamo “farfalla impazzita” è proprio perché nessun rifugio sembra abbastanza sicuro per lei.
Poi, a un certo punto, arriva la richiesta della Comunità ebraica di Roma. Vogliono coinvolgerla per ottenere l’estradizione di Erich Priebke dall’Argentina, dove il criminale nazista conduceva una vita tranquilla a Bariloche, un posto ai confini del mondo, incastonato fra le montagne. È un colpo allo stomaco: significa tornare a guardare in faccia il carnefice, rischiare di spalancare ferite che forse non si erano mai nemmeno chiuse. Giulia non se la sente, sulle prime. Poi, quasi con la stessa disperazione di chi ha perso tutto, accetta di diventare testimone, sperando di fare giustizia non solo per sé, ma per i tanti morti che le urlano ancora dentro.
Bariloche e l’incontro con le Madri di Plaza de Mayo
Al centro di questo viaggio c’è un cambio di prospettiva che forse neanche Giulia si aspettava. Lei, ebrea romana, tormentata dall’eccidio delle Fosse Ardeatine, attraversa l’oceano per incontrare donne che hanno sofferto in un altro contesto, un altro tempo, un’altra dittatura. Le Madri di Plaza de Mayo, simbolo di un’Argentina che non ha mai dimenticato i propri figli scomparsi, incrociano il cammino di Giulia. E succede qualcosa di enorme: il dolore si specchia nel dolore, la rabbia si intreccia alla rabbia, e nasce uno slancio di solidarietà potentissimo.
È in quelle strade argentine, dove gli “scomparsi” non hanno volti ma bandane bianche, che Giulia capisce di non essere sola. Non lo è quando, con voce tremante, si ritrova a parlare davanti a un pubblico che l’ascolta con rispetto. Non lo è quando racconta dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, della necessità che Priebke venga estradato, processato, costretto a rispondere dei suoi crimini. Non lo è neppure quando scopre quanto la sofferenza di chi ha perso figli e nipoti, pur con radici diverse, abbia la stessa intensità bruciante.
L’estradizione di Erich Priebke: una battaglia di civiltà
Ciò che accade dopo è storia: la lotta di Giulia finisce sui tavoli della giustizia internazionale. Con il sostegno dell’avvocato Restelli, la voce di questa donna coraggiosa si fa sentire forte e chiara. L’Argentina tenta di resistere, di trattenere Priebke. Ma la pressione mediatica e morale si fa intollerabile. Alla fine, Priebke viene estradato in Italia per affrontare il processo. E lì, nell’aula di tribunale, avviene l’atto finale del dramma: Giulia testimonia contro di lui, faccia a faccia con l’uomo che, ordinando e gestendo gli omicidi delle Fosse Ardeatine, ha distrutto il suo mondo per sempre.
Non è una sfida epica, con luci di scena e applausi. È un momento cupo, intriso di un’angoscia tremenda. Ma Giulia, in quell’istante, sceglie di riaprire la ferita e di mostrarla a tutti. Per lei è l’unico modo per tentare di avere un pizzico di giustizia, sebbene la vendetta non le appartenga. Vuole soltanto che la Storia prenda atto dei responsabili e che i fatti non vengano seppelliti da un pericoloso silenzio. Forse proprio in quell’aula inizia un processo di liberazione che, pur essendo parziale e mai definitivo, la aiuta a sopportare il peso di ricordi insostenibili.
Un passato che ci riguarda sempre: la dimensione universale di Giulia
La farfalla impazzita non è solo un film che riguarda l’Olocausto o la comunità ebraica italiana. È un’opera che mette al centro un tema universale: chi subisce violenze, chi perde i propri cari, chi sopporta l’orrore, non può restare in silenzio. Le vittime sono vittime, i carnefici sono carnefici, qualunque sia la lingua che parlano o il contesto storico in cui si muovono. Giulia ce lo mostra con la sua testimonianza e Kiko Rosati ce lo sbatte in faccia con la regia di questa pellicola.
Se ci si sofferma a pensare, si vedono echi di quella sofferenza in mille altre situazioni del mondo. In Argentina, le Madri di Plaza de Mayo combattono contro i fantasmi di una dittatura spietata, mentre Giulia combatte contro i fantasmi del nazismo. E se ci guardiamo attorno, scopriamo che in tanti Paesi si vivono ancora guerre, persecuzioni e dittature, spesso dimenticate o ignorate. Forse è qui che risiede la grande lezione del film: non si tratta di risolvere il passato, ma di tenere gli occhi aperti sul presente.
Il coraggio di Elena Sofia Ricci e la forza del cast
Nel dare vita a Giulia, Elena Sofia Ricci compie un lavoro straordinario. Non è facile interpretare una donna dura, disincantata, che ha sepolto sotto strati di cinismo la propria parte più intima. Eppure, attraverso sguardi, silenzi e improvvisi scatti di commozione, Ricci rende palpabile la sofferenza di Giulia. Al suo fianco c’è Fulvio Pepe nel ruolo dell’avvocato Restelli, risoluto e comprensivo, quasi un contrappeso alla durezza di lei. E poi c’è la presenza simbolica di figure come le Madri di Plaza de Mayo, rappresentate sullo schermo con un’intensità che raramente si vede.
Perché “farfalla impazzita”?
Il titolo è un dettaglio fondamentale che svela la vera natura di Giulia. Nel libro che lei e Roberto Riccardi hanno scritto, La farfalla impazzita, si racconta di come Giulia, dopo quella retata del 16 ottobre 1943 e dopo aver passato un’infanzia inseguita dall’orrore, non sia mai riuscita a fermarsi. Perché fermarsi significava risprofondare negli incubi, restare immobile tra i resti di un massacro. Meglio agitarsi, sbattere le ali in mille direzioni, sperare di sfuggire a un destino di silenzio.
Invece di tacere, ha parlato. Invece di fingere che la ferita fosse rimarginata, l’ha mostrata a tutta l’Argentina e poi, in tribunale, alla giustizia italiana. E così, la farfalla impazzita ha finito per regalare a tutti noi un pezzetto di memoria viva, di consapevolezza di ciò che è accaduto.
Un appello alle nuove generazioni: “Fate la rivoluzione”
C’è un momento in cui Elena Sofia Ricci, presentando il film, si rivolge ai più giovani. E lo fa riprendendo un appello di Giulia: qui si parla di rivoluzione, ma non quella delle armi; piuttosto una rivoluzione culturale. Un cambiamento che passa dalla sete di conoscenza, dall’amore per i libri, dallo studio della storia e dalla voglia di comprendere fino in fondo le sue lezioni.
In effetti, come spiega la stessa Ricci, non si è mai fatto abbastanza per evitare il ripetersi di certi crimini. Viviamo in un presente in cui ancora si erigono muri, si calpestano diritti, si assiste inermi a violenze di ogni sorta. La memoria, si direbbe, a volte ci scivola via dalle mani. E allora è essenziale che le nuove generazioni si muovano, si indignino, si impegnino a non accettare passivamente gli orrori e le ingiustizie.
Una storia che continua a pulsare: il senso di questo film
Se la Rai ha deciso di trasmettere La farfalla impazzita in un giorno tanto simbolico come quello dedicato alla Shoah, non è soltanto per commemorare. Lo ha fatto per ricordarci che la conoscenza di fatti – come la strage delle Fosse Ardeatine e la persecuzione degli ebrei – non è un vuoto esercizio scolastico, ma un dovere morale.
Siamo davanti a un’opera che tocca il cuore, ma al tempo stesso scuote la mente. Non è un film che si guarda per intrattenimento, anzi, a tratti può risultare duro e opprimente. Ma proprio in questa asprezza risiede la sua verità. C’è la speranza di Giulia che, raccontando la sua vita, possa impedire il ripetersi di simili tragedie. C’è lo sguardo delle Madri di Plaza de Mayo, che ci fa capire come un’incompiuta richiesta di giustizia possa attraversare l’oceano. C’è la determinazione del regista Kiko Rosati, che sceglie di mostrarci immagini capaci di ferire la coscienza, pur di darci un messaggio chiaro: non dobbiamo mai restare indifferenti.
Dalle parole alle immagini: un invito alla riflessione
È vero, tanti film hanno affrontato il tema dell’Olocausto, alcuni in modo magistrale, altri in maniera più didascalica. La farfalla impazzita arriva a iscriversi in questa lista aggiungendo una prospettiva personale, quasi intima, sul trauma. Non è una pellicola che si limita a narrare l’orrore su scala mondiale, ma si concentra su una singola voce, quella di Giulia e sul suo viaggio. E così facendo, ci permette di cogliere la dimensione umana, privata, dietro a una strage che spesso ci appare come un evento storico lontano.
Attraverso lo sguardo di Giulia, diventiamo testimoni delle conseguenze che durano una vita, delle cicatrici che restano nella mente e nel cuore di chi è sopravvissuto, e ci rendiamo conto che la guerra, la persecuzione, lo sterminio non cessano di tormentare le vittime neanche dopo la firma di un trattato di pace.
La forza di un’eredità che non svanisce
Oggi, abbiamo tante possibilità per documentarci. Possiamo leggere libri, guardarci centinaia di documentari, scorrere siti dedicati alla memoria storica. Ma a volte occorre incontrare un volto, una voce, una mano che scrive e dice: “Io c’ero, io ho visto.” La farfalla impazzita ci offre esattamente questo.
Forse, al termine di un film del genere, la risposta non può che essere un richiamo deciso a non voltare le spalle al passato, a non archiviare i ricordi in un cassetto, e soprattutto a non rassegnarci davanti alle ingiustizie contemporanee. Perché le parole di Giulia Spizzichino, “Le vittime sono sempre vittime, i carnefici sono sempre carnefici”, ci ricordano che il confine fra dignità umana e brutalità può essere valicato in fretta, se non rimaniamo vigili.
Ecco, questa è l’eredità più potente che La farfalla impazzita ci lascia. Un invito, sì, ma al tempo stesso una sfida: rialzarci quando l’angoscia sembra volerci togliere ogni speranza, ascoltare le storie di chi ha perso tanto, fare gruppo, studiare, reagire. Non c’è nulla di più importante che comprendere perché certe tragedie sono successe e soprattutto, impedire che possano accadere di nuovo. Giulia, dal suo canto, ci ha insegnato che anche un cuore sfinito può trovare la forza di lottare, se c’è in gioco il futuro di tutti. E noi, nel nostro piccolo, non possiamo che far tesoro di questa sua straordinaria lezione.
Attualità
Dispositivo che protegge i pedoni: la nuova sfida si chiama Elvia98

Ogni volta che attraversiamo la strada, ci ritroviamo con lo sguardo fisso sull’auto che avanza, incerti su quel paio di secondi in cui non sappiamo se il veicolo rallenterà davvero. Ci siamo chiesti più volte, quasi in silenzio, se esistesse un sistema per avvertirci in maniera chiara, immediata, che l’auto si sta fermando per lasciarci passare. Ecco, da qualche anno si parla di un progetto chiamato Elvia98, un dispositivo che punta proprio ad annullare quel dubbio, offrendo un segnale luminoso inequivocabile. Ma prima di srotolare la sua storia, ci preme raccontarvi come siamo giunti alle informazioni raccolte.
Abbiamo setacciato, un po’ in modo disordinato e un po’ con la costanza di chi vuole andare in fondo alle cose, diverse fonti online: da alcune testate specializzate nel settore automobilistico, come Motorionline e Autoblog, fino ai contenuti di siti generalisti tipo Virgilio e qualche articolo più tecnico reperito su HDmotori. L’obiettivo era quello di cogliere ogni singola sfumatura di questo apparecchio e del suo percorso accidentato. Volevamo andare oltre i titoli in grassetto, addentrandoci nelle dichiarazioni di chi lo ha ideato e di coloro che l’hanno sperimentato, anche solo parzialmente. In fondo, la sicurezza stradale non è faccenda da trascurare.
Come nasce e perché ci interessa
Le statistiche che si leggono oggi, riferite agli investimenti di pedoni, sono davvero sconfortanti. Secondo vari report analizzati, gli incidenti con esito mortale per le persone a piedi continuano a salire. E se ci si sofferma un istante, viene quasi spontaneo chiedersi: “Ma siamo ancora così indietro nella prevenzione?” Non dovrebbe esistere un modo più chiaro per comunicare le intenzioni del guidatore?
Elvia98, stando a ciò che abbiamo compreso, nasce proprio dalla volontà di rispondere a questo dilemma. Sappiamo che è il frutto dell’inventiva di un imprenditore veronese, Angiolino Marangoni, che ha voluto ribaltare un’idea semplice: invece di pensare solo alle luci posteriori (i classici stop che si illuminano di rosso), ha sviluppato un sistema avanzato che integra informazioni più specifiche. Il meccanismo, infatti, prevede una luce addizionale che si illumina sul davanti del veicolo, rendendo evidente ai pedoni il momento in cui l’auto si sta effettivamente fermando, con segnali ben visibili e scritte che non lasciano spazio a interpretazioni.
E sapete una cosa? All’inizio, la semplicità del concetto lascia quasi sorpresi: perché non ci avevamo pensato prima? La luce frontale lampeggiante con messaggi come “Salvavita pedone” fa capire in modo inequivocabile che il conducente sta proprio rallentando per dare precedenza. Non c’è più quel gioco d’azzardo: “Mi vede? Devo correre o aspetto?” Sembra un piccolo gesto, ma potrebbe risparmiarci momenti di tensione, o addirittura evitare situazioni rischiose.
Funzionamento e potenzialità
Passiamo a un livello più concreto: da quanto riportato su vari articoli, alcuni veicoli – per esempio scuolabus in certi comuni del Veneto, come Vigasio o San Martino Buon Albergo – hanno già testato Elvia98. Il kit si installa in maniera relativamente semplice, posizionando una luce aggiuntiva sotto la targa anteriore e un’altra sotto quella posteriore. Quella dietro si attiva con segnali di colore diverso in caso di frenata o ostacoli, mentre quella davanti avvisa i passanti che l’auto si fermerà per lasciar passare.
Lo scopo, in sintesi, è offrire ai pedoni una comunicazione chiara, evitando gli equivoci che derivano dalla semplice frenata. Se un veicolo rallenta per un semaforo o per un ingorgo, il pedone potrebbe fraintendere e attraversare convinto di avere la precedenza. Con Elvia98, invece, l’intenzione è esplicita: la scritta luminosa frontale “Salvavita pedone” e il lampeggio funzionano come un avvertimento diretto. Il creatore di questo dispositivo, peraltro, ha ottenuto un brevetto europeo già nel 2017, a testimonianza di quanto sia preso sul serio in ambito innovativo. Tuttavia, sembra che il cammino verso la diffusione su larga scala sia ancora ostacolato da parecchie scartoffie burocratiche.
Le barriere burocratiche
Qui si tocca uno snodo fondamentale. Perché, se un dispositivo del genere esiste, se è stato anche provato con successo su alcuni mezzi, non viene reso obbligatorio per tutti? È la classica domanda che finisce con l’aprire un capitolo ben noto a chi segue da vicino il mondo dell’innovazione in campo automobilistico: gli aspetti normativi.
Angiolino Marangoni, infatti, avrebbe fatto appello – stando a diversi articoli letti su siti come Virgilio e HDmotori – a varie figure istituzionali di spicco, cercando di farsi ascoltare in merito alla questione dell’omologazione del dispositivo. Ha inviato lettere al Presidente della Repubblica e persino al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ma la risposta non è arrivata con l’urgenza sperata. Questa lentezza finisce per rallentare l’adozione del sistema, che potrebbe salvare vite umane proprio laddove si verificano molti incidenti: i centri abitati e i tragitti pedonali più trafficati.
A volte noi, come giornale, ci chiediamo se non sia il momento di ridare priorità alla questione della sicurezza stradale. Leggendo i numeri sugli investimenti di pedoni, sembra che l’attenzione su questi temi, negli ultimi anni, si sia un po’ persa tra mille discorsi, decreti, tensioni politiche. E nel frattempo, chi passeggia per le strade rimane esposto a rischi evitabili.
Uno sguardo alla situazione attuale
Nonostante tutto, qualche spiraglio c’è. Alcune amministrazioni locali hanno voluto sperimentare Elvia98, forse mosse dall’urgenza di mettere in sicurezza i tratti più delicati, specialmente nei pressi delle scuole. E i risultati, anche se non ancora ampiamente documentati da studi su larga scala, appaiono incoraggianti.
Sembra ci sia un certo consenso sul fatto che il “segnale dedicato” verso il pedone possa ridurre drasticamente gli incidenti causati dall’equivoco “auto che rallenta ma non si ferma” o “pedone che attraversa senza certezza”. A dircelo non è solo il produttore ma anche alcuni conducenti che lo hanno testato: la comunicazione visiva diretta evita gran parte dei fraintendimenti.
Prospettive future e possibili sviluppi
Viene da domandarsi: come si potrebbe rendere questo dispositivo più diffuso? Alcuni pensano a incentivi statali, come avviene per i seggiolini anti-abbandono o per i dispositivi anti-inquinamento. Altri immaginano direttive europee che impongano alle case automobilistiche di integrare soluzioni simili nei loro modelli di serie. Ma, al momento, tutto resta sulle spalle della burocrazia e della volontà dei singoli Comuni.
Tuttavia, l’inventore di Elvia98, a quanto sembra, non si è arreso. Anzi, mostra una certa determinazione nel voler raggiungere le scuole e le nuove generazioni, perché spesso è proprio tra i più giovani che si forma la nuova consapevolezza sulla sicurezza stradale. Quindi, l’intenzione è quella di portare il dispositivo nelle aule scolastiche, avviando magari piccoli laboratori o conferenze.
Noi pensiamo che, se da un lato le carte e gli iter legislativi sono complessi, dall’altro la spinta dal basso – cioè dai cittadini, dalle famiglie, dagli enti locali – possa fare la differenza.
L’idea che un segnale luminoso possa salvare vite suona semplice, quasi disarmante. Eppure, come spesso succede, tradurre un’intuizione concreta in un presidio standardizzato, riconosciuto e adottato su vasta scala, richiede tempo, risorse e un bel po’ di dialogo tra tutti gli attori coinvolti. Nel frattempo, ci sembra importante parlare di Elvia98 e ricordare che soluzioni intelligenti per proteggere i pedoni esistono già, anche se in una fase sperimentale.
Lo scopo del nostro reportage non è gridare al miracolo tecnologico ma sollecitare una riflessione: in un Paese come il nostro, dove la cultura dell’automobile è radicata e i centri storici si affollano di persone a piedi, la sicurezza stradale merita un’attenzione costante. E forse è arrivato il momento di rendere più visibile il percorso di dispositivi come Elvia98, un’innovazione che potrebbe rivoluzionare il nostro modo di attraversare la strada.
Attualità
Un nuovo raggio di luce tra le giostre: Leolandia e l’evoluzione di un parco che non...

Sembra di sentirne il profumo, quell’aria frizzante che precede i grandi cambiamenti. Sì, perché quando un luogo così amato come Leolandia annuncia investimenti, novità e nuove prospettive, non si può restare indifferenti. E, per chi non ne fosse al corrente, la novità più grossa ruota attorno a un’emissione obbligazionaria (un “bond”, come lo chiamano in gergo) e a un piano di sviluppo da molte decine di milioni di euro. È molto più di una cifra su un foglio: è un segnale preciso, una fiaccola che indica un sentiero nuovo, forse più ampio, aperto al futuro.
E a pensarci bene, di futuro in un parco divertimenti ce n’è tanto. Spesso si crede che certi luoghi non cambino mai, che restino uguali a se stessi, anno dopo anno. Leolandia, invece, ha deciso di sfidare l’idea di essere soltanto “il parco dei bambini” e basta. Non vuole limitarsi a offrire intrattenimento ai più piccoli – e fidatevi, lo fa benissimo da una vita – ma ora si spinge oltre, investendo in attrazioni adatte anche a un pubblico un po’ più grandicello.
Le radici di un sogno
Prima di addentrarci nei dettagli, vale la pena ricordare che Leolandia affonda le radici in un concetto preciso: quello di un parco su misura per i bambini. È sempre stato così, sin dal principio. Giostre a misura di bimbo, ambienti fiabeschi, personaggi dei cartoni animati pronti ad abbracciare ogni giovane visitatore. Potremmo quasi definirlo un “nido sicuro”, dove i più piccoli possono sorridere e i genitori sentirsi sereni nel vederli liberi di esplorare un luogo fatto su misura per loro.
Ora, però, la mossa inattesa: l’emissione di un bond da 12,5 milioni di euro, finalizzato a un piano di investimenti molto più ampio. Non è un dettaglio da poco, perché significa che, dietro le quinte, si stanno muovendo figure di spicco della finanza (Banca Finint, Ver Capital SGR, Finint Investments e Solution Bank) che credono davvero nel potenziale di questo parco. Quando si mobilitano fondi così importanti, la domanda è sempre la stessa: “E adesso cosa succede? Dove va a parare questo flusso di denaro?”
I numeri dietro la voglia di espansione
Leolandia non ha tardato a rispondere: nuovi spazi, nuove attrazioni, un’intera area tematica di circa 20.000 metri quadrati dedicata a chi cerca esperienze un po’ più coraggiose. In altre parole, l’obiettivo è allargare la clientela, o meglio, allungare la “vita del visitatore”. Invece di pensare solo al bimbo dai 3 ai 6 anni, oggi si punta anche alla fascia di età superiore, magari i preadolescenti che desiderano un brivido più intenso di quello offerto dai tradizionali caroselli. Un passaggio epocale, che mischia l’allegria infantile con un pizzico di adrenalina.
Tutto ciò rientra in un piano più ampio, da circa 20 milioni di euro di investimenti previsti per il 2025. Sembra quasi una rivoluzione permanente: rifare aree, aggiungere giostre, ampliare lo staff, pensare a un intrattenimento più variegato. E su questo fronte si innesta anche la questione della sostenibilità, che non è soltanto un fiore all’occhiello. L’idea è potenziare l’impianto fotovoltaico interno, rendere il parco energeticamente più autosufficiente e fare in modo che la presenza di migliaia di visitatori non si traduca in un impatto ambientale pesante.
Guardare oltre i più piccoli
Veniamo al punto cruciale: Leolandia, storicamente, ha sempre parlato al cuore dei bambini dai primi anni di vita e in questo è stato un campione. Ma qualsiasi bimbo, si sa, cresce. A un certo punto, i trenini con i pupazzetti non bastano più e si inizia a cercare qualcosa di più “fisico”, magari un giro su un’attrazione che giri parecchio e faccia venire quel nodo nello stomaco che provoca risate e urletti di emozione. Ecco, adesso il parco ha in mente di proporre proprio questo genere di avventure. Potremmo dire che vuole seguire i bambini anche nella loro crescita, non lasciandoli andare via appena superano la soglia dell’infanzia.
È una mossa intelligente, perché consolida un rapporto che può durare anni. Si immagina un bambino che, a quattro o cinque anni, si innamora delle prime giostre, per poi desiderare di tornarci anche a dieci o dodici, quando il suo orizzonte di divertimento si è ampliato. E magari i genitori saranno ancora più felici, perché vedranno i loro figli un po’ più grandi ma ancora disposti a giocare e sognare.
Alla ricerca di Unicò: il musical che colora il parco
Ma non di sole giostre vive Leolandia. Si parla di un nuovo musical live, “Esiste Davvero 2: alla ricerca di Unicò”, pronto a debuttare già da marzo 2024. È un aspetto che può sembrare marginale, ma non lo è affatto. Gli spettacoli dal vivo, specie quelli che coinvolgono i bambini in prima persona, sanno creare un’atmosfera unica. E poi, diciamocelo: non tutti vogliono fare file interminabili per salire su una giostra adrenalinica. C’è anche chi ama sedersi e godersi uno show, lasciandosi trasportare da una storia magica in cui compaiono creature fiabesche e canzoni inedite.
Una svolta che, a pensarci bene, ribadisce la volontà di diversificare l’offerta: cibo, spettacoli, natura, divertimento e un pizzico di educazione (perché sì, un buon parco sa anche insegnare qualcosa sulle buone pratiche, sul rispetto per l’ambiente e così via). Sono tasselli che, sommati, danno vita a un mosaico ricco di colori, capace di accontentare un pubblico sempre più eterogeneo.
Una nuova idea di sostenibilità
Il discorso ambientale non è un accessorio. L’ampliamento dell’impianto fotovoltaico e l’attenzione a un turismo più “green” significano scelte pratiche, che vanno ben oltre lo slogan pubblicitario. Qualcuno potrebbe obiettare che, con tutte le luci accese, un parco divertimenti resti comunque un luogo dispendioso dal punto di vista energetico, ed è probabilmente vero. Ma la direzione conta tanto: ridurre gli sprechi, investire in energie pulite, ideare sistemi di gestione delle risorse più efficienti. Tutti aspetti che contribuiscono a fare la differenza tra un semplice “svago” e un’esperienza vissuta con consapevolezza.
Del resto, se si aspira a un milione e passa di visitatori l’anno, la ricaduta sul territorio è importante. Il traffico aumenta, i consumi pure. Diventa fondamentale compensare questa crescita con un approccio responsabile, che limiti le emissioni e, magari, riesca a sensibilizzare le persone che frequentano il parco. Dopotutto, anche i bambini di oggi sono i cittadini di domani, e un parco che li accolga in un contesto rispettoso dell’ambiente potrebbe dar loro un messaggio positivo da portarsi dietro.
Numeri, dati e prospettive
Se andiamo al sodo, i grandi obiettivi di Leolandia non sono certo una passeggiata. Raccogliere 12,5 milioni di euro di fondi non è uno scherzo ma significa anche pianificare l’uso di questo capitale. E i partner finanziari vogliono vedere risultati: un incremento del 20% dei visitatori, la soglia del milione di ospiti da superare e un posizionamento di primo piano nel settore. Non è un compito leggero, ma chi conosce il parco sa quanto impegno ci abbia sempre messo per conquistare la fiducia delle famiglie.
In fondo, è un circolo virtuoso: attrazioni nuove attirano gente nuova che a sua volta, soddisfatta, diventa il miglior passaparola per ulteriori visitatori. E più i numeri crescono, più c’è spazio per re-investire e migliorarsi ancora. L’unica insidia, semmai, è quella di perdere l’identità originaria. Ma per ora, almeno stando alle notizie che circolano, il progetto guarda avanti in modo coerente con la storia di Leolandia. Si punta sull’innovazione, certo, ma senza rinnegare quell’anima fiabesca che fa sentire a casa chiunque passi di lì.
Pensando a domani
Verrebbe quasi da chiedersi se, fra qualche anno, Leolandia potrà competere con i grandi parchi internazionali. Forse la domanda è un po’ prematura, ma nulla vieta di fantasticare. Sicuramente, la strada intrapresa è quella di una costante evoluzione, e la presenza di investitori importanti dà fiducia all’idea che ci sia un potenziale non ancora espresso del tutto. In più, c’è quell’elemento di “coccola familiare” che molti parchi più grandi non riescono a offrire. È quella dimensione raccolta, personale, che si respira a Leolandia e che la gente spesso elogia.
Se arriveranno giostre più spericolate, se il target si amplierà ulteriormente, se la sostenibilità sarà perseguita con convinzione, forse diventerà un punto di riferimento anche per i turisti stranieri. Chi lo sa, magari un bambino tedesco, spagnolo o francese metterà Leolandia nella lista dei posti da visitare in Italia, insieme alle classiche tappe d’arte e cultura. Sarebbe un bel salto di qualità.
Occhio alle novità gastronomiche
Un altro aspetto di cui si parla, e che può sembrare secondario ma non lo è affatto, è l’offerta gastronomica. Eh sì, perché le persone che passano l’intera giornata in un parco hanno bisogno di mangiare, e bene. Nasceranno nuovi punti di ristoro, zone street food, chioschi e bar tematici, magari con menù dedicati sia a chi preferisce un pranzo veloce sia a chi cerca cibi più sani. Negli ultimi anni, l’alimentazione è diventata un argomento sensibile, e i parchi che sanno offrire varietà e qualità prendono molti punti agli occhi dei visitatori.
Un investimento che si traduce in un circolo virtuoso: chi è soddisfatto dal cibo, oltre che dalle attrazioni, associa al parco un ricordo ancor più piacevole e potrebbe sceglierlo di nuovo per feste di compleanno, gite scolastiche, weekend in famiglia. A volte, questi dettagli fanno la differenza.
Tiriamo le fila: un parco in cammino
La sensazione, leggendo tutte queste novità, è che Leolandia stia entrando in una sorta di seconda era. Pur rimanendo “il regno dei bambini”, dove la fantasia regna sovrana, sta cercando di fare un salto di qualità che includa la crescita del suo pubblico di riferimento, una solida struttura finanziaria, un occhio di riguardo per il pianeta e un’offerta di intrattenimento più ampia. È una scommessa ambiziosa, che potrebbe portarla a competere con i più conosciuti parchi divertimento su larga scala, senza perdere il calore che l’ha resa famosa.
Tra bond, musical, nuove giostre, potenziamento dell’energia pulita e voglia di attirare sempre più visitatori (magari puntando al milione e oltre), la rotta è tracciata. L’importante è che, una volta raggiunta la meta, Leolandia mantenga quella scintilla negli occhi che ha conquistato generazioni di bambini. Perché alla fine, se un parco a tema non riesce a suscitare meraviglia, ogni piano di investimento va un po’ a perdersi. Ma le basi sono buone e le prospettive pure, quindi chissà… magari nei prossimi anni lo vedremo davvero diventare uno dei punti di riferimento assoluti del divertimento made in Italy.
Attualità
Il grande schermo a febbraio 2025: tra emozioni, blockbuster e sorprese

Febbraio 2025 è alle porte, portando con sé una ventata di novità cinematografiche per tutti i gusti. Dalle grandi produzioni americane ai film d’autore, passando per il cinema d’animazione e le commedie italiane, questo mese si preannuncia variegato e coinvolgente. Scopriamo insieme cosa ci riservano le sale italiane nelle prossime settimane.
Uno sguardo d’insieme: la tradizione di febbraio
Prima di addentrarci nei singoli titoli, è utile sottolineare come il mese di febbraio abbia acquisito, negli anni, un proprio valore strategico per le case di distribuzione. Pur restando un periodo generalmente meno concorrenziale rispetto al “boom” delle feste e ai blockbuster estivi, febbraio si colloca tra i nuovi cicli d’uscita a cavallo tra l’inizio dell’anno e il periodo primaverile. Questa finestra diventa quindi la piattaforma di lancio ideale per film di vario genere: i thriller o i polizieschi adrenalinici, spesso la commedia legata a San Valentino, i titoli che puntano agli Oscar (con cerimonia solitamente tra fine febbraio e inizio marzo) e i lungometraggi d’autore di ritorno dai festival invernali.
In Italia, poi, febbraio rappresenta anche il mese in cui si avvia la distribuzione di alcuni dei film più acclamati o chiacchierati ai festival di gennaio, come il Sundance e in parallelo può capitare che qualche pellicola – forte delle nomination agli Oscar – trovi spazio per cavalcare il successo critico e la curiosità del pubblico.
Produzioni americane di alto profilo
“Captain America: Brave New World” (Marvel Studios)
Data di uscita italiana: 12 febbraio 2025
“Captain America: Brave New World”. Già solo il titolo ti fa venire voglia di scoprire cosa succederà. Questa volta, lo scudo di vibranio non è più nelle mani di Steve Rogers. No, quella parte della storia si è chiusa. Ora c’è Sam Wilson, interpretato da Anthony Mackie, a portare avanti l’eredità. E diciamocelo, la pressione deve essere enorme.
Il film è diretto da Julius Onah, un regista che non ha paura di sperimentare. Ricordate “The Cloverfield Paradox”? Beh, questa volta si cimenta con uno dei personaggi più simbolici del Marvel Cinematic Universe. E poi c’è Harrison Ford. Sì, proprio lui. L’uomo che ha fatto la storia del cinema torna nei panni di Thaddeus “Thunderbolt” Ross. Sarà diverso, sarà nuovo, sarà potente. Ford porta con sé una gravità e una presenza che faranno scintille, soprattutto ora che il suo personaggio è destinato a giocare un ruolo centrale nel futuro dell’MCU.
Ma cosa aspettarsi davvero? Tensione geopolitica, intrighi, e quel sapore di thriller politico che abbiamo amato in “The Winter Soldier”. Questo non è un film che si limita all’azione. È una riflessione su cosa significhi essere un simbolo, su come portare il peso di un mondo che cambia sotto i tuoi piedi. Il tutto condito con un cast che promette di tenere incollati alla poltrona. Ford, Mackie, Liv Tyler e Tim Blake Nelson sono solo alcuni dei nomi che rendono questo film imperdibile. Preparati: “Captain America: Brave New World” non sarà solo un film, sarà un’esperienza che, se fatta bene, ci farà parlare per anni.
“The Brutalist” di Brady Corbet
Data di uscita italiana: 6 febbraio 2025
“The Brutalist”. Cavolo, che titolo, vero? Non ti prepara a qualcosa di semplice o leggero. Questo è uno di quei film che ti costringe a sederti, stare lì per ore – tre e mezza, per essere precisi – e affrontare una storia che ti resterà dentro, piaccia o no. Dietro la macchina da presa c’è Brady Corbet, un regista giovane, con un talento quasi spaventoso per catturare l’essenza della fragilità umana. Hai visto “Vox Lux”? Allora sai già che Brady non scherza.
E di cosa parla? Beh, è un viaggio. Un architetto europeo fugge dai fantasmi del dopoguerra e cerca di ricominciare tutto negli Stati Uniti. Ma puoi davvero fuggire dal passato? Puoi davvero chiudere la porta e lasciarti tutto alle spalle? Corbet sembra volerci dire che no, il passato ti segue, ti scava dentro, si nasconde tra le pieghe di una vita nuova. Anche quando provi a coprirlo con strati di cemento, con architetture perfette. E lui, il protagonista, lo vive sulla pelle.
E quelle tre ore e mezza? Sì, è lungo, lunghissimo. Ma sai, ci sono storie che non puoi comprimere. Ci sono emozioni che hanno bisogno di spazio per respirare, per stratificarsi. “The Brutalist” non è un film per tutti, questo è chiaro. Ma se ti piace un cinema che ti tormenta, che ti fa pensare, che ti accompagna nei giorni successivi, allora questo potrebbe essere il film che aspettavi. Un film che non guardi e basta: lo vivi.
La storia? È un viaggio. Un architetto europeo scappa dal caos del dopoguerra e si rifugia negli Stati Uniti, inseguendo un sogno di rinascita. Ma puoi davvero lasciarti tutto alle spalle? Puoi davvero cancellare il passato? Questo film sembra dirci di no, che il passato ti segue, si insinua nelle pieghe della tua vita nuova, anche quando cerchi di seppellirlo sotto strati di cemento e architetture perfette.
- Cast: Non ancora del tutto rivelato, ma nelle note di produzione emergono nomi di attori di grande prestigio. La presenza di Jude Law era inizialmente vociferata, ma manca la conferma definitiva. Eppure il film ha già generato molto interesse nei circuiti festivalieri.
- Aspettative: Chi ama il cinema d’autore, con ritmi dilatati e riflessioni sul dopoguerra, sull’identità e sull’arte, troverà in “The Brutalist” un progetto affascinante. La matrice storica e sociale, unita a un’estetica impeccabile, potrebbe catturare non soltanto i cinefili ma anche chi desidera un’opera visivamente e narrativamente potente.
Anime, cinema orientale e riedizioni
“Let Me Eat Your Pancreas”
Data di uscita italiana: 3 febbraio 2025
Hai mai sentito un titolo più strano? “Let Me Eat Your Pancreas”. Lo leggi e pensi: “Ma di che diavolo parla?”. Poi scopri che è un film giapponese, un dramma romantico diretto da Shô Tsukikawa e qualcosa cambia. Ti incuriosisce, ti attira. Sai già che non sarà un film facile, di quelli che dimentichi appena esci dalla sala.
La trama è di quelle che ti spezzano. C’è un ragazzo, timido, chiuso in se stesso e una compagna di classe con un segreto che pesa come un macigno: è gravemente malata. Eppure, tra loro nasce qualcosa. Un’amicizia? Qualcosa di più? È difficile dirlo, ma quel legame li porterà a guardare in faccia la vita e la morte con una dolcezza e una profondità che ti lasciano senza fiato. Non c’è spazio per la superficialità qui: ogni scena, ogni dialogo, ti fa sentire qualcosa.
E poi, questa riedizione nelle nostre sale. Perché proprio adesso? Probabilmente perché il pubblico italiano sta imparando ad amare sempre di più il cinema giapponese, non solo quello d’animazione. “Let Me Eat Your Pancreas” è un film per chi cerca storie che toccano l’anima, per chi vuole uscire dal cinema con il cuore un po’ più pesante, ma anche un po’ più pieno. Un consiglio? Portati i fazzoletti. E preparati a sentirti vivo.
“Hello! Spank – Il Film – Le pene d’Amore di Spank”
Data di uscita italiana: 13 febbraio 2025
I più nostalgici degli anni ‘80 e ‘90 avranno una certa familiarità con “Hello! Spank”, popolarissima serie anime che in Italia ha avuto un discreto passaggio in TV. “Le pene d’Amore di Spank” è un lungometraggio animato del 1982, diretto da Shigetsugu Yoshida, e ora riproposto nelle sale in edizione rimasterizzata.
- Perché vederlo: Spank e la sua padroncina Aiko ci riportano a un periodo in cui l’animazione era caratterizzata da tematiche semplici e genuine: l’amicizia, l’aiuto reciproco, le piccole malinconie e gioie quotidiane. È un tuffo nella nostalgia per chi è cresciuto con queste serie, e un’occasione per i più giovani di scoprire un classico che parla di amore e affetti in modo delicato.
- Target: Genitori con figli, appassionati di anime vintage, amanti di quella particolare estetica anni ‘80. Un titolo che non punta ai grandi incassi ma arricchisce la programmazione con una perla d’altri tempi.
Film d’autore italiani: tra documentari e commedie
“Pellizza – Pittore da Volpedo”
Data di uscita italiana: 4 febbraio 2025
Un documentario su Pellizza da Volpedo? Finalmente! Non capita spesso di vedere la vita di artisti come lui raccontata sul grande schermo. È un progetto ambizioso, questo di Francesco Fei, che si concentra su uno dei pittori più affascinanti e diciamolo, troppo spesso ignorati della nostra storia: Giuseppe Pellizza da Volpedo, il genio dietro quel capolavoro immortale che è “Il Quarto Stato”.
Ma di cosa si parla, esattamente? Di arte, certo, ma anche di vita. Di lotte, di ideali, di un’Italia che stava cambiando. Fei promette di portarci non solo nel mondo di Pellizza, ma anche nel suo tempo, con interviste a storici dell’arte, immagini delle sue opere più iconiche e persino materiale d’archivio che ci farà vedere questo artista sotto una luce nuova. “Il Quarto Stato”, con quelle figure che avanzano fiere, rappresenta molto più di un quadro: è un simbolo. Di resistenza, di speranza, di futuro.
Perché vale la pena vederlo? Perché in un panorama dove si parla sempre di Michelangelo, Leonardo o Caravaggio, Pellizza merita uno spazio tutto suo. Perché ci racconta un pezzo di storia che è tanto nostro quanto universale. E poi, diciamocelo, immergersi nei colori e nelle emozioni della sua pittura su un grande schermo è un’esperienza che può toccare il cuore anche dei meno appassionati di arte. Un viaggio che ci ricorda chi siamo e da dove veniamo.
“Fatti vedere”
Data di uscita italiana: 6 febbraio 2025
“Fatti vedere” è una commedia italiana del 2024, diretta da Tiziano Russo, con protagonisti Matilde Gioli e Pierpaolo Spollon.
- Trama: Anche se la sinossi ufficiale è ancora stringata, sappiamo che la storia segue le vicende di una giovane donna alle prese con le sfide quotidiane: lavoro precario, questioni sentimentali, la difficoltà di credere in se stessa. Il tutto con il taglio scanzonato e un po’ dissacrante tipico di una certa commedia italiana contemporanea.
- Interesse: Gli interpreti sono volti apprezzati in TV (pensiamo a fiction e serie di successo), quindi ci si aspetta un certo seguito anche nelle sale. La regia di Tiziano Russo potrebbe dare ritmo e originalità.
“Diva futura”
Data di uscita italiana: 6 febbraio 2025
Un altro dramma italiano, affidato alle cure di Giulia Louise Steigerwalt (già sceneggiatrice di pellicole premiate come “Come un gatto in tangenziale” o “Croce e Delizia”) e con protagonisti Denise Capezza e Pietro Castellitto.
- Temi: L’ascesa di una giovane donna nel mondo dello spettacolo e della moda, con riflessioni sulla competizione, la mercificazione del corpo e il rapporto tra talento e immagine. Potrebbe rivelarsi un film graffiante e attuale, in grado di mettere in discussione i cliché del jet set.
Uscite fantasy e fantascienza
“Vampira umanista cerca suicida consenziente”
Data di uscita italiana: 4 febbraio 2025
Dal titolo bizzarro e provocatorio, questa commedia drammatica e fantastica diretta da Ariane Louis-Seize (produzione del 2023) è, almeno sulla carta, un’opera che mescola ironia e macabro, ponendo al centro una vampira con inclinazioni… “umaniste”.
- Trama: L’eterna ricerca di sangue del vampiro, qui ribaltata dalla volontà di non provocare sofferenza, conduce la protagonista a cercare un suicida che consenta volontariamente a lei di cibarsi.
- Perché intrigante: Il soggetto è al contempo dark e paradossale, e potrebbe avere un risvolto filosofico tutt’altro che banale, riflettendo su temi come la vita, la morte, il libero arbitrio e l’amore. Un piccolo film di nicchia, forse, ma che potrebbe sorprendere un pubblico curioso.
Uscite del 13 febbraio: tra arte, nostalgia e novità
“Queer” di Luca Guadagnino
Data di uscita italiana: 13 febbraio 2025
Hai mai provato quella sensazione strana, quasi scomoda, di essere osservato dritto nell’anima? Ecco, questo è “Queer”. Non è un film che ti accompagna dolcemente, è uno specchio spietato. Ti mette davanti quello che sei. O quello che hai paura di essere. Luca Guadagnino, con quel suo tocco unico, prende il romanzo di William S. Burroughs e lo trasforma in un viaggio. Sì, un viaggio. Crudo, disarmante. Ti scuote, ti fa a pezzi e poi prova a rimetterti insieme. E ci riesce? Forse. Forse no. Ma è questo il punto.
E tu stai lì, inerme. A guardare una storia che non è solo una storia, ma un pugno nello stomaco. Guadagnino non si limita a raccontare, lui ti trascina dentro. Ogni immagine è densa, viva. Ti fa male. Ma poi, in qualche modo, ti fa bene. Questo è “Queer”. E credimi, non è per tutti. Ma per chi si lascia trasportare, sarà indimenticabile.
Poi c’è Daniel Craig. Scordatelo in smoking, scordatelo agente segreto. Qui è un uomo distrutto, perso, che vaga in un Messico infuocato dagli anni ’50, cercando risposte che forse nemmeno esistono. Lo senti addosso quel peso, quella rabbia, quella disperazione. Ti entra dentro e non ti lascia più.
Guadagnino ti trascina, ti avvolge. Ogni scena è un frammento di qualcosa di più grande: i colori saturi, le luci che raccontano più delle parole, le atmosfere che ti fanno sentire fuori posto e incredibilmente a casa allo stesso tempo. Queer non è facile, non è comodo. Ma proprio per questo è necessario.
- Cast: Si parla di Daniel Craig nel ruolo del personaggio principale, che si muove tra Messico e Stati Uniti alla ricerca della propria identità sessuale in un’epoca (anni ‘50) densa di pregiudizi. L’ufficialità della presenza di Craig è arrivata nel 2024 e ciò ha scatenato l’interesse di critica e pubblico.
- Aspettative: Guadagnino è noto per il suo tocco elegante, che risalta la sensualità delle location e la complessità dei personaggi. Ha già dimostrato di saper trasporre opere letterarie con sensibilità (“Chiamami col tuo nome” ne è un esempio illustre). “Queer” promette di essere un viaggio introspettivo, probabilmente non privo di tensione emotiva.
“Tornando a Est”
Data di uscita italiana: 13 febbraio 2025
Dopo “Est – Dittatura Last Minute” (2020), il regista Antonio Pisu prosegue la narrazione con “Tornando a Est”, film ambientato nel 1991 e incentrato su tre amici che intraprendono un viaggio verso la Bulgaria post-comunista.
- Perché vederlo: La pellicola precedente aveva raccolto buoni consensi, mescolando commedia e riflessione storica. Questo sequel punta a raccontare un’altra tappa della transizione dell’Est Europa dopo la caduta del Muro di Berlino. Un mix di nostalgia, ironia e accenni alle reali condizioni socio-politiche dell’epoca.
Altri possibili highlight
I re-show e i festival
Non dimentichiamo che in questo periodo arrivano spesso riedizioni di film classici o proiezioni-evento legate al San Valentino e al Carnevale. Alcune sale potrebbero programmare retrospettive su registi di spicco, o addirittura riportare in sala pellicole recentissime che hanno ricevuto nomination agli Oscar (la cerimonia di premiazione si terrà tra fine febbraio e inizio marzo 2025).
Inoltre, la Berlinale (Festival di Berlino) comincia proprio a febbraio: è possibile che alcuni film vincitori o presentati in anteprima possano essere acquistati e distribuiti in Italia entro la fine del mese, pur essendo una tempistica stretta. Più verosimile che alcuni dei titoli di maggior spicco alla Berlinale siano annunciati per marzo-aprile.
Analisi e riflessioni
Guardando al quadro complessivo, emerge come febbraio 2025 sia un mese capace di offrire una significativa varietà di generi:
- Action e supereroi: “Captain America: Brave New World” è sicuramente il colosso di riferimento, destinato a dominare il box office, almeno per il pubblico mainstream amante dell’MCU.
- Cinema d’autore/drammatico: “The Brutalist” di Brady Corbet, “Queer” di Luca Guadagnino, i film italiani come “Diva futura” e “Fatti vedere” alimentano la programmazione “adulta”, orientata a spettatori in cerca di storie più intime o di riflessione.
- Anime e live action giapponesi: “Let Me Eat Your Pancreas” e il recupero di “Hello! Spank – Il Film” dimostrano che l’animazione e le storie nipponiche (drammatiche o leggere) trovano sempre più spazio e attenzione.
- Documentari e commedie italiane: “Pellizza – Pittore da Volpedo” si rivolge a un pubblico che apprezza il racconto dell’arte e della storia; “Tornando a Est” e “Vampira umanista cerca suicida consenziente” strizzano l’occhio a chi ama sperimentare generi ibridi o storie particolari.
Il ruolo della tecnologia e delle piattaforme
Non va dimenticato che, accanto alle uscite in sala, in Italia esiste un mercato streaming sempre più incisivo che spesso rischia di erodere i potenziali incassi cinematografici, specie per i film di nicchia o dal budget ridotto. Tuttavia, grazie a un inizio d’anno privo di colossi natalizi, febbraio potrebbe essere un momento favorevole per dare spazio in sala a opere che altrimenti avrebbero poca visibilità.
L’esperienza condivisa del grande schermo, unita a uscite variegate, rende febbraio 2025 un mese potenzialmente ricco di soddisfazioni per gli amanti del cinema. Inoltre, il pubblico italiano si sta lentamente riabituando a frequentare le sale con una certa costanza dopo la forte decrescita di presenze che c’è stata nel periodo 2020-2021.
Consigli pratici
- Prenotazioni: Alcune pellicole come “Captain America: Brave New World” o “Queer” di Luca Guadagnino potrebbero richiamare grande afflusso di pubblico nella prima settimana di programmazione, quindi conviene pianificare in anticipo la visione, specialmente nei cinema di città medio-grandi.
- Ricerche prima di andare al cinema: Per opere più di nicchia – ad esempio “Vampira umanista cerca suicida consenziente” – conviene verificare in quali sale verrà effettivamente proiettato. In alcune regioni, potrà essere relegato a circuiti d’essai o a cinema specializzati.
- Open mind: Se desiderate sperimentare cinema nuovo e non convenzionale, febbraio si presta a scoperte interessanti. Il mese si configura come un “ponte” tra l’eredità delle feste e la primavera; spesso le sorprese più gradevoli si nascondono in film che non hanno ricevuto campagna promozionale massiccia.
Febbraio al cinema: il mese dell’emozione e della scoperta
Siamo quindi alla vigilia di un febbraio 2025 che, dal punto di vista cinematografico, appare florido di spunti per tutti i gusti. La programmazione spazia dai blockbuster mainstream alle pellicole d’animazione giapponese, passando per i documentari d’arte e le storie più sperimentali. A risaltare su tutte è senza dubbio “Captain America: Brave New World”, che – come da tradizione MCU – diventerà probabilmente l’epicentro della curiosità generale. Tuttavia, sarebbe un peccato considerare il mese di febbraio limitatamente a quest’unica uscita: i veri appassionati potrebbero trovare storie in grado di sorprendere in pellicole meno blasonate, ma non per questo meno meritevoli.
D’altro canto, la presenza di lavori come “Queer” di Luca Guadagnino e “The Brutalist” di Brady Corbet indica che ci sarà di che discutere e confrontarsi anche nei circoli cinefili più esigenti. Non mancano gli appuntamenti per chi cerca commedie leggere (“Fatti vedere”) o documentari di spessore (“Pellizza – Pittore da Volpedo”).
Il nostro suggerimento è di tenere d’occhio la programmazione e cogliere l’occasione di una pausa invernale per gustarsi il buio della sala: sia che siate fan di supereroi, sia che preferiate i toni più autoriali o le storie romantiche, la scelta non vi mancherà. D’altronde, febbraio è anche il mese dell’amore: chissà che il cinema non diventi una bellissima occasione per un appuntamento speciale, o per regalarsi un momento di svago dopo il lungo letargo post-natalizio.
Che siate cinefili incalliti o spettatori occasionali, preparatevi: febbraio 2025 è alle porte e con esso, un’offerta variegata che aspetta solo di essere esplorata. Buona visione e buon divertimento in sala, dunque, sperando di vivere un mese di sorprese, emozioni e grandi storie proiettate sul grande schermo.
Attualità
Metropolitan di Napoli, addio a una leggenda: e adesso?

Certe volte, quando parliamo di una chiusura, usiamo termini che sembrano routine: fine di un’era, porta che si chiude, capitolo concluso. Ma, in questo caso, non è solo un’espressione di circostanza. Dal 15 gennaio 2025, uno spazio che faceva parte dell’identità stessa di Napoli – il Cinema Metropolitan, affacciato su via Chiaia – non esiste più. Giù la saracinesca, dentro il buio. E fuori, un senso di vuoto che si avverte come un colpo allo stomaco.
È un peso che non nasce solo dalla nostalgia ma dalla consapevolezza che se ne va un baluardo della cultura cittadina. Proviamo a tirare insieme i fili di questa storia, ricostruendo il passato e guardando in faccia un presente carico di incognite, con la speranza che il futuro non sia soltanto un freddo ricordo di un glorioso multisala.
Un simbolo che supera la soglia del tempo
La storia del Metropolitan parte da lontano, da un 1948 in cui Napoli tentava di riprendere fiato dopo le macerie della guerra. La città intera provava a rimettersi in piedi e in quel contesto nacque un progetto ambizioso: una sala cinematografica maestosa, con oltre tremila posti. Sembra quasi di immaginarseli, quegli imprenditori che puntavano a qualcosa di grande, coraggioso, perfino un po’ folle per l’epoca. Eppure, fu proprio quell’azzardo a trasformarsi in uno dei punti di riferimento del cinema napoletano. Per decenni, il Metropolitan è stato teatro di prime assolute, rassegne affollate, serate da tutto esaurito. Chiunque amasse la settima arte, anche solo di passaggio in città, finiva per affacciarsi a quell’ingresso e respirare un’atmosfera impossibile da replicare altrove.
Nel corso degli anni, l’edificio venne rimaneggiato, sistemato, adattato all’evoluzione tecnologica. Gli schermi si moltiplicavano, le poltrone diventavano più comode (o almeno ci si provava), e la gestione inseguiva i gusti di un pubblico sempre più esigente. Di fatto, però, la vera magia non cambiava: quando si spegnevano le luci e iniziavano i trailer, c’era quel fremito collettivo che ti ricordava di essere in un luogo speciale. Tra l’odore dei pop-corn e la sensazione di naso all’insù, la frenesia di via Chiaia restava fuori. E dentro si navigava in mondi nuovi, sospesi tra sogno e realtà.
La chiusura: un colpo di scena che sapeva di minaccia
Negli ultimi anni, la parola chiusura aleggiava già su questa sala. Qualcuno la prendeva poco sul serio, come un allarme destinato a rientrare. Altri, più pessimisti, dicevano che era solo questione di tempo. A un certo punto, però, non c’è stato più spazio per gli scongiuri. Il Metropolitan ha chiuso davvero. A decidere le sorti del locale è stata la proprietaria dell’immobile, Intesa Sanpaolo, che ha scelto di non rinnovare il contratto d’affitto. Inutile girarci intorno: quando una banca, cioè chi ha in mano i muri, dice stop, la faccenda diventa complicatissima.
A nulla è servito, almeno in questo momento, il vincolo di destinazione culturale apposto dal Ministero della Cultura, firmato all’epoca da Gennaro Sangiuliano: un tentativo di salvare l’anima di quello spazio, imponendo che non potesse trasformarsi in altro. Sulla carta, significa che l’immobile dovrebbe mantenere una finalità artistica o culturale. Nei fatti, non ha evitato lo sfratto. La serranda è rimasta chiusa e le chiavi sono state riconsegnate. Un paradosso che pesa come un macigno sull’umore di chi, fino all’ultimo, sperava in uno spiraglio.
Un investimento e un sogno spazzati via
Per mantenere vivo un multisala del genere, la gestione aveva buttato sul piatto cifre importanti. Gli stessi titolari, Giuseppe Caccavale e Nicola Grispello, avevano dichiarato di aver speso più di un milione di euro negli ultimi anni, per adeguare impianti, sedute, tecnologie, in modo da offrire un’esperienza competitiva. Il tutto perché, per quanto ci si illuda che i luoghi storici sopravvivano solo grazie ai ricordi, la verità è che occorrono risorse continue per stare al passo con il mercato. Eppure, non è bastato.
Lo sconforto riguarda anche i dipendenti: una ventina di persone, considerando collaboratori fissi e stagionali. Alcuni di loro avevano dedicato al Metropolitan venti, trent’anni di vita lavorativa. Non si tratta solo di posti di lavoro persi, ma di un bagaglio di esperienza che si sgretola. In una città come Napoli, legatissima alle proprie radici e alle proprie tradizioni, il contraccolpo è amplificato dal fatto che quelle facce dietro al bancone o in biglietteria erano parte integrante del rituale della serata al cinema. Sorrisi familiari che non rivedremo più in quelle stanze buie.
Il vincolo culturale: un’arma spuntata?
Il decreto ministeriale che legava il destino dell’edificio alla cultura pareva una scialuppa di salvataggio. Qualcuno pensava: “Se non si può trasformare in un altro negozio o in un parcheggio, allora il Metropolitan non morirà.” Ma la faccenda si è rivelata più intricata. L’addio alla vecchia gestione si è consumato comunque, e ora ci si chiede se qualcuno, in futuro, prenderà in mano la situazione.
Sulla carta, il vincolo obbliga la proprietà a mantenerne l’uso culturale. Ma le vie legali, si sa, possono diventare labirinti. E finché non ci sarà un nuovo progetto, l’ex tempio del cinema potrebbe restare malinconicamente vuoto o, peggio, entrare in un limbo di trattative. È un po’ come se ci fosse un luogo consacrato all’arte, che nessuno può profanare ma che resta chiuso a doppia mandata.
Napoli reagisce: indignazione e voglia di riscatto
La notizia non ha colto nessuno impreparato, eppure la reazione popolare è stata fortissima. Molti napoletani si sono sentiti defraudati di un pezzo della loro storia. Qualcuno ha paragonato la chiusura a una ferita collettiva. Non è strano che sulla Rete siano spuntate petizioni e appelli al Comune, alla Regione, perfino al Governo.
Da più parti, si sollecitano soluzioni alternative: un tavolo di confronto, un intervento diretto delle istituzioni, perfino l’idea di una cooperativa che rilevi la sala. Il Comune, con il Sindaco Gaetano Manfredi, si è detto disposto a partecipare a una trattativa, se Intesa Sanpaolo e la vecchia gestione accetteranno di sedersi a discuterne. Come va spesso in questi casi, tutto si giocherà sulla volontà politica e sulla concretezza economica. Perché la buona volontà, da sola, non basta.
L’analisi economica: la crisi delle sale cinematografiche
In molti si domandano: “Ma si poteva davvero salvare?” Siamo onesti: gestire un cinema nel cuore di una grande città non è una passeggiata. I costi lievitano: affitti alti, manutenzione continua, promozioni da realizzare per stare al passo con la concorrenza delle piattaforme streaming, che ormai tengono il pubblico incollato al divano di casa. Negli ultimi tempi, poi, la pandemia ha dato un’ulteriore spallata a un sistema già sotto pressione.
I numeri delle presenze nelle sale, pur con qualche picco di risalita, non raggiungono più i fasti di qualche decennio fa. Eppure, resta la sensazione che il Metropolitan, in quanto simbolo, avrebbe potuto provare un’ulteriore trasformazione: forse un cinema che diventa anche sala eventi, o spazio ibrido dedicato a concerti, mostre, dibattiti culturali, pur di restare in vita. Non c’è stata però la spinta – o l’occasione – per questa mutazione. O almeno non nei tempi necessari a scongiurare la chiusura.
Una perdita collettiva: più di un edificio
Pensare al Metropolitan come a un semplice immobile è riduttivo. Per decenni è stato un luogo di aggregazione, dove le differenze sbiadivano nel buio della proiezione. Varcare quella soglia voleva dire entrare in una dimensione protetta, dove la quotidianità si fermava per qualche ora. C’è chi, negli anni, vi ha festeggiato ricorrenze con gli amici, chi ha portato la persona amata a vedere l’ultimo film romantico, chi ci si è rifugiato per scappare dalla routine. Una sala cinematografica è sempre un mondo a parte, ma quando diventa parte di una città come Napoli, allora trascende il suo ruolo di spazio per proiezioni e diventa patrimonio condiviso.
Oggi via Chiaia sembra un po’ più spoglia. Quell’insegna, che per tanti anni ha illuminato l’angolo di strada con i cartelloni dei film in arrivo, non brilla più. E la hall, dove si acquistavano biglietti e pop-corn, è ridotta a un vuoto che mette addosso una certa tristezza. Tutti ne parlano, come di un lutto. Molti lo considerano un funerale culturale. E la domanda che serpeggia è: E adesso cosa ci metteranno? Un brand d’abbigliamento di lusso? Un negozio di accessori? O magari un parcheggio? L’ombra di un banale riutilizzo fa venire i brividi. Ma, per ora, è solo una triste ipotesi che nessuno vorrebbe veder realizzata.
Possibili sviluppi: speranze e interrogativi
Eppure, qualcosa si muove. Sottovoce, tra mille difficoltà, c’è chi non si arrende. Si parla, si discute, ci si guarda negli occhi sperando di trovare un modo, un varco, una soluzione per questo spazio che tutti sentiamo come “nostro”. Certo, la strada è tutta in salita. La politica dice la sua, le istituzioni si barcamenano, ma c’è chi crede davvero che il vincolo culturale imposto dal Ministero non sia solo un pezzo di carta. C’è voglia di non lasciarlo cadere, quel vincolo. Di usarlo come una leva, per smuovere tutto. Nel frattempo, si sentono nomi, idee, progetti.
E poi spunta questa proposta: trasformare il vecchio Metropolitan in un polo culturale polivalente. Bello sulla carta, vero? Una di quelle idee che ti fanno sognare: uno spazio che non sia solo cinema ma un po’ tutto. Proiezioni, concerti, eventi teatrali, magari laboratori per i ragazzi. Un posto vivo, dove ogni angolo vibra di emozioni, di gente. Ma è dura, ci vuole qualcuno che ci creda davvero. Uno con il cuore grande e le spalle ancora più larghe. Un progetto che non evapori al primo soffio di difficoltà. Per ora, tutto resta sul filo, sospeso tra speranza e paura di vedere svanire anche questa visione.
Domande aperte in una città che vive di cultura
A Napoli, la cultura non è un lusso. È un elemento essenziale per il cuore e la mente dei cittadini. Un teatro, un cinema, un’esposizione: tutto viene vissuto come qualcosa di profondamente identitario, perché qui l’arte è un modo di respirare. Eppure, capita che proprio questi luoghi vadano in crisi. La chiusura del Metropolitan è un segnale doloroso, un monito a non dare mai per scontato quello che si ha. Ricorda a tutti noi che senza un piano di tutela e valorizzazione, neppure i simboli più amati sono al sicuro.
E allora, c’è chi si interroga: come fermare l’emorragia di spazi dedicati alla cultura, in una metropoli che ancora si nutre di musica, cinema, teatro, letteratura? Le piattaforme di streaming e il cinema casalingo hanno cambiato il nostro rapporto col grande schermo, è vero, ma l’esperienza collettiva di una sala buia rimane insostituibile. Chi ha mai conosciuto l’emozione di un applauso spontaneo alla fine del film, o la condivisione di un momento di suspense con sconosciuti seduti vicini, sa bene di cosa si parla.
Il futuro di via Chiaia
Al Metropolitan, per ora, si è spenta la luce. I manifesti delle ultime programmazioni sono rimasti come reliquie appese a un tempo che pare lontano, anche se sono passate poche settimane. E in tanti si domandano se questo addio resterà definitivo, o se c’è spazio per un ritorno, una resurrezione in chiave moderna. Il vincolo culturale, gli appelli delle associazioni, le petizioni popolari: tutto concorre a mantenere viva la fiammella di speranza. Ma chiunque abbia un occhio realista sa che, senza un accordo concreto o un progetto solido, il Metropolitan rischia di marcire nel silenzio o, peggio, diventare qualcos’altro del tutto estraneo alla sua natura originaria.
Noi, come redazione, continuiamo a seguire la vicenda perché riguarda tutti, non solo i nostalgici o i cinefili più accaniti. Quando chiude un cinema, una città diventa un pochino più povera. E la mancanza di un luogo storico come il Metropolitan non è soltanto una ferita per i lavoratori rimasti senza impiego, ma anche un buco nell’anima culturale di Napoli. Da parte nostra, promettiamo di non abbandonare l’argomento, di informare e dove possibile, di sostenere chi si sta battendo perché quella soglia d’ingresso, un giorno, possa essere di nuovo varcata per assistere a un film o a un qualunque evento capace di restituire dignità a uno spazio prezioso. Perché un the end definitivo non è detto che sia già scritto. Forse, siamo soltanto arrivati a un cliffhanger e di solito, dopo un cliffhanger, c’è sempre una nuova stagione. E noi, testardi, vogliamo crederci.
Attualità
Donald Trump torna Presidente: cosa significa per l’America e il mondo

Ieri, 20 gennaio 2025, è successo qualcosa che, piaccia o no, ha fatto parlare il mondo intero: Donald Trump ha giurato di nuovo come Presidente degli Stati Uniti, diventando il 47º nella storia del Paese. È un ritorno in scena dopo quattro anni fuori dai giochi, un colpo di scena che ha ribaltato pronostici e aspettative. Ha battuto Joe Biden, sì, ma anche quel terzo candidato indipendente che per un po’ sembrava potesse sparigliare le carte in qualche stato cruciale. E così eccoci qui. Curiosità, tensioni, applausi, proteste… un mix esplosivo che ha reso questa giornata indimenticabile.
Ma sai cosa? C’è stato pure un imprevisto. Quel freddo gelido che ti entra nelle ossa e non ti lascia scampo: -10 °C. Un freddo che ha costretto tutti a ripiegare all’interno, nella Rotonda del Campidoglio. Una decisione presa in extremis, roba che non si vedeva dai tempi di Reagan, nel lontano 1985. È lì, in quell’atmosfera raccolta, quasi soffocante, che Trump ha iniziato ufficialmente il suo secondo mandato. Non il solito spettacolo grandioso del National Mall, niente folla oceanica, ma qualcosa di più intimo, ecco. Strano, forse un po’ malinconico ma comunque potente. Come a dire: “Sono tornato e ora si fa sul serio.”
Proviamo a capirci, no? Trump è tornato alla Casa Bianca e, diciamolo, non è successo per magia. Per capire come abbia fatto, dobbiamo tornare indietro e dare un’occhiata a quello che è successo negli ultimi anni. Quando ha lasciato la presidenza nel 2021, il clima era a dir poco esplosivo: c’era stata quella storia del Campidoglio, il 6 gennaio, un caos totale, con i suoi sostenitori coinvolti e accuse che lo hanno seguito ovunque. Insomma, non proprio il modo migliore per salutare la scena politica. Eppure, eccolo di nuovo qua.
Con Biden le cose non sono andate lisce, per niente. Pandemia? Ancora lì, con varianti meno letali ma che continuavano a fare danni. Economia? Un disastro, con una mini-recessione nel 2023 che ha colpito duro. Prezzi alle stelle, benzina, cibo, energia… la gente era esasperata, specialmente chi viveva già con l’acqua alla gola. E sai com’è, quando la vita si fa dura, la gente vuole risposte, soluzioni e Biden, secondo molti, non le ha date.
Trump, astuto com’è, ha preso al volo l’occasione. Ha parlato di “rimettere tutto a posto”, di fare di nuovo grande l’America, di proteggere i confini e ridurre le tasse. Ha girato in lungo e in largo stati chiave come Michigan e Pennsylvania, promettendo muri, sicurezza e lavoro. E poi c’era quella parte di elettori repubblicani che non hanno mai digerito la sconfitta del 2020, convinti che fosse stata una fregatura. Trump ha giocato su questo, lo ha usato per tenere viva la sua base.
Alla fine, nel 2024, Biden ha perso. Non solo per l’insoddisfazione generale, ma anche perché quel terzo candidato, moderato ma piuttosto inutile, ha tolto voti proprio a lui. E così, con margini risicati negli stati più in bilico, Trump si è ripreso la Casa Bianca. Un ritorno che, nel bene o nel male, ha lasciato tutti a bocca aperta.
Gli ospiti internazionali e i grandi assenti
Dentro la Rotonda si respirava un’atmosfera carica di tensioni e curiosità. Tra le personalità di spicco, tutti gli occhi erano puntati su Javier Milei, il presidente argentino. Sì, proprio lui, quello che in passato ha più volte elogiato Trump senza mezzi termini. Le telecamere lo pizzicavano ovunque: chiacchierava con i membri del Congresso repubblicano, gesticolava, sembrava a suo agio. Sembrava, in poche parole, che ci fosse una certa sintonia tra due leader visti come “outsider” nei loro rispettivi mondi.
E poi, un altro nome che ha fatto scalpore: Giorgia Meloni. Premier italiana, unica rappresentante ufficiale dell’UE all’evento. I giornali internazionali – dal New York Times a Le Monde – ne hanno parlato tanto. La vedono vicina a Trump, ideologicamente parlando. Ma dall’Italia? Fonti del Ministero degli Esteri smorzano subito i toni: “Un atto di rispetto istituzionale, niente di più.” Certo, facile a dirlo.
E chi mancava? Gli Obama. Né Michelle né Barack. Nessuna sorpresa, davvero. Michelle, in una nota riportata da Politico, ha detto chiaro e tondo che “non avrebbe senso partecipare a un evento che rappresenta valori e visioni così lontani dai nostri”. E poi c’è stato Viktor Orbán, il premier ungherese, uno che con Trump si è sempre trovato in sintonia. Stavolta però, niente da fare: da Budapest dicono che aveva “altri impegni.” Impegni, eh? Suona quasi ironico.
Il discorso di insediamento
E il discorso? Ah, il discorso… Trump, dopo aver giurato sulla Bibbia come quattro anni fa, è salito sul palco e ha iniziato a parlare. Era atteso, tutti lo sapevano. Fox News, CNN, MSNBC… tutte le emittenti collegate, milioni di persone a guardare, chi con entusiasmo, chi con rabbia, chi solo per curiosità. Un discorso di venti minuti che per alcuni saranno sembrati un’eternità, per altri un soffio.
E cosa ha detto? Beh, ha promesso una “nuova età dell’oro” per l’America. Parole grosse, no? Ha parlato di proteggere il paese da ogni minaccia, interna o esterna. Ma non erano solo parole, erano come un grido di battaglia, qualcosa che o ti infuoca o ti fa alzare il sopracciglio. Per lui, tutto gira intorno a un’idea: rimettere l’America al centro, sempre al centro. Un po’ esagerato? Forse. Ma è Trump e lui sa come far parlare di sé.
Trump ha rimarcato che la sua priorità sarà “proteggere i confini” e “riportare l’ordine nelle città afflitte da criminalità e immigrazione fuori controllo.” Ha poi lanciato un monito ai Paesi alleati, soprattutto in ambito NATO, affermando che “l’America non intende più sostenere da sola il peso della difesa dell’Occidente.” Ha infine aggiunto: “Chi pretende l’aiuto degli Stati Uniti, deve essere pronto a condividere costi e responsabilità.” Un passo ulteriormente polemico ha riguardato le questioni climatiche, con l’annuncio che gli Stati Uniti usciranno definitivamente dal rinnovato Accordo di Parigi e che sarà cancellata ogni forma di adesione a progetti green ritenuti dannosi per la competitività industriale americana.
Nel passaggio finale, Trump ha ripetuto lo slogan che ha caratterizzato la sua nuova campagna elettorale, “America First, Always!” e ha concluso con un riferimento al suo passato: “Nel 2016 vi ho promesso di rendere di nuovo grande l’America. Abbiamo trovato ostacoli, tradimenti e bugie. Ma adesso, da qui, rifacciamo tutto e lo rifacciamo più in grande, meglio di prima”. Un discorso che per molti versi ricalca il registro nazional-populista di cui è stato maestro durante la sua prima avventura presidenziale.
Le prime misure: ordini esecutivi, politica estera e grazia ai coinvolti nell’assalto del Campidoglio
La sera del 20 gennaio, quando tutto sembrava essersi finalmente calmato dopo una giornata intensa, Trump ha fatto subito il botto. Senza perdere tempo, ha firmato una serie di ordini esecutivi che hanno lasciato tutti – chi esterrefatto, chi furioso, chi entusiasta – con qualcosa da dire. Il primo? L’uscita lampo degli Stati Uniti dall’OMS. Sì, hai capito bene. Boom! Una mossa che ha mandato la comunità scientifica su tutte le furie: “E adesso, chi coordina le prossime pandemie?” si chiedono in molti. Ma lui, niente, avanti come un treno.
E non è finita qui. Poco dopo, ha detto addio al Green Deal. Quell’accordo ecologista dei Democratici? Stracciato, via. Perché, secondo lui, le energie rinnovabili sono solo un freno all’America produttiva. E qui già c’era chi urlava al tradimento. Poi, ciliegina sulla torta, ha tagliato le tasse federali alle imprese. “Dobbiamo rimettere in moto il nostro motore interno,” ha detto. E, come se non bastasse, ha riaperto i rubinetti per completare quel famigerato muro col Messico. Il muro, sì, proprio quello. Nuovi fondi, più controlli e via di restrizioni sull’immigrazione. Da una parte applausi scroscianti tra i Repubblicani, dall’altra grida di “politiche divisive!” dai Democratici.
Ma la vera bomba? Quella che ha fatto alzare tutti dalle sedie, è stata la grazia. Ha concesso una sorta di amnistia a chi è stato condannato o attende giudizio per le violenze del 6 gennaio 2021. Sì, proprio quella giornata buia al Campidoglio. Ha detto che vuole “ricucire le ferite, lasciarci il passato alle spalle.” Ma la reazione è stata feroce. “Sta riscrivendo la storia!” hanno urlato in tanti, stampa liberal in testa. E chi lo ferma ora?
Il caso Elon Musk alla Capital One Arena
Una parentesi controversa ha riguardato Elon Musk, presente a Washington in occasione delle celebrazioni ma non invitato ufficialmente alla cerimonia. Il visionario imprenditore, CEO di Tesla, SpaceX e proprietario di alcune piattaforme social, era stato ospite di un evento parallelo organizzato alla Capital One Arena per discutere di nuove tecnologie legate alla difesa. Durante il suo intervento sul palco, Musk avrebbe alzato un braccio in un gesto equivocabile, che alcune testate, tra cui Sky TG24, hanno associato a un saluto di impronta neofascista. Nel giro di poche ore, sui social è esplosa una polemica internazionale. Musk ha respinto ogni accusa, descrivendo quel gesto come un semplice “cenno di saluto mal interpretato”, ma sul web c’è chi chiede che il miliardario venga messo sotto osservazione per l’influenza che esercita su milioni di utenti.
Secondo The Guardian, l’episodio testimonia la delicatezza del contesto politico statunitense attuale: un ambiente in cui i simboli e i gesti hanno un impatto mediatico enorme e possono infiammare il dibattito in pochissimo tempo. L’entourage di Trump ha commentato sbrigativamente la questione, dichiarando che Musk “non rappresenta in alcun modo il pensiero del Presidente e che eventuali malintesi sono solo frutto di superficialità nel giudicare una situazione privata.”
Le proteste dentro e fuori Washington
Fuori dalla Rotonda, mentre i “pezzi grossi” si scambiavano sorrisi e strette di mano, la tensione si tagliava con il coltello. Giorni prima dell’Inauguration Day, già si sentiva l’aria pesante: cortei annunciati, cartelli pronti, gente stufa di sentire sempre le stesse promesse. E così è stato.
Un freddo cane, ma questo non ha fermato le duemila anime che si sono radunate al National Mall. “Not My President,” “Stop Dividing America” – slogan gridati, mani alzate, occhi che bruciavano più del gelo. E poi? Poi ci sono stati sguardi storti, urla da una parte e dall’altra. Sostenitori di Trump e manifestanti a pochi metri, come benzina e fiammiferi. Ma per fortuna la polizia, la Guardia Nazionale e pure agenti in borghese hanno fatto il loro, evitando che le cose degenerassero davvero.
E non era solo Washington. No, no. New York, Los Angeles, Chicago, Seattle… ovunque il malcontento si sentiva forte. In California, per esempio, femministe, ambientalisti e tante altre associazioni si sono messe in marcia, protestando contro politiche che sembrano voler fare un salto indietro nel tempo. E la stampa? Quella progressista è andata giù pesante. Editoriali duri, come quelli di The Nation e Mother Jones, hanno parlato di un’America sull’orlo di nuove fratture, pronte a diventare ancora più profonde. Insomma, mentre dentro si celebrava, fuori si lottava. Due mondi che si sfiorano ma che sembrano sempre più lontani.
La reazione della comunità internazionale
Sul fronte internazionale, le reazioni all’insediamento di Trump sono apparse discordanti. Da un lato, i leader di Cina e Russia hanno manifestato un cauto ottimismo per possibili distensioni: Pechino, in particolare, auspica di riaprire alcuni tavoli commerciali saltati con Biden, pur restando in allerta rispetto alla posizione di Trump sulla questione di Taiwan e sulla guerra tecnologica. Dall’altro lato, i partner storici degli Stati Uniti in Europa, eccezion fatta per l’Italia rappresentata da Giorgia Meloni, hanno adottato un profilo basso, inviando le classiche note di congratulazioni ma evitando discorsi ufficiali o delegazioni di alto livello a Washington.
L’Unione Europea, dalla quale non era presente alcun leader di spicco, rimane guardinga di fronte ai proclami protezionisti di Trump. Dalla Commissione Europea sono trapelate fonti che parlano di “grande preoccupazione” per i potenziali sviluppi sulle politiche commerciali e sulle sanzioni verso aziende europee ritenute troppo invadenti del mercato statunitense. In Medio Oriente, l’Arabia Saudita si è detta aperta a collaborare con la nuova amministrazione, mentre l’Iran ha condannato duramente l’atteggiamento di Trump sulla questione nucleare, rigettando la possibilità di sedersi a nuovi negoziati in queste condizioni.
Nel frattempo, sul piano diplomatico, è probabile che i primi viaggi internazionali della presidenza Trump siano in destinazioni considerate più amichevoli. Secondo alcuni analisti citati da Axios, i paesi del Golfo Persico e Israele potrebbero essere le prime tappe, ricalcando la logica del suo precedente mandato.
Prospettive economiche e di politica interna
Diciamolo chiaro e tondo: la prima vera sfida del nuovo Trump sarà l’economia. La recessione del 2023? Sì, finita, ma l’inflazione è ancora lì che morde… e la crescita? Lenta. Lui ha subito tirato fuori la carta del taglio delle tasse alle imprese. “Stimolare le aziende locali, riportare i soldi dall’estero.” Facile a dirsi, eh? Ma Paul Krugman e altri economisti dicono: “Occhio!” Perché? Perché il debito pubblico potrebbe esplodere e i ricchi potrebbero diventare ancora più ricchi. E i poveri? Peggio.
E poi, c’è la società. Spaccata come non mai. Obamacare, diritti civili, aborto… roba che potrebbe scoppiare da un momento all’altro, soprattutto se la Corte Suprema, che è tutta conservatrice, dovesse mettere mano a certi casi. Trump, nel suo discorso? Zitto su queste cose. Ma gli analisti sono pronti a scommettere che saranno la prossima polveriera. Immagina: California e New York, con governatori democratici, pronti allo scontro con Washington. Uno spettacolo.
E sai cosa c’è ancora? Il pallino di Trump. La riforma del sistema elettorale. Durante i comizi del 2024, ha urlato ai quattro venti: “Il sistema è truccato! Brogli ovunque!” Prove? Zero. Ma ci scommetti che proverà a convincere il Congresso repubblicano a mettere mano a tutto? Limitare il voto anticipato, il voto per posta… insomma, più che una riforma sembra un’ossessione. Vedremo se riuscirà a farla passare.
Il ruolo del Congresso e la sfida dei media
Con un Senato e una Camera dei Rappresentanti leggermente a vantaggio dei repubblicani, Trump parte da una posizione di discreta solidità politica, almeno per i primi tempi. La leadership del Partito Repubblicano sembra al momento intenzionata a sostenere le misure presidenziali, in quanto punta a consolidare il potere nelle istituzioni chiave e a disegnare nuovi equilibri a lungo termine. Tuttavia, esiste anche un’ala più moderata del GOP, che teme possibili derive estreme e ripercussioni su quell’elettorato indipendente che ha garantito ai repubblicani la vittoria in stati un tempo considerati in bilico.
Per quanto riguarda i media, lo scontro con Trump è già accesissimo. L’ex presidente ha più volte definito i grandi network di informazione “fake news,” con particolare acrimonia nei confronti di CNN e MSNBC. È noto che il tycoon ami comunicare direttamente con i suoi elettori attraverso piattaforme social, alcune delle quali, durante la sua assenza dalla Casa Bianca, gli avevano perfino limitato l’uso. Adesso, con un potere istituzionale rinnovato, potrebbe tentare pressioni per limitare la libertà di azione di tali piattaforme, accusate da lui di parzialità e di censura nei confronti di opinioni conservatrici.
Nelle prime conferenze stampa dei portavoce della nuova amministrazione, si è percepito un deciso cambio di tono rispetto all’era Biden. I rapporti con i giornalisti sono apparsi subito tesi, specie quando si è toccato il tema dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 e della conseguente grazia concessa da Trump. Potremmo assistere a un conflitto istituzionale e mediatico che, se non gestito, rischia di compromettere ulteriormente la fiducia nell’informazione e nelle istituzioni.
Il futuro dell’America sotto il secondo mandato Trump
La giornata del 20 gennaio 2025, con la sua cerimonia a porte semi-chiuse e i tanti provvedimenti annunciati, apre a scenari che potrebbero ridefinire gli assetti geopolitici e interni degli Stati Uniti. Se da un lato molti americani sostengono con entusiasmo questa nuova fase, sperando che la politica economica di Trump rilanci la produzione nazionale e riduca disoccupazione e criminalità, dall’altro lato numerosi cittadini e oppositori temono un ritorno a politiche divisive, isolazioniste e potenzialmente lesive dei diritti civili.
Immagina la scena: piazze che si riempiono, gente che non riesce più a stare zitta. Le proteste partono piano, ma potrebbero trasformarsi in un fiume in piena, soprattutto se le politiche di Trump dovessero colpire duro le fasce più fragili o le comunità etniche. E sì, il Congresso è repubblicano, quindi potrebbe far passare un sacco di leggi. Ma attenzione: governatori democratici, attivisti e cittadini arrabbiati potrebbero trasformare questa legislatura in un campo di battaglia politico come non si è mai visto.
E fuori dagli USA? Altro che calma piatta. Trump, con il suo stile diretto, potrebbe ribaltare tutto: accordi commerciali saltati, alleanze globali traballanti, e un bel “me ne frego” sugli impegni climatici e sull’OMS. L’America prima di tutto, dicono. Ma a che prezzo? La stabilità di regioni già fragili potrebbe andare a farsi benedire e la politica estera americana diventare una partita giocata da solista, senza più preoccuparsi di essere il “leader del mondo libero”.
Ora che la cerimonia è conclusa e Donald Trump si è ufficialmente insediato, le prossime settimane saranno cruciali per comprendere se i toni utilizzati in campagna elettorale si tradurranno immediatamente in azioni concrete o se, come spesso accaduto nella storia americana, si assisterà a un leggero ammorbidimento dovuto ai meccanismi istituzionali di checks and balances.
Un giorno che cambia tutto
Il 20 gennaio 2025, dunque, sarà ricordato come una giornata che ha detto tutto e il contrario di tutto. Un freddo che gelava il respiro, una cerimonia spostata in extremis, un discorso che ha tirato fuori vecchie promesse con una voce che molti avevano quasi dimenticato. E poi quegli ordini esecutivi: una scure calata su anni di politiche opposte, una rottura netta che non lascia spazio a compromessi.
Alla Casa Bianca? Si respira aria di déjà vu. Facce conosciute, uomini d’affari che ritornano in scena, vecchi fedelissimi pronti a ricominciare da dove si erano fermati. Fuori, però, il clima è tutt’altro che disteso: c’è chi esulta, vedendo in Trump un salvatore, un baluardo di libertà e chi teme il peggio – passi indietro su diritti, ambiente, conquiste sociali. E il mondo? Il mondo guarda, incerto, sospettoso, chiedendosi quale ruolo vogliano giocare ora gli Stati Uniti.
Le prossime settimane saranno una prova del fuoco. Ogni scelta, ogni mossa, ogni silenzio saranno analizzati al microscopio. Grandezza promessa o disgregazione temuta: tutto è in gioco, tutto è incerto. Ma una cosa è sicura: con Trump non ci sono mezze misure. O lo ami, o lo detesti. E questa è, nel bene o nel male, la forza di una democrazia viva, caotica, appassionata.
Noi continueremo a raccontarvi tutto. Gli sviluppi, le sfide, i passi avanti o i passi falsi. Perché in momenti così, il nostro compito non è guardare altrove, ma osservare, capire, raccontare. La storia si sta scrivendo ora e spetta a noi leggerla con attenzione, col cuore e con la mente.
Attualità
Festival di Sanremo 2025: Tutto ciò che abbiamo scoperto sulle cinque serate che...

Parlare del Festival di Sanremo non è mai una faccenda semplice. Ogni anno, di solito, ci troviamo sommersi da notizie, indiscrezioni, fotografie e centinaia di opinioni contrastanti. Eppure, puntualmente, quella settimana dedicata alla canzone italiana riesce a catalizzare la nostra attenzione, a tenerci incollati allo schermo come se fosse la prima volta che ne sentiamo parlare. E allora, sì, eccoci di nuovo qui, pronti a raccontarvi tutto quello che occorre sapere, ma in modo un po’ diverso dal solito: con un tono più vicino, più vivo, più pulsante. Perché alla fine, anche se siamo un giornale e c’è un certo distacco formale da mantenere, vogliamo condividere con voi un batticuore autentico. Un batticuore che ogni anno si ripete e che, in qualche strano modo, ci fa sentire parte di una grande famiglia.
SANREMO 2025: PANORAMICA GENERALE E DATE DA SEGNARE
Molti di noi potrebbero star pensando: “Ma siamo già nel 2025, come vola il tempo!” E in effetti sembra ieri che si commentava il trionfo dei vincitori della scorsa edizione ma la kermesse più famosa del nostro Paese è di nuovo dietro l’angolo. Stavolta parliamo di un traguardo davvero importante, ossia la 75ª edizione del Festival di Sanremo.
Le date da cerchiare in rosso sul calendario sono l’11, 12, 13, 14 e 15 febbraio 2025. Cinque serate consecutive, come da tradizione, che verranno trasmesse in diretta televisiva su Rai1, in radio su Radio2 e in streaming su RaiPlay.
L’evento si terrà, come sempre, nel leggendario Teatro Ariston. Quell’Ariston che ci siamo abituati a vedere al centro di polemiche, performance mozzafiato, lacrime di gioia o sguardi imbarazzati, e che fa sempre un certo effetto. Ecco, immaginate di essere anche voi sullo stesso palcoscenico a cantare: c’è un brivido che ti corre lungo la schiena, un brivido che profuma di storia.
NUMERI E CURIOSITÀ DI UN FESTIVAL CHE COMPIE 75 EDIZIONI
Ogni anno, l’organizzazione del Festival ci offre una serie di numeri che, in qualche modo, fanno sorridere e riflettere. A volte si tratta di statistiche un po’ strampalate, altre volte di dati che ci rendono conto di come Sanremo sia un microcosmo di storie e coincidenze incredibili.
Per Sanremo 2025 si contano 30 artisti in gara tra i Big, ciascuno con un brano inedito. Questi 30 progetti musicali sono rappresentati da un totale di 40 persone, perché, tra le fila dei concorrenti, compaiono band, duetti e persino un quartetto.
Da un lato troviamo la più giovane in gara, Sarah Toscano, che ha appena compiuto 18 anni e viene definita come una delle promesse più fresche e disinvolte del panorama pop. Dall’altro, spunta la leggenda di Massimo Ranieri, 73 anni, che ancora una volta si rimette in gioco su quel palco che l’ha visto crescere e in parte, l’ha consacrato.
E poi c’è la questione dei “veterani” che hanno vinto in passato: i numeri ci dicono che sono quattro coloro che già stringono tra le mani un trofeo di Sanremo. È un po’ come quando si mette in tavola un mazzo di carte: qualche asso salta sempre fuori. Nello specifico, figurano i nomi di Ranieri, Giorgia, Simone Cristicchi e Francesco Gabbani.
Non mancano coloro che hanno avuto un passaggio all’Eurovision – o come spettatori o come rappresentanti ufficiali: anche in questo caso troviamo Ranieri, Gabbani e Francesca Michielin. Inoltre, segnaliamo che otto dei brani in concorso sono presentati da artisti che non hanno mai calcato il palco dell’Ariston in gara come Big.
Se diamo un’occhiata ai record di partecipazione, ci sorprende forse scoprire che la più presente in questa edizione è Marcella Bella con le sue nove partecipazioni (due delle quali in compagnia del fratello Gianni). Subito dietro troviamo Ranieri e Noemi con otto presenze ciascuno.
I PROTAGONISTI IN GARA: VETERANI, ESORDI E RITORNI TANTO ATTESI
Sanremo, si sa, è una calamita per chiunque abbia fatto della musica la sua passione di vita. Ci sono quelli che sognano di salirci per la prima volta e c’è chi forse potrebbe dire di non averne più bisogno, perché tanto la notorietà l’ha già conquistata. Eppure, alla fine, il fascino di competere su quel palco ha la meglio su ogni altra considerazione.
Prima di dare uno sguardo più ravvicinato ai singoli nomi e a ciò che si portano dietro, qui ci piace fare una breve riflessione: quanto conta, per la carriera di un musicista, vivere quei cinque giorni intensi all’Ariston? Tantissimo, inutile girarci intorno. A volte, per un giovane emergente, basta un’esibizione ben riuscita per far esplodere la popolarità. Per un big navigato, invece, Sanremo diventa un modo per raccontarsi di nuovo, per mettersi alla prova e provare persino la vertigine del rischio.
Insomma, la formula non è mai scontata. E dietro ogni nome c’è un universo di storie, di sacrifici, di notti insonni, di litigate con i produttori, di idee nate in un bar alle tre del mattino, di successi clamorosi e di bruschi scivoloni.
Le 30 canzoni e i 30 artisti
Prima di dividerli in gruppi ideali (veterani, novità, ecc.), vogliamo darvi una lista – che non è affatto la scaletta di una delle serate, ma giusto un elenco di chi troveremo in competizione:
- Achille Lauro – “Incoscienti giovani”
- Bresh – “La tana del granchio”
- Brunori Sas – “L’albero delle noci”
- Clara – “Febbre”
- Coma_Cose – “Cuoricini”
- Elodie – “Dimenticarsi alle 7”
- Emis Killa – “Demoni”
- Fedez – “Battito”
- Francesca Michielin – “Fango in Paradiso”
- Francesco Gabbani – “Viva la vita”
- Gaia – “Chiamo io chiami tu”
- Giorgia – “La cura per me”
- Irama – “Lentamente”
- Joan Thiele – “Eco”
- Lucio Corsi – “Volevo essere un duro”
- Marcella Bella – “Pelle diamante”
- Massimo Ranieri – “Tra le mani un cuore”
- Modà – “Non ti dimentico”
- Noemi – “Se t’innamori muori”
- Olly – “Balorda nostalgia”
- Rkomi – “Il ritmo delle cose”
- Rocco Hunt – “Mille vote ancora”
- Rose Villain – “Fuorilegge”
- Sarah Toscano – “Amarcord”
- Shablo feat. Guè, Joshua & Tormento – “La mia parola”
- Serena Brancale – “Anema e core”
- Simone Cristicchi – “Quando sarai piccola”
- The Kolors – “Tu con chi fai l’amore”
- Tony Effe – “Damme ‘na mano”
- Willie Peyote – “Grazie ma no grazie”
Questa è la formazione con cui vivremo sorprese e possibili delusioni. E chissà: magari proprio uno di questi brani, sentito per la prima volta tra l’11 e il 15 febbraio, diventerà la colonna sonora della vostra estate o, perché no, del vostro prossimo viaggio in macchina con gli amici.
DAI VETERANI INTRAMONTABILI ALLE NOVITÀ SPIAZZANTI
Se c’è una cosa che caratterizza la selezione di quest’anno, è l’incontro tra due mondi apparentemente distanti. Da una parte i grandi classici, i nomi che si portano dietro un bagaglio di festival, dischi di platino, esperienze televisive e – perché no – qualche ospitata in film o fiction. Dall’altra, figure emergenti che magari hanno sfondato grazie a un talent show, oppure hanno conquistato un bacino di pubblico importante con i social.
Fra i veterani troviamo
- Massimo Ranieri, che ormai fa parte dell’ossatura stessa della musica leggera italiana. Partecipò per la prima volta giovanissimo e oggi si ripresenta con una consapevolezza e un’umiltà che si mischiano alla determinazione di chi vuole dimostrare di avere ancora moltissimo da raccontare.
- Marcella Bella, che con questa colleziona ben nove presenze in gara. Non so se vi è mai capitato di sentire “Montagne verdi” in radio durante un viaggio; se sì, potete immaginare quanto la sua voce abbia fatto parte del nostro bagaglio emotivo.
- Giorgia, che ha un palmarès di tutto rispetto: vinse nel 1995, quando la sua “Come saprei” stregò il pubblico e la giuria e di recente è tornata più volte, mantenendo intatta quella vocalità che – diciamolo – lascia sempre a bocca aperta.
- Simone Cristicchi, che ricordiamo vincitore nel 2007 con “Ti regalerò una rosa”. Cantautore dalla penna poetica e dall’animo sensibile, ha saputo mescolare impegno, delicatezza e un pizzico di follia creativa.
Le novità assolute
Sul fronte opposto, ecco chi si affaccia al Festival per la prima volta fra i Big, come:
- Bresh, rapper genovese dal linguaggio sincero e dalla passione per la melodia, che in passato abbiamo visto come ospite di Emma nella serata dei duetti. Ora, però, gioca da titolare.
- Emis Killa, personaggio di spicco nel mondo rap, che ha segnato l’estate del 2014 con “Maracanà” e ora debutta su un palco che non era mai stato il suo.
- Joan Thiele, poliedrica, con un background familiare internazionale (svizzero-colombiano-campano) e una voce che merita di essere tenuta d’occhio.
Altri nomi, invece, non sono nuovi ai riflettori di Sanremo ma è la prima volta che si esibiscono nella competizione come “Big ufficiali”. Pensiamo a Brunori Sas, che era stato invitato come ospite qualche anno fa, oppure a Lucio Corsi, cantautore toscano già ammirato in alcune serie TV, ma mai in gara con un suo brano inedito.
VOCI E STORIE: I SOLISTI, LE BAND, I DUETTI E I QUARTETTI
All’interno di questa grande squadra, ci sono formazioni di ogni tipo. Non è un modo di dire: la presenza di un quartetto rap come quello formato da Shablo, Guè, Joshua & Tormento dimostra che al Festival può arrivare qualsiasi colore della tavolozza musicale. E magari, in passato, c’era chi si chiedeva: “Ha senso portare la trap, il rap, la musica urbana su quel palco?” Evidentemente sì, perché è parte della realtà musicale contemporanea.
Poi, certo, non mancano le band che qualche anno fa hanno già dimostrato di avere un buon impatto con la platea di Sanremo. The Kolors, per esempio, tornano dopo vari successi radiofonici e televisivi, sempre capitanati da Stash, con quell’energia frizzante che li contraddistingue. Stesso discorso vale per i Modà, che in passato hanno sfiorato la vittoria, regalandoci brani che molti ricordano ancora con affetto.
E come dimenticare i tanti solisti che spaziano dal pop sofisticato al rap puro, dal cantautorato intimistico all’indie più orecchiabile. Pensiamo a Gaia, che unisce le sue radici italiche e brasiliane per creare brani freschi e ballabili, o a Elodie, sempre più affermata e sempre più disposta a sperimentare sonorità differenti.
FOCUS SPECIALE SU ALCUNI BIG: TRIONFATORI, HABITUÉ E PRIME VOLTE
Non basta un elenco per renderci conto di ciò che ognuno di questi artisti rappresenta. Cerchiamo allora di soffermarci su alcuni di loro, partendo proprio da chi ha il carico dell’aver già alzato il trofeo della vittoria, passando poi per chi dell’Ariston ha fatto praticamente casa, per finire con quei coraggiosi che si presentano al cospetto di un pubblico enorme per la prima volta.
CHI HA GIÀ ASSAPORATO LA VITTORIA
Un Festival che vede tra i concorrenti persone che hanno già trionfato è sempre un Festival intrigante. Da un lato, questi artisti arrivano con un’eredità importante, quasi fosse una corona da difendere; dall’altro, la presenza di un ex vincitore può innescare un effetto di sfida e di competizione sana negli altri partecipanti.
- Francesco Gabbani ha vinto due volte, se consideriamo anche la sezione Nuove Proposte: nel 2016 con “Amen” e nel 2017 con “Occidentali’s Karma”, brano che poi l’ha proiettato all’Eurovision. Ora si ripresenta con “Viva la vita” e le sue parole ci fanno pensare a un inno alla gioia e all’esistenza in tutte le sue sfaccettature.
- Massimo Ranieri non ha bisogno di presentazioni. Dalla vittoria con “Perdere l’amore” nel 1988, ha continuato a partecipare saltuariamente, regalandoci sempre interpretazioni di grande classe. Quest’anno si cimenta in “Tra le mani un cuore”, descritta da lui stesso come una sorta di “inno all’amore e all’amicizia”.
- Giorgia, che sappiamo trionfò giovanissima. Ogni anno in cui torna ci si chiede se potrà replicare l’exploit di metà anni Novanta. Il brano “La cura per me” sembra voler parlare di come un sentimento possa evolvere la nostra interiorità.
- Simone Cristicchi, vincitore nel 2007, che ci ha abituati a testi poetici e toccanti. Nel 2025, sarà di scena con “Quando sarai piccola”, un brano che allude al prendersi cura dei propri genitori quando invecchiano – o almeno questa è la suggestione che lascia trasparire dalle sue brevi anticipazioni.
GLI HABITUÉ CHE NON VOGLIONO SMETTERE DI STUPIRE
Ci sono artisti che, pur non avendo mai portato a casa la vittoria finale, restano legati al Festival come un filo sottile che non si spezza mai.
- Noemi è un esempio lampante. Con all’attivo sette partecipazioni, questa volta punta all’ottava con “Se t’innamori muori”. Il titolo fa sorridere ma anche riflettere: quante volte ci siamo sentiti fragili o in pericolo quando ci innamoriamo?
- Elodie, sebbene sia relativamente più giovane di alcuni veterani, ha all’attivo già tre precedenti presenze, sempre nelle parti alte della classifica. Il suo “Dimenticarsi alle 7” promette atmosfere drammatiche: un vero e proprio “dramma” musicale, stando alle sue dichiarazioni.
- Coma_Cose sono alla loro terza partecipazione. L’ultima volta li abbiamo visti con una ballad intensa, “L’addio”; stavolta, con “Cuoricini”, tengono i fan sul filo, senza chiarire se ci sarà ancora una dimensione malinconica o se tornerà la loro vena più ritmata e leggera.
ESORDI E DEBUTTI CORAGGIOSI
Non possiamo non nominare chi, pur provenendo da contesti di successo (radiofonico, discografico o televisivo), non si era mai cimentato a Sanremo.
- Emis Killa, come si diceva prima, è un nome di spicco nella scena rap italiana, ma questa passerella per lui è inedita. “Demoni” potrebbe rivelarsi una sorpresa: un testo intimo, una notte d’amore, un confronto tra luci e ombre?
- Lucio Corsi è un cantautore che gode di grande stima da parte della critica. Il titolo “Volevo essere un duro” suona come una presa in giro della perfezione che tutti cercano di raggiungere. Forse, dietro a quei capelli lunghi e al suo stile un po’ retrò, si nasconde un artista capace di toccare corde profonde.
- Joan Thiele, che in coppia con Elodie si era già tolta la soddisfazione di un David di Donatello per la miglior canzone originale. Ora si mette alla prova con un brano tutto suo, “Eco”, e la curiosità è tanta.
LE NUOVE PROPOSTE 2025: QUATTRO VOLTI IN CERCA DI CONSACRAZIONE
Sanremo non è solo la competizione tra i Big. C’è uno spazio dedicato alla scoperta di nuovi talenti che potrebbero, un giorno, scalare i vertici della canzone italiana. Quest’anno torniamo ad avere una sezione Nuove Proposte a tutti gli effetti, con quattro artisti:
- Vale LP & Lil Jolie – “Dimmi tu quando sei pronto per fare l’amore”
- Settembre – “Vertebre”
- Maria Tomba – “Goodbye (Voglio Good Vibes)”
- Alex Wise – “Rockstar”
Le voci emergenti spesso nascondono storie che meritano di essere raccontate. Vale LP e Lil Jolie, ad esempio, sono amiche di lunga data, accomunate dall’aver frequentato talent show diversi. Ora si ritrovano sullo stesso palco, cercando di affermare un messaggio che, almeno dal titolo, sembra un inno alla libertà di espressione e all’intimità sincera.
Settembre – il cui nome all’anagrafe è Andrea – ha solo 24 anni, eppure ha già accumulato un discreto successo sui social grazie alla sua partecipazione a un talent televisivo. “Vertebre” sembra un pezzo che parla di fragilità e forza al tempo stesso, un binomio che spesso appartiene ai giovanissimi.
Maria Tomba viene da un’edizione recente di “X Factor” e a quanto pare, ha un carattere piuttosto schietto e senza filtri. Il suo pezzo si intitola “Goodbye (Voglio Good Vibes)”: dal titolo, ci si aspetta qualcosa di energico e forse un po’ provocatorio. L’idea di abbandonare le negatività per abbracciare le “good vibes” è sempre affascinante.
Alex Wise, infine, è uno di quei casi di cantanti che escono dal mondo dei talent con un seguito solidissimo, e nonostante non abbia vinto il suo programma, ha conquistato il pubblico per sensibilità e interpretazione. “Rockstar” potrebbe essere la chiave per farlo conoscere anche a chi non segue i talent: un brano, magari, dal sapore di rivincita?
I CONDUTTORI: CARLO CONTI E LE SPALLE CHE ANIMERANNO LE CINQUE SERATE
Dicevamo che l’Ariston è un simbolo, e chi lo abita con costanza, come conduttore e direttore artistico, diventa a sua volta un’icona. Carlo Conti torna a guidare la macchina di Sanremo 2025 dopo varie esperienze passate di successo. Il suo stile di conduzione è sempre stato garbato e sorridente, a volte fin troppo rassicurante, ma è innegabile che sappia tenere le redini di uno show che, tra imprevisti e tempi televisivi strettissimi, può diventare una giungla.
La scelta dei co-conduttori si presenta piuttosto variegata e probabilmente, strategica per conquistare fasce diverse di pubblico. Ecco come sono state organizzate le cinque serate:
- Prima serata: Conti dovrà “convincere” due suoi amici storici, i colleghi toscani Leonardo Pieraccioni e Giorgio Panariello (ancora da confermare al 100%), a condividere il palco. Uno sketch che, già solo a pensarci, evoca la comicità tipica delle loro reunion.
- Seconda serata: spazio a un trio eterogeneo composto da Bianca Balti, Cristiano Malgioglio e Nino Frassica. L’idea sembra quella di mischiare eleganza, stravaganza e umorismo surreale.
- Terza serata: un tris tutto al femminile – e che tris: Miriam Leone, Elettra Lamborghini e Katia Follesa. Sarà interessante vedere come queste tre personalità, tanto diverse, si integreranno davanti alle telecamere.
- Quarta serata: la coppia formata da Mahmood e Geppi Cucciari promette musica e comicità. Mahmood, due volte vincitore di Sanremo (nel 2019 con “Soldi” e nel 2022 in coppia con Blanco), porterà certamente la sua sensibilità, mentre Geppi è sempre una garanzia di ironia pungente e intelligente.
- Serata finale: in un’atmosfera ormai incandescente, saliranno sul palco Alessandro Cattelan, Alessia Marcuzzi e si vocifera che ci saranno altre sorprese. In particolare, Cattelan sarà poi anche alla guida del “Dopofestival”, un format che punta a commentare a caldo tutto ciò che è accaduto sul palco e magari anche dietro le quinte.
LA SCALETTA: LE SERATE, LE COVER E LA FINALE
Il Festival di Sanremo 2025 si snoderà su cinque serate, come da copione, ma qualche piccola novità c’è sempre.
- Prima serata (martedì 11 febbraio): apriamo le danze con tutti i 30 artisti in gara. Sarà un tour de force, un assaggio di ciò che ognuno di loro ha da offrire. Sentiremo tutte e 30 le canzoni, una dopo l’altra, e potremo farci un’idea generale.
- Seconda serata (mercoledì 12 febbraio): solo 15 di quei 30 si esibiranno (gli altri 15 si esibiranno la sera successiva). Questo spezzettamento serve anche a dare più spazio a presentazioni e ospiti. Nella stessa serata, ascolteremo 2 delle Nuove Proposte.
- Terza serata (giovedì 13 febbraio): come detto, sarà il turno degli altri 15 Big in gara, più le restanti 2 Nuove Proposte. Spesso la terza serata si rivela cruciale, perché consente al pubblico di riascoltare i brani e farsi un’idea più chiara sulle preferenze.
- Quarta serata (venerdì 14 febbraio): tradizionalmente è dedicata alle cover e si conferma anche quest’anno. I 30 Artisti in gara si presenteranno con ospiti speciali (italiani o internazionali) per reinterpretare brani celebri, pubblicati entro il 31 dicembre 2024. Queste esibizioni spesso diventano il momento più colorato e imprevedibile del Festival, dove un duetto improbabile può trasformare un palco in una festa o in un momento di struggente emozione. Le cover, quest’anno, non conteranno per la classifica finale ma ci sarà comunque un vincitore di serata. La stessa sera, avverrà anche la finale delle Nuove Proposte: ne restano in gara solo 2 e da lì uscirà il vincitore o la vincitrice della categoria.
- Quinta serata (sabato 15 febbraio): la Finale vera e propria, in cui tutti i 30 Big torneranno a cantare il proprio brano. A fine puntata, conosceremo i cinque più votati (non in ordine) e dopo una votazione ulteriore, sapremo finalmente chi si aggiudicherà il 75° Festival di Sanremo.
Un altro aspetto del Festival che non va sottovalutato è il PrimaFestival e il Dopofestival.
- Il PrimaFestival andrà in onda prima di ciascuna serata e sarà condotto da Bianca Guaccero, Gabriele Corsi e Mariasole Pollio. Un appuntamento breve ma utile per scaldare i motori, per scoprire gossip, per rubare qualche dichiarazione al volo dagli artisti in gara.
- Il Dopofestival, invece, torna su Rai1 dall’11 al 14 febbraio, e sarà condotto da Alessandro Cattelan. Sarà l’occasione per analizzare a caldo i momenti salienti, i retroscena, gli eventuali scivoloni e i colpi di genio dei concorrenti.
IL REGOLAMENTO E IL SISTEMA DI VOTAZIONE: GIURIE E TELEVOTO
Arriviamo alla parte che, talvolta, genera dibattiti infiniti: come vengono decretati i vincitori? Chi decide le sorti di un artista e di una canzone? Anche quest’anno il meccanismo è stato calibrato per bilanciare i diversi tipi di voto.
Le tre giurie
- Televoto: lo strumento principe, che dà voce a chi segue il Festival da casa. Spesso è proprio il pubblico a far pendere l’ago della bilancia in una direzione inattesa, premiando un brano che le giurie “tecniche” magari sottovalutano.
- Giuria della Sala Stampa, Tv e Web: composta dai giornalisti accreditati, è una giuria che, almeno in teoria, dovrebbe avere uno sguardo professionale e critico sulla musica e sulle performance.
- Giuria delle Radio: novità che conferma quanto le emittenti radiofoniche, di fatto, siano canali fondamentali per il successo di un brano.
Come funzionano le votazioni nelle diverse serate
- Prima serata: ascoltiamo tutte e 30 le canzoni. La valutazione spetta alla Sala Stampa, Tv e Web. Alla fine, le prime cinque posizioni in classifica (senza svelare l’ordine preciso) verranno comunicate. Un modo per creare aspettative, scommesse e chiacchiere nel giorno seguente.
- Seconda e terza serata: ognuna vede l’esibizione di 15 Big. Qui, a votare saranno il Televoto e la Giuria delle Radio. Al termine di ciascuna serata, sapremo quali 5 si stanno momentaneamente distinguendo, ma senza conoscerne la gerarchia esatta.
- Quarta serata (cover): tutti e 30 gli Artisti tornano sul palco con ospiti vari. Stavolta la votazione è la somma di Televoto (34%), Giuria Sala Stampa, Tv e Web (33%) e Giuria delle Radio (33%). Viene proclamato il vincitore di questa “serata cover”. In più, c’è la finale delle Nuove Proposte, che decreterà il vincitore della categoria.
- Quinta serata: si esibiscono di nuovo tutti e 30 i Big, con la votazione di tutte e tre le giurie. Dopo le esibizioni, si compone una classifica generale e vengono annunciate le prime cinque posizioni (sempre senza ordine). Poi avviene una nuova votazione soltanto su quei cinque, con l’obiettivo di stabilire il vincitore assoluto, il secondo, il terzo, il quarto e il quinto classificato.
I misteri e le sospensioni
Una peculiarità del regolamento prevede che Rai e il Direttore Artistico possano decidere se, durante la quarta e la quinta serata, divulgare o meno la classifica generale delle 30 canzoni. Potrebbero anche condividerla solo parzialmente, per mantenere il pathos e l’effetto sorpresa. Ed è proprio in quei momenti che, da casa, qualcuno potrebbe esultare o imprecare, a seconda di come sta andando il proprio beniamino.
CONSIDERAZIONI FINALI: SANREMO COME RITO COLLETTIVO
A questo punto, abbiamo tracciato un quadro abbastanza dettagliato – o almeno ci abbiamo provato – della situazione di Sanremo 2025. Ma, se ci fermiamo per un attimo a riflettere, c’è un aspetto che va oltre i nomi, le canzoni, le giurie e gli ascolti: Sanremo è un rito collettivo.
Provate a pensarci. Non importa se vivete in un piccolo paese di provincia o in una grande città, se siete appassionati di musica rock o se di solito ascoltate solo canzoni straniere. Quando arriva la settimana sanremese, in qualche modo tutto cambia. È come un riflesso pavloviano: le nonne rispolverano le loro polemiche (“Eh, una volta era tutta un’altra storia”), i ragazzi iniziano a fare pronostici e i social si riempiono di meme, commenti, critiche e difese a spada tratta di questo o quell’artista.
C’è qualcosa di profondamente legato alla nostra identità nazionale in questo Festival, nel bene e nel male. È un’occasione in cui ci sentiamo uniti, ci scambiamo messaggi su WhatsApp la sera per dire “Hai sentito che bella quella canzone?” oppure “Oddio, ma come si è vestito quell’altro?!”. E, nel frattempo, dentro di noi, riscopriamo magari la voglia di canticchiare un ritornello appena sentito, di emozionarci per una dedica che ci ha colpito.
Forse, alla fine di tutto, Sanremo rimane un pretesto per parlare di noi, della nostra società, del nostro modo di concepire lo spettacolo e la musica. E che siate fan sfegatati o critici incalliti, ammettiamolo: un occhio allo schermo finiremo per darlo tutti, almeno per capire di cosa parlano gli altri o per unirci al grande dibattito.
Quest’anno, la presenza di veterani come Ranieri e Marcella Bella potrà farci ricordare i tempi in cui le canzoni d’amore erano più lente e avevano un retrogusto nostalgico. L’arrivo di nuovi rapper e trapper ci metterà davanti alla realtà di una scena musicale in costante evoluzione. Chi invece ama la melodia classica italiana troverà rifugio in chi, come Giorgia o Cristicchi, mantiene una scrittura intima. Chi predilige un mix di suoni e contaminazioni potrà puntare su Rkomi, Fedez, Tony Effe, o su chiunque decida di osare.
E non dimentichiamo che persino le cover di venerdì possono regalarci interpretazioni che saranno ricordate per anni (chi non ha in mente, per esempio, alcuni duetti passati alla storia proprio nella serata delle cover?). Anche se, stavolta, quelle esibizioni non concorreranno per la classifica, sappiamo quanto possano incidere sul percorso di un artista in gara, almeno a livello di percezione generale.
Chiudiamo questa lunga panoramica con una riflessione forse un po’ banale ma che ci sembra veritiera: Sanremo è e rimane uno spettacolo unico, che racchiude una parte fondamentale della cultura pop italiana. Non sono tante le manifestazioni che riescono a creare un senso di appartenenza e dibattito così accesi, e non parliamo solo di musica. Si discute di abiti, di costumi, di parole dette o non dette, di possibili conflitti, di ospiti internazionali e improbabili apparizioni sul palco.
Dall’11 al 15 febbraio 2025, tutti gli sguardi saranno puntati su quell’Ariston che, nonostante cambi di scenografia e di conduzione, rimane un piccolo teatro di provincia dai velluti rossi e dai ricordi indelebili. Un luogo in cui passione, emozione e speranza si intrecciano, mescolandosi a quelle sonorità che varcano i confini del tempo.
E allora noi, qui dalla nostra postazione, saremo pronti a raccontarvi ogni sfumatura, ogni colpo di scena, ogni classifica parziale che verrà pubblicata, e a condividere con voi l’entusiasmo – o la delusione – che ogni esibizione susciterà. Sappiamo bene che, in quei cinque giorni, una semplice canzone può diventare colonna sonora di un intero anno, o di un ricordo che rimarrà scolpito nella nostra storia personale.
Sanremo 2025 è ormai alle porte. Siete pronti a farvi travolgere da tutto questo? Forse sì, forse no, o forse vi state già lamentando che “era meglio quando c’era Pippo Baudo” (un classico!), ma a conti fatti non potrete tirarvi indietro. Ne parleranno i vostri amici, i vostri parenti, i colleghi in ufficio; ne parlerà il web e lo vedrete apparire in qualsiasi notifica social. Sarete in qualche modo parte di questo grande spettacolo collettivo, fosse anche solo per criticare, per commentare uno scivolone in diretta o per innamorarvi di una nuova voce che non conoscevate.
In fondo, questo è Sanremo: un festival che, per una manciata di giorni, riesce ancora a farci battere il cuore. A noi che scriviamo, a voi che leggete e a chiunque creda che la musica – quella sì – possa ancora offrire un pizzico di magia.
Questo lungo approfondimento spera di avervi regalato qualche spunto in più, qualche dettaglio curioso e magari una prospettiva meno rigida su uno degli eventi più popolari dell’anno. Ed ora non ci resta che dirvi: ci si vede all’Ariston, fisicamente o virtualmente, con la speranza di assistere a esibizioni memorabili. Che la musica inizi a suonare e che ognuno trovi la propria colonna sonora in uno di questi 30 brani. Buon Festival a tutti, perché Sanremo – nonostante le critiche, i dibattiti, i record di ascolti o le contestazioni – resta sempre e comunque Sanremo. E scusate se è poco.
Attualità
Addio a David Lynch: il maestro che ha riscritto il cinema

David Lynch ci ha lasciati. Se ne è andato quel visionario che ha saputo trasformare il cinema in qualcosa di più di un semplice schermo. Una notizia che ti colpisce come un pugno allo stomaco, anche se non ti aspettavi che potesse farlo. Perché, volente o nolente, Lynch era parte del nostro immaginario, uno di quei nomi che restano impressi.
E pensare che tutto è iniziato in un posto quasi anonimo, Missoula, Montana. Una cittadina immersa nella natura, con i suoi boschi, i cieli infiniti e quel silenzio che ti entra dentro. Lì, il 20 gennaio 1946, nasce David Keith Lynch. Chi l’avrebbe mai detto che quei paesaggi tranquilli, quasi fuori dal tempo, avrebbero poi plasmato una mente così complessa? Forse era proprio quel contrasto, quella calma apparente, a nascondere già tutto il potenziale per qualcosa di grande, qualcosa di diverso. Lynch era già un artista prima ancora di saperlo. O forse lo sapeva da sempre.
Da ragazzo, Lynch fa le valigie e parte. Si lascia alle spalle i silenzi e i cieli aperti del Montana per buttarsi nelle città, quelle grandi, dove senti il caos sotto la pelle. Vuole inseguire l’arte, sentirla addosso, sporcarci le mani. Si iscrive alla Pennsylvania Academy of the Fine Arts. Qui non è che studia il cinema come lo farebbe chiunque altro, no. Per lui è una questione di pelle, di visioni. Dipinge, si sporca di colori e poi si accorge che non basta. Che c’è qualcosa che manca, che le immagini ferme non riescono a dire. Così inizia a giocare col movimento, con il tempo. E il cinema diventa la sua tela, ma una tela viva, che respira, che ti parla e ti confonde. Era questo, per lui. Non è che raccontava storie. Le faceva vivere, ti ci buttava dentro. Emozioni, frammenti, pezzi di qualcosa che capisci e non capisci nello stesso momento.
Ed è così che, nel 1977, arriva Eraserhead. Un film che è molto più di un film: è un incubo in pellicola, un viaggio nell’inconscio che lascia turbati e affascinati. E da lì, il mondo capisce che Lynch non è come gli altri. Non segue le regole. Le riscrive.
Twin Peaks: il fenomeno che ha cambiato tutto
“Chi ha ucciso Laura Palmer?”. Quattro parole che, nel 1990, tengono milioni di spettatori incollati allo schermo. Twin Peaks non è solo una serie TV. È un evento culturale. Una rivoluzione.
L’idea di ambientare un mistero così complesso in una piccola cittadina americana è geniale. Ma Lynch va oltre: ci regala un mondo fatto di personaggi indimenticabili, atmosfere che mescolano il familiare con il surreale e una colonna sonora che sembra venire da un altro pianeta. Non è solo una storia di omicidio. È una riflessione sulla dualità dell’essere umano, sulla corruzione dell’anima e sul confine sottile tra reale e sovrannaturale.
La poetica del mistero
Lynch ha sempre amato il mistero. Non quello semplice, da risolvere. Ma quello che ci mette di fronte a domande senza risposta, quello che ci lascia con un senso di inquietudine e meraviglia. Pensate a Mulholland Drive (2001). Un film che è un enigma dentro un sogno, una dichiarazione d’amore e odio a Hollywood e ai suoi falsi miti.
Oppure Blue Velvet (1986), con quella scena iniziale che è già un manifesto: una città tranquilla, il prato verde, i fiori colorati… e poi una scoperta inquietante, che ci svela gli abissi nascosti sotto la superficie. Lynch ci invita a guardare oltre, a non fermarci alle apparenze.
Non solo cinema
David Lynch. Parlare di lui come regista è riduttivo, quasi ingiusto. Era molto di più. Un pittore che usava la cinepresa come fosse un pennello. Un musicista che creava melodie con le immagini. Un filosofo che non dava risposte, ma ti lasciava con mille domande. Ogni suo progetto era un salto nel vuoto, un invito a seguire strade che non sai dove portano. E la cosa incredibile è che riusciva a farti sentire al sicuro anche nel caos.
Certo, ha vinto premi: la Palma d’Oro per Cuore Selvaggio, l’Oscar alla carriera. Ma chi se ne importa dei premi? Quello che conta davvero è l’impronta che ha lasciato in chi ha avuto il coraggio di guardare il mondo con i suoi occhi. Perché non è facile. Lynch ti sfida, ti scuote, ti porta dentro i suoi sogni – o i suoi incubi – e ti costringe a sentire tutto, fino in fondo. E quando esci da quel viaggio, non sei più lo stesso.
Negli ultimi anni, Lynch aveva rallentato. Una battaglia contro l’enfisema lo aveva costretto a ridurre la sua attività pubblica. Eppure, non aveva mai smesso di condividere pensieri e idee, attraverso interviste, progetti e i suoi canali personali. Anche lontano dai riflettori, era una fonte di ispirazione.
Un addio che lascia il segno
È difficile accettare che non ci sarà un altro film, un altro progetto firmato David Lynch. Ma il suo lavoro rimane. I suoi mondi, i suoi personaggi, le sue atmosfere continueranno a vivere, a ispirare. Lynch ci ha insegnato a non avere paura del buio, a esplorare l’ignoto, a lasciarci trasportare dall’inatteso.
Grazie, David, per averci fatto sognare, tremare e riflettere. Per averci ricordato che il cinema è molto più di una storia. È un viaggio. E tu sei stato il nostro miglior compagno di viaggio.
“Keep your eye on the doughnut, not on the hole.” (David Lynch)
Attualità
Quel mostro invisibile: la storia di Debora e la sua lotta quotidiana contro la...

Non è mai facile raccontare il dolore, quello invisibile. Ma è ancora più difficile viverlo sulla propria pelle ogni giorno, sapendo che non se ne andrà. Debora lo sa bene: tutto è cominciato con un fastidio al collo, qualcosa di apparentemente banale. Aveva venticinque anni, una vita davanti e mai avrebbe immaginato che quel piccolo dolore sarebbe diventato il primo segnale di una battaglia senza fine. Ora, a trentanove anni, ripercorre quegli anni con lucidità ma anche con un filo di amarezza.
Debora ci pensa, con la faccia che mescola amarezza e rassegnazione. “I sintomi? Ce li avevo già da anni, ma mica li prendevo sul serio”, dice con un sorriso stanco. All’inizio erano dolori strani, un po’ al collo, poi giù fino alla schiena, alle gambe. Roba che uno pensa: stress, posture sbagliate, forse l’età. Niente che ti mandi subito dal medico, insomma. E invece. Le analisi, le visite, i farmaci buttati giù come caramelle senza effetto. Un girotondo di speranze e delusioni. Finché, un giorno, un reumatologo non mette insieme i pezzi di questo puzzle maledetto: fibromialgia. E te lo dice così, dritto in faccia, senza giri di parole: “Non si cura. Non davvero. Devi imparare a viverci.” Boom. Ti casca il mondo addosso. E in quel momento capisci che niente sarà più semplice. Niente.

È una condizione che prosciuga. Non solo le energie ma anche la pazienza, la fiducia, la voglia di affrontare le giornate. Il dolore è costante, spesso insopportabile. A volte, persino sorridere diventa un gesto che richiede uno sforzo immenso. Debora lo sa bene: i muscoli del viso così tesi da dover usare un bite notturno per alleviare la rigidità della mascella. Ma è il dolore invisibile a fare più male. Quello che gli altri non vedono, che non riescono a capire.
“Non sembri malata.” Quante volte si è sentita dire questa frase? E quante volte ha dovuto spiegare, giustificare, difendersi? Il medico del lavoro, un giorno, ha persino insinuato che stesse fingendo. Una pugnalata, più che un dubbio. “Non è facile far capire agli altri che il dolore c’è, anche se non si vede”, confessa. E questa incomprensione è una ferita che non si rimargina mai del tutto.
Per ventun anni, Debora ha lavorato in fabbrica. Un ambiente ostile per chiunque, figuriamoci per chi deve affrontare una malattia debilitante. Temperature estreme, movimenti ripetitivi, il peso del giudizio altrui. Ma lei ha resistito. Ha continuato, giorno dopo giorno, anche quando il suo corpo sembrava gridare basta. Finché non è arrivato un problema serio, l’ennesimo: un’ernia espulsa al collo, con il rischio concreto di perdere l’uso di un braccio. A quel punto, anche i colleghi e i superiori hanno dovuto arrendersi all’evidenza. Ma la sensazione di dover sempre dimostrare qualcosa non l’ha mai abbandonata.
Eppure, in mezzo a tanto buio, Debora ha trovato anche qualche spiraglio di luce. Uno di questi è arrivato grazie a un fisioterapista con una marcia in più. Non solo competenze tecniche, ma anche una formazione da mental coach. “Mi ha insegnato a credere di nuovo in me stessa”, racconta. Quando è arrivata nella sua clinica, il muscolo del braccio sembrava svanito. In pochi mesi, grazie a esercizi mirati e tanta forza di volontà, quel braccio è tornato a funzionare. Un piccolo miracolo che le ha ridato speranza: la dimostrazione che, con il medico giusto, si può davvero fare la differenza.
Ma non è solo una questione fisica. La fibromialgia colpisce anche e forse soprattutto, a livello psicologico. Debora ha visto amiche abbandonare il lavoro, persone cadere in depressione, altre ancora lottare contro l’indifferenza generale. E poi c’è il peso economico: la malattia non è riconosciuta tra i livelli essenziali di assistenza del sistema sanitario italiano. Questo significa che ogni visita, ogni terapia, ogni aiuto deve essere pagato di tasca propria. Un fardello pesante, per chi già vive una situazione complicata.
Proprio da questo senso di oppressione è nata l’idea di raccontare la sua storia. Un giorno, Debora si è imbattuta in una giovane regista con un progetto ambizioso: realizzare un cortometraggio sulle vite di chi combatte contro malattie invisibili. “Quel mostro invisibile” è il titolo del cortometraggio che racconterà la sua battaglia contro la fibromialgia. Le riprese inizieranno a Napoli il 26 gennaio e anche se Debora non potrà essere presente fisicamente, ci sarà comunque. Con un videomessaggio rivolto ai medici, ai malati, a tutti coloro che vogliono capire.
Cosa si può fare in quindici minuti? Non molto, direbbe qualcuno. Ma Debora ci crede: è sufficiente per aprire una porta, per accendere una scintilla. Questo cortometraggio, “Quel mostro invisibile”, non è un film qualunque. Vuole gridare una verità scomoda, quella che tanti non vogliono ascoltare: la fibromialgia è reale. Ti logora, ti piega, ma non ti spezza se trovi il modo di reagire. Ecco, quindici minuti per mostrare tutto: il dolore che ti annienta, le persone che non ti credono, i soldi che finiscono in cure e terapie. E poi quella forza che ti risale da dentro, quella voglia testarda di non mollare, di guardare il mostro negli occhi e dirgli: “Tu non mi avrai.”
Debora spera che questo film breve non resti uno dei tanti. Desidera che tocchi, che scuota, che faccia male ma che, allo stesso tempo, dia speranza. Anche se cambierà solo un’idea, solo una piccola mentalità, sarà un passo avanti. E Debora è pronta a scommetterci tutto.
“Non cerco compassione”, dice. “Voglio solo che ci sia riconoscimento, rispetto. Voglio che chi soffre non si senta più solo e che chi non conosce questa malattia impari a guardare oltre le apparenze.”
Perché, alla fine, la fibromialgia è questo: un mostro invisibile che ti accompagna ogni giorno. Ma che, con la giusta consapevolezza, si può affrontare. E se anche una sola persona, guardando il cortometraggio, troverà un po’ di forza o di speranza, allora tutto questo sarà servito a qualcosa.
Attualità
Netanyahu: disponibilità a una tregua prolungata, condizionata al rilascio di tutti i...

Il Primo Ministro israeliano, Benyamin Netanyahu, ha dichiarato di essere aperto a un cessate il fuoco di lunga durata, a patto che tutte le persone rapite vengano liberate. L’annuncio è stato fatto durante un incontro con alcuni familiari degli ostaggi, avvenuto nel tardo pomeriggio.
“Sono pronto per un cessate il fuoco prolungato, a condizione che tutti i rapiti vengano rilasciati. È una questione di giorni o ore. Aspettiamo la risposta di Hamas e poi si può iniziare subito”, ha affermato Netanyahu.
La proposta arriva in un momento di estrema tensione, con negoziati in corso tra Israele e Hamas per il rilascio degli ostaggi trattenuti dal gruppo palestinese. La condizione posta dal leader israeliano è chiara: il rilascio simultaneo e completo dei rapiti come prerequisito per un cessate il fuoco duraturo.
L’incontro con i familiari è stato caratterizzato da un clima emotivamente intenso, con appelli accorati per un intervento risolutivo. Netanyahu ha ribadito l’impegno del governo per il recupero degli ostaggi, sottolineando che ogni decisione sarà presa nel rispetto degli interessi di sicurezza nazionale.
Tensione nei negoziati
Il contesto in cui si inserisce questa proposta è complesso. Da una parte, Israele cerca di garantire la sicurezza dei propri cittadini, mentre dall’altra Hamas utilizza il rilascio degli ostaggi come leva negoziale. Le prossime ore potrebbero rivelarsi decisive per determinare l’esito delle trattative.
Secondo fonti vicine ai negoziati, le discussioni stanno procedendo su binari paralleli, con l’obiettivo di trovare un compromesso che soddisfi entrambe le parti. Tuttavia, la richiesta di Netanyahu potrebbe rappresentare un punto di rottura, qualora Hamas non fosse disposto a rispettare le condizioni imposte.
Il contesto internazionale
La comunità internazionale osserva con attenzione gli sviluppi della situazione. Diversi leader mondiali hanno espresso il proprio sostegno a una soluzione pacifica, incoraggiando entrambe le parti a perseguire il dialogo. Tuttavia, la strada verso un accordo appare ancora incerta.
La questione del rilascio degli ostaggi è particolarmente delicata, in quanto coinvolge non solo aspetti umanitari ma anche implicazioni politiche e strategiche di ampio respiro. Il ruolo di mediatori internazionali potrebbe risultare cruciale per facilitare un esito positivo.
Prossimi sviluppi
Netanyahu ha sottolineato che il tempo è un fattore determinante. “Ogni ora che passa è preziosa. Siamo pronti ad agire immediatamente, ma attendiamo una risposta chiara da parte di Hamas”, ha dichiarato il premier.
Mentre si attende un aggiornamento ufficiale, le famiglie degli ostaggi rimangono in uno stato di angosciosa attesa, sperando che i negoziati possano portare a un risultato concreto e rapido. La proposta di una tregua prolungata, se accettata, potrebbe rappresentare un passo significativo verso una riduzione delle tensioni nella regione.
Attualità
Nuove norme contro le recensioni false online: approvato il primo disegno di legge...

Il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera al primo disegno di legge annuale dedicato alle micro, piccole e medie imprese (PMI), introducendo un pacchetto di norme mirato a contrastare il fenomeno delle recensioni false online. Questo intervento legislativo rappresenta un passo strategico per rafforzare il sistema produttivo italiano e promuovere la trasparenza nel settore del turismo e non solo.
Un problema di concorrenza sleale e credibilità
Le recensioni online non autentiche, spesso redatte da utenti anonimi, creano danni significativi alle imprese, definibili come una forma di concorrenza sleale, pubblicità ingannevole e frode. Secondo il Ministero del Turismo, gli effetti di queste pratiche possono compromettere la reputazione di hotel, ristoranti e attrazioni turistiche, con conseguenze che richiedono anni di lavoro per essere risanate.
La ministra del Turismo, Daniela Santanchè, ha sottolineato l’importanza di questo provvedimento: “Oggi segniamo un passo cruciale per la tutela delle nostre imprese. Con questo disegno di legge dimostriamo il nostro impegno nel difendere il tessuto imprenditoriale del turismo italiano, garantendo un mercato equo e trasparente”.
Le principali misure del disegno di legge
Il testo, che affronta la questione delle recensioni nel capo IV, prevede una serie di regole stringenti per garantire la veridicità delle valutazioni online. Tra le disposizioni principali:
- Solo i consumatori che dimostrano l’identità e l’effettivo utilizzo di un servizio o prodotto potranno lasciare recensioni.
- Le recensioni dovranno essere dettagliate, pertinenti e pubblicate entro quindici giorni dall’esperienza.
- Le aziende recensite avranno il diritto di replicare e richiedere la rimozione di recensioni false, ingannevoli o obsolete, incluse quelle risalenti a più di due anni o riferite a condizioni ormai superate.
Il ddl vieta inoltre:
- L’acquisto e la vendita di recensioni, sia tra imprenditori sia attraverso intermediari.
- L’attribuzione di recensioni a prodotti o servizi non effettivamente valutati.
- La manipolazione delle recensioni tramite incentivi o promozioni.
Il ruolo delle autorità di controllo
Due autorità saranno incaricate di garantire il rispetto delle nuove norme:
- L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom), che definirà codici di condotta per le piattaforme online e i soggetti coinvolti nella diffusione delle recensioni, con l’obiettivo di assicurare trasparenza e autenticà.
- L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm), responsabile della vigilanza e della sanzione di eventuali violazioni.
Le norme non si applicheranno retroattivamente alle recensioni pubblicate prima dell’entrata in vigore della legge.
Reazioni e aspettative del settore
Il provvedimento ha suscitato reazioni contrastanti. Da un lato, Assoutenti ha accolto positivamente l’iniziativa, sottolineando l’importanza di una maggiore trasparenza per i consumatori. Tuttavia, l’associazione ha anche evidenziato la necessità di una regolamentazione più rigorosa per i social network, dove influencer e micro-influencer spesso promuovono prodotti e servizi attraverso contenuti che appaiono come opinioni disinteressate ma che, in realtà, nascondono accordi commerciali non dichiarati chiaramente.
Dall’altra parte, Confesercenti ha espresso delusione, definendo il disegno di legge insufficiente rispetto alle aspettative iniziali. “Annunciato come un intervento rivoluzionario, il provvedimento appare poco incisivo e inadeguato a valorizzare il sistema delle micro, piccole e medie imprese italiane”, ha dichiarato l’associazione.
Il disegno di legge, nato con l’obiettivo di rafforzare la fiducia dei consumatori e dei turisti, punta a consolidare la credibilità del “Sistema Italia”, considerato un pilastro per lo sviluppo economico del Paese. Resta ora da vedere come le nuove norme saranno implementate e quale impatto avranno sul settore produttivo e sul turismo.
Un percorso legislativo che, nonostante le critiche, rappresenta un primo tentativo di affrontare un problema sempre più pressante nel contesto digitale e commerciale odierno.
Attualità
Vaticano: Appello all’accoglienza e nuove norme per la sicurezza interna

ROMA – Il recente appello di Papa Francesco in favore dell’accoglienza dei migranti si accompagna a una rigorosa revisione normativa volta a rafforzare la sicurezza interna del Vaticano. Le nuove disposizioni, che prevedono pene severe per gli ingressi illegali, hanno sollevato un dibattito che ha coinvolto anche esponenti politici di rilievo.
Le misure introdotte includono pene detentive fino a quattro anni e sanzioni amministrative che possono raggiungere i 25mila euro. Questi provvedimenti mirano a disciplinare l’accesso al territorio della Città del Vaticano, garantendo al contempo il rispetto delle normative vigenti. Secondo fonti interne, l’obiettivo è preservare la sicurezza e la tranquillità di uno degli Stati più piccoli e simbolicamente rilevanti al mondo.
La critica politica
Non sono mancate reazioni critiche. L’eurodeputato della Lega Roberto Vannacci ha commentato la notizia attraverso un post pubblicato sulla piattaforma X (ex Twitter). Nel suo messaggio, Vannacci ha evidenziato una presunta contraddizione tra il messaggio di apertura e accoglienza espresso dal pontefice e le nuove norme adottate dal Vaticano. “Il Papa blinda il Vaticano: fino a 4 anni di carcere e 25mila euro di multa per ingressi illegali, in contrasto con l’appello all’accoglienza dei migranti”, ha scritto Vannacci, stimolando un acceso dibattito online.
Il Vaticano, nonostante le sue dimensioni ridotte, è frequentemente al centro dell’attenzione globale. Ogni decisione presa all’interno delle sue mura ha un impatto simbolico che supera i confini del piccolo Stato. La duplice esigenza di promuovere un messaggio di solidarietà e, al contempo, garantire la sicurezza interna rappresenta una sfida complessa, che coinvolge sia aspetti pratici che implicazioni morali e politiche.
Implicazioni e reazioni
La scelta di adottare pene così severe è stata giustificata come misura preventiva, mirata a scoraggiare ingressi non autorizzati in un luogo di altissimo valore spirituale e culturale. Tuttavia, la concomitanza tra queste misure e il rinnovato appello all’accoglienza di Papa Francesco ha alimentato un dibattito pubblico che coinvolge cittadini, analisti e politici.
Se da un lato alcuni sostengono la necessità di bilanciare apertura e sicurezza, dall’altro non mancano voci che interpretano le nuove norme come un segnale di incoerenza. Il confronto prosegue, con il Vaticano che si trova, ancora una volta, al centro di un delicato equilibrio tra ideali universali e gestione concreta delle proprie responsabilità interne.
Attualità
Cremlino: contatti tra Stati Uniti e Russia ritenuti necessari, ma un vertice resta...

La necessità di dialogo tra Stati Uniti e Russia è stata sottolineata dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ha ribadito l’importanza di contatti diretti tra il presidente eletto statunitense, Donald Trump, e il leader russo, Vladimir Putin. Tuttavia, l’organizzazione di un vertice tra i due leader non è ancora in fase di preparazione. Le dichiarazioni sono state riportate dall’agenzia di stampa Tass.
In risposta a una domanda sulle offerte di Svizzera e Serbia di ospitare un eventuale incontro tra Trump e Putin, Peskov ha chiarito che, al momento, ogni discussione su una sede per il summit sarebbe prematura. “È troppo presto per parlare di questo”, ha dichiarato, indicando che i preparativi per un incontro di tale portata non sono ancora stati avviati.
La prospettiva di contatti diretti tra le due potenze è vista come un passo necessario da entrambe le parti, secondo quanto affermato dal portavoce. Questo segnale di apertura giunge in un momento delicato delle relazioni internazionali, dove il dialogo tra Washington e Mosca potrebbe avere implicazioni significative per la stabilità globale.
L’offerta di ospitare un summit, avanzata da paesi come la Svizzera e la Serbia, riflette il crescente interesse della comunità internazionale per un possibile riavvicinamento tra Stati Uniti e Russia. Nonostante queste proposte, il Cremlino sembra voler mantenere un approccio prudente, evitando di accelerare i tempi senza una preparazione adeguata.
Per ora, il focus rimane sulla costruzione di un canale di comunicazione stabile tra i due leader, un aspetto che molti osservatori considerano cruciale per affrontare questioni geopolitiche di rilievo. Tuttavia, l’assenza di dettagli su una possibile data o sede per il vertice suggerisce che il processo diplomatico è ancora in una fase preliminare.
Attualità
Marine Le Pen riflette sull’espulsione del padre dal Front National

A pochi giorni dall’ultimo saluto a Jean-Marie Le Pen, Marine Le Pen ha rilasciato dichiarazioni cariche di emozione e autocritica in un’intervista pubblicata sul sito de Le Journal du Dimanche. Tornando su una delle decisioni più controverse della sua carriera politica – l’espulsione del padre dal Front National – Marine ha confessato: “Non mi perdonerò mai quella decisione, perché so che gli provocò un dolore immenso”.
Una rottura difficile
La frattura tra i due leader politici avvenne nel 2015, quattro anni dopo che Marine Le Pen aveva assunto la guida del partito di estrema destra, succedendo al padre. Jean-Marie Le Pen, fondatore del movimento, si trovò al centro di pesanti polemiche per alcune dichiarazioni che scossero profondamente l’opinione pubblica. Tra queste, l’affermazione che “l’occupazione tedesca non era stata particolarmente disumana” e un commento giudicato offensivo nei confronti di Patrick Bruel, noto cantante di origini ebraiche e impegnato nella lotta contro l’estremismo di destra.
Marine Le Pen decise di reagire con fermezza, revocando al padre la tessera di “presidente onorario” del partito e sancendo ufficialmente la sua esclusione. Questo gesto, che mirava a rinnovare l’immagine del Front National – oggi Rassemblement National – ebbe conseguenze personali profonde, segnando un punto di non ritorno nel loro rapporto.
Dubbi e riflessioni
“Prendere quella decisione è stata una delle cose più difficili della mia vita,” ha dichiarato Marine Le Pen nell’intervista. “Fino alla fine della mia esistenza, mi porrò sempre la domanda: ‘Avrei potuto fare altrimenti?’” Nonostante l’amarezza, la leader politica ha sottolineato come il giudizio sul padre non dovrebbe limitarsi alle polemiche che hanno segnato i suoi ultimi anni di attività pubblica. “È un po’ ingiusto giudicarlo soltanto alla luce di quelle provocazioni. Su 80 anni di vita, è inevitabile che emergano temi controversi, a meno che non si sia un ectoplasma sarkozysta o socialista.”
Marine Le Pen ha tuttavia riconosciuto come fosse “triste” che Jean-Marie si fosse “rinchiuso in quelle provocazioni”, riferendosi alle dichiarazioni che hanno alimentato scandali e divisioni.
Omaggi inaspettati
Nonostante il passato segnato da tensioni, Marine ha espresso sorpresa e gratitudine per gli omaggi ricevuti dal padre da parte della classe politica francese. “Non avrei mai pensato che fossero capaci di rendergli omaggio,” ha ammesso, sottolineando come questa dimostrazione di rispetto abbia superato le sue aspettative.
In merito alle parole del presidente Emmanuel Macron, che ha affermato che “la Storia giudicherà” Jean-Marie Le Pen, Marine ha risposto con una stoccata. Secondo lei, il giudizio della Storia sarà ben più severo nei confronti dello stesso Macron, accusandolo di essere un leader che “non ha visto niente e, soprattutto, non ha fatto niente”.
Un’eredità controversa
Le dichiarazioni di Marine Le Pen arrivano in un momento di riflessione per la famiglia e il partito. Mentre la Francia osserva con interesse le dinamiche interne del Rassemblement National, queste parole mettono in luce il peso delle scelte politiche e personali che hanno segnato la carriera di Marine e il destino di una delle figure più polarizzanti della politica francese.
Attualità
Malala Yousafzai ai leader musulmani: “Non legittimate i talebani”

La Premio Nobel per la Pace Malala Yousafzai ha lanciato un appello deciso ai leader musulmani, esortandoli a non riconoscere come legittimo il governo talebano in Afghanistan. Durante un summit dedicato all’istruzione delle ragazze nei Paesi musulmani, tenutosi a Islamabad, l’attivista ha sottolineato l’importanza di opporsi fermamente alle restrizioni imposte dai talebani sull’istruzione femminile, invitando le leadership islamiche ad assumere un ruolo attivo e determinato.
“Ora è il momento di far sentire la vostra voce e usare il vostro potere. Potete mostrare cosa significa vera leadership”, ha dichiarato Malala nel suo discorso, rivolgendosi direttamente ai rappresentanti politici e religiosi presenti. L’evento, che aveva l’obiettivo di sensibilizzare sul tema dell’istruzione femminile nei contesti musulmani, è stato segnato dall’assenza dei rappresentanti talebani, che hanno scelto di non partecipare.
La denuncia contro Israele: il sistema educativo di Gaza sotto attacco
Nel suo intervento, la giovane attivista ha puntato il dito anche contro Israele, accusandolo di aver distrutto il sistema educativo nella Striscia di Gaza. Secondo quanto dichiarato, le azioni militari avrebbero provocato danni irreparabili alle infrastrutture scolastiche e universitarie della regione. “Hanno bombardato tutte le università, distrutto oltre il 90% delle scuole e attaccato indiscriminatamente civili che cercavano rifugio negli edifici scolastici”, ha affermato.
Malala ha inoltre ribadito il suo impegno nel denunciare le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale attribuite a Israele, sottolineando come queste azioni colpiscano direttamente il diritto all’istruzione di milioni di giovani. “Continuerò a essere una voce contro queste ingiustizie”, ha concluso.
Un impegno globale per l’istruzione femminile
Malala Yousafzai, sopravvissuta a un attentato dei talebani pachistani nel 2012, è da anni una delle figure più influenti nella lotta per il diritto all’istruzione delle ragazze. La sua partecipazione al summit di Islamabad conferma il suo impegno costante nel promuovere l’accesso universale all’istruzione, una causa che continua a incontrare ostacoli significativi in molte aree del mondo, soprattutto nei contesti più colpiti da conflitti e instabilità politica.
In un panorama globale in cui l’istruzione femminile rimane una questione critica, le parole di Malala rappresentano un richiamo urgente alla responsabilità delle leadership internazionali, con l’obiettivo di garantire che ogni ragazza possa avere accesso all’istruzione, indipendentemente dal contesto politico o sociale in cui vive.
Attualità
Italia riafferma il supporto a Kiev: incontro tra Meloni e Zelensky a Palazzo Chigi

Roma – La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha accolto a Palazzo Chigi il Presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, per un incontro che si è protratto per poco meno di un’ora. Un confronto che, secondo quanto comunicato ufficialmente, ha ribadito la piena solidarietà dell’Italia nei confronti dell’Ucraina, in un momento segnato dalla recrudescenza delle ostilità.
Durante il colloquio, Meloni ha espresso il proprio cordoglio per le vittime dei più recenti attacchi missilistici condotti dalla Russia, sottolineando la gravità della situazione umanitaria nel Paese. In una nota diffusa da Palazzo Chigi, si legge che la Presidente del Consiglio ha confermato il sostegno italiano “a 360 gradi” per la legittima difesa dell’Ucraina. Tale impegno, si precisa, mira a garantire che Kiev sia posta nelle condizioni ottimali per perseguire una pace definita come “giusta e duratura”.
Un supporto che si consolida
L’incontro rappresenta una nuova tappa nelle relazioni tra Italia e Ucraina, segnate da un appoggio costante da parte del governo italiano alla causa ucraina. Questo sostegno si manifesta non solo sul piano politico, ma anche attraverso contributi pratici, volti a fronteggiare le conseguenze del conflitto in corso. Sebbene i dettagli operativi non siano stati divulgati, il messaggio che emerge è quello di una collaborazione che intende rimanere salda nel tempo.
Il dialogo tra Meloni e Zelensky si inserisce in un contesto geopolitico estremamente complesso, in cui le dinamiche del conflitto continuano a influenzare gli equilibri internazionali. L’Italia, attraverso la sua posizione, ribadisce la necessità di sostenere l’integrità territoriale dell’Ucraina, mantenendo al contempo aperti i canali diplomatici per la ricerca di una soluzione che ponga fine alle ostilità.
Con il suo intervento, la Presidente del Consiglio si è allineata alle posizioni espresse dai principali partner europei e internazionali, consolidando l’immagine dell’Italia come un attore di rilievo nel panorama delle relazioni multilaterali. L’incontro tra i due leader ha riaffermato il legame tra Roma e Kiev, in un momento storico che richiede fermezza e coesione da parte della comunità internazionale.
Attualità
Edmundo González Urrutia esorta al rilascio immediato di María Corina Machado

Caracas – In un clima politico già altamente teso, Edmundo González Urrutia ha richiesto il rilascio immediato di María Corina Machado, figura centrale dell’opposizione venezuelana. La dichiarazione arriva a poche ore dall’annunciato ritorno di González Urrutia a Caracas, previsto per domani, dopo una visita ufficiale nella Repubblica Dominicana.
“Come presidente eletto, chiedo il rilascio immediato di María Corina Machado. Alle forze di sicurezza che l’hanno rapita dico: non scherzate con il fuoco”, ha dichiarato González Urrutia, sottolineando la gravita dell’accaduto e inviando un avvertimento diretto alle autorità coinvolte.
Una presidenza contestata
La posizione di González Urrutia come presidente eletto rimane al centro di un acceso dibattito. Le elezioni presidenziali del 28 luglio scorso, che lo hanno visto contrapporsi al leader chavista Nicolás Maduro Moro, sono state oggetto di forti contestazioni. Sebbene Maduro sia stato proclamato vincitore dalle istituzioni governative, l’assenza di documentazione ufficiale, come i verbali elettorali, ha sollevato dubbi sulla trasparenza del processo.
Il ritorno di González Urrutia nella capitale venezuelana rappresenta un passo cruciale nel suo tentativo di insediarsi come capo di Stato legittimo. Tuttavia, l’ambiente politico è segnato da una crescente tensione, aggravata dall’arresto di Machado, considerata una delle voci più critiche del regime chavista.
María Corina Machado: una figura simbolica dell’opposizione
Machado, esponente di primo piano dell’opposizione venezuelana, è da tempo una figura scomoda per il governo Maduro. Il suo arresto rappresenta un ulteriore colpo al fragile equilibrio politico del Paese. Le circostanze esatte del suo fermo non sono state chiarite, ma l’accusa di “rapimento” avanzata da González Urrutia riflette la percezione di una repressione politica sempre più dura.
Una situazione ad alta tensione
Il Venezuela continua a trovarsi al centro di una profonda crisi politica, economica e sociale. Le contestazioni sulle elezioni presidenziali e l’arresto di figure chiave come Machado non fanno che acuire un clima già caratterizzato da instabilità e divisioni interne. L’imminente arrivo di González Urrutia a Caracas potrebbe rappresentare un momento decisivo per il futuro del Paese.
Gli sviluppi delle prossime ore saranno cruciali per determinare non solo il destino di Machado, ma anche la capacità di González Urrutia di affermarsi come presidente in un contesto istituzionale fortemente polarizzato.
Attualità
Venezuela, rilasciata la leader dell’opposizione Maria Corina Machado

Caracas – Maria Corina Machado, figura di spicco dell’opposizione venezuelana, è stata rilasciata dopo essere stata, secondo quanto riferito dal suo partito, “detenuta con la forza”. L’episodio, che ha suscitato una vasta eco a livello internazionale, si è svolto in un contesto di crescente tensione politica nel Paese.
Il partito di Machado, Comando Con Venezuela, ha denunciato attraverso il social network X che durante la detenzione la leader sarebbe stata costretta a registrare diversi video prima di essere liberata. “Durante il periodo del suo rapimento, Maria Corina Machado è stata obbligata a girare materiale video per poi essere rilasciata”, si legge in una dichiarazione ufficiale condivisa sulla piattaforma.
Le dinamiche del presunto rapimento
Secondo la ricostruzione fornita dal partito, Machado stava lasciando una manifestazione nel quartiere Chacao, a Caracas, quando sarebbe stata intercettata. Testimoni oculari riferiscono che la leader sarebbe stata fatta cadere dalla moto su cui viaggiava e, nello stesso frangente, sarebbero stati esplosi colpi di arma da fuoco. Successivamente, la politica sarebbe stata portata via con la forza da individui non identificati.
Il comunicato aggiunge che nelle prossime ore Maria Corina Machado prevede di rivolgersi direttamente al Paese per chiarire i dettagli di quanto accaduto.
Le autorità venezuelane hanno smentito categoricamente le accuse di arresto e detenzione forzata. Il ministro dell’Interno ha definito le notizie relative al presunto rapimento di Machado come “invenzioni” e “pure menzogne”. Questa dichiarazione si inserisce in una narrativa governativa che spesso minimizza o respinge le accuse mosse dall’opposizione.
Un contesto politico instabile
L’episodio segna l’ultimo sviluppo in una situazione politica già estremamente fragile in Venezuela, dove il confronto tra governo e opposizione continua a polarizzare il Paese. Maria Corina Machado, leader carismatica e voce critica nei confronti del regime di Nicolás Maduro, è da tempo bersaglio di pressioni politiche e intimidazioni. Eventi come quello avvenuto a Chacao contribuiscono ad alimentare un clima di sfiducia e incertezza tra i cittadini.
Attesa per ulteriori dettagli
Al momento, restano molte domande senza risposta sulle circostanze della detenzione e sui video che Machado sarebbe stata costretta a registrare. La leader dell’opposizione si prepara a fornire la sua versione dei fatti, che potrebbe gettare nuova luce su un evento già al centro dell’attenzione mediatica.
In attesa di ulteriori sviluppi, l’opinione pubblica, sia a livello nazionale che internazionale, osserva con attenzione il caso, considerandolo un indicatore significativo delle dinamiche di potere e dei livelli di repressione politica in Venezuela.
Attualità
Gaza: Studio britannico rivela stime di vittime ben più elevate rispetto ai dati ufficiali

Secondo un’analisi statistica pubblicata sulla prestigiosa rivista medica The Lancet, il numero delle vittime nella Striscia di Gaza potrebbe essere notevolmente superiore a quanto riportato dalle fonti ufficiali. La ricerca, condotta da un team della London School of Hygiene & Tropical Medicine guidato dall’epidemiologa Zeina Jamaluddine, stima che i decessi legati al conflitto abbiano già superato la soglia dei 70.000, una cifra di almeno il 40% più alta rispetto ai dati ufficiali diffusi dal Ministero della Salute palestinese.
Un bilancio drammatico
L’analisi prende in esame il periodo compreso tra l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e il 30 giugno 2024, stimando che in quel lasso di tempo le vittime siano state 64.260, a fronte delle 37.877 dichiarate ufficialmente. I dati più recenti del Ministero della Salute palestinese, aggiornati al 9 gennaio 2025, riportano un totale di 46.006 decessi in 15 mesi di guerra. Tuttavia, lo studio suggerisce che il numero reale potrebbe essere sottostimato di circa il 41%.
A ottobre 2024, secondo i ricercatori, il numero complessivo di morti per lesioni traumatiche avrebbe già oltrepassato i 70.000. A questi si aggiungono le vittime indirette causate dall’interruzione dell’assistenza sanitaria, dalla malnutrizione, dalla scarsità d’acqua e dalle condizioni igieniche precarie, nonché dalle malattie aggravate dal conflitto.
Una crisi umanitaria senza precedenti
Secondo lo studio, le violenze hanno provocato la morte di circa il 3% della popolazione della Striscia di Gaza. Un dato particolarmente significativo riguarda la composizione demografica delle vittime: il 59% dei decessi riguarda donne, bambini e anziani, evidenziando l’impatto devastante sui civili.
I ricercatori hanno utilizzato il metodo statistico del “cattura-ricattura”, che consente di stimare il numero totale di decessi sovrapponendo informazioni provenienti da diverse fonti. Tra queste, i registri dell’obitorio dell’ospedale del Ministero della Salute palestinese, un sondaggio online e necrologi pubblicati sui social media. Tale approccio è stato necessario a causa della difficoltà di raccogliere dati completi in un contesto di infrastrutture sanitarie gravemente compromesse.
Il ruolo delle infrastrutture sanitarie
Il deterioramento del sistema sanitario nella Striscia di Gaza rappresenta uno dei principali fattori alla base della sottostima delle vittime. La distruzione di ospedali, la carenza di personale medico e la difficoltà di accedere alle aree colpite hanno reso quasi impossibile un conteggio accurato dei decessi. “L’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha già condannato l’elevato numero di civili uccisi nella guerra a Gaza”, afferma Zeina Jamaluddine. “I nostri risultati indicano che il numero di decessi per lesioni traumatiche è sottostimato di circa il 41%. Questo evidenzia l’urgenza di interventi mirati per proteggere i civili e ridurre ulteriori perdite di vite umane”.
Implicazioni e urgenza di interventi
Lo studio lancia un appello alla comunità internazionale, sottolineando l’importanza di interventi tempestivi per mitigare le sofferenze della popolazione civile. Le conclusioni dei ricercatori mettono in evidenza la necessità di garantire l’accesso a cure mediche, acqua potabile e servizi essenziali per prevenire ulteriori tragedie.
L’analisi rappresenta un monito sull’entità della crisi umanitaria in corso e sull’urgenza di trovare soluzioni che possano porre fine al conflitto, salvaguardando al contempo la vita di migliaia di persone innocenti.
Attualità
Il Tribunale delle Imprese di Roma respinge il ricorso collettivo contro il Ponte sullo...

ROMA – Il Tribunale delle Imprese di Roma ha emesso una decisione che segna una tappa importante nel dibattito sul progetto del Ponte sullo Stretto di Messina. Il ricorso presentato da 104 cittadini, volto a inibire l’avanzamento del progetto attraverso un’azione collettiva, è stato dichiarato inammissibile. La motivazione principale della sentenza risiede nell’assenza di un progetto definitivo, elemento ritenuto imprescindibile per procedere con un’azione legale di questo tipo.
Una controversia legale senza precedenti
La questione, che ha polarizzato l’opinione pubblica e suscitato un acceso dibattito politico, ha visto opporsi due gruppi di cittadini con posizioni diametralmente opposte. Da un lato, i 104 ricorrenti contrari al progetto hanno cercato di bloccare preventivamente qualsiasi progresso, sostenendo la necessità di valutazioni più approfondite sui potenziali impatti ambientali e sociali. Dall’altro lato, un gruppo di 139 cittadini, inizialmente composto da 140 individui, si è schierato a favore della realizzazione dell’opera, cercando di far valere il proprio punto di vista all’interno dello stesso procedimento.
La posizione del Tribunale
Le fonti legali consultate dall’ANSA hanno confermato che il Tribunale delle Imprese ha respinto entrambe le istanze. In particolare, l’intervento del gruppo favorevole al ponte è stato anch’esso giudicato inammissibile, evidenziando l’equilibrio mantenuto nella valutazione delle richieste. Tuttavia, la decisione si è concentrata principalmente sull’assenza di un progetto definitivo, sottolineando che l’azione collettiva non può essere accolta in mancanza di elementi concreti su cui basare un giudizio di merito.
Implicazioni future
La sentenza del Tribunale non mette definitivamente fine alle controversie legali legate al Ponte sullo Stretto. L’assenza di un progetto definitivo, pur rappresentando un ostacolo per le azioni legali attuali, non esclude che future iniziative possano essere intraprese qualora il progetto avanzasse verso una fase più concreta. Nel frattempo, il caso rimane un esempio significativo delle difficoltà giuridiche e politiche che accompagnano la realizzazione di grandi opere infrastrutturali in Italia.
Un dibattito che divide
Il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina continua a essere un tema divisivo, suscitando opinioni contrastanti tra i cittadini, gli ambientalisti, gli esperti di infrastrutture e i rappresentanti delle istituzioni. Da un lato, i sostenitori dell’opera evidenziano i potenziali benefici economici e logistici, considerandola un passo cruciale per migliorare i collegamenti tra il Sud Italia e il resto del Paese. Dall’altro, i detrattori sollevano preoccupazioni legate all’impatto ambientale, ai costi elevati e alle incertezze sulla reale fattibilità del progetto.
La recente decisione del Tribunale delle Imprese di Roma, seppur significativa, rappresenta solo un capitolo di una vicenda complessa che continuerà a evolversi nei prossimi anni. Il Ponte sullo Stretto resta un simbolo delle sfide che l’Italia deve affrontare per conciliare sviluppo infrastrutturale, sostenibilità e consenso sociale.
Attualità
Meloni: Diplomazia tra Italia, Stati Uniti e Iran sul caso Sala

La premier Giorgia Meloni ha delineato un quadro di intensa attività diplomatica e di intelligence per affrontare il caso Sala, evidenziando il ruolo centrale di una triangolazione tra Italia, Stati Uniti e Iran. Durante una conferenza stampa, Meloni ha sottolineato che la gestione del caso ha richiesto un approccio articolato e riservato sin dall’inizio, senza che vi siano stati momenti chiave di svolta.
Dialogo e cautela nelle relazioni con l’Iran
“Le interlocuzioni con l’Iran sono di natura diplomatica e di intelligence. In questi casi, il governo è tenuto alla massima riservatezza”, ha dichiarato la premier. Meloni ha poi aggiunto che il sottosegretario Alfredo Mantovano è intervenuto al Copasir per fornire chiarimenti e si è detto disponibile a ulteriori audizioni, considerando la presenza di circa 500 cittadini italiani in Iran. Questa circostanza impone un’attenzione particolare, sia per la complessità del caso, sia per la sicurezza degli italiani nel Paese.
Il caso Abedini e il ruolo degli Stati Uniti
Sul fronte del caso Abedini, Meloni ha spiegato che la vicenda è attualmente al vaglio del Ministero della Giustizia, con una valutazione sia tecnica che politica nel contesto del trattato bilaterale con gli Stati Uniti. La premier ha ribadito l’importanza del dialogo con Washington: “E’ una questione che deve essere affrontata in modo continuo con gli amici americani”. Inoltre, ha espresso rammarico per l’impossibilità di discutere il tema direttamente con il presidente Joe Biden, il cui viaggio in Europa è stato annullato. Meloni ha colto l’occasione per inviare un messaggio di solidarietà a Biden.
Un processo ancora in evoluzione
“Il lavoro non è terminato ieri”, ha chiarito Meloni, sottolineando la complessità della situazione e la necessità di approfondire ulteriormente i dettagli nelle sedi appropriate. La premier ha evidenziato che l’approccio al caso richiede una collaborazione costante e strutturata tra i diversi attori coinvolti, mantenendo un equilibrio tra discrezione e trasparenza.
Un equilibrio delicato
La gestione del caso Sala rappresenta un esempio emblematico delle sfide che la diplomazia internazionale deve affrontare in situazioni complesse e multilaterali. L’Italia si trova a operare in un contesto delicato, dove il rispetto per la riservatezza si intreccia con la necessità di tutelare gli interessi nazionali e i rapporti con i partner internazionali. Mentre il lavoro prosegue, la premier ha ribadito l’impegno del governo nel garantire una gestione responsabile e strategica di una questione che continua a richiedere massima attenzione.
Attualità
Il Papa: una “diplomazia della speranza” contro la minaccia di guerra mondiale

Il richiamo alla responsabilità nel dialogo internazionale
Durante un discorso rivolto al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Papa Francesco ha espresso profonde preoccupazioni per l’attuale scenario geopolitico, segnalando la crescente concretezza della minaccia di una guerra mondiale. Il Pontefice ha delineato la necessità di un approccio diplomatico orientato alla costruzione di speranza e riconciliazione, come unica strada per superare divisioni e conflitti.
“La vocazione della diplomazia è quella di favorire il dialogo con tutti, anche con gli interlocutori considerati scomodi o ritenuti non legittimati a negoziare”, ha affermato il Papa, le cui parole sono state lette da un collaboratore a causa di un lieve malanno che lo ha colpito. Questo approccio, ha sottolineato, è indispensabile per interrompere le dinamiche di odio e vendetta che alimentano tensioni globali e conflitti armati.
Una critica alle radici della conflittualità umana
Nel suo intervento, Papa Francesco ha identificato le cause profonde delle aspirazioni belliche nell’egoismo, nell’orgoglio e nella superbia umana, definendole veri e propri “ordigni” che minacciano la pace internazionale. “È necessario disinnescare queste forze distruttive per costruire una società basata sulla giustizia e sulla convivenza pacifica”, ha aggiunto il Pontefice, invitando i rappresentanti diplomatici a farsi promotori di una nuova visione per il futuro.
La diplomazia come strumento di riconciliazione
Richiamandosi al concetto di una “diplomazia della speranza”, il Papa ha evidenziato l’importanza di mantenere aperti canali di dialogo anche in situazioni di estrema tensione. “Solo un dialogo autentico e coraggioso può spezzare le catene che imprigionano le nazioni in spirali di conflitto”, ha affermato, sottolineando che la diplomazia deve avere il coraggio di confrontarsi con le sfide più difficili.
Un appello alla comunità internazionale
Concludendo il suo discorso, Papa Francesco ha lanciato un appello alla comunità internazionale, invitandola a intraprendere con urgenza percorsi di pace e cooperazione. In un mondo sempre più frammentato e polarizzato, il Pontefice ha ricordato che la speranza è un elemento essenziale per costruire una società più giusta e solidale.
Questo intervento rappresenta un ulteriore tassello nell’impegno della Santa Sede per la promozione della pace globale, ribadendo il ruolo cruciale della diplomazia come strumento di dialogo e riconciliazione in un periodo storico segnato da gravi tensioni internazionali.
Attualità
Cecilia Sala e l’Iran: Una storia di giornalismo, diplomazia e coraggio

Teheran, 19 dicembre 2024. Una data che Cecilia Sala, 29 anni, non dimenticherà mai. E nemmeno noi. Immaginate questa scena: una giornalista italiana, autorizzata da un regolare visto, viene arrestata in Iran. L’accusa? Ambigua, fumosa: “Violazione delle leggi della Repubblica Islamica”. Quali leggi, esattamente? Nessuno lo sa. Nessuno lo dice. Questo alone di mistero diventa subito il preludio di una vicenda che intreccia giornalismo, politica internazionale e una dose impressionante di coraggio.
Uno scambio di pedine?
Le coincidenze, si sa, non esistono. E questa storia non fa eccezione. Qualche giorno prima che Cecilia fosse arrestata, precisamente il 16 dicembre, succede un fatto che sembra scritto apposta per complicare tutto: a Malpensa viene bloccato Mohammad Abedini Najafabadi, un ingegnere iraniano-svizzero. Le accuse contro di lui non sono da poco: traffico illegale di componenti elettronici. Non stiamo parlando di semplici pezzi di ricambio ma di tecnologia avanzata per droni, quella che l’Iran potrebbe usare per il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, considerato dagli Stati Uniti un’organizzazione terroristica. Due episodi a pochi giorni di distanza. Due lati opposti di una stessa medaglia. L’Italia, nel mezzo.
Ed è impossibile non pensare che le due cose siano collegate. Una scacchiera geopolitica, dove Cecilia potrebbe essere diventata una pedina in un gioco più grande di lei. Ma, ufficialmente, nessuno conferma nulla.
Da una parte, l’Iran che sembra pronto a usare Cecilia come una leva per ottenere qualcosa. Dall’altra, il nostro governo che si ritrova a dover gestire una situazione esplosiva. E in tutto questo, Cecilia è lì, chiusa nel carcere di Evin. E sapete cosa significa quel nome? Non è un luogo come gli altri. No, per niente.
Evin: un nome che fa paura
Se non avete mai sentito parlare del carcere di Evin, lasciate che vi dipinga un quadro. Non è solo una prigione. È un simbolo. Un posto che trasuda dolore, fatica, sopravvivenza. Dissidenti, giornalisti, oppositori politici: tutti passano di lì. Cecilia si ritrova in isolamento, privata di tutto. Intorno a lei, solo un silenzio pesante che sembra gridare. Ma anche fuori, in Italia, non è che si stia meglio. Famiglia, amici, colleghi: tutti bloccati in un limbo. Aspettano. Pregano. Risposte? Non ne arrivano.
La sua detenzione scatena un’onda di preoccupazione. Non solo in Italia. Ovunque. Organizzazioni per la libertà di stampa, governi occidentali. Tutti condannano l’uso dei giornalisti come strumenti di pressione politica. Le reazioni diventano un coro globale: basta usare chi rischia la vita sul campo. Bisogna proteggerli. E subito.
Diplomazia in azione
Nel bel mezzo di tutto ciò, un nome spicca: Antonio Tajani, Ministro degli Esteri. Dal primo momento, Tajani è in prima linea. Chiede chiarimenti all’Iran. Vuole sapere, vuole capire: perché Cecilia è lì? Non molla. Non fa un passo indietro. E poi c’è Paola Amadei, l’ambasciatrice italiana a Teheran. Non si limita al “compitino”: visita Cecilia, si accerta che stia bene, o almeno, che stia resistendo. Difficili, sì, le sue condizioni. Ma insostenibili? Non ancora. Non finché qualcuno tiene duro per lei.
Le autorità italiane non si fermano mai. Ogni giorno è una sfida per accorciare i tempi. Tajani invia una nota ufficiale al governo iraniano. Amadei monitora da vicino. Dà supporto morale. Tiene il contatto umano. E le pressioni diplomatiche? Aumentano, crescono. Ogni ora conta. Tre settimane. Sembrano un’eternità. Ma pensando ad altri casi simili, il rilascio di Cecilia è stato un mezzo miracolo. Uno di quelli che ti ricorda quanto sia importante non arrendersi mai.
L’abbraccio del ritorno
Finalmente, 8 gennaio 2025. Cecilia è libera. La notizia arriva come un fulmine a ciel sereno. All’aeroporto di Ciampino, la scena è toccante. Il padre, Renato Sala, non riesce a trattenere le lacrime. “Solo tre volte nella mia vita ho pianto”, racconta. “Credo che il nostro governo abbia fatto un lavoro eccezionale. Ho sempre avuto fiducia nella forza di Cecilia.”
Il compagno, Daniele Raineri, è sollevato. “L’ho trovata bene, anche se provata”, dice. “È sempre lei. Stanca, ma lei.”
E Cecilia? Lei non si perde in parole superflue. Ringrazia il Governo italiano, chi l’ha aiutata. Ma si intuisce che il peso dell’esperienza è ancora tutto lì. Nei suoi occhi, nei suoi silenzi. “Ringrazio il Governo e tutti quelli che mi hanno tirato fuori”, dichiara brevemente.
La stampa sotto assedio
Questa non è solo la storia di Cecilia. È la storia di tutti noi. Di chi crede ancora che raccontare la verità sia più importante di qualsiasi rischio. E di chi, per farlo, è disposto a sacrificare tutto: libertà, salute, perfino la vita. Pensateci un attimo. Che cosa significa davvero mettere in gioco tutto quello che hai, tutto quello che sei, per dare voce a chi non ne ha? Per scrivere ciò che molti preferirebbero tacere? Cecilia ci ha mostrato cosa significa.
E poi, c’è Evin. Un nome che fa rabbrividire. Non serve visitarlo per sentire il peso di quelle mura. Basta sapere cosa rappresenta: isolamento, privazioni, pressioni psicologiche. Un posto dove si cerca di spezzarti. E quando sei lì, chiuso in una cella, il mondo fuori sembra lontano anni luce. Ma non lo è. Non per Cecilia. Non per chi ha lavorato giorno e notte per riportarla a casa. L’Italia, le sue istituzioni, hanno fatto qualcosa di straordinario. Hanno lottato per lei e non hanno mai smesso di crederci. Questo conta. Questo ha fatto la differenza.
Non è la prima volta che succede. Pensate a Mesale Tolu, reporter tedesca detenuta in Turchia nel 2017. O a Jason Rezaian, giornalista americano arrestato in Iran nel 2014. Entrambi liberati, certo, ma a quale prezzo?
E ora?
Ora tocca a noi non dimenticare. La vicenda di Cecilia Sala è un monito. Ci insegna che la libertà di stampa non è garantita. Va difesa. Ogni giorno. Perché senza di essa, il mondo diventa un luogo più buio. E il prezzo da pagare è troppo alto.
La sua esperienza ha avviato un dibattito sulla necessità di proteggere i giornalisti che operano in contesti complessi e regimi repressivi. Questo caso non è solo un capitolo della storia del giornalismo italiano ma un richiamo globale per una protezione più efficace della libertà di stampa.
Attualità
La posizione dell’ONU sulla sovranità: una risposta alle dichiarazioni di Trump

Le recenti dichiarazioni del presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, hanno suscitato un’ampia discussione internazionale. In particolare, la sua volontà dichiarata di acquisire territori come la Groenlandia e il Canale di Panama, con l’eventualità di ricorrere a mezzi economici o militari, ha sollevato interrogativi sul rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale degli stati.
A questo proposito, il portavoce delle Nazioni Unite, Stephane Dujarric, ha voluto sottolineare l’importanza dei principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite, firmata da tutti i paesi membri. Rispondendo a una domanda dell’agenzia ANSA, Dujarric ha affermato: “Abbiamo a che fare con un’amministrazione americana per volta. E la questione riguardo sovranità e integrità territoriale è ampiamente trattata nella Carta ONU che tutti gli stati membri hanno sottoscritto”.
La Carta delle Nazioni Unite: pilastro della sovranità internazionale
La Carta delle Nazioni Unite rappresenta il fondamento del diritto internazionale moderno e sancisce il principio della sovranità degli stati come elemento cardine per la stabilità globale. L’articolo 2 della Carta, in particolare, stabilisce che gli stati membri si impegnano a rispettare l’integrità territoriale e la sovranità politica degli altri membri, escludendo l’uso della forza come strumento di coercizione.
In questo contesto, le dichiarazioni di Trump hanno provocato un certo allarme tra gli osservatori internazionali. La Groenlandia, territorio autonomo sotto la sovranità del Regno di Danimarca, e il Canale di Panama, sotto il controllo esclusivo della Repubblica di Panama dal 1999, sono entrambi simboli di sovranità consolidata nei rispettivi contesti geopolitici.
La posizione delle Nazioni Unite
La risposta del portavoce Dujarric evidenzia l’approccio istituzionale delle Nazioni Unite, che mirano a mantenere un dialogo con le diverse amministrazioni statunitensi su base pragmatica. La dichiarazione riflette anche la neutralità dell’ONU, che evita commenti diretti sulle intenzioni politiche di un singolo stato, focalizzandosi invece sul rispetto delle norme internazionali.
La comunità internazionale guarda con attenzione a queste dinamiche, poiché eventuali azioni unilaterali che minaccino la sovranità di stati indipendenti potrebbero creare pericolosi precedenti. La Carta delle Nazioni Unite, in questo senso, continua a rappresentare un baluardo contro eventuali derive che possano minare l’ordine internazionale.
Le parole di Stephane Dujarric ribadiscono un messaggio chiaro: la sovranità e l’integrità territoriale non sono negoziabili, essendo elementi fondamentali del sistema multilaterale che garantisce la pace e la sicurezza globale. Mentre si attende l’insediamento ufficiale della nuova amministrazione statunitense, la comunità internazionale rimane vigile, pronta a difendere i principi che stanno alla base della cooperazione tra gli stati membri.
Attualità
Ponte sullo Stretto: la roadmap verso l’apertura dei cantieri

Copertura finanziaria completata, via libera atteso entro febbraio 2025
La realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina entra in una fase cruciale, con l’avvio dei cantieri previsto entro il 2025. Dopo anni di dibattiti, ostacoli amministrativi e controversie, il progetto sembra finalmente prendere forma concreta, grazie alla copertura finanziaria e alle ultime approvazioni tecniche e burocratiche.
Finanziamenti e approvazioni tecniche
L’ultimo ostacolo di natura economica è stato superato con la recente manovra finanziaria. Il Governo ha destinato 1,5 miliardi di euro aggiuntivi, colmando il gap individuato nel Documento di economia e finanza 2024, che stimava il costo complessivo dell’opera a 13,5 miliardi di euro. Contestualmente, la Commissione di Valutazione di Impatto Ambientale ha espresso parere positivo, mentre la Conferenza dei Servizi ha chiuso i propri lavori lo scorso 23 dicembre.
Ciò che resta ora è l’approvazione del progetto definitivo, accompagnato dal piano economico-finanziario, in fase di completamento. Una volta pronti questi elementi, il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess), presieduto dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dovrà dare il via libera definitivo. Secondo il vicepremier Matteo Salvini, l’approvazione dovrebbe arrivare tra gennaio e febbraio 2025.
Un inizio anno decisivo
Il 2025 si preannuncia determinante per il futuro del progetto, non solo per le approvazioni politiche e tecniche. Sul fronte legale, restano aperti diversi contenziosi che potrebbero influire sui tempi di avvio dei lavori. Tra questi, spiccano due procedimenti che coinvolgono la società Stretto di Messina e il consorzio Eurolink insieme alla Parson Transportation. Il primo contenzioso è atteso in Corte d’Appello a giugno, mentre il secondo è fissato per il 20 gennaio.
Un altro fronte aperto è rappresentato da una class action intrapresa da 104 cittadini, ai quali si sono aggiunti 139 privati a favore del ponte. Gli oppositori chiedono di accertare eventuali responsabilità della società Stretto di Messina, sostenendo che l’opera sia priva di un reale interesse strategico e non fattibile sotto i profili ambientali, strutturali ed economici.
Ricorsi e opposizioni
Ulteriori complicazioni derivano dai ricorsi amministrativi. Due sono attualmente pendenti presso il Tar del Lazio: uno presentato da associazioni ambientaliste come Legambiente, Lipu e Wwf Italia; l’altro dai comuni di Reggio Calabria e Villa San Giovanni. Entrambi sollevano perplessità sul piano ambientale e sulla gestione dell’opera, aggiungendo incertezze al calendario dei lavori.
Il Ponte sullo Stretto rimane un tema polarizzante. Se da un lato rappresenta una possibile svolta infrastrutturale per il Mezzogiorno, dall’altro continua a suscitare dubbi e resistenze. Mentre il Governo accelera per rispettare le scadenze, le dinamiche legali e amministrative in corso potrebbero ancora condizionare il percorso verso la realizzazione di quella che viene definita una delle opere più ambiziose e controverse della storia italiana.
Attualità
Scholz ribadisce: “L’inviolabilità delle frontiere è un principio fondamentale”

BERLINO – In una dichiarazione inaspettata rilasciata presso la Cancelleria federale, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha riaffermato l’importanza dell’inviolabilità delle frontiere, definendola un principio fondamentale del diritto internazionale che “vale per tutti, indipendentemente dalle dimensioni o dal peso geopolitico di un Paese”.
Scholz ha rivelato di aver recentemente intrattenuto colloqui con diversi capi di Stato e di governo europei, con l’obiettivo di affrontare l’impatto delle dichiarazioni controverse provenienti dagli Stati Uniti. Senza menzionare direttamente il nome dell’ex presidente americano Donald Trump, il cancelliere ha fatto riferimento a esternazioni che, secondo lui, hanno sollevato preoccupazioni tra i partner europei. “Dalle discussioni è emersa una certa incomprensione per le affermazioni recenti,” ha dichiarato.
Ribadendo con fermezza la posizione tedesca, Scholz ha sottolineato che le frontiere “non possono essere modificate con la violenza”, un principio che, secondo il cancelliere, rappresenta una pietra angolare della pace e della stabilità in Europa e nel mondo. L’appello è stato chiaro: i partner europei devono restare uniti e coordinati nella difesa di questo valore condiviso. “La coesione tra i Paesi europei è fondamentale per affrontare sfide comuni e garantire che i principi fondamentali del diritto internazionale siano rispettati ovunque”, ha aggiunto.
La dichiarazione arriva in un momento delicato per le relazioni transatlantiche, segnato da tensioni legate a posizioni divergenti su temi di politica estera. L’unità tra gli Stati membri dell’Unione Europea viene vista come una risposta cruciale per rafforzare la credibilità del blocco nel panorama geopolitico globale.
Un appello all’unità europea
Scholz ha inoltre evidenziato l’importanza di una risposta coordinata alle provocazioni che potrebbero minare la stabilità internazionale. “Non si tratta solo di proteggere le frontiere fisiche, ma di difendere un ordine internazionale basato su regole condivise,” ha affermato il cancelliere.
Il riferimento implicito alle tensioni alimentate da dichiarazioni provenienti dagli Stati Uniti, un partner storico dell’Europa, segnala una crescente necessità per i leader europei di definire una posizione autonoma e coesa. Scholz non ha fornito ulteriori dettagli sui contenuti delle conversazioni avute con i suoi omologhi, ma ha ribadito che “il confronto è stato costruttivo e orientato a rafforzare la cooperazione.”
L’eredità del principio di inviolabilità
Il principio dell’inviolabilità delle frontiere ha radici profonde nel diritto internazionale ed è stato riaffermato in numerose occasioni dopo la Seconda guerra mondiale. Esso rappresenta una delle basi fondamentali del sistema di sicurezza collettiva europeo, come sancito anche dagli accordi di Helsinki del 1975.
Scholz ha concluso il suo intervento ricordando che ogni violazione di tale principio rappresenta una minaccia non solo per il Paese coinvolto, ma per l’intera comunità internazionale. “Dobbiamo continuare a lavorare insieme per garantire che il rispetto delle frontiere e del diritto internazionale rimanga al centro delle nostre azioni collettive,” ha sottolineato.
La posizione del cancelliere tedesco si inserisce in un contesto più ampio di ridefinizione delle alleanze globali, in cui l’Europa si trova sempre più spesso a dover bilanciare il rapporto con gli Stati Uniti e la propria autonomia strategica. Restano da vedere gli sviluppi futuri, ma il messaggio di Scholz è chiaro: l’Europa non può permettersi divisioni interne su questioni di principio fondamentali.
Attualità
Trump chiede alla Corte Suprema di intervenire sulla sentenza del caso Stormy Daniels

Appello urgente per bloccare la condanna prevista a New York
L’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha ufficialmente chiesto alla Corte Suprema di bloccare l’imminente sentenza nel caso legato a Stormy Daniels, prevista per venerdì. La richiesta, avanzata attraverso un ricorso formale, punta a sospendere ogni ulteriore procedimento presso il tribunale di New York.
Secondo quanto riportato dalla testata statunitense The Hill, il team legale di Trump ha sottolineato la necessità di un intervento immediato da parte della Corte Suprema. Nel documento depositato, gli avvocati dell’ex presidente hanno argomentato che la continuazione del caso potrebbe provocare “gravi ingiustizie”, compromettendo non solo l’integrità del sistema giudiziario, ma anche il funzionamento delle istituzioni governative.
I motivi del ricorso
Nel testo del ricorso, i legali hanno evidenziato l’importanza di proteggere il ruolo della Presidenza e le operazioni del governo federale da potenziali ripercussioni derivanti da un caso che considerano politicamente sensibile. “Questa Corte dovrebbe sospendere immediatamente ulteriori procedimenti presso il tribunale di New York per prevenire gravi ingiustizie e danni all’istituzione della Presidenza e alle operazioni del governo federale”, si legge nella documentazione.
La vicenda Stormy Daniels rappresenta uno dei capitoli più controversi della carriera politica e personale di Trump. L’accusa riguarda presunti pagamenti effettuati per comprare il silenzio della nota attrice pornografica su una relazione extraconiugale che avrebbe avuto luogo prima delle elezioni presidenziali del 2016. Trump ha sempre negato con fermezza le accuse, definendole parte di una campagna di persecuzione politica.
Un caso con implicazioni nazionali
La richiesta alla Corte Suprema sottolinea l’eccezionalità del caso, mettendo in evidenza come una condanna potrebbe avere conseguenze senza precedenti per un ex presidente degli Stati Uniti. Gli avvocati hanno espresso preoccupazioni per i danni che un simile procedimento potrebbe arrecare non solo alla reputazione del loro assistito, ma anche alla stabilità delle istituzioni democratiche.
L’intervento della Corte Suprema, tuttavia, non è garantito. Nonostante il suo ruolo fondamentale nel sistema giuridico americano, la Corte interviene raramente in casi di natura penale, specialmente quando si trovano ancora nelle fasi preliminari dei procedimenti. Rimane dunque incerto se la richiesta di Trump verrà accolta e in che modo potrebbe influenzare il calendario giuridico del caso.
Le reazioni
La notizia del ricorso ha già suscitato una vasta eco mediatica e politica. I sostenitori di Trump vedono nella sua richiesta un tentativo legittimo di difendersi da un sistema giudiziario che ritengono politicizzato. Al contrario, i suoi oppositori considerano l’azione come un ulteriore tentativo di evitare responsabilità legali.
Con l’avvicinarsi della data prevista per la sentenza, il caso Stormy Daniels continua a tenere banco nei dibattiti pubblici e a mettere sotto i riflettori il sistema giudiziario americano. La decisione della Corte Suprema, qualora arrivasse, potrebbe segnare un punto di svolta cruciale non solo per Trump, ma per l’intero panorama politico statunitense.
Attualità
La Procura di Roma sospende l’App per il processo penale telematico

Torna l’uso del formato analogico fino al 31 gennaio
ROMA – La Procura della Capitale ha deciso di sospendere l’utilizzo dell’applicazione per il processo penale telematico, un sistema progettato per digitalizzare e semplificare la gestione degli atti giudiziari. La decisione segue la segnalazione di numerosi malfunzionamenti riscontrati nel funzionamento della piattaforma, che hanno portato a difficoltà operative significative per magistrati e operatori del settore.
Decisione ufficiale e motivazioni
Con un provvedimento firmato dal procuratore capo Francesco Lo Voi, la Procura di Roma ha disposto che, fino al 31 gennaio, tutti gli atti giudiziari vengano redatti e depositati esclusivamente in formato analogico. “Si invita a depositare atti, documenti, richieste e memorie con modalità non telematiche”, si legge nel documento ufficiale, che sancisce una temporanea sospensione del sistema telematico in favore delle tradizionali procedure cartacee.
La decisione è motivata anche dalla mancanza di modelli specifici nell’applicazione per gestire i nuovi flussi di atti. In molte circostanze, gli strumenti digitali disponibili non si sono dimostrati adeguati a soddisfare le esigenze operative dei magistrati, ostacolando il regolare svolgimento delle attività giudiziarie.
Un problema già segnalato dal Tribunale di Roma
La Procura di Roma non è la prima istituzione a rilevare criticità nell’utilizzo dell’applicazione per il processo telematico. Anche il Tribunale della Capitale aveva precedentemente evidenziato numerosi malfunzionamenti, mettendo in luce i limiti tecnici della piattaforma. Le difficoltà riscontrate hanno spinto entrambe le istituzioni a rivedere temporaneamente l’adozione del sistema telematico, tornando a metodi più tradizionali e consolidati.
Impatti e prospettive future
Questa sospensione rappresenta un passo indietro per il processo di digitalizzazione della giustizia, un obiettivo strategico perseguito negli ultimi anni per migliorare l’efficienza e la trasparenza del sistema giudiziario. Tuttavia, l’adozione di strumenti tecnologici inefficaci rischia di compromettere la qualità del lavoro giudiziario, rendendo necessarie soluzioni temporanee come il ritorno al formato analogico.
La Procura di Roma, nel suo provvedimento, non ha escluso la possibilità di riprendere l’utilizzo dell’applicazione una volta risolte le problematiche tecniche. Nel frattempo, l’ufficio giudiziario più grande d’Italia si prepara a gestire i prossimi mesi facendo affidamento su procedure consolidate, garantendo al contempo il regolare svolgimento delle attività giudiziarie.
La sospensione del processo telematico nella Procura di Roma solleva interrogativi sulla capacità di integrare efficacemente la tecnologia nel sistema giudiziario italiano. Mentre si attendono aggiornamenti sul futuro dell’applicazione, il ritorno temporaneo al formato analogico punta a preservare la funzionalità del sistema, evitando ulteriori rallentamenti e disagi per i magistrati e gli operatori della giustizia.
Attualità
La magia dell’Epifania nel mondo

La magia dell’Epifania nel mondo
“La Befana vien di notte, con le scarpe tutte rotte, col vestito alla romana: viva viva la Befana!”
Questa antica filastrocca italiana risuona nelle case di molte famiglie nella notte tra il 5 e il 6 gennaio, evocando immagini di camini accesi, calze appese con cura e il profumo dolce dei dolciumi. È una notte speciale, avvolta da un’aura di mistero e meraviglia, durante la quale i bambini attendono con trepidazione il passaggio di una vecchina dal volto rugoso, ma dal cuore generoso, che porta loro piccoli doni.
Italia: la Befana, tra mito e leggenda
In nessun altro luogo al mondo esiste una figura come la Befana. Raffigurata come una vecchietta con un lungo naso adunco, abiti rattoppati e scarpe logore, vola sulla sua scopa nella notte dell’Epifania per riempire le calze dei bambini di dolci o carbone, a seconda del loro comportamento. Ma chi è davvero la Befana? È una strega? Una fata? O forse un po’ di entrambe?
La tradizione della Befana ha radici antichissime, che risalgono agli antichi riti pagani legati alla natura e al rinnovamento del ciclo delle stagioni. Nell’antica Roma, infatti, si celebrava la fine del solstizio d’inverno con feste in onore della dea Diana, simbolo della fertilità. Con l’avvento del Cristianesimo, queste usanze furono reinterpretate, e la Befana divenne una figura popolare legata all’arrivo dei Re Magi.
In molte regioni d’Italia, la notte dell’Epifania si festeggia con eventi spettacolari: a Urbania, nelle Marche, si tiene una grande festa in onore della Befana, con sfilate, mercatini e spettacoli per bambini. A Roma, Piazza Navona si anima di bancarelle e luci, e in molti paesi del Sud Italia si organizzano cortei e rappresentazioni sceniche in costume.
La Befana non è solo un personaggio folkloristico: rappresenta la saggezza del tempo, l’accettazione della vecchiaia e la bellezza di un gesto semplice, quello di portare gioia ai più piccoli.
Francia: la Galette des Rois e l’incoronazione del re
In Francia, la tradizione dell’Epifania è legata al dolce della Galette des Rois, una torta di pasta sfoglia ripiena di crema di mandorle. All’interno della galette viene nascosta una piccola figurina di porcellana, e chi la trova nella propria fetta diventa il re o la regina della giornata. L’usanza affonda le sue radici nelle feste pagane dedicate al dio Giano e fu poi adottata dalla tradizione cristiana per celebrare l’arrivo dei Re Magi.
Inghilterra: il Twelfth Night e le antiche usanze
In Inghilterra, l’Epifania è legata alla Twelfth Night, la dodicesima notte dopo Natale, un tempo di antiche celebrazioni che segnavano la fine del periodo natalizio. Un tempo, era usanza mangiare una torta speciale contenente un fagiolo e una fava: chi trovava il fagiolo diventava re per un giorno, mentre chi trovava la fava era la regina. Oggi, questa tradizione si è quasi persa, ma in alcune comunità rurali si organizzano ancora rappresentazioni teatrali e feste conviviali.
Spagna: Los Reyes Magos, una festa di luce e colori
In Spagna, la notte del 5 gennaio si accende di magia con la Cabalgata de Reyes, una sfilata di carri allegorici che rappresentano l’arrivo dei Re Magi. Migliaia di persone si riversano nelle strade per assistere a questo spettacolo di luci e colori, durante il quale i Re Magi lanciano dolci e regali ai bambini. Al termine della sfilata, i piccoli tornano a casa e lasciano le scarpe accanto alla porta, sperando di trovare i doni al loro risveglio.
Messico: la Rosca de Reyes e il calore della comunità
In Messico, l’Epifania è una festa vissuta con grande partecipazione. Il dolce tradizionale è la Rosca de Reyes, una ciambella decorata con frutta candita, all’interno della quale si nasconde una piccola statuina del Bambino Gesù. Chi trova la statuina dovrà organizzare una festa il 2 febbraio, giorno della Candelora. La festa dell’Epifania messicana rappresenta un momento di unione e condivisione familiare.
Russia: il Natale ortodosso e il gelo purificatore
In Russia, dove si segue il calendario giuliano, l’Epifania coincide con il Natale ortodosso, celebrato il 7 gennaio. Il momento più suggestivo delle celebrazioni è il rito della benedizione delle acque: in molte località, i fedeli si immergono in laghi e fiumi ghiacciati dopo che il sacerdote ha benedetto le acque. Questo gesto simboleggia la purificazione e il rinnovamento spirituale.
Grecia: il Battesimo nelle acque e la benedizione del mare
In Grecia, l’Epifania è conosciuta come Ta Fota, ovvero “le luci”, e simboleggia il battesimo di Cristo. Durante la cerimonia, il sacerdote benedice il mare, i fiumi o i laghi, gettandovi una croce. I giovani si tuffano nelle acque gelide per recuperarla, in un gesto che rappresenta la purificazione e la protezione divina.
Etiopia: il Timkat, celebrazione sacra e festosa
In Etiopia, l’Epifania è chiamata Timkat ed è una delle festività religiose più importanti del Paese. Le celebrazioni, che durano tre giorni, culminano con la processione dell’Arca dell’Alleanza e la benedizione dell’acqua. Il Timkat è un evento di straordinaria bellezza, che unisce fede, musica e tradizione.
“Ogni Paese ha la sua Epifania, il suo modo unico di celebrare un dono che trascende il tempo e lo spazio. Ma, al di là delle tradizioni, ciò che unisce tutte queste feste è un desiderio profondo: portare un po’ di luce nel cuore degli altri. La Befana, i Re Magi, le acque benedette… ogni gesto simbolico ci ricorda che c’è sempre un nuovo inizio, una scintilla di speranza che illumina anche le notti più lunghe. E così, forse, la vera Epifania è quella che accade in noi, quando impariamo a donare, ad aspettare e a meravigliarci di ciò che la vita può ancora offrire.” (Anna Del Bene)
Attualità
Il discorso di fine anno del Presidente Sergio Mattarella: un appello alla pace e alla...

Ci siamo, è quel momento dell’anno in cui tutto sembra sospeso: il vecchio sta per chiudere il sipario e il nuovo scalpita per entrare in scena. E come ogni anno, il discorso del Presidente della Repubblica è un momento che ti riporta a terra, che ti ancora quando tutto sembra sfuggire. Un attimo per fare il punto, per capire chi siamo davvero e quale direzione vogliamo prendere. Stavolta Sergio Mattarella, il nostro Capo dello Stato, ha davvero toccato corde profonde. E no, non è stata la solita sfilza di parole formali ma un messaggio che ha colpito dritto al cuore. Parliamone.
La pace prima di tutto
“Il primo augurio è la pace, per tutti.” Non poteva esserci apertura più forte, più necessaria. Mattarella ha parlato con una schiettezza rara, puntando il dito contro le atrocità che ancora oggi insanguinano il mondo. Dall’Ucraina devastata dall’invasione russa agli attacchi terroristici di Hamas in Israele: il Presidente non ha risparmiato parole dure per condannare chi perpetua la violenza.
Ma non si è fermato alla denuncia. Ha richiamato tutti, ma proprio tutti, alla responsabilità. Diplomazia, diritti umani, dialogo: sono questi, secondo lui, i pilastri su cui costruire una pace vera, duratura. E qui arriva il colpo basso, quello che ti stringe lo stomaco: ha raccontato la storia di una bambina morta assiderata a Gaza la notte di Natale. Una di quelle immagini che ti restano addosso e ti fanno chiedere: davvero vogliamo continuare così?
Un Giubileo per sperare
E poi c’è il Giubileo, questo evento che non è solo religioso ma anche profondamente umano. Papa Francesco l’ha inaugurato come un invito alla speranza e Mattarella ci ha visti dentro tutti, noi italiani, chiamati a riscoprire un senso di comunità che a volte sembra perso. Ma cosa vuol dire, davvero, partecipare a un Giubileo? Per il Presidente, è l’occasione per guardarsi intorno, tendere una mano, fare qualcosa di concreto per chi sta peggio di noi. Un rinnovamento etico, insomma, che parte dal basso e arriva fino alle istituzioni.
Disuguaglianze che fanno male
“Un Paese coeso è un Paese più forte.” Sembra una frase fatta, ma quando Mattarella parla di disuguaglianze si sente che ci crede davvero. E non si limita a fare il solito discorso sul divario Nord-Sud, purtroppo sempre attuale. Va oltre, puntando il riflettore su temi come la povertà educativa, un mostro silenzioso che colpisce soprattutto il Mezzogiorno e che rischia di negare a tanti giovani un futuro migliore.
E poi c’è la questione della ricchezza concentrata nelle mani di pochi. Una realtà che non possiamo più ignorare. Mattarella è stato chiaro: “La redistribuzione delle risorse non è solo un imperativo morale, ma una necessità per garantire stabilità economica e politica.” Parole che fanno riflettere, specie in un momento in cui le disuguaglianze sembrano allargarsi invece di ridursi.
Clima e priorità sbagliate
Non poteva mancare il tema del cambiamento climatico, che ormai è una costante nei discorsi ufficiali. Ma qui Mattarella ha alzato la voce, mettendo a confronto due numeri che fanno male: l’aumento della spesa in armamenti e la cronica mancanza di investimenti per contrastare il riscaldamento globale. Una contraddizione che pesa come un macigno.
Ha parlato di alluvioni, di territori devastati, di segnali d’allarme che continuiamo a ignorare. E ha lanciato un appello: l’Italia deve fare di più, promuovendo energie rinnovabili e un’economia sostenibile. Ma non è solo una questione di governi; siamo tutti coinvolti. Le nuove generazioni, con il loro impegno per l’ambiente, sono una fonte di speranza. Ma tocca a noi, oggi, dare loro gli strumenti per costruire un futuro migliore.
Libertà di informazione: una battaglia da non perdere
Uno dei momenti più intensi è stato il pensiero rivolto a Cecilia Sala, giornalista italiana detenuta in Iran. Un nome, una storia, che racchiude tutto il valore e il coraggio della libera informazione. Mattarella è stato diretto: “La libertà di stampa è un pilastro della democrazia.” Parole che suonano come un monito, un richiamo a proteggere chi rischia la vita per raccontare la verità.
E qui viene fuori un lato poco conosciuto del Presidente: la sua sensibilità verso chi lavora dietro le quinte, spesso in condizioni difficili, per garantire la trasparenza e la responsabilità delle istituzioni. Un richiamo che vale non solo per l’Italia, ma per tutti i governi democratici.
Un futuro che dipende da noi
“La speranza siamo noi, il nostro impegno, la nostra libertà, le nostre scelte.” Così, Mattarella ha chiuso il suo discorso. Non con un addio formale ma con una chiamata vera, di quelle che ti fanno alzare dalla sedia. E non è un modo di dire: è un invito a smettere di guardare, di restare a bordo campo. Bisogna fare, agire, rimboccarsi le maniche, anche quando sembra inutile, anche quando fa paura.
E sapete cosa? Non c’era niente di pomposo nel suo modo di dirlo. Niente prediche o toni distanti. Solo quella calma sicura, che ti fa sentire parte di qualcosa di più grande, che ti fa pensare: “Ha ragione, tocca a me”. Ecco, è questo il punto: non servono gesti eroici ma quei piccoli passi di ogni giorno. Le cose semplici, normali, che però messe insieme cambiano davvero tutto.
Il messaggio completo
Se volete riascoltarlo, quel discorso è lì, sul sito del Quirinale o su tutti i canali ufficiali. Facile da trovare, difficile da ignorare. Perché è una di quelle cose che ti fanno fermare un attimo, mettere da parte la frenesia, e pensare. Davvero pensare. Non tanto per analizzare ogni parola ma per sentire cosa ti smuove dentro. Vale la pena condividerlo, con chiunque abbia bisogno di una scintilla per cominciare l’anno con qualcosa di più. Più consapevolezza, magari. O, chi lo sa, un pizzico di speranza che non guasta mai.
Attualità
La Manovra 2025: un cambio di rotta per l’Italia?

La Manovra 2025: un cambio di rotta per l’Italia?
Negli ultimi giorni si è sentito parlare un po’ ovunque della Manovra 2025. Bella etichetta, certo. Ma poi? Poi ci siamo noi. Noi che facciamo i conti ogni giorno, tra bollette che non perdonano, lavori che arrancano e sacrifici che ormai sono diventati la norma. E allora la domanda vera è: che impatto avrà davvero questa legge su chi vive la vita reale, quella fatta di piccoli grandi problemi? Proviamo a capirlo insieme, perché di novità ce ne sono e alcune potrebbero cambiare qualcosa. Forse poco. Forse tanto.
Riforma IRPEF: promessa di semplificazione o una solita toppa?
Una delle grandi novità è questa riforma dell’IRPEF. Tre scaglioni invece di quattro. Sì, sulla carta è più semplice. Ma è davvero quello che serve? Vediamo: 23% fino a 28.000 euro, 35% da 28.000 a 50.000 euro, 43% oltre. Ok, è tutto più ordinato ma è qui che viene il dubbio: quanto cambierà davvero per chi, ogni mese, deve fare i salti mortali per arrivare alla fine?
Certo, c’è il taglio del cuneo fiscale confermato per i redditi fino a 40.000 euro. E per chi guadagna meno di 20.000 euro c’è un’indennità esentasse. Bello, no? Sì, ma basta? La classe media, quella che si becca sempre il peso maggiore, vedrà finalmente un po’ di respiro? Oppure siamo di fronte all’ennesima soluzione che funziona solo sulla carta? Questo è il punto. E nessuno può dirlo con certezza.
Pensioni: flessibilità o illusione?
Un altro capitolo cruciale è quello delle pensioni. Viene introdotta la possibilità di andare in pensione a 64 anni con almeno 25 anni di contributi. Interessante, no? Ma attenzione: questa misura è pensata per chi ha aderito anche alla previdenza complementare. Quindi, di fatto, è un incentivo a investire in fondi privati.
E poi c’è la rivalutazione delle pensioni minime, legata all’inflazione. Una boccata d’ossigeno per molti, certo. Ma è davvero abbastanza per affrontare il caro vita? La sostenibilità del sistema pensionistico rimane un grande punto interrogativo. E non possiamo far finta che la vera sfida sia ancora lontana.
Bonus natalità: un passo nella giusta direzione?
In un Paese dove i bambini sono sempre meno, la Manovra cerca di incentivare le famiglie con misure come il bonus nuovi nati: 1.000 euro per ogni figlio nato o adottato da gennaio 2025, per chi ha un ISEE fino a 40.000 euro. Una goccia nel mare? Forse sì, forse no. Certo è che, da sola, questa misura non basterà a invertire la tendenza.
Poi c’è il rifinanziamento del fondo di garanzia per i mutui sulla prima casa, con priorità ai giovani under 36 e alle famiglie monoparentali. Una buona notizia ma resta da vedere se queste misure riusciranno davvero a dare un aiuto concreto o se resteranno solo sulla carta, come purtroppo è già successo in passato.
Imprese e innovazione: opportunità da cogliere?
Passiamo al mondo delle imprese. La riduzione dell’IRES al 20% per chi reinveste gli utili è una delle misure più rilevanti. Se utilizzata bene, potrebbe stimolare investimenti in ricerca, sviluppo e nuovi posti di lavoro. E poi ci sono i fondi per la digitalizzazione e la sostenibilità ambientale. Parole chiave come intelligenza artificiale, blockchain e energie rinnovabili promettono grandi cose. Ma siamo pronti a cogliere queste opportunità? O il rischio è che, ancora una volta, rimangano solo belle intenzioni?
Casa: bonus ristrutturazioni ed ecobonus
Allora, qui parliamo di una delle parti che ci tocca davvero: casa. La Manovra 2025 mette sul tavolo due cose che ci interessano parecchio, il Bonus Ristrutturazioni e l’Ecobonus. Sì, quei nomi che fanno pensare a opportunità, ma anche a burocrazia infinita. Insomma, strumenti che potrebbero fare la differenza per chi vuole migliorare casa, tagliare bollette o anche solo sentirsi un po’ più moderno. Ma quanto è davvero facile usarli? E quanto ci conviene? Vediamo di capirlo, perché qui la promessa è grande, ma si sa, tra il dire e il fare…
Bonus ristrutturazioni
Il Bonus Ristrutturazioni, che consente detrazioni fiscali per interventi di recupero edilizio, viene prorogato dalla Manovra 2025 con una struttura rinnovata. Sono previste aliquote differenziate per abitazioni principali e seconde case, con una graduale riduzione delle percentuali di detrazione negli anni.
Abitazione principale (prima casa)
- 2025: Detrazione fiscale del 50% con un tetto massimo di spesa di 96.000 euro per unità immobiliare.
- 2026 e 2027: Aliquota ridotta al 36%, mantenendo invariato il limite di 96.000 euro.
Altre abitazioni (seconde case)
- 2025: Detrazione fiscale del 36% con un tetto massimo di spesa di 96.000 euro.
- 2026 e 2027: Aliquota ulteriormente ridotta al 30%, con il medesimo limite di 96.000 euro.
Ok, allora. Dal 2028 al 2033, si fa tutto uguale per tutti. Prima casa, seconda casa, poco importa: l’aliquota sarà del 30%. Chiaro, diretto, senza troppi giri. Ma è qui che arriva il nodo: il tetto massimo di spesa scenderà a 48.000 euro. Ora, mettiamoci nei panni di chi vuole ristrutturare davvero: con questa cifra, cosa ci fai? Ti basta? O forse no? Per molti potrebbe essere una stretta difficile da digerire. È un messaggio misto, quasi un “sì, ma” che lascia un po’ d’amaro. Eppure, è questa la direzione che si è scelta. Funzionerà? Chi lo sa. Ciò che è certo è che richiederà pianificazione e forse, qualche sacrificio.
Ecobonus
Parliamo di Ecobonus. Una parola che sa di futuro, ma anche di una di quelle cose che ti fanno pensare: “Bello, ma cosa significa davvero per me?”. Questo incentivo dovrebbe aiutare chi vuole rendere la propria casa meno energivora – o forse solo un po’ più moderna. La Manovra 2025 prova a semplificare le regole (era ora!), ma il gioco delle aliquote cambia in base a che tipo di immobile hai. E attenzione: gli sconti si riducono col tempo. Perché? Beh, forse per stringere la cinghia, o forse per spingerti a fare tutto subito. Chi lo sa. Una cosa è certa: c’è bisogno di coraggio, di pianificazione e diciamolo, anche di un po’ di fortuna per sfruttarlo al meglio.
- Abitazione principale (prima casa):
- 2025: detrazione del 50%.
- 2026 e 2027: aliquota ridotta al 36%.
- Altre abitazioni e immobili non residenziali:
- 2025: detrazione del 36%.
- 2026 e 2027: aliquota ridotta al 30%.
Un ulteriore elemento innovativo della Manovra 2025 è l’introduzione di un tetto di spesa modulato, calibrato sul reddito e sulla composizione del nucleo familiare. Questa misura mira a garantire un accesso più equo alle detrazioni, ponendo un freno alle disparità e incentivando gli interventi sostenibili.
L’obiettivo è chiaro: spingere verso una maggiore sostenibilità, assicurando che i benefici fiscali siano proporzionati alle condizioni economiche di ciascuna famiglia.
Una tassa sui voli extra UE: simbolo o sostanza?
Tra le novità della Manovra 2025 spicca l’aumento dell’addizionale comunale sui diritti d’imbarco per i voli diretti verso destinazioni extra Unione Europea. Dal 1° aprile 2025, ogni biglietto per un volo extra-UE costerà 50 centesimi in più. Cinquanta centesimi. Una moneta, una manciata di spicci.
Eppure, è lì che si gioca una promessa: quei soldi dovrebbero servire a migliorare qualcosa, a fare la differenza. Si applica ai grandi aeroporti, quelli con milioni di passeggeri. Ma diciamolo: è abbastanza? O è solo una goccia in un mare di problemi? Vedremo se questi spicci finiranno davvero dove servono, o se rimarranno un altro piccolo peso senza una vera storia da raccontare.
Finalità e impatto
Dunque… Tutti quei 50 centesimi per ogni biglietto extra-UE, dove andranno? Beh, l’idea è chiara: quei soldi, una volta raccolti, saranno usati per progetti ambientali e infrastrutturali nei Comuni dove ci sono gli aeroporti interessati. Sì, bello a dirsi. Però fermiamoci un attimo. Stiamo parlando di circa 5,33 milioni di euro nel 2025 e poi 8 milioni nel 2026. Ma davvero bastano queste cifre per fare la differenza? Cosa si riuscirà a costruire o migliorare con questi numeri? E, soprattutto, arriveranno davvero dove servono o si perderanno nei soliti rivoli burocratici? Il punto è tutto qui: è una buona idea sulla carta ma nella pratica serve ben più che un piccolo balzello per cambiare le cose.
Analisi critica
Sebbene l’importo aggiuntivo di 0,50 euro per passeggero possa sembrare irrisorio, la reale efficacia di questa misura nella lotta contro il cambiamento climatico solleva numerosi interrogativi. Da una parte, rappresenta un chiaro segnale politico verso una maggiore attenzione alle tematiche ambientali. Dall’altra, però, il suo impatto effettivo sul comportamento dei consumatori e sulle emissioni del settore aereo potrebbe risultare limitato.
Inoltre, l’applicazione selettiva della tassa – che coinvolge solo determinati aeroporti e rotte – potrebbe alimentare dubbi di equità. Questo aspetto rende cruciale monitorare con attenzione l’effettiva destinazione dei fondi raccolti, al fine di assicurare che vengano utilizzati per progetti con un impatto ambientale tangibile. Sarebbe inoltre opportuno considerare l’adozione di misure complementari più incisive per affrontare le sfide climatiche con maggiore efficacia.
E ora?
La Manovra 2025 si presenta senza dubbio come ambiziosa. Mira a rilanciare l’economia, sostenere le famiglie e favorire l’innovazione. Tuttavia, le sfide da affrontare sono numerose e complesse. La vera prova sarà la sua attuazione concreta. Il Governo sarà in grado di trasformare queste promesse in realtà? Solo il tempo potrà dare una risposta definitiva.
Quello che posso dirvi, col cuore in mano, è che non smetteremo di guardare ogni piega di questa Manovra, ogni piccolo passo, ogni possibile inciampo. Saremo qui, con la testa sulle spalle ma con gli occhi spalancati, a chiederci insieme a voi: “Cambierà davvero qualcosa?”. Perché alla fine, conta questo: vedere se le parole diventano fatti, se le promesse fanno spazio a un cambiamento vero. Vero per noi, per voi, per le famiglie che tengono tutto in piedi ogni giorno. E noi ci saremo, pronti a raccontarvi tutto, con tutta la passione e anche, forse, la rabbia necessaria.
Attualità
Omicidio in Spagna risolto grazie a Google Maps: il caso scioccante di Tajueco

Poche volte, nella cronaca recente, ci è capitato di imbatterci in una vicenda tanto assurda e, allo stesso tempo, tristemente reale. Ci riferiamo a un omicidio che ha lasciato un intero Paese, e forse il mondo intero, a bocca aperta. E non stiamo esagerando: c’è di mezzo un uso davvero inatteso della tecnologia, perché tutto è venuto alla luce grazie a Google Street View. Già, proprio quel servizio di mappe online che molti di noi utilizzano ogni giorno per cercare una via o dare un’occhiata a un quartiere prima di andarci. Invece, stavolta, ha fatto da testimone involontario a una tragedia.

Siamo in Spagna, più precisamente nella provincia di Soria, dove una tranquilla località chiamata Tajueco è balzata tristemente agli onori della cronaca. Una storia di sentimenti traditi, illusioni e violenza, che risale al novembre 2023, quando un uomo di origine cubana, 33 anni appena, si volatilizza nel nulla. L’obiettivo del suo viaggio era apparentemente la speranza di riappacificarsi con la moglie. Eppure, da quel momento, di lui non si sa più nulla. È proprio uno dei suoi parenti a lanciare l’allarme: i messaggi che arrivavano sul cellulare sollevavano troppi dubbi, sembravano fuori luogo, non rispecchiavano il solito modo di esprimersi di quest’uomo. Si respirava un’aria sospetta, come se qualcuno cercasse di costruire una versione di comodo sul motivo della sua scomparsa.
L’antefatto: perplessità e silenzi
Il caso fa presto a rimbalzare tra le forze dell’ordine. Una persona sparita in modo così brusco mette in allarme chiunque, specialmente quando il motivo ufficiale del suo viaggio risulta ancora più enigmatico. Ci siamo chiesti tutti: come può un uomo che vuole ricucire un legame così importante sparire così, senza salutare, senza lasciare traccia, se non qualche messaggio ambiguo? Di solito, in queste situazioni, si punta tutto sulle testimonianze, sulle videocamere dei negozi e si interroga chiunque possa averlo visto per l’ultima volta. Ma qui, la vera svolta è arrivata da un luogo inaspettato, ossia l’obiettivo di Google Street View.
Sospetti e svolta tecnologica
A un certo punto, gli inquirenti si sono imbattuti in qualcosa di inquietante: sul servizio di mappatura fornito da Google, un’istantanea ritraeva un uomo che, con una calma surreale, caricava un grosso sacco bianco all’interno del bagagliaio della sua auto. L’immagine è piuttosto sfocata, come spesso capita su Street View, ma i contorni di quel sacco e il contesto generale hanno fatto scattare un campanello d’allarme. La gente del posto lo ha riconosciuto: si trattava di un barista residente proprio a Tajueco, lo stesso luogo dove il nostro trentatreenne era stato visto per l’ultima volta.
E qui, si apre lo scenario più cupo: emerge che questo barista intratteneva una relazione con la moglie della vittima. Un dettaglio sconvolgente, che ha condotto gli investigatori a mettere sotto la lente di ingrandimento tutti i movimenti di costui. Da quell’immagine catturata quasi per caso, la polizia ha cercato ulteriori conferme, scandagliando telefonate, messaggi e tracce digitali. Passo dopo passo, si è delineato un quadro terribile, in cui non sembra esserci spazio per ipotesi alternative.
Google Street View: alleato imprevisto
Non si tratta solo di foto che immortalano una strada o un edificio. In questo caso, Google Street View è diventato una sorta di testimone scomodo e implacabile. L’indizio fornito da quell’immagine ha gettato una luce sinistra sui sospetti, spingendo le autorità a fare accertamenti più mirati. Intercettazioni, controlli incrociati e infine l’arresto. Le manette si sono strette non soltanto intorno ai polsi del barista ma anche intorno a quelli della moglie dell’uomo scomparso, a cui sono stati contestati reati gravissimi.
Ritrovamento macabro
Arriviamo così al 13 dicembre 2024, una data difficile da dimenticare per la gente di questa zona. Nel cimitero di Andaluz, una località vicina a Tajueco, viene ritrovato il corpo smembrato della vittima. Il suo destino, purtroppo, si era compiuto settimane prima. Gli stessi sospettati hanno permesso il ritrovamento, indicando con precisione dove fossero nascosti i resti. Una scoperta che ha scosso profondamente l’intera comunità, finora abituata a una vita semplice e lontana dai riflettori.
Conseguenze e riflessioni su privacy e tecnologia
Non possiamo ignorare il lato etico della faccenda: per anni, abbiamo discusso sulla privacy, sui confini del lecito, sulla possibilità che un colosso tecnologico possa avere immagini di tutti noi. Adesso, ci ritroviamo a constatare che questi scatti, talvolta considerati una sorta di curiosità digitale, possono trasformarsi in prove fondamentali in un’indagine di omicidio. Il che fa sorgere una domanda: fino a che punto siamo pronti a sacrificare la nostra riservatezza per garantire la giustizia? Ogni volta che un caso come questo emerge, ci rendiamo conto di quanto sia sottile la linea che separa la sicurezza collettiva dal diritto individuale alla privacy.
Un precedente storico
Nel panorama investigativo, l’uso di Google Maps per risolvere un delitto rappresenta una novità destinata a far discutere a lungo. La piccola Tajueco verrà probabilmente ricordata come la località dove uno strumento comunissimo è diventato l’occhio che ha svelato un segreto criminale. Forse, in futuro, assisteremo a nuove modalità di indagine sempre più legate alla tecnologia di tutti i giorni. Resta però un brivido, una strana sensazione, pensando che un banale click sulle mappe online possa, di punto in bianco, rivelare i peggiori abissi della crudeltà umana.
Concludendo, ci troviamo di fronte a un episodio che racchiude dramma, tecnologia e domande scomode su ciò che siamo disposti a cedere pur di assicurare i colpevoli alla giustizia. Resta vivo un monito: non sappiamo mai chi ci sta osservando, anche quando cerchiamo di occultare ciò che non vorremmo fosse mai scoperto. E in questa circostanza, a fare chiarezza è stata proprio la prospettiva digitale, fredda e onnipresente, di Google Street View. Un fatto che, probabilmente, cambierà il nostro modo di guardare quel piccolo omino giallo sulla mappa. E forse, in fondo, cambierà anche il modo in cui riflettiamo sul delicato equilibrio fra controllo, privacy e verità.
Attualità
La Roma delle borgate raccontata con il cuore: il ritorno di Storie Bastarde

Roma. Anni ’70, ’80. Una città che sembra vivere due vite. Da un lato, la poesia struggente di Pier Paolo Pasolini, con le sue borgate illuminate da una bellezza malinconica. Dall’altro, l’ombra scura della Banda della Magliana, con i suoi intrecci di criminalità e potere. In mezzo, una generazione di ragazzi che cerca disperatamente di crescere, sognare, sopravvivere. Questo è il cuore pulsante di Storie Bastarde, il libro di Davide Maria Desario è una finestra aperta sulle contraddizioni, le speranze e i tormenti di una città in perenne trasformazione.
Un autore radicato nella sua Roma
Davide Maria Desario. Un nome che, a molti, dice già qualcosa. Magari per il suo lavoro come direttore di Adnkronos, ma a chi lo conosce davvero basta poco per capire che è molto più di un giornalista. Nato a Roma, febbraio 1971, si potrebbe dire che è cresciuto respirando i vicoli, i tramonti rossi sui tetti e quelle mille contraddizioni che rendono questa città un po’ crudele e un po’ magica. Desario, però, non si è mai fermato a guardare.
Ha vissuto ogni piega di Roma, imparando a raccontarla con parole che non graffiano, ma scavano. Prima la cronaca, che gli ha insegnato a non girare mai la testa dall’altra parte. Poi la narrativa, dove ogni racconto sembra un pezzo di cuore che ha deciso di mettere sulla carta. E quando leggi Storie Bastarde lo senti: è vivo. Ogni pagina ti prende per mano e ti trascina dentro un’anima fatta di poesia e disperazione, bellezza e buio, con quella voce che solo chi Roma ce l’ha nel sangue può avere.
Ostia, una palestra di vita
Molte delle storie di Desario prendono vita a Ostia, quel quartiere che non è solo mare ma anche un microcosmo di speranze e paure. È qui che i bambini crescono giocando tra strade polverose e bar di quartiere, imparando presto che ogni scelta può essere decisiva. Criminalità, droga, sogni infranti: tutto è a portata di mano… ma anche la resilienza, quella forza incredibile di chi, nonostante tutto, non smette di credere in un futuro migliore. Desario cattura questa dualità con una maestria che colpisce al cuore.
Quello che rende Storie Bastarde speciale è la sua capacità di trascendere i confini geografici. Certo, è un libro profondamente romano ma le sue storie parlano a tutta l’Italia. La Roma di Desario non è quella dei monumenti e dei turisti, ma quella delle borgate, delle persone comuni che combattono ogni giorno per un pezzo di felicità. E queste lotte, queste speranze, risuonano ovunque. Perché in fondo, chi di noi non ha mai sentito il peso di un sogno troppo grande per il posto in cui vive?
La trasposizione teatrale: un altro livello di intensità
Il successo di Storie Bastarde non si è fermato alle pagine. L’opera è stata portata sul palcoscenico da Ariele Vincenti e Fabio Avaro, trasformandosi in una rappresentazione che amplifica l’essenza dei racconti. Il teatro ha il potere di rendere tutto ancora più crudo, più diretto. E il pubblico ha risposto con entusiasmo, dimostrando che queste storie non sono solo romanze, ma pezzi di vita che meritano di essere vissuti.
Un nuovo capitolo: la riedizione
Nel 2010 Storie Bastarde ha fatto il suo debutto ma quest’anno il libro torna a prendersi il suo spazio. Una nuova edizione, curata da Avagliano Editore, arricchita da una storia inedita e dalla prefazione appassionata di Francesca Fagnani. Ecco, stavolta è come se il libro avesse trovato una seconda vita, un’energia rinnovata, pronta a parlare ancora più forte.
Il 20 novembre 2024 è successo qualcosa di speciale. Al palazzo dell’informazione Adnkronos si è celebrata la nuova vita di queste storie. Tra i presenti, volti noti come il prefetto di Roma, Lamberto Giannini e la giornalista Eleonora Daniele. Ma quello che contava di più non erano i titoli, no. Era il silenzio che si creava quando si parlava di queste storie. Perché alla fine si tratta di questo: non dimenticare. Tenere vivo quello che spesso scivola via, nell’indifferenza. E forse, solo forse, imparare qualcosa in più su chi siamo.
Una Roma che resiste
Tra criminalità e poesia, tra disperazione e speranza, emerge una Roma che non si arrende. Storie Bastarde è un omaggio a questa città ma anche all’Italia intera. Racconta di un’infanzia difficile, di scelte che cambiano il corso della vita, ma anche di una resistenza silenziosa, fatta di piccoli gesti quotidiani. Desario ci ricorda che, anche nelle situazioni più buie, c’è sempre spazio per la speranza.
Oltre il libro: un autore poliedrico
Desario non si ferma a Storie Bastarde. Con opere come #RomaBarzotta (2015) e #RomaBarzotta 2 (2017), ha continuato a esplorare le dinamiche della Capitale. E il suo impegno culturale va oltre la scrittura: nel 2022 è stato nominato presidente della giuria per la selezione della “Capitale italiana della cultura” 2025, un ruolo che testimonia la sua dedizione alla valorizzazione del patrimonio italiano.
Se c’è una cosa che Storie Bastarde ci insegna, è che le storie hanno il potere di cambiare il mondo. Raccontando la Roma delle borgate, Desario non ci offre solo un pezzo di letteratura ma un documento storico, un atto d’amore verso una città e le sue mille sfumature. E ci lascia con una certezza: anche nelle difficoltà, c’è sempre una luce che brilla, anche se fioca. Sta a noi trovarla.
Attualità
Ottavia Piana: una storia di coraggio e resistenza nelle profondità dell’Abisso Bueno...

Cosa spinge una persona ad avventurarsi nelle viscere della terra, affrontando freddo, oscurità e pericoli senza fine? Ottavia Piana, 32 anni, ce lo ha dimostrato con la sua incredibile vicenda. Una storia che ha tenuto l’Italia col fiato sospeso per 75 ore, tra speranza e angoscia, e che si è conclusa con un lieto fine nella notte del 18 dicembre 2024.
L’incidente: un attimo, e tutto cambia
Era la sera del 14 dicembre. Ottavia, speleologa esperta, si trovava insieme a un gruppo di colleghi all’interno dell’Abisso Bueno Fonteno, una delle grotte più temibili del territorio bergamasco. Il suo nome non è scelto a caso: cunicoli stretti, umidità opprimente, temperature intorno ai 4°C. Un mondo ostile, dove ogni passo va calcolato. Eppure, anche i più esperti possono inciampare. Una caduta di cinque metri. Cinque metri che l’hanno bloccata, ferita e immobilizzata in uno dei passaggi più angusti della grotta.
Lesioni alle vertebre, fratture al ginocchio e alle costole, ferite al volto. Un quadro clinico che avrebbe piegato chiunque. Ma non Ottavia. La sua capacità di mantenere la calma e collaborare con i soccorritori è stata fondamentale.
Appena è partito l’allarme, si è acceso qualcosa di incredibile. Centocinquantanove persone – tecnici, speleologi, gente che conosce la montagna e la rispetta – hanno lasciato tutto e sono arrivate lì. Da tredici regioni diverse. Hanno unito le loro mani, i loro strumenti, i loro pensieri. Ogni gesto sembrava un pezzo di un disegno più grande, un incastro perfetto fatto di sudore, concentrazione e cuore. Spiegarlo è complicato: era come vedere un gigantesco ingranaggio in moto, con ogni singolo pezzo che si muove per salvare una vita. Corde che si tendono, voci che si incrociano nel buio. Ogni respiro pesava. Ogni secondo contava. E lì, in mezzo a tutto, non era questione di sola tecnica. Era passione. Quella che ti fa andare avanti anche quando sei stanco, freddo, esausto.
Le operazioni sono iniziate alla mezzanotte del 15 dicembre. Ogni singolo movimento è stato studiato al millimetro. Ottavia è stata assistita da medici specializzati direttamente sul posto. Antidolorifici, trattamenti per evitare complicazioni e soprattutto tanta umanità. Perché in quei cunicoli non si tratta semplicemente di procedure tecniche: ci sono persone, con le loro paure e la loro determinazione.
Immaginate una barella che deve essere sollevata e calata per oltre 100 metri verticali, tra passaggi strettissimi e rocce scivolose. Ogni movimento richiedeva un’attenzione maniacale. Eppure, nonostante le difficoltà, il lavoro di squadra ha fatto la differenza.
La risalita: il momento che tutti aspettavano
Sono le 2:59 del 18 dicembre. Un applauso esplode nell’oscurità. Ottavia emerge finalmente dalla grotta, visibilmente provata ma lucida. I soccorritori, molti dei quali non avevano dormito per giorni, la accolgono con lacrime di gioia.
Trasportata immediatamente in elicottero all’ospedale di Bergamo, ora è sotto osservazione. Le sue condizioni sono stabili, ma la strada verso la piena guarigione sarà lunga. Eppure, conoscendo il suo spirito, c’è da scommettere che ce la farà.
Quello del 2024 non è il primo incidente per Ottavia nell’Abisso Bueno Fonteno. Nel luglio del 2023, una frattura alla gamba l’aveva già bloccata per oltre 40 ore nello stesso sistema di grotte. Anche allora, un’operazione di soccorso aveva permesso di salvarla. Una coincidenza? Forse. Ma è chiaro che questo luogo ha un legame profondo con lei, un misto di sfida e attrazione.
I costi delle operazioni: un dibattito sempre acceso
Ogni grande impresa porta con sé delle domande. Chi paga per tutto questo? Le operazioni di soccorso in grotta, si sa, sono complesse e costose. Alcuni hanno sollevato critiche, chiedendosi se i contribuenti debbano farsi carico di tali spese. Ma Sergio Orsini, presidente della Società Speleologica Italiana, ha chiarito: gli speleologi come Ottavia sono coperti da assicurazioni specifiche, finanziate attraverso le loro polizze. I costi non gravano sulla collettività. Una risposta che dovrebbe mettere a tacere le polemiche ma che non sempre riesce a convincere tutti.
La riflessione: perché rischiare?
“Le grotte non sono per tutti”, ha commentato Mario Tozzi, noto geologo. E come dargli torto? L’esplorazione speleologica è un mondo a parte. Fascino, certo, ma anche rischio. Chi si avventura in questi luoghi deve essere consapevole dei propri limiti.
Ma c’è qualcosa di più. Qualcosa che va oltre il pericolo. L’esplorazione è una spinta primordiale, un bisogno di andare oltre, di scoprire ciò che è nascosto. E Ottavia è l’incarnazione di questa passione.
Questa è una di quelle storie che ti prendono lo stomaco e lo stringono forte. Ti fanno riflettere su cosa significhi davvero coraggio. Ottavia e i soccorritori che hanno rischiato tutto per salvarla non sono eroi da film, no. Sono persone, vere, con paure, con dubbi, con un’incredibile forza di volontà. In quei cunicoli neri come la pece, dove ogni suono rimbalza e ti ricorda quanto sei piccolo, non si è trattato solo di paura. C’è stato qualcosa di più grande, più potente: un legame. Una di quelle connessioni umane che nascono quando tutto sembra perduto e invece trovi la mano di qualcuno che ti tiene stretto.
“Non avrei potuto farcela senza di loro”, ha dichiarato Ottavia dal letto d’ospedale. Una frase semplice ma che dice tutto.
Il futuro: una lezione per tutti
Quello che è successo nell’Abisso Bueno Fonteno è un monito. Per gli speleologi, certo, ma anche per tutti noi. La natura è affascinante ma richiede rispetto. Esplorare significa conoscere i propri limiti e non sottovalutare mai i pericoli.
Ottavia Piana ha vissuto qualcosa di difficile anche solo da immaginare. Eppure, quel buio profondo, quelle ore interminabili, l’hanno resa un simbolo. Un simbolo di una forza che non è da tutti, una resistenza che ti entra dentro e ti fa riflettere. Perché, alla fine, è di questo che si tratta: trovare la forza di andare avanti, anche quando sembra impossibile. E quei soccorritori, quelle persone incredibili, hanno fatto qualcosa che va oltre la tecnica, oltre le corde e le barelle. Hanno portato speranza, luce. Hanno dimostrato cosa vuol dire davvero esserci, fino in fondo.
Questa storia ti colpisce dritta al cuore. Ti fa pensare che, in fondo, anche nei momenti più bui, possiamo trovare mani tese. Mani che ci tirano su, che ci ricordano che non siamo mai soli, nemmeno nell’oscurità più profonda. È questo il regalo che ci lascia Ottavia: la prova che, con coraggio e con il giusto aiuto, si può tornare alla luce, sempre.
Attualità
Claudia Conte in Polonia per il reportage “Italia e Polonia, legami profondi nel...

Il 1° gennaio la Polonia assumerà la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’occasione l’Ambasciata di Polonia in italia in collaborazione con Claudia Conte sta promuovendo il progetto “Italia Polonia: un viaggio nel cuore dell’Europa”.
Attraverso il viaggio a Varsavia della giornalista e scrittrice italiana, sarà realizzato uno speciale reportage teso a valorizzare i plurisecolari e profondi legami di amicizia tra le due nazioni.

L’Italia e la Polonia si considerano partner strategici politici ed economici nell’ Unione Europea e nella NATO, condividono gli stessi valori di promozione della pace, difesa della sicurezza internazionale e solidarietà.
Il viaggio inizierà a Roma con gli auguri dell’Ambasciatore Ryszard Schnepf che dichiara: “Auguri di buon viaggio alla scoperta o alla riscoperta del nostro passato comune e del nostro presente proiettato verso il futuro. Sicuramente la Polonia vi accoglierà a mani aperte, con tutti i buoni sentimenti che i Polacchi nutrono per gli Italiani. I Polacchi sono molto simili agli Italiani e fra tante nazioni probabilmente gli Italiani sono i più amati da loro, grazie alla memoria storica e all’amicizia plurisecolare che sicuramente continuerà”. A Varsavia ad accoglierla il Viceministro degli Esteri Anna Radvan.
Attraverso la voce di Claudia Conte, gli italiani potranno ripercorrere la storia della Polonia e delle numerose circostanze che hanno unito i due Paesi nel corso dei secoli.
Il racconto avverrà attraverso la visita nei luoghi più iconici della capitale come il centro storico patrimonio dell’Unesco, il Parco Reale Łazienki, il Museo d’Arte Moderna, il Museo Polin – Museo della storia degli ebrei polacchi, Vistula Boulevards, la Passeggiata Via Krakowskie Przedmieście con il Castello Reale e per concludere il meraviglioso Mercatino di Natale con i suoi mille colori. Non mancherà un momento dedicato alla solidarietà con la visita ai rifugiati ucraini e volontari del Gruppo di sostegno per madri e bambini che avranno in dono un regalo speciale: la maglia della Nazionale Italiana di Calcio grazie alla collaborazione con la FIGC.
Attualità
Gioco d’azzardo in Italia: il governo tra innovazione, regolamentazione e responsabilità...

L’Italia si trova a un bivio cruciale in materia di regolamentazione del gioco d’azzardo. Il settore del gioco d’azzardo in Italia sta attraversando un’importante fase di trasformazione. L’obiettivo del governo è chiaro: modernizzare il comparto, garantire un quadro normativo trasparente e, allo stesso tempo, rafforzare la tutela dei cittadini. Le decisioni contenute nel disegno di legge di Bilancio 2025 e altre riforme annunciate, puntano a coniugare crescita economica, sicurezza per i consumatori e impegno nella lotta contro la dipendenza.
Questa visione ambiziosa arriva in un momento cruciale. Il gioco d’azzardo legale rappresenta una risorsa economica importante, con volumi di raccolta che hanno raggiunto 147,5 miliardi di euro nel 2023 e una proiezione di crescita fino a 160 miliardi entro il 2024. Tuttavia, la necessità di proteggere i giocatori vulnerabili e contrastare il gioco illegale impone interventi concreti e bilanciati, che però sembrano aver solo amplificato le contraddizioni esistenti.
Le principali novità introdotte: un sistema più moderno e controllato
Tra le misure annunciate dal governo spiccano interventi volti a riorganizzare e semplificare la gestione del settore:
- Una quarta estrazione settimanale del Lotto per rispondere alla crescente domanda di gioco legale. Questa iniziativa mira a contrastare l’espansione dei canali irregolari, riportando i giocatori verso piattaforme autorizzate e sicure.
- Riforma del sistema delle concessioni per i giochi online e le scommesse, con l’obiettivo di garantire trasparenza, competizione equa e una maggiore protezione dei consumatori. Le nuove regole renderanno il mercato più accessibile agli operatori che rispettano gli standard richiesti dallo Stato.
- Monitoraggio tecnologico avanzato: grazie all’uso di strumenti digitali e dell’intelligenza artificiale, sarà possibile individuare comportamenti di rischio, migliorare i controlli e contrastare più efficacemente il gioco illegale.
Queste azioni rappresentano un passo concreto verso una gestione più efficiente e sicura del settore, permettendo allo Stato di aumentare le entrate fiscali, stimolare l’innovazione e offrire ai giocatori un ambiente regolamentato e protetto, nonché bonus benvenuto scommesse studiati a tavolino.
Responsabilità sociale e tutela dei giocatori: un pilastro centrale
L’attenzione del governo non si ferma alla crescita economica. Al centro delle nuove politiche resta la tutela dei giocatori, con particolare riguardo alle categorie più vulnerabili. La lotta al disturbo da gioco d’azzardo (DGA) è una priorità, e le nuove misure prevedono azioni mirate per affrontare il fenomeno con strumenti più efficaci.
Secondo molte associazioni che combattono la ludopatia, la decisione del governo di sopprimere il fondo ministeriale e di abolire l’Osservatorio nazionale costituisce però una cesura grave. Si cancella non solo una risorsa economica fondamentale per il trattamento e la prevenzione, ma anche un’architettura istituzionale che ha reso possibile affrontare il fenomeno con continuità e competenza. In altre parole, un segnale chiaro di disimpegno da parte dello Stato nei confronti di un problema complesso e multidimensionale.
Dall’altro lato però il governo prevede un maggiore coinvolgimento delle regioni nella gestione degli interventi di prevenzione. Questa decentralizzazione può rendere le politiche di supporto più capillari ed efficaci, adattandole ai bisogni specifici dei territori tramite un approccio multidisciplinare. La prevenzione e il monitoraggio della dipendenza devono infatti camminare di pari passo con la regolamentazione economica del settore.
Tecnologia e innovazione: la chiave per un gioco più sicuro
L’adozione di nuove tecnologie è un altro aspetto cruciale della strategia governativa. Sistemi digitali avanzati, come l’intelligenza artificiale, permetteranno di monitorare i comportamenti dei giocatori e di individuare tempestivamente segnali di rischio. Questo approccio non solo migliorerà i controlli, ma contribuirà anche a rendere il gioco più trasparente e responsabile.
Gli strumenti tecnologici potranno essere utilizzati per:
- Identificare piattaforme non autorizzate e combattere il gioco illegale.
- Garantire la protezione dei dati personali e finanziari dei giocatori, grazie a sistemi di sicurezza aggiornati.
- Promuovere un approccio consapevole al gioco, fornendo ai consumatori informazioni chiare sui rischi e sulle modalità per giocare in sicurezza.
In questo contesto, l’Italia ha l’opportunità di posizionarsi come un modello europeo nella regolamentazione del settore, dimostrando come l’innovazione tecnologica possa contribuire a migliorare la sicurezza e la trasparenza.
Gioco d’azzardo e sviluppo economico: un equilibrio possibile
Uno dei temi più discussi riguarda la possibilità di reintrodurre le sponsorizzazioni delle società di scommesse all’interno del mondo dello sport, in particolare nel calcio. Questa misura, pur controversa, potrebbe rappresentare una boccata d’ossigeno per i club italiani, specialmente quelli più piccoli, che necessitano di nuove fonti di finanziamento.
Il governo sta valutando questa opzione con un approccio equilibrato, proponendo di destinare una parte dei proventi derivanti dalle sponsorizzazioni al contrasto della dipendenza da gioco. Si tratta di un compromesso che, se gestito correttamente, potrebbe sostenere il mondo dello sport senza trascurare la responsabilità sociale.
La riforma del settore del gioco d’azzardo potrebbe rappresentare una grande opportunità per l’Italia. Con un approccio basato su innovazione, controllo e responsabilità, il governo punta a costruire un sistema più moderno, sicuro e sostenibile.
Sebbene alcune scelte abbiano sollevato dubbi, il quadro generale delle riforme mostra una chiara volontà di bilanciare gli interessi economici con la tutela dei cittadini. La chiave del successo risiederà nella capacità di monitorare i risultati, coinvolgere tutti gli attori del settore e mantenere alta l’attenzione sui fenomeni di rischio.
Attualità
Cardinale Camillo Ruini: 70 anni di sacerdozio, fede e servizio alla Chiesa italiana

Settant’anni. Ci pensate? Settanta lunghi anni di scelte, passi avanti, momenti difficili e gioie immense. Una vita. Pensate a tutto quello che può succedere in sette decenni: guerre, cambiamenti epocali, mille storie che si intrecciano. E lui, il Cardinale Camillo Ruini, c’è sempre stato, con la sua fede incrollabile, il suo impegno quasi sovrumano. L’8 dicembre 2024, ha celebrato il suo 70° anniversario di ordinazione sacerdotale. Un traguardo che parla di più di un semplice “quanto tempo”. Qui si parla di una vita spesa a credere, ad agire, a rispondere a una chiamata. Settant’anni di storia, di sogni, di battaglie vinte e perse, di cuore messo in ogni cosa. E forse non è neanche giusto chiamarlo “celebrare”, perché c’è qualcosa di più profondo: è ringraziare per ogni giorno, ogni passo, ogni momento che l’ha portato fin qui.
Un’infanzia che segna il destino
Camillo Ruini nasce il 19 febbraio 1931 a Sassuolo, un piccolo paese nel cuore dell’Emilia. Pensate a un borgo con le sue case basse, le stradine polverose e quell’odore di pane che sembra non andarsene mai. Era un’Italia ferita, appena uscita dalla guerra, con le persone che cercavano di rimettere insieme i pezzi. E Camillo? Un ragazzino come tanti, ma con qualcosa di diverso. Aveva quella luce negli occhi, sapete? Quella che fa dire a chiunque lo incontri: “Questo bambino farà strada“. Passava le giornate a leggere, sempre con un libro stretto al petto, magari seduto su un muretto, con lo sguardo rivolto al cielo. Non era uno di quelli che si accontentano. No, lui cercava. Cercava risposte, senso, un motivo per tutto. E poi, tra una preghiera sussurrata e le domeniche passate in Chiesa, quella vocazione ha cominciato a crescere. Piano, ma inarrestabile. Una voce dentro di lui che lo chiamava, insistente. E Camillo, alla fine, ha risposto.
L’inizio del cammino sacerdotale
L’8 dicembre 1954. Una data che per molti potrebbe non dire niente ma per Camillo Ruini è il giorno in cui tutto è iniziato davvero. La cappella dell’Almo Collegio Capranica a Roma, un luogo intriso di storia e silenzi, ha accolto quel giovane di Sassuolo in un momento che gli avrebbe cambiato la vita. Era emozionato? Forse. Ma chi l’ha visto quel giorno racconta di uno sguardo fermo, di un uomo già consapevole della strada che aveva davanti. Non è mai stato un tipo banale, Ruini. Uno di quelli che si accontentano di fare il minimo indispensabile. No, lui ha sempre voluto di più. Nei primi anni, mentre si immergeva nell’insegnamento e nella formazione teologica, metteva anima e corpo nel suo lavoro. Filosofia e teologia non erano astrazioni per lui ma strumenti veri, concreti, per capire il mondo e, ancora di più, per servire chi aveva bisogno. Perché questo è sempre stato Camillo Ruini: uno che guarda in alto, ma con i piedi ben piantati sulla terra.
Un leader nato
Parlare di Camillo Ruini senza toccare il suo ruolo nella guida della Chiesa italiana? Impossibile. Negli anni Ottanta diventa vescovo ausiliare di Reggio Emilia. Un passo importante, certo. Ma è nel 1991 che la sua storia cambia davvero. Papa Giovanni Paolo II lo chiama. Due incarichi giganteschi lo aspettano: presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e vicario del Papa per Roma. Due montagne da scalare, enormi, che avrebbero fatto tremare chiunque. Ma lui? Lui si fa avanti. Con quella calma che pareva scolpita nella pietra, con una determinazione che non lasciava spazio ai dubbi. Era il suo stile, il suo modo di essere: silenzioso, ma fermo. Un leader nato, capace di prendere decisioni difficili, di navigare tra mille complessità senza mai perdere di vista la sua meta.
E qui, lasciatecelo dire, emerge davvero la statura di un uomo capace di navigare tra le complessità di una società in evoluzione. La secolarizzazione, i temi etici legati alla bio-medicina, il delicato rapporto tra fede e politica: Ruini non ha mai evitato di affrontare questioni spinose, scegliendo sempre il dialogo come strumento principale. Non è stato facile, certo. Ma il suo impegno è stato quello di mantenere un equilibrio, di tenere insieme una comunità in un periodo in cui sembrava facile perdersi.
Dialogare con la modernità
Uno dei momenti che forse racconta meglio chi è stato davvero Camillo Ruini è il famoso “Progetto culturale orientato in senso cristiano“. Detto così potrebbe sembrare una cosa da manuale, noiosa, per addetti ai lavori. Ma no, è molto di più. Era un’idea, una visione, un modo di guardare il futuro con radici ben piantate nella tradizione. Ruini ci credeva davvero: riportare i valori cristiani al centro della cultura italiana. Non con grida o imposizioni, niente di forzato. Ma con il lavoro di tutti i giorni, con pazienza, con tenacia. Questo era il suo stile: costruire ponti, non muri. Parlava di dialogo, ma dialogo vero, di quello che richiede coraggio. Perché dialogare non significa annacquare i propri valori, significa metterli in gioco, trovare un linguaggio che arrivi anche a chi è lontano. Ecco, questo era Ruini. Uno che non aveva paura di sporcarsi le mani, di guardare in faccia un mondo che cambiava e di rispondere: “Ci sono, eccomi. Parliamone.“
Le sfide di una vita
Non sono mancate le difficoltà. Anzi, ce ne sono state tante. Dagli scandali che hanno colpito la Chiesa agli occhi severi di un’opinione pubblica sempre pronta a giudicare, Ruini ha dovuto affrontare momenti davvero complicati. Ma quello che colpisce è il modo in cui lo ha fatto: con una calma che è sempre sembrata autentica, non ostentata. Non è un uomo di facili entusiasmi, Ruini. Ma è un uomo di profonda fede, e forse è proprio quella fede a dargli la forza di affrontare anche le tempeste più violente.
Una celebrazione carica di emozione
E così arriviamo all’8 dicembre 2024, una data che segna un traguardo straordinario. La celebrazione del suo 70° anniversario di sacerdozio è stata un momento carico di emozione, non solo per Ruini, ma per tutta la comunità ecclesiale. A Roma, una messa commemorativa ha raccolto intorno a lui rappresentanti della Chiesa e della società civile. Le parole del cardinale, pronunciate durante l’omelia, sono state semplici ma profonde: “Il sacerdozio è un dono immenso. Ogni giorno mi ricorda l’importanza di servire gli altri e di essere testimone della fede.”
Guardando alla sua lunga carriera, è impossibile non vedere l’impatto duraturo che Ruini ha avuto sulla Chiesa italiana. Non si tratta solo delle decisioni prese o dei progetti avviati ma di un esempio. Un esempio di dedizione, di saggezza, di capacità di ascolto. E forse, è proprio questo il suo lascito più grande. In un mondo che spesso sembra andare troppo veloce, Ruini ci ricorda che c’è valore nella riflessione, nella preghiera, nel prendersi il tempo per comprendere.
Settant’anni. Una vita intera, ma, sapete una cosa? Per Camillo Ruini è come se fossero solo l’inizio. Perché lui, uno come lui, non si ferma mai. Settanta anni di servizio, di fede, di battaglie interiori e impegni quotidiani. Ma per lui non sono un traguardo da festeggiare, sono una spinta, una promessa. Quasi un sussurro che dice: “Non è ancora finita. C’è ancora tanto da fare.” E lui lo sa bene. Lo senti, lo vedi in ogni gesto, in ogni parola che lascia cadere con calma. Guardare avanti, cercare strade nuove, mettere ancora una volta la fede al centro, portarla lì dove sembra mancare più che mai. Questa è la sua strada. E – chissà – questa sua tenacia, questa fede che non si arrende, riuscirà davvero a ispirare chi verrà dopo di lui.
Attualità
Notre-Dame: Il simbolo che torna a splendere

Ci sono momenti che restano scolpiti nella memoria e quella sera di aprile del 2019, beh, è sicuramente è uno di quelli. Notre-Dame in fiamme. Chiunque abbia visto quelle immagini – e chi non le ha viste? – non può averle dimenticate. Parigi sembrava fermarsi, il mondo intero tratteneva il fiato. La guglia che crollava, il tetto ridotto a cenere, tutto sembrava irreale. Come se un pezzo dell’anima del mondo si stesse sgretolando sotto i nostri occhi. Era storia che bruciava. Arte, fede, bellezza che diventavano fumo nel cielo della sera. Ma oggi, sei anni dopo, non possiamo fare a meno di guardare a quel momento con occhi diversi. Perché, contro ogni previsione, Notre-Dame è tornata. Non solo intatta: viva. Più viva che mai.
Quel giorno che cambiò tutto
Era il 15 aprile 2019. Alle 18:20, un incendio si sviluppò nel sottotetto della cattedrale, la parte conosciuta come “la foresta” per via delle travi in legno secolare. In poche ore, 1.300 metri quadrati di storia vennero distrutti. La guglia, aggiunta nel XIX secolo, collassò sotto lo sguardo attonito del mondo. Le immagini fecero il giro del pianeta, portando con sé un carico di sgomento e tristezza.
Le cause? Beh, si è parlato di un corto circuito. Forse è andata davvero così. Ma – e non è facile ammetterlo – si sapeva già che la cattedrale aveva bisogno di cure, di mani esperte che la custodissero meglio. Era lì, fragile e bellissima, e per anni nessuno aveva fatto abbastanza. E poi, in quel caos di fiamme e disperazione, c’è stato un miracolo. Alcune reliquie sacre, come la corona di spine, sono state salvate. Salvate davvero. Ed è strano dirlo ma in mezzo a tutto quel disastro, avere qualcosa che si è potuto stringere al petto è stato un piccolo conforto. Un briciolo di luce in una giornata che sembrava buia come la notte.
La promessa: ricostruire in cinque anni
Pochi giorni dopo il disastro, Macron si fece avanti. Con quella sua aria decisa, quasi sfidando l’impossibile, promise: “Ricostruiremo Notre-Dame in cinque anni.” Cinque. Anni. Chiunque ascoltò quelle parole pensò: è pazzo, è solo politica. E invece qualcosa si accese. Era come se quella promessa avesse dato il via a un’energia collettiva incredibile. Donazioni? Arrivarono da ogni angolo del pianeta. 840 milioni di euro raccolti in un batter d’occhio. Un fiume di speranza e di solidarietà che travolse ogni cinismo.
Poi iniziarono i lavori. E qui la parola “eroico” non è sprecata. Stabilizzare quelle mura, quelle pietre antiche, non fu semplice. Operai e ingegneri si arrampicavano, sospesi nel vuoto, lavorando senza sosta, anche sotto il peso di un mondo che guardava. Ogni giorno era una lotta contro il tempo, una corsa tra tecnologia futuristica e maestria artigianale. Scanner 3D e modellazione virtuale per i dettagli, e poi mani esperte di falegnami, scalpellini, vetrai. Mille persone, mille storie, mille mani che ricostruivano un sogno.
La guglia? Tornata identica, orgogliosa, come l’aveva immaginata Viollet-le-Duc. Il tetto? Una magia che unisce vecchio e nuovo. Tradizione e innovazione che si incontrano e si abbracciano. Era chiaro: non si trattava solo di mettere insieme pietre e legno. Si trattava di ricreare un cuore, di farlo battere di nuovo. E ci sono riusciti.
Una cerimonia per il mondo intero
Il 7 dicembre 2024, un giorno che è destinato a rimanere nella memoria. Quel suono, le campane di Notre-Dame, che tornavano a riempire l’aria dopo anni di silenzio. Era come un respiro trattenuto troppo a lungo, finalmente liberato. La gente, accalcata fuori, sembrava trattenere il fiato mentre l’arcivescovo di Parigi, Laurent Ulrich, con un pastorale di legno di quercia in mano, bussava alla porta. Tre colpi, secchi, profondi. E poi, quella porta che si apriva. Era un momento che sembrava gridare al mondo intero che Notre-Dame era viva.
Dentro, un’atmosfera che ti toglieva le parole. Canti gregoriani che si alzavano verso le volte, riempiendo ogni angolo con un suono antico, quasi sacro. Non era una celebrazione pomposa, no, era qualcosa di diverso. Era come se quelle note volessero abbracciare chiunque fosse lì, ricordare a tutti che c’è qualcosa di più grande, qualcosa che unisce. Tra gli ospiti, leader da ogni parte del mondo – Macron, Zelensky, tanti altri. E per un attimo, anche in un mondo che sembra sempre sull’orlo di spezzarsi, c’era un senso di unità. Speranza. Perché è questo che Notre-Dame riesce a fare: ricordarci che è possibile ricominciare.
Un futuro per tutti
Prima dell’incendio, erano milioni. Dodici, per essere precisi, quelli che ogni anno varcavano quelle porte, che camminavano sotto le sue volte altissime, che si perdevano tra la luce filtrata dai rosoni. Adesso? Le previsioni dicono quindici milioni. Quindici milioni di cuori pronti a lasciarsi incantare. Ma come fai a gestire un flusso così enorme? Hanno dovuto ripensare tutto. Prenotazioni online, controlli biometrici – sì, hai capito bene, impronte digitali e tutto il resto – perché oggi il mondo è così, tra bellezza e tecnologia. Si stanno preparando. Perché Notre-Dame non può permettersi di chiudere le porte a nessuno.
Cosa offre oggi Notre-Dame? Percorsi guidati in 12 lingue, esperienze di realtà aumentata per rivivere la cattedrale com’era prima del disastro e spazi finalmente accessibili a tutti, grazie ad ascensori e rampe.
Il significato di questa rinascita
Notre-Dame ha sempre rappresentato qualcosa di più grande: è un simbolo che resiste, che lotta. Con i suoi 850 anni di storia, ha visto tutto: guerre, rivoluzioni, e ora persino un incendio che sembrava averla distrutta. Ma è ancora qui. Nonostante tutto, con le sue pietre che raccontano storie e il suo spirito che batte ancora più forte.
Macron, quel giorno, lo ha detto chiaramente: “Notre-Dame è il cuore della nostra nazione“. E sai una cosa? Non si sbaglia. Perché guardarla oggi, dopo tutto quello che ha passato, è una lezione. È la prova che anche quando sembra finita, quando sembra che non ci sia più nulla da fare, si può ricominciare. Non si tratta di tornare a com’era ma di essere qualcosa di nuovo, di più grande. Notre-Dame è rinata. E con lei, c’è una nuova scintilla di speranza per tutti noi.
“Ci sono momenti in cui sembra che tutto sia perduto ma è proprio allora che si scopre la forza di ricostruire. Perché dalle ceneri nascono le storie più straordinarie.” (Junior Cristarella)
Attualità
Siria: Il giorno in cui tutto è cambiato

Certe notizie non sono solo cronaca: sono storia. La caduta di Damasco, simbolo di oltre mezzo secolo di dominio della famiglia Assad, segna uno di quei momenti in cui il mondo trattiene il fiato. Dopo 24 anni di potere autoritario, Bashar al-Assad ha lasciato la capitale e con lui si è dissolto un regime che sembrava immutabile. Ma com’è stato possibile arrivare a questo punto? E cosa significa per il futuro della Siria?
Una caduta tanto rapida quanto inaspettata
Le immagini che arrivano da Damasco lasciano senza parole. Statue di Assad abbattute, prigionieri politici liberati, folle che gridano libertà. Ma dietro a queste celebrazioni c’è una storia di mesi, anni di lotta. Le forze ribelli hanno avanzato velocemente, conquistando prima Aleppo, poi Homs, e infine Deir ez-Zor. Ogni città, un pezzo di domino caduto.
E quando si è arrivati alla capitale, tutto è sembrato quasi inevitabile. “È stato come un castello di carte”, racconta un testimone locale. Le truppe lealiste erano già stanche, demoralizzate. Il supporto internazionale per Assad – storicamente saldo, soprattutto dalla Russia – si è lentamente eroso. Vladimir Putin, concentrato su altre crisi più vicine ai suoi confini, ha ridotto la sua presenza militare. E così, in poche ore, tutto è cambiato.
Un’uscita di scena drammatica
La fuga di Assad è avvolta nel mistero, ma un elemento è chiaro: è avvenuta in fretta e con discrezione. Testimoni hanno notato movimenti insoliti al palazzo presidenziale nelle prime ore del mattino. Secondo fonti del New York Times, il Presidente avrebbe lasciato la Siria su un aereo privato diretto verso una destinazione sconosciuta. La Russia? L’Iran? Nessuno lo sa con certezza.
Mentre lui scompare, il popolo siriano resta con un misto di sollievo e incertezza. “Abbiamo atteso questo momento per decenni”, dice un manifestante nel centro di Damasco. Ma ora? Chi prenderà il comando? E come si eviterà che il vuoto di potere venga riempito da estremisti?
Le celebrazioni e le paure
Le immagini delle celebrazioni sono potenti: bandiere sollevate, cori spontanei, lacrime di gioia. Ma non è tutto rose e fiori. Nelle zone rurali, gruppi come ISIS e Al-Qaeda rimangono attivi, pronti a sfruttare ogni spiraglio. I leader ribelli stanno già lavorando per stabilire un governo provvisorio ma il percorso è accidentato. Ricostruire un paese distrutto non è facile, soprattutto con ferite ancora aperte.
La comunità internazionale osserva
E il resto del mondo? Le reazioni sono state contrastanti. Stati Uniti e Unione Europea hanno accolto con favore la caduta del regime, ma sono cauti. “La transizione deve essere inclusiva”, ha dichiarato un portavoce europeo. Le Nazioni Unite sottolineano che la riconciliazione è essenziale per evitare una nuova spirale di caos.
E poi ci sono i Paesi vicini, come Turchia e Arabia Saudita, che osservano con attenzione. Per loro, la stabilità della Siria è una questione strategica. Ogni mossa è calcolata, ogni dichiarazione pesa come un macigno.
Un conflitto devastante, una speranza fragile
La guerra in Siria non ha solo lasciato cicatrici: ha stravolto vite, cancellato sogni, spezzato famiglie. Pensa a 500.000 persone. Non sono numeri. Sono storie finite. Volti, risate, progetti mai realizzati. Dal 2011, è come se il tempo si fosse fermato per milioni di siriani, costretti a lasciare le loro case, i loro quartieri, i loro ricordi. Le città? Macerie. Non solo palazzi, ma comunità intere. E le ferite? Non si vedono sempre. Sono nei cuori, nei silenzi, negli sguardi di chi è rimasto.
Eppure, qualcosa resiste. Una scintilla, un briciolo di speranza. Fragile, sì, come una fiamma che si spegne al primo soffio di vento. Ma c’è. Ed è reale. Il popolo siriano è davanti a un bivio: ricostruire, pezzo dopo pezzo, un Paese che sia finalmente libero, giusto, per tutti. Oppure cedere al caos, alle divisioni, al rancore.
E qui non si tratta solo di loro. Il mondo non può chiudere gli occhi. La comunità internazionale ha un ruolo. Un dovere. L’umanità intera deve fare un passo avanti, tendere una mano, restare. Perché abbandonare un popolo nel momento più buio sarebbe, in fondo, abbandonare noi stessi.
Un nuovo capitolo
La pagina di Assad è stata voltata ma la storia della Siria è tutt’altro che scritta. Ora viene il difficile, quello vero: ricostruire, rimettere insieme i cocci, cercare di capire cosa significa davvero libertà dopo tanto buio. Sarà una salita ripida, piena di inciampi, eppure – finalmente – c’è una speranza che non sembra un miraggio. Una speranza concreta, anche se fragile.
La Siria è come una fenice, che cerca di rinascere dalle sue ceneri. Non tutto è chiaro, non tutto è facile. Ma chi ha vissuto il buio più nero sa riconoscere la luce, anche quando è solo un filo all’orizzonte. E mentre il mondo osserva, quasi trattenendo il fiato, la Siria muove i suoi primi passi verso un futuro che non deve essere perfetto ma può, finalmente, essere diverso. Non sarà facile, ma… chi ha vissuto il buio più profondo sa che ogni spiraglio di luce può fare la differenza.
Attualità
Donatella Versace: Reinventarsi senza sosta, una vita al centro della scena

Donatella Versace, un nome che parla da solo. Icona della moda, simbolo di stile italiano, un po’ musa e un po’ ribelle. Ma soprattutto, una donna che non ha mai smesso di far parlare di sé. E ultimamente – diciamolo – ci ha dato nuovi motivi per farlo. Tra un’apparizione mozzafiato alla prima mondiale del musical Il Diavolo veste Prada a Londra e nuovi riconoscimenti per il suo impegno umanitario, Donatella continua a essere quel centro magnetico che attira sguardi e giudizi, dividendo il pubblico. E forse, è proprio questo il segreto del suo fascino.
Lo show a Londra e un look che fa discutere
La recente apparizione a Londra ha riacceso tutte le luci su di lei. C’è stato un momento, un istante quasi sospeso, in cui tutti hanno fissato Donatella e il suo miniabito dorato. Ma non è stato solo il vestito a far discutere: è stato il suo viso, l’aspetto sorprendentemente giovane e luminoso. Immediatamente, come al solito, il web si è acceso. Chi grida al miracolo del lifting, chi punta il dito contro botox e filler, chi semplicemente si chiede: “Ma è lei?“
Eppure, Donatella non si è mai nascosta dietro false modestie. Non ha mai negato di credere nella trasformazione, nell’evoluzione anche estetica. “Non credo nel totalmente naturale per le donne“, ha detto in passato. E in fondo, è anche questo a renderla così unica: quella sincerità spietata, senza filtri, che tanto manca in un mondo di perfezione finta e costruita.
Tra ammirazione e critiche: il web si divide
Bastano poche ore dalla sua apparizione, e i social sono in fermento. Si divide l’opinione pubblica: c’è chi applaude la sua audacia, il coraggio di reinventarsi sempre e chi invece la accusa di essere ormai irriconoscibile. In qualche modo, però, tutto questo è più grande di Donatella stessa. C’è un dibattito più ampio, più profondo, che riguarda l’uso della chirurgia estetica, la pressione di dover essere sempre perfetti, l’immagine pubblica filtrata e ridefinita da media e app che regolano anche il modo in cui percepiamo noi stessi. Insomma, Donatella è diventata ancora una volta il pretesto per parlare di qualcosa che ci tocca tutti.
Donatella e Versace: una storia di coraggio e creatività
Non possiamo parlare di Donatella senza parlare di Versace. Da quando ha preso le redini della maison, dopo la tragica morte di suo fratello Gianni nel 1997, Donatella ha portato avanti un’eredità pesante e meravigliosa. Ha trasformato il brand, lo ha reso globale, l’ha reso suo. Con quel suo stile audace, un po’ sfacciato e sempre sensuale, ha definito il concetto di lusso per una generazione intera.
Non si è mai fermata alla moda, mai e poi mai. Perché per Donatella la moda è solo una parte del tutto, una finestra sul mondo, certo, ma mai l’unica cosa. La sua creatività è sempre stata accompagnata da una sorta di missione, un bisogno quasi viscerale: difendere il diritto di esprimersi, di essere chiunque si voglia essere, senza limiti, senza paura. Ed è questo che la rende vera, autentica, che la fa risplendere. È come se ci fosse un filo invisibile che collega ogni cosa che fa: la sua vita personale, il suo stile, la sua visione. Tutto fa parte di un unico disegno, di un’unica storia che racconta con il cuore in mano.
Un impegno filantropico che fa la differenza
E proprio parlando di visione del mondo, Donatella non è solo moda. Recentemente, è stata premiata con il Prophets of Philanthropy Award dalla Galileo Foundation, durante il Faith and Philanthropy Summit al Blenheim Palace. Un riconoscimento che non è arrivato per caso. Donatella è da sempre in prima linea per i diritti LGBTQIA+ e per la difesa dei diritti umani. Sfrutta la sua posizione di potere per dare voce a chi, troppo spesso, non ha la possibilità di farsi sentire.
Questo impegno è una delle cose più belle e più vere di Donatella. Non si limita a creare abiti meravigliosi, ma mette la sua piattaforma al servizio di qualcosa di più grande, di più importante. E questo, forse, è il vero significato di essere un’icona.
Moda e musica: la collaborazione con Dua Lipa
Donatella non si ferma mai. Non si limita mai. L’abbiamo vista collaborare con la popstar Dua Lipa per una collezione estiva dal nome evocativo: La Vacanza. Presentata a Cannes, nel maggio del 2023, la collezione ha portato il glamour, la freschezza e l’energia delle due donne sotto i riflettori. Abiti pensati per l’estate, per divertirsi, per brillare.
C’è una sorta di dialogo continuo, di connessione tra Donatella e il mondo che la circonda. Sa parlare alle nuove generazioni senza sembrare mai fuori posto, senza mai perdere il tocco unico che rende Versace quello che è: un mix perfetto di tradizione e innovazione, di lusso e libertà.
Riconoscimenti e onorificenze: il 2024 di Donatella
Quest’anno è stato un altro momento importante per Donatella, insignita del titolo di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Un riconoscimento che va oltre la moda. Questo onore celebra sì, il suo lavoro e il suo talento creativo, ma anche il modo in cui rappresenta l’Italia, il modo in cui la porta nel mondo. Con determinazione, con stile, con orgoglio.
Essere Donatella: resilienza e trasformazione
Se c’è una cosa che Donatella Versace ci insegna è il valore della resilienza. Dalla perdita del fratello Gianni alla gestione di un marchio iconico, ogni momento della sua vita è stato segnato da sfide enormi. Ma lei è sempre andata avanti, trasformando il dolore in forza, la sfida in successo. E questo si vede, in ogni sua apparizione, in ogni collezione che lancia, in ogni progetto in cui si immerge.
Donatella è una donna che ha saputo reinventarsi, che ha saputo sfidare le aspettative e ridefinire il concetto stesso di bellezza e stile. Una donna che, nel bene e nel male, non lascia nessuno indifferente.
La bellezza oltre le critiche
Le critiche non le sono mai mancate e il recente dibattito sul suo aspetto lo dimostra ancora una volta. Ma dietro ogni critica c’è qualcosa di più. C’è la paura del cambiamento, c’è il rifiuto di accettare che la bellezza possa essere anche trasformazione, che non ci sia un unico modo giusto di invecchiare. Donatella lo sa e in qualche modo, non sembra davvero importarle. Lei vive per se stessa, per la sua arte, per la sua visione. Ed è per questo che è ancora qui, dopo tanti anni, a farsi guardare, discutere, ammirare. Perché alla fine, la bellezza vera è quella che lascia un segno, che crea una reazione, che ci fa pensare.
Chissà cosa ci riserverà ancora Donatella. Davvero, chi può dirlo? Lei è così, imprevedibile, un continuo giro sulle montagne russe. Con Donatella, niente è mai scontato, niente è mai già visto. Può essere un nuovo look, un progetto sociale, un modo tutto suo di portare avanti una battaglia: lei riesce sempre a spiazzarci, a farci parlare, a farci pensare. E noi? Noi siamo qui, ad aspettare, con quella curiosità che non se ne va mai. Perché con Donatella c’è sempre quella sensazione, quella certezza un po’ magica: che la prossima cosa sarà speciale, sarà qualcosa che ci toccherà nel profondo, ancora una volta.
Attualità
Open Dialogues for the Future: torna la terza edizione

Ci siamo, ci siamo di nuovo. Torna l’appuntamento con “Open Dialogues for the Future”, e quest’anno è la terza edizione. Due giornate piene, cariche di dibattiti, conversazioni, interventi e, soprattutto, di visioni per il futuro.
Quando e dove
Segnatevi queste date, scrivetele su un foglietto, memorizzatele: 6 e 7 marzo 2025, a Udine. Sì, proprio lì, in quel piccolo angolo di Friuli che magari non ci pensi… ma sta diventando un posto speciale. Un posto dove chi ha voglia di parlare di geopolitica e geoeconomia si ritrova, perché sì, questi temi sono sempre stati importanti.
Ma adesso? Adesso sono diventati urgenti. Non possiamo più far finta di niente. Il mondo si sta rompendo, si sta dividendo. Le vecchie potenze stanno perdendo colpi, i nuovi equilibri si stanno creando. E noi? Abbiamo bisogno di un posto dove fermarci, fare un respiro profondo e provare a capirci qualcosa. Un posto dove provare a mettere insieme tutti questi pezzi sparsi, questo puzzle che ormai è diventato una follia. Saremo lì, tutti quanti. Imprenditori, professori, studenti, gente comune. Tutti. A guardarci negli occhi e a chiederci: “Ma davvero, dove stiamo andando? Dove stiamo andando tutti insieme?“
La presentazione a Milano
La presentazione dell’evento è stata qualche giorno fa a Milano, in uno di quei posti che ti fanno sentire un po’ piccolo, un po’ fuori luogo, tipo Palazzo Giureconsulti. Una di quelle sale grandi, un po’ troppo eleganti, che ti mettono soggezione appena ci metti piede. Ma c’era tanta gente. C’era Giovanni Da Pozzo, il presidente della Camera di commercio di Pordenone-Udine, e poi c’era Federico Rampini, il giornalista che ci sta mettendo anima e corpo per dare una direzione scientifica a tutto questo.
E non erano soli. L’ambasciatrice italiana negli Stati Uniti, Mariangela Zappia, era lì anche lei, insieme ad altri nomi importanti. Carlo Sangalli, per esempio, presidente della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi. E poi rappresentanti di tante istituzioni del Friuli Venezia Giulia. Insomma, una sala piena di gente che conta, ma soprattutto piena di gente che vuole fare la differenza.
Cos’è “Open Dialogues for the Future”?
Ma cos’è davvero “Open Dialogues for the Future”? Be’, è più di un semplice forum. Non è solo un evento in cui ascoltare relatori di spicco e annuire, è un momento per fare domande, per sfidare le idee. L’idea è nata dalla Camera di Commercio di Pordenone-Udine e l’obiettivo è chiaro: fare di questo angolo del nord-est Italia un centro di dibattito sulle sfide economiche e politiche che ci attendono.
Come dice Da Pozzo, “il Friuli è una regione piccola, ma con una grande apertura al mondo“. Due confini, tre lingue, un’economia basata sull’export. Insomma, un territorio che ha qualcosa da dire in fatto di relazioni internazionali.
L’Importanza del Friuli Venezia Giulia
In effetti, a sentir parlare Rampini e l’ambasciatrice Zappia, c’è molto da riflettere. L’ambasciatrice, in particolare, ha portato una prospettiva interessante, ricordandoci quanto è importante che le piccole realtà territoriali si facciano conoscere a livello internazionale, che trovino spazio in contesti come quello degli Stati Uniti.
“La geopolitica non è solo roba da grandi potenze”, ha detto. “È anche una questione di come le comunità locali sanno giocare le loro carte.” E il Friuli Venezia Giulia è una di quelle realtà che ha imparato a farlo, portando il suo sistema produttivo, universitario, il suo tessuto economico, al di là dell’Atlantico.
Trump e il futuro delle relazioni internazionali
E poi c’è Rampini, che ci ricorda che la prossima edizione di Open Dialogues sarà davvero unica: cade poco più di un mese dopo l’insediamento ufficiale di Trump. Già, Trump di nuovo presidente. E sarà interessante capire cosa questo significa per l’Europa, per l’Italia, per le nostre piccole e grandi imprese.
Perché, diciamolo chiaramente, c’è sempre un po’ di incertezza quando si tratta di Stati Uniti e delle loro politiche estere. Ma c’è anche la speranza che, alla fine, le relazioni economiche restino forti, che le nostre aziende possano continuare a trovare spazio in quel mercato così grande e complesso.
La metafora del rinoceronte grigio
La metafora del “rinoceronte grigio”, che Rampini ha tirato fuori durante il suo intervento, è una di quelle che restano impresse. Non è come il cigno nero, l’evento imprevisto che cambia tutto. No, il rinoceronte grigio è l’evento che vedi arrivare da lontano, che tutti sanno che accadrà, ma che comunque, quando succede, è uno shock.
Trump è stato un po’ così, la prima volta. Adesso lo conosciamo, sappiamo cosa aspettarci, eppure resta una figura capace di scuotere gli equilibri. E Rampini, con quella sua lucidità, ci fa capire che siamo entrati in una nuova fase della globalizzazione, più frammentata, più chiusa, con meno certezze.
Ma Open Dialogues non sarà solo Stati Uniti e Trump. Sarà anche un’occasione per parlare di Europa, di conflitti e di pace, di come le nostre economie possano reggere il passo con le trasformazioni digitali e ambientali che ci attendono.
La prima giornata: focus su Europa e conflitti
La prima giornata, il 6 marzo, si aprirà con un’analisi sulle conseguenze geopolitiche dei conflitti in Ucraina e Palestina. “Fattori di accelerazione per la formazione di un nuovo ordine mondiale”, come l’ha definito Filippo Malinverno, responsabile del programma.
E poi ci sarà spazio per parlare delle sfide della competitività europea, con un focus su Italia, Francia e Germania. Quelle che una volta erano le locomotive del continente, oggi faticano a ritrovare la fiducia necessaria per trainare tutti gli altri. E forse, proprio a partire da eventi come questo, possiamo cominciare a ricostruirla.
La seconda giornata: Stati Uniti e nuove prospettive
La seconda giornata? Beh, sarà tutta dedicata agli Stati Uniti. E non sarà certo una passeggiata. Ci sarà Federico Rampini, con la sua solita energia, pronto a fare il punto sulla nuova amministrazione Trump. Sì, di nuovo Trump. E poi ci saranno i rapporti con la Cina, l’Europa… insomma, un bel po’ di questioni complicate. Ma ci serve capire. Serve davvero capire come questa superpotenza si sta muovendo, quali sono le intenzioni, cosa ci aspetta. Sarà una giornata bella tosta, piena di spunti, di riflessioni. Di quelle che ti fanno uscire con la testa che gira ma con qualche idea in più su dove stiamo andando.
E non finisce qui. Ci saranno anche delle storie vere, concrete, di aziende friulane che sono riuscite a mettere radici negli Stati Uniti. Persone che hanno vissuto tutto sulla propria pelle. Racconteranno i loro successi, certo, ma anche le difficoltà, i momenti in cui hanno pensato di mollare tutto. Perché alla fine sono quelle storie lì, quelle vere, che ti fanno capire davvero cosa significa essere nel bel mezzo di tutto questo.
È un luogo dove i giovani possono trovare ispirazione, dove possono vedere che ci sono opportunità, nonostante tutto. L’assessore regionale Sergio Emidio Bini l’ha detto chiaramente: “Siamo un popolo un po’ strano, amiamo sottovalutarci. Ma eventi come Odff ci consentono di continuare a trasmettere senso di realtà e conoscenza”. Ed è vero. Spesso ci dimentichiamo di quello che siamo capaci di fare, ma abbiamo tutte le carte in regola per giocare una partita importante.
Un evento diffuso a Udine
E così, tra un panel e una conversazione, tra una sessione plenaria e una chiacchierata informale, Open Dialogues ci darà anche quest’anno l’opportunità di fermarci e di pensare. Di fare il punto su dove siamo e dove vogliamo andare.
Sarà un evento che si spargerà per tutta Udine, un po’ come un abbraccio che coinvolge tutta la città. Non sarà solo la Camera di Commercio ma anche altri posti che hanno un’anima, come la Fondazione Friuli o la vecchia chiesa di San Francesco. Perché sì, vogliamo che sia dappertutto, che si respiri ovunque. E poi, sai, è tutto pensato per essere libero, senza costrizioni. Vuoi seguire un panel e saltarne un altro? Vai tranquillo. Vuoi startene a chiacchierare con qualcuno e perderti una sessione? Nessun problema. Alla fine, è tutto fatto per te, per renderlo davvero qualcosa di tuo. Un’esperienza che scegli tu, che vivi tu, come vuoi tu.
Ospiti di rilievo
Tra gli ospiti attesi, ci saranno volti noti e meno noti, persone che hanno qualcosa da dire, che hanno un punto di vista interessante da condividere. Orietta Moscatelli, analista di Limes, Benedetta Berti, responsabile delle politiche strategiche della Nato, Arduino Paniccia, Paolo Mieli, Gilles Gressani e molti altri. Saranno loro a guidarci in queste due giornate, a farci riflettere, a darci nuovi spunti per capire il mondo.
Perché Open Dialogues è importante
Quello che ci resta è la sensazione che eventi come Open Dialogues siano più importanti che mai. In un mondo che sembra sempre più diviso, dove le certezze vacillano, abbiamo bisogno di momenti come questi, di spazi dove confrontarci, dove costruire insieme un’idea di futuro.
Non è detto che troveremo tutte le risposte ma di sicuro usciremo da quelle due giornate con qualche domanda in più. E forse, è proprio questo il punto. Essere pronti a mettersi in discussione, a guardare il mondo con occhi nuovi, a non accontentarsi mai di quello che già sappiamo. Appuntamento a Udine, il 6 e 7 marzo. Perché il futuro non aspetta e nemmeno noi dovremmo farlo.
Attualità
Il 3 dicembre è la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità

Il 3 dicembre è la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità. Ma sapete una cosa? Non è solo una data su un calendario, non è una di quelle giornate in cui facciamo i buoni, ci sentiamo soddisfatti, ci diamo la pacca sulla spalla e via, tutto finisce lì. No. Questa giornata è molto di più. È una cosa che ti prende allo stomaco, che ti costringe a fermarti sul serio e a guardare. Guardare davvero. Le difficoltà, sì, tutte quelle barriere che sembrano insormontabili. Ma anche le piccole vittorie. Quelle che valgono tutto. Quelle che, anche se minuscole, ti fanno dire: “Sì, ce l’abbiamo fatta, è un passo avanti.”
Amplificare la leadership
Quest’anno si parla di “Amplificare la leadership delle persone con disabilità per un futuro inclusivo e sostenibile”. Sì, lo so, suona come uno slogan, vero? Ma non è così, credetemi. Perché vuol dire dare spazio vero, vuol dire dare voce, facendo in modo che chi ha qualcosa da dire lo possa gridare al mondo. Far sì che le persone con disabilità siano davvero i protagonisti. Leader, quelli veri. Quelli che hanno vissuto sulla loro pelle cosa significa lottare, quelli che sanno cosa vuol dire superare un ostacolo alla volta. Sono loro che ci possono davvero guidare verso un cambiamento reale. Una strada nuova e migliore per tutti noi.
Ogni voce conta
“Amplificare la leadership”. Ci avete mai pensato, ma davvero, a cosa significa? Non parliamo di carità, non è il solito discorsetto di fare i buoni. Vuol dire che ogni persona, non importa chi sia o quali capacità abbia, ha una storia. Ha qualcosa da raccontare, da farci sapere. Qualcosa di prezioso. E ogni voce, ogni singola voce, merita di essere ascoltata. Non solo di sentirla, ma di sentirla davvero. Ogni talento, anche il più nascosto, quello che magari nemmeno loro sanno di avere, merita di essere scoperto, di venire fuori, di brillare. Perché ogni contributo conta, anche il più piccolo. Soprattutto il più piccolo.
Ma qui non parliamo solo di barriere fisiche, anche se quelle, sì, contano eccome. Ci sono le altre barriere, quelle che non vedi, quelle culturali, quelle che ci portiamo dentro. Sono quelle che dobbiamo abbattere. Quelle che fanno più male. E non lo faremo in un colpo solo. No, sarà un lavoro lungo, un pezzetto alla volta. Con pazienza. Ma non possiamo fermarci, non possiamo mai fermarci.
Inclusione: un impegno per tutti
I numeri della disabilità in Italia
E guardiamo un po’ ai numeri. In Italia, ci sono circa 3,15 milioni di persone che vivono con una disabilità, il 5,2% della popolazione. E sapete qual è la realtà? Man mano che si invecchia, le probabilità aumentano: oltre il 22% degli over 75 ha una disabilità. Questo cosa ci dice? Che non è un problema di qualcun altro, non è una questione che riguarda solo pochi. L’inclusione riguarda tutti noi. Perché ogni famiglia, prima o poi, si trova a fare i conti con una disabilità. E chi oggi è in salute, domani potrebbe trovarsi ad affrontare una nuova realtà. L’inclusione non è un lusso, non è un’opzione: è qualcosa che tocca tutti e ignorarlo non è più accettabile.
La sfida del lavoro
Una delle sfide più grandi? Restare agganciati al mondo del lavoro. E pensateci bene: quante volte abbiamo sentito dire che una persona disabile non lavora perché, beh, non può? Ma quante volte, invece, il problema non è la persona ma tutto quello che c’è attorno? Le barriere. Barriere architettoniche, sì, ma anche quelle culturali, quelle sociali. Ecco le vere nemiche. E intanto il tasso di disoccupazione per le persone con disabilità resta più alto, molto più alto della media nazionale e noi continuiamo a ripeterci: “Oh, ma abbiamo fatto tanto, eh!” Sì, tanto, ma non abbastanza. Certo, il governo ha lanciato incentivi, ha parlato di formazione, ha promesso. E va bene, è un passo avanti. Ma è solo l’inizio. Perché non basta la legge scritta sulla carta. Servono i fatti. Servono aziende che credano davvero nelle persone, che creino ambienti dove tutti possano sentirsi bene, dove ogni persona possa sentirsi apprezzata per ciò che è e per quello che può dare.
Dichiarazioni e azioni
E poi, come ogni anno, ci sono le dichiarazioni. Quelle istituzionali. Quelle che fanno sempre la loro parte. Il Presidente Mattarella ha detto parole importanti: che affermare i diritti delle persone con disabilità, oltre ad essere un dovere morale, è anche un indicatore di quanto siamo progrediti come società. Un messaggio potente, che dovrebbe farci riflettere tutti. Non è questione di fare un favore, è costruire una società civile, per tutti. E poi c’è il Ministro Valditara, che ha parlato di vera inclusione, di nuove assunzioni di insegnanti di sostegno, di scuole più accessibili. Parole che suonano bene ma che dobbiamo trasformare in realtà. Speriamo che diventino presto qualcosa di tangibile.
Gli eventi in Italia
Ci sono poi gli eventi, quelli che colorano le città di tutta Italia. Bologna, Pisa, La Spezia, Bergamo… ogni città mette in gioco qualcosa, ognuna a modo suo. A Bologna, laboratori sensoriali, esperienze che sono fatte per tutti, senza distinzioni. Pisa, invece, punta sul patrimonio culturale come strumento di integrazione. E La Spezia? Lo “Special Festival” è una meraviglia: artisti con disabilità che salgono sul palco insieme ai professionisti dello spettacolo. Questo è quello che chiamiamo inclusione vera, non la carità, non la condiscendenza. Inclusione fatta di gesti, di partecipazione, di persone che si incontrano e condividono.
E l’arte? Beh, l’arte è magia, l’arte è quel qualcosa che ti fa sentire parte di un tutto, che riesce a parlare quando le parole non bastano. L’arte collega mondi che sembrano così lontani, eppure sono così vicini. È un linguaggio universale, che non ha bisogno di traduzioni, non conosce limiti. Può davvero cambiare le vite, abbattere quelle barriere che sembrano insormontabili. Per questo, in questa Giornata, musei e luoghi di cultura hanno deciso di spalancare le loro porte, invitando tutti a partecipare, a vivere esperienze inclusive, senza confini. Perché l’arte è questo: un veicolo di inclusione, qualcosa che ci unisce, che migliora la nostra socialità, che ci fa sentire più vicini, che fa bene al cuore e alla mente. E non lo diciamo noi, lo dicono anche gli esperti.
Un futuro da costruire insieme
Ma non è finita qui. Quest’anno c’è una novità che potrebbe davvero fare la differenza. Parlo del Decreto Legislativo n. 62 del 2024. Sì, lo so, sembra una di quelle cose burocratiche, un po’ noiose. Ma questa riforma vuole davvero cambiare le cose. Vuole fare in modo che le persone con disabilità abbiano più spazio, che possano decidere per loro stesse, che siano protagoniste della loro vita, non solo parole vuote. Vuole dare davvero l’opportunità di essere parte della società, nei fatti. Potrebbe essere un punto di svolta, ma le leggi, da sole, non bastano. Mai. Servono persone, servono azioni, serve impegno costante. Serve quella forza di volontà di prendere quelle parole e trasformarle in realtà, altrimenti resta tutto sulla carta e di carta siamo già pieni.
E poi c’è l’Anffas, l’Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale. Hanno lanciato un appello che non possiamo ignorare: “Non basta garantire i diritti, dobbiamo creare le condizioni affinché ogni persona possa davvero dare il proprio contributo al progresso di tutti noi.” Ed è proprio qui il punto. Non è solo una questione di diritti scritti su un foglio, ma di riconoscere il valore di ogni singola persona. Ognuno ha qualcosa da dare, qualcosa di speciale. Ma bisogna dargli gli strumenti, bisogna metterlo nella condizione giusta per far emergere quella voce, per far sì che non resti mai in silenzio.
Alla fine, sapete cosa ci ricorda questa Giornata? Che l’inclusione non è un’opzione, non è una scelta da fare per sentirci più buoni. L’inclusione è un dovere. Verso noi stessi, verso gli altri. E quel futuro inclusivo e sostenibile di cui parliamo tanto? Dipenderà solo da noi, dalla nostra capacità di trasformare le parole in azioni vere. Dipenderà da quanto siamo pronti a impegnarci per non lasciare nessuno indietro, mai.
Attualità
Dal 24/11 al 14/12 invia un SMS solidale al 45589 e salva chi non ha voce, gli animali

Esposti alla fame, al freddo, agli abusi: è la sorte dei randagi sulla strada, 700 mila cani vaganti e 2,4 milioni di gatti liberi, animali abbandonati a se stessi, che soffrono e perdono la vita o in minima parte finiscono nei box dei canili e dei gattili, dove rischiano di rimanere per anni.

Con il progetto “Salviamo chi non ha voce, gli animali”, la Lega italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente dichiara guerra all’indifferenza: cura tutti i cani e i gatti in difficoltà e ne promuove le adozioni cercando loro una casa che li accolga per sempre.
Non si tratta solo degli animali d’affezione, ma anche degli ultimi tra gli ultimi, gli animali selvatici di cui l’uomo ha invaso gli habitat e con i quali ha contatti sempre più stretti. Anche loro, quando sono in difficoltà, malati o feriti, hanno bisogno di assistenza, che trovano nel centro di recupero per animali selvatici, il CRAS Stella del Nord di LEIDAA.
Con questo progetto noi della Lega Italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente ci rivolgiamo a tutti coloro che amano e rispettano gli esseri senzienti, perché non vada perduta neanche una delle vite che si potrebbero salvare, dal cavallo, alla volpe, agli uccelli, e perché non restino nei box dei rifugi cani e gatti che potrebbero, com’è normale, vivere in famiglia.
Da domenica 24 novembre a sabato 14 dicembre 2024 puoi contribuire anche tu a salvarli e a proteggerli. Un piccolo gesto può fare molto: dona 2 euro con un sms al numero 45589 o 5/10 euro chiamando da rete fissa. Non guardare dall’altra parte, aiutali.
Attualità
Claudia Conte riunisce cultura e Istituzioni contro la droga e il disagio giovanile

L’isolamento che colpisce i giovani, l’ansia, la depressione e il senso di impotenza: questi gli elementi principali del romanzo scritto dalla giornalista e scrittrice Claudia Conte, presentato a Roma, presso la Fondazione Villa Maraini – Croce rossa italiana in un pomeriggio di emozioni dedicato alla solidarietà e alle legalità.
L’evento si è svolto in occasione della Giornata Mondiale per la lotta all’AIDS – ed è stata un’occasione importante per incontrare e dialogare con i ragazzi della Comunità tossicodipendenti di Villa Maraini.
Con Claudia Conte, al tavolo dell’evento, c’è il Presidente della Regione Lazio Francesco Rocca, che in qualità di ex presidente della Croce Rossa Italiana qui è di casa.
«Sono molto emozionato di essere qui – dice Rocca, che ha scritto la prefazione del libro – l’attività di strada è stata un volano per tutta la Croce Rossa. Sento una responsabilità enorme nel vedere l’assenza di interesse dei giovani per la società civile. Credo che la risposta sia mantenere gli impegni».
Ha partecipato al dibattito il Prefetto di Roma Lamberto Giannini che ha raccontato la sua esperienza anche da ex capo della Polizia nel soccorrere i tossicodipendenti. «Se un cittadino incorre in un problema – aggiunge Giannini – è dovere dello stato aiutarlo. E non ci sono orari. Serve inoltre un’educazione alla bellezza».
Tra i relatori anche il Fondatore di Villa Maraini/Cri Massimo Barra, la Sorella Emilia Bruna Scarcetta (Ispettrice Nazionale corpo Infermieri e volontaria della Croce Rossa) e Ida Bonagura, dirigente superiore psicologo Polizia di Stato.
Finale d’eccezione con l’esibizione straordinaria del cantautore Massimo Di Cataldo.
Don Luigi Trapelli, cappellano nazionale della Polizia, benedice l’incontro.
“Contro la violenza serve la solidarietà, l’amicizia, la gentilezza. Siamo accanto ai giovani e aiutiamoli a crescere insegnando loro i valori della legalità e del rispetto, restituiamo loro la speranza e l’opportunità di sognare” conclude Conte che che si prepara al nuovo appuntamento letterario per presentare LA VOCE DI ISIDE il 4 dicembre a “Più libri più liberi” presso
La Nuvola di Roma, con la partecipazione del Sottosegretario al Ministero dell’Istruzione e del merito Paola Frassinetti e dell’Assessore alla Cultura della Regione Lazio Simona Baldassarre in un evento moderato dal vicedirettore del Tg1 Incoronata Boccia.
Attualità
Fusione Fastweb e Vodafone Italia: Come cambieranno le telecomunicazioni per i consumatori

Una fusione, diciamocelo, non capita tutti i giorni. E quando si tratta di nomi come Fastweb e Vodafone Italia, beh, è qualcosa che potrebbe davvero cambiare le carte in tavola per tutti noi. Pensateci un attimo: Fastweb e Vodafone che diventano una cosa sola, una sorta di gigante delle telecomunicazioni in grado di scuotere tutto il mercato. Ma cosa significa davvero? Cosa ci aspetta ora? Proviamo a capirlo insieme.
La fusione da 8 miliardi di Euro: un nuovo gigante in città
Facciamo un po’ di chiarezza, perché qui non parliamo di spiccioli. Parliamo di 8 miliardi di euro. Avete capito bene: 8 miliardi. Questo è quanto Swisscom, che è la mamma di Fastweb, ha deciso di sborsare per prendersi Vodafone Italia. L’hanno detto a marzo del 2024 e non hanno girato troppo intorno alla questione: l’obiettivo è diventare il gigante del settore. Un operatore unico, una specie di supereroe delle telecomunicazioni, pronto a sfidare tutti i big che si trovano sulla sua strada.
L’idea? Beh, è semplice sulla carta: unire tutto, mettere insieme quello che ciascuno ha di buono. Infrastrutture, competenze, visione. Tutto. Il risultato? Teoricamente un colosso, una macchina più efficiente, più veloce, con più copertura e magari qualche offerta migliore per tutti noi. Ma c’è di più. Per ora Vodafone resterà con il suo marchio per altri cinque anni, ma poi? Sparisce, puff, finito. Solo Fastweb. E qui forse viene un po’ di nostalgia: Vodafone, con quel rosso inconfondibile e quel nome così familiare, non sarà più parte del panorama italiano. O forse è solo un nome? Forse quello che conta sono i servizi, la qualità, il prezzo giusto.
Un percorso pieno di ostacoli: approvazioni e autorità
Ovviamente, non è che basti dire “uniamo due colossi” e tutto fila liscio. Ci sono le autorità che devono dire la loro, che stanno lì, con la lente d’ingrandimento, a scrutare ogni dettaglio, cercando di capire se questa grande mossa porterà davvero qualcosa di buono o se, alla fine, ci ritroveremo con meno concorrenza e prezzi che schizzano in alto. L’Agcom, per dire, è stata tra le prime a dire “ok, si può fare”. Secondo loro, questa fusione non toglierà spazio alla pluralità del mercato. Ma sarà davvero così? Chissà…
L’AGCM, invece, non l’ha presa alla leggera. Anzi, ha fatto vedere tutta la sua preoccupazione. Qui le cose si complicano davvero: si parla di rischi seri, come la possibilità che i prezzi si alzino, o che i piccoli operatori vengano schiacciati, soffocati da questo gigante. E i servizi di rete fissa? Anche lì ci sono ombre. Per cercare di risolvere questi problemi, Swisscom ha buttato sul tavolo qualche promessa. Tipo? Un accesso equo alla rete in fibra per tutti i concorrenti, più trasparenza nella condivisione delle infrastrutture e la garanzia che la competizione nelle gare pubbliche resti leale. Belle parole, certo. Ma alla fine dei conti, saranno solo parole o diventeranno fatti? Chi può dirlo. Sembra un compromesso ragionevole, ma come spesso accade, sarà tutto da vedere. Le promesse ci sono ma la loro realizzazione è tutta un’altra storia.
Se tutto va come previsto, la fusione dovrebbe essere completata entro il primo trimestre del 2025. Certo, questo a patto che tutte le autorizzazioni vengano date nei tempi giusti. Non è un processo veloce, ma è anche una fusione enorme, con tantissime variabili da considerare.
Ed eccoci alla parte che più ci interessa: cosa cambia per noi, consumatori? Beh, l’integrazione delle reti mobili e fisse di Vodafone e Fastweb dovrebbe portare una serie di benefici tangibili.
Vantaggi potenziali
Da una parte, c’è questo miglioramento dell’infrastruttura. Sì, insomma, mettendo insieme quello che hanno, Fastweb e Vodafone potranno investire di più. Fibra ottica, 5G, tutte quelle cose belle che ci fanno pensare a connessioni più veloci, copertura più ampia. E, magari, meno disservizi. Dico magari perché lo sappiamo tutti come vanno queste cose, no? Speriamo.
E poi c’è la questione delle offerte. Si parla di pacchetti integrati, roba che mette insieme il mobile, il fisso, il digitale, tutto in uno. Meno complicazioni, più comodità. E se va tutto liscio, dovremmo pure vedere prezzi che restano competitivi. Ma, certo, tutto dipende dai concorrenti e dalle promesse che l’AGCM ha strappato. Speriamo che la pressione serva a qualcosa. Perché noi, alla fine, vogliamo solo pagare il giusto e avere un servizio che funzioni. Nulla di più, nulla di meno.
Rischi e incertezze
Ma non è tutto oro ciò che luccica. Alcuni esperti temono che la fusione possa ridurre la concorrenza, soprattutto per quanto riguarda i servizi di rete fissa. E meno concorrenza, purtroppo, spesso significa prezzi più alti e meno scelta per noi consumatori.
Un altro aspetto è la posizione dominante che questo nuovo operatore potrebbe assumere. Se Fastweb-Vodafone diventa troppo grande, potrebbe diventare difficile per gli altri attori del mercato offrire delle vere alternative. Ed ecco che i prezzi potrebbero salire e la qualità dei servizi potrebbe risentirne.
Iliad e altri competitor: chi non sta a guardare
Nel frattempo, altri operatori non restano a guardare. Iliad, ad esempio, ha già mostrato interesse per gli asset di Vodafone. In particolare, sembra interessata alla rete fissa, qualora venisse scorporata. Questo potrebbe rappresentare un’opportunità per Iliad di rafforzare la sua posizione nel mercato italiano e di contrastare il nuovo colosso nascente.
È una partita a scacchi, quella delle telecomunicazioni. Ogni mossa conta e ogni passo falso può significare la perdita di una posizione strategica.
Un settore in movimento: verso un futuro diverso
Certo, questa fusione è uno di quei momenti che ti fanno dire: Ok, qui cambia tutto. Parliamo di due colossi che mettono insieme le loro infrastrutture, le loro reti, tutto. Vodafone e Fastweb, insieme, diventeranno un unico gigante con una copertura assurda, un mostro pronto a lottare per dominare sia nel mercato delle famiglie che in quello delle imprese. E, diciamocelo, fa quasi paura.
Ma non finisce qui. Questo potrebbe essere solo l’inizio di un domino. Magari altri operatori, per non restare indietro, si fonderanno a loro volta. Una specie di effetto a catena, dove chi rimane piccolo rischia di essere schiacciato. Insomma, il mercato delle telecomunicazioni in Italia potrebbe cambiare volto ancora una volta, diventare un campo di battaglia tra pochi giganti sempre più forti. E noi? Noi restiamo a guardare, sperando che tutto questo vada davvero a nostro vantaggio.
Le nostre conclusioni: opportunità e sfide
Quello che sappiamo è che questa fusione tra Fastweb e Vodafone Italia potrebbe davvero cambiare tutto. Potremmo finalmente vedere miglioramenti reali nei servizi, una copertura che funziona davvero ovunque, magari pure prezzi più bassi. Ma… e c’è sempre un ma, ci sono anche un sacco di rischi. Tipo? Che la concorrenza si riduca a zero e allora chi ci garantisce che i prezzi non schizzino alle stelle fra qualche anno? Nessuno.
Per adesso, possiamo solo restare a guardare e vedere cosa succede. Siamo sicuramente di fronte a un cambiamento grosso, uno di quelli che non capitano tutti i giorni. Il mercato delle telecomunicazioni sta cambiando pelle e questa fusione è solo l’inizio. Sarà un bene per tutti noi? O fra qualche anno ci ritroveremo a dire: Ah, si stava meglio prima? Difficile dirlo.
Comunque sia, occhi aperti. Questo è un capitolo nuovo e vogliamo essere sicuri di finirlo dalla parte giusta della storia. In ogni caso, restiamo vigili. Il futuro delle telecomunicazioni è appena stato riscritto e noi vogliamo assicurarci di essere dalla parte giusta della storia.
Attualità
Eros e Michelle: Ritorni, emozioni e il fascino di una favola senza fine

C’è qualcosa nelle storie d’amore che finisce, ma non davvero, che ci tocca nel profondo. Perché sono proprio quei racconti fatti di alti e bassi, di tentennamenti e poi sorrisi improvvisi, quelli che in fondo ci fanno sperare che esista davvero un lieto fine per tutti. E così oggi siamo qui, a parlare di nuovo di loro: Eros Ramazzotti e Michelle Hunziker, due che sembrano aver capito il segreto del restare uniti anche quando l’amore cambia volto. Due che continuano a fare parlare di sé, forse senza nemmeno volerlo, e che portano nelle nostre vite quel sapore di nostalgia misto a speranza.
Quella di Eros e Michelle non è una storia come tante altre. Certo, c’è stato un incontro, un amore travolgente, una figlia meravigliosa, un matrimonio sognato da molti e poi, sì, anche una separazione. Ma non è mai stato il tipo di separazione che distrugge tutto, che lascia dietro di sé solo macerie. Anzi. La loro favola ha continuato a respirare, anche con il cuore spezzato, e ci ha lasciato tutti con un’idea più dolce del “fine”. Perché, forse, quello che Eros e Michelle ci stanno dicendo, ancora oggi, è che l’amore non finisce mai davvero. Cambia, si adatta, magari non è più romantico, ma è qualcosa di altrettanto potente.
Vecchi ricordi e nuovi inizi
Tutto è tornato al centro dell’attenzione mediatica il 23 novembre, quando Michelle ha deciso di condividere un pezzo del passato con una foto su Instagram. Una foto di 27 anni fa, lei ed Eros in un bacio che non ha bisogno di parole, che parla da solo. Aurora era appena nata, il loro amore era nel pieno, e quell’immagine ha risvegliato qualcosa in molti di noi. Non è stato un gesto casuale. Ha scatenato il web, un’ondata di commenti pieni di nostalgia, di persone che chiedevano, speravano: “Ma forse allora c’è ancora qualcosa tra di loro?”

E come se non bastasse, il 2 ottobre, Eros ha fatto il resto. Festa dei Nonni, Michelle in carriola, un sorriso scherzoso e quella frase: “Oggi è la giornata dei nonni, con la nonna in carriola”. Un gesto, una foto così semplice eppure così carica di significato. Un modo per dirci che loro, nonostante tutto, sono ancora lì, l’uno per l’altra. Perché sono immagini come queste che ci fanno pensare che, forse, le favole non finiscono mai davvero.

La magia di una storia che continua
Inutile negarlo: queste foto, questi piccoli gesti, hanno riacceso i sogni dei fan. È come se ogni volta che Eros e Michelle ci mostrano un pezzo della loro vita insieme, ci venisse data una nuova possibilità di credere nelle seconde chance. Nei ritorni inaspettati, nei sorrisi ritrovati. Loro sono un esempio raro, in un mondo in cui spesso, dopo la separazione, resta solo il vuoto. Invece qui vediamo due persone che hanno scelto di rimanere legate, di continuare a condividere momenti, ricordi e ora anche la gioia di essere nonni.
Non dimentichiamo che la loro è stata una storia d’amore che ha segnato un’epoca. Erano gli anni ’90: Eros era già una star della musica, Michelle stava diventando un volto noto della televisione. La loro relazione era sotto i riflettori ma sembrava vera, genuina, fatta di sorrisi e complicità. Nel 1996 è nata Aurora, e con lei è cresciuto un amore che sembrava non poter finire mai. Il matrimonio nel 1998 è stato l’apice, il momento perfetto… ma come tutte le favole, anche la loro ha incontrato difficoltà. E così, nel 2002, hanno deciso di separarsi. Eppure, quella decisione non ha spezzato tutto. Al contrario, ha aperto una nuova strada, fatta di rispetto e affetto.
Tra nonni, sorrisi e ritorni di fiamma
Oggi li vediamo insieme come nonni, un ruolo che sembra averli riavvicinati ancora di più. La nascita di Cesare, figlio di Aurora e Goffredo, è stata un momento di grande gioia per tutti. Michelle ed Eros, come nonni, sono stati uniti, presenti, e questo ha fatto sì che molti si chiedessero se non ci fosse qualcosa di più dietro questo ritrovato legame. Perché quello che li rende speciali non è semplicemente il fatto di essere nonni: è come si guardano, come scherzano insieme, come rivivono i ricordi con tenerezza. È questa magia che fa sognare.
E se ci pensiamo, quanto sarebbe bello? Vederli di nuovo insieme, vedere quel sorriso tornare a illuminare i loro volti. Perché, in fondo, tutti noi ci siamo un po’ affezionati a questa storia, a questa favola moderna che ha fatto sognare milioni di persone. È quella voglia intensa, quella speranza viva di vedere che l’amore, in fondo, può superare qualsiasi cosa. Può cambiare, può trasformarsi, ma non scompare mai del tutto.
Amicizia o qualcosa di più?
E allora ci chiediamo, qual è il prossimo passo? Sarà solo un’amicizia, quella che vediamo tra Eros e Michelle, o qualcosa di più? Loro non lo dicono, non rilasciano dichiarazioni ufficiali e forse è anche questo che rende tutto più magico. Quel dubbio, quella possibilità che potrebbe esserci ancora qualcosa di non detto, di nascosto tra le righe.
In un mondo così abituato alla fine dei sentimenti, all’addio come unica via possibile, la loro storia ci offre una prospettiva diversa. Una speranza. Che magari un lieto fine è possibile anche quando non è come ce lo aspettavamo. Perché l’amore tra Eros e Michelle, pur non essendo più quello di un tempo, è ancora lì, forte, autentico. Ed è questo che ci fa emozionare ogni volta che li vediamo insieme, che ci fa sperare che, chissà, forse un giorno questa favola troverà un nuovo inizio.
L’amore che resiste oltre il tempo
Sapete cosa ci insegna davvero questa storia? Che l’amore, quello vero, non se ne va mai del tutto. Magari cambia, si trasforma, diventa altro, ma non sparisce. Non è una roba che si spegne come una lampadina. Loro sono la prova vivente che un legame può restare, anche dopo tutto quel che è successo, anche dopo gli anni che passano, anche quando le strade sembrano separarsi. C’è ancora quella scintilla, quel rispetto, quella voglia di esserci, di condividere ancora pezzi di vita. E questo, beh, già di per sé è una gran vittoria, no?
Quindi, mentre continuiamo a sognare insieme a loro, lasciamoci andare un attimo. Perché chi l’ha detto che tutte le favole devono avere quel lieto fine perfetto come nei film? A volte, il lieto fine non è un matrimonio o un bacio al tramonto. A volte è solo esserci ancora. Restare vicini, in qualche modo, anche se le cose sono cambiate. Essere presenti, anche solo con un messaggio, un sorriso. Le vere storie d’amore non sono mai facili, non sono mai perfette. Sono fatte di cambiamenti, evoluzioni, di momenti difficili e di momenti bellissimi. Ma, soprattutto, restano. L’amore vero è così: non se ne va mai del tutto. Trova sempre un modo per restare, per regalarci emozioni, per ricordarci che, alla fine, l’amore è sempre e comunque qualcosa di straordinario. E questo, forse, è già il lieto fine più bello di tutti.
Attualità
Camera approva pene più severe per reati contro gli animali, On. Brambilla: “Una...

“Dedico alle vittime mute e invisibili, soprattutto agli animali di cui non si è mai parlato e mai si parlerà, il frutto di questo grande e incessante impegno”. Esulta l’on. Michela Vittoria Brambilla, presidente dell’Intergruppo per i Diritti degli animali e della Lega italiana per la Difesa degli animali e dell’ambiente, per l’approvazione nell’aula di Montecitorio della pdl AC30, di cui è prima firmataria e relatrice, che finalmente garantisce maggiore tutela penale agli animali: “Una rivoluzione”.
“Il testo – ricorda la deputata di Noi moderati – aumenta le pene, sia detentive che pecuniarie, per i principali reati e illeciti a danno degli animali: l’uccisione, il maltrattamento, l’organizzazione di combattimenti. Di fronte all’obiettiva gravità di certe condotte, tutti – partiti, associazioni, società civile – reclamavano sanzioni più severe, più deterrenza”. Tra le principali novità la rubrica del titolo IX bis del Codice penale: non più “Dei delitti contro il sentimento dell’uomo per gli animali”, ma, in linea con la recente riforma costituzionale, “Dei delitti contro gli animali”. Viene tutelato non più il sentimento dell’uomo ma direttamente l’animale. Aumentano le pene per l’uccisione di animali (544-bis): si passa da quattro mesi di reclusione nel minimo e due anni nel massimo a sei mesi nel minimo e tre anni nel massimo, sempre congiunti ad una multa – finora non prevista – da 5 mila a 30 mila euro. “Se il fatto è commesso adoperando sevizie o prolungando volutamente le sofferenze dell’animale” si passa a un anno nel minimo e quattro nel massimo, con una multa raddoppiata da 10 mila a 60 mila euro: si potrà finire in carcere. Aumentano le pene per il maltrattamento degli animali (544-ter): si passa da tre mesi nel minimo e diciotto nel massimo a sei mesi nel minimo e due anni nel massimo, accompagnati sempre dalla multa (tra i 5 mila e i 30 mila euro) che oggi è alternativa alla reclusione.
Aumentano le pene pecuniarie per chi organizza spettacoli e manifestazioni con sevizie e strazio per gli animali (544-quater): aumenta significativamente la multa da 5 mila a 15 mila euro nel minimo, da 15 mila a 30 mila nel massimo. Aumentano le pene per la violazione del divieto di combattimenti o di competizioni non autorizzate tra animali (544-quinquies): la pena detentiva aumenta da uno a due nel minimo e da tre a quattro anni nel massimo. Sarà punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 5 mila a 30 mila euro anche chi partecipa a qualsiasi titolo ai combattimenti o alle competizioni. Aumentano le pene per l’uccisione o il danneggiamento degli animali altrui (art. 638): il reato diventa finalmente perseguibile d’ufficio, come quelli del titolo IX bis. La pena passa da sei mesi a un anno nel minimo e da un anno a quattro anni nel massimo, ai quali un ordine del giorno chiede di aggiungere la multa da 10 mila a 60 mila euro. L’articolo sarà applicabile all’uccisione o al danneggiamento anche di un solo bovino o equino. Per tutti questi reati contro gli animali sono previste nuove aggravanti, con l’introduzione dell’articolo 544-septies: se i fatti sono commessi alla presenza di minori, se i fatti sono commessi nei confronti di più animali, se il fatto è diffuso attraverso strumenti informatici e telematici. Il divieto di tenere il cane alla catena, finora previsto solo da alcune leggi regionali, è introdotto a livello nazionale e sorretto da adeguate sanzioni (da 500 a 5 mila euro).
“Questo – sottolinea l’on. Brambilla – è il cambiamento che in molti attendevano, credo che se ne coglierà presto la portata. Alla percezione di sostanziale impunità, che accompagna chi commette crimini contro gli animali, corrisponde un sentimento di profonda indignazione in ampi settori dell’opinione pubblica, di tutti gli orientamenti politici e culturali, un sentimento che non era e non è possibile ignorare. A chi invece sogna l’impunità solo perché le vittime sono animali e non possono neanche parlare, dico che continui a sognare o si trasferisca in un altro Paese, perché qui per l’impunità non c’è spazio”.
“Da quattro legislature – conclude – porto avanti, e ne sono orgogliosa, questa battaglia di civiltà, che non ha colore politico, come dimostra il lavoro trasversale che facciamo nell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali. Avevo promesso giustizia agli ultimi tra gli ultimi, ai tanti animali seviziati e uccisi da mani scellerate. Ricordo il cane Angelo torturato a morte nel Cosentino, il cane Aron bruciato a Palermo, il gatto Leone scuoiato vivo nel Salernitano, il gatto Green ucciso a botte in Veneto. E poi ci sono gli altri che non potrei citare tutti neppure se avessi a disposizione molte ore. Oggi posso dire di avere raggiunto un traguardo, di aver ottenuto pene più elevate, di aver mantenuto la promessa. E garantisco che non mi fermerò qui, proseguirò su tutti i fronti che richiedono l’attenzione di chi veramente ama e rispetta gli animali, nostri fratelli minori, nostri compagni di viaggio sull’arca planetaria”.
Attualità
Nuovo Codice della Strada: tutto quello che cambia dal 2024 per una viabilità più sicura

Il giorno in cui il Senato ha dato il via libera definitivo al Nuovo Codice della Strada è arrivato. Una riforma che ci tocca tutti, chi più e chi meno e che introduce novità importanti per garantire una maggiore sicurezza sulle nostre strade. Tutto è pensato per ridurre gli incidenti, disciplinare meglio nuovi mezzi di trasporto come i monopattini elettrici e – diciamocelo – dare una stretta a chi proprio non riesce a seguire le regole.
Ma andiamo con ordine, perché di novità ce ne sono tante e meritano tutte un po’ della nostra attenzione.
Guida in stato di ebbrezza: tolleranza zero e nuove pene severe
Lo sappiamo tutti: mettersi al volante dopo aver bevuto o sotto l’effetto di droghe è una pessima idea. Le pene sono severe, ecco, ma ora sono ancora più dure. Perché? Beh, non c’è da stupirsi: i numeri parlano chiaro e sono terribili. Troppe vite spezzate, troppi incidenti che si potevano evitare. Che sia una birra di troppo o qualcosa di peggio, le conseguenze sono serie, pesanti e ti colpiscono dritto nel portafoglio, oltre che nella vita.
– Tassi alcolemici e sanzioni: Facciamola semplice. Se hai un tasso tra 0,5 e 0,8 g/l, preparati a pagare fino a 2.170 euro e addio patente per almeno 3-6 mesi. Superi questa soglia? Peggio per te: la multa arriva fino a 6.000 euro, patente sospesa fino a due anni e nei casi più gravi, potresti finire dietro le sbarre per un anno. Non è uno scherzo.
Ah, e poi c’è la novità dell’Alcolock. Cos’è, ti chiedi? Un dispositivo che non ti fa neanche accendere la macchina se hai bevuto. Zero tolleranza, sul serio. Sarà obbligatorio per chi è stato già beccato a guidare ubriaco. Forse, finalmente, riusciremo a evitare che qualcuno ci ricaschi.
Uso del cellulare alla guida: più che una distrazione, un pericolo
Non ci giriamo attorno: il cellulare alla guida è una piaga. Tutti lo sappiamo ma quanti riescono davvero a resistere alla tentazione di dare un’occhiata veloce al messaggio arrivato o alla notifica che vibra? Bene, ora ci sarà un motivo in più per resistere, perché le multe sono salite.
– Chi viene colto in flagrante rischia una multa tra 250 e 1.697 euro. Non solo: la patente può essere sospesa da una settimana fino a 15 giorni. E per chi insiste e viene beccato più volte? Si parla di multe fino a 2.588 euro, con sospensione della patente da uno a tre mesi e la decurtazione di 10 punti.
L’obiettivo è chiarissimo: meno distrazioni, più attenzione. Le distrazioni al volante sono un pericolo non solo per chi guida ma per tutti gli altri utenti della strada. E qui il messaggio è chiaro: basta scuse.
Neopatentati: restrizioni più lunghe per imparare meglio
I neopatentati sono considerati una categoria a rischio e non è difficile capire il perché: poca esperienza, magari un pizzico di spavalderia. Per questo, le limitazioni sono state estese.
– Il periodo in cui i neopatentati non possono guidare veicoli di elevata potenza è passato da uno a tre anni. Tre anni in cui dovranno fare pratica con auto che non superino una potenza specifica massima di 75 kW/t e comunque non oltre i 105 kW, che corrispondono a circa 142 cavalli.
È una scelta che può sembrare restrittiva, ma che mira a far crescere i nuovi conducenti in sicurezza, senza la pressione di dover gestire auto troppo potenti prima di essere veramente pronti.
Monopattini elettrici: più sicurezza, meno anarchia
Negli ultimi anni, i monopattini elettrici hanno letteralmente invaso le città italiane. Veloci, pratici, ma anche un po’ pericolosi, soprattutto per la mancanza di regole chiare. Bene, ora le regole ci sono e sono abbastanza stringenti.
- Targa e assicurazione obbligatorie: tutti i monopattini dovranno avere una targa e un’assicurazione. Sì, proprio così, non sono più chiacchiere. Basta con l’anarchia totale: ora, se succede qualcosa, bisogna sapere chi è stato, chi deve rispondere. Serve per responsabilizzare chi guida, ma soprattutto per avere un nome e un cognome in caso di incidente.
- Casco obbligatorio per tutti: Che tu sia un ragazzino o un adulto, il casco va messo. Punto. Non importa l’età, importa la sicurezza. E poi, niente strade super trafficate: solo quelle urbane e solo se il limite è sotto i 50 km/h. Insomma, ci vuole un po’ di testa.
Le sanzioni? Non sono uno scherzo. Parliamo di multe da 100 a 400 euro se vai in giro senza assicurazione e da 200 a 800 euro se ti mancano cose essenziali come i freni o le frecce. Più regole, più sicurezza, meno rischi. E meno problemi per tutti.
Autovelox e infrazioni: più precisione nei controlli
L’uso degli autovelox è stato spesso criticato, soprattutto quando sembrava più uno strumento per fare cassa che per garantire la sicurezza. Ora, con la riforma, si punta a un uso più mirato e preciso.
– Gli autovelox potranno rilevare più infrazioni contemporaneamente: oltre alla velocità, potranno segnalare la mancanza di revisione o il mancato pagamento dell’assicurazione. Saranno installati solo in zone ad alta incidentalità e vietati in strade urbane con limiti sotto i 50 km/h o extraurbane sotto i 90 km/h.
L’idea è di usarli dove davvero servono, non per riempire le casse dei Comuni ma per evitare tragedie.
Abbandono di animali: pene più severe per tutelare tutti
Una delle novità più importanti riguarda l’abbandono di animali lungo le strade. Questo comportamento non è solo crudele, ma è anche pericoloso per gli automobilisti. Chi abbandona un animale e provoca un incidente rischia fino a sette anni di carcere. La patente potrà essere sospesa da sei mesi a un anno.
È un messaggio forte: gli animali non si abbandonano, e chi lo fa non mette a rischio solo la vita di un essere indifeso ma anche quella degli altri utenti della strada.
Obiettivi della riforma: un futuro più sicuro per tutti
Con queste modifiche, il messaggio è chiaro: basta incidenti evitabili, basta rischi inutili. Serve una stretta vera, una mano ferma che riporti ordine sulle strade. Pene più severe, regole nuove per quei mezzi che finora erano un po’ fuori controllo e controlli più rigorosi. Tutto questo per cercare di ridurre il numero di tragedie che, troppo spesso, si potrebbero evitare. Le nostre strade devono tornare a essere sicure. Per tutti.
Però, diciamocelo: una legge, da sola, non può bastare. Serve anche il nostro impegno, quello di tutti. Non è solo questione di seguire le nuove regole: è questione di responsabilità, di prendersi cura gli uni degli altri quando siamo al volante. La sicurezza stradale è una sfida comune, qualcosa che riguarda ognuno di noi. E sì, con un po’ di impegno da parte di tutti, possiamo davvero fare la differenza.
Quindi, occhi aperti, testa sulle spalle e cuore in quello che facciamo: la strada è di tutti e ognuno di noi ha il dovere di renderla più sicura.
Attualità
Chi vuole parlare d’amore? La nuova docuserie che indaga il cuore dei giovani

Ragazzi, amori, sesso e verità senza filtri. Da martedì 19 novembre, arriva in esclusiva su RaiPlay una nuova docuserie dal titolo intrigante: “Chi vuole parlare d’amore?“. Le registe Isabel Achaval e Chiara Bondì, entrambe amiche e mamme, si sono lanciate in un’avventura per capire davvero cosa passa per la testa dei ragazzi quando si parla di sentimenti. Cos’è cambiato dall’epoca in cui loro stesse erano adolescenti? E cos’è invece rimasto lo stesso?

Immaginate due donne che camminano per le strade di Roma, con un microfono in mano e mille domande che fanno battere il cuore. Si fermano davanti ai ragazzi nei posti più autentici: fuori dalle scuole, nelle piazze dove ci si perde in chiacchiere fino a tardi, in biblioteca. Vogliono capire cosa c’è davvero dietro quegli sguardi quando si parla di amore. Così nasce “Chi vuole parlare d’amore?”. Non è solo un’indagine sociale, è molto di più: è un viaggio profondo, un tuffo nelle emozioni più vere, senza filtri, senza barriere.
La verità? Spesso i ragazzi parlano poco di queste cose. Un po’ perché sono timidi, un po’ perché hanno paura di non essere capiti. E va bene, è normale. Ma Isabel e Chiara non si fermano. Loro vogliono andare oltre, vogliono capire davvero. E così, puntata dopo puntata, esplorano ogni aspetto della vita sentimentale e sessuale dei giovani. Senza moralismi, senza pregiudizi, senza filtri. Si comincia dai “Primi amori” – quei primi batticuori che ti travolgono e ti fanno sentire come se niente altro al mondo contasse. Poi si passa agli “Amori difficili”, quelli che ti mettono alla prova e si arriva fino alla scoperta del sesso. Una puntata in cui si parla anche di educazione sessuale, con tutte quelle domande che i ragazzi spesso non trovano il coraggio di fare, né a scuola né a casa. Ecco, qui possono finalmente farle.




In questa docuserie non ci sono risposte preconfezionate: ci sono ragazzi veri, con le loro storie e i loro dubbi. C’è chi si chiede cosa sia il vero amore, chi si sente insicuro rispetto alla propria identità sessuale, chi fatica a capire cosa significhi avere una relazione sana nell’era del digitale. Le questioni di identità, di orientamento e il rapporto con il mondo digitale sono tutti temi che emergono, a volte con leggerezza, altre con più difficoltà.
Il bello è che questo viaggio non lo fanno da soli. In ogni episodio c’è una guida speciale: psichiatri, scrittrici, ginecologhe e persino filosofi, come Vittorio Lingiardi, Maria Grazia Calandrone e Violeta Benini, che aiutano a dare profondità e chiarezza a temi che spesso sembrano complicati da affrontare. È un percorso che si conclude guardando avanti, con l’episodio sul “Futuro”, in cui si parla di desideri, di speranze e perché no, della poesia che può educare ai sentimenti.

“Chi vuole parlare d’amore?” è un’occasione per fermarsi e riflettere su come cambiano le emozioni, su cosa significa oggi amare, essere vulnerabili, crescere. Noi crediamo che questo progetto rappresenti un punto di partenza per aprire un dialogo vero, senza barriere. Parlarne non dovrebbe mai essere un tabù, anzi, è un primo passo bellissimo per iniziare a capirsi e non possiamo che supportare un’iniziativa così importante, che arriva da Rai Contenuti Digitali.
Dal 19 novembre, su RaiPlay. Lasciatevi conquistare da questi racconti. Chissà, magari ci ritroveremo un po’ tutti in quelle storie.
Attualità
Matteo Fraziano trionfa a “Tu si que vales 2024”: quando l’arte delle...

Ci sono serate che restano impresse nella memoria e quella del 16 novembre scorso, con la finale di Tu si que vales 2024, è stata senza dubbio una di queste. In diretta TV, milioni di spettatori hanno visto trionfare un giovane artista, Matteo Fraziano, che con la sua arte delle ombre cinesi ha conquistato cuori e applausi. È un talento che nasce dal niente, quasi per caso, e finisce per toccare le corde più profonde dell’anima.
La magia delle ombre e un giovane romano autodidatta
A soli 23 anni, Matteo Fraziano, romano, ha sorpreso tutti con la sua abilità straordinaria di trasformare mani e luce in pura poesia visiva. Parliamo di ombre cinesi, una forma d’arte antica che pochi oggi padroneggiano davvero, e che lui ha appreso da autodidatta. Ha passato notti insonni davanti a una lampada, le dita che disegnavano figure in continuo divenire, a sperimentare senza sosta, inseguendo una passione che sembrava tanto strana quanto irresistibile.
“È stato un percorso solitario“, ha raccontato Matteo poco dopo la vittoria, con il sorriso stanco di chi ha vissuto un sogno diventare realtà. La sua dedizione è stata totale, un viaggio fatto di prove e errori, che lo ha portato, passo dopo passo, a padroneggiare una tecnica che trasforma semplici giochi di luce in autentiche emozioni. E come se non bastasse, Matteo è anche uno studente di psicologia: tra libri e ombre, ha trovato un modo tutto suo per comprendere e interpretare le emozioni umane.
Un percorso indimenticabile a “Tu si que vales”
Quando Matteo è salito sul palco per la prima volta, il pubblico è rimasto senza parole. Le sue mani diventavano animali, persone, scene che raccontavano storie di ogni genere. Maria De Filippi ha voluto fortemente che Matteo arrivasse fino in finale e l’ha dimostrato attivando la sua clessidra senza esitazioni. Già da allora, per chi lo guardava, era chiaro: Matteo non è solo tecnica. Lui ha la capacità unica di creare emozioni da qualcosa di così semplice come la luce e le mani. “Era evidente sin dall’inizio che aveva qualcosa di speciale“, ha sottolineato Rudy Zerbi durante la semifinale.
La finale di Tu si que vales è stata un vero spettacolo di talenti. C’erano i Ssaulabi, un gruppo di ballerini acrobatici provenienti dalla Corea, e i The Phobias, un collettivo teatrale che esplora le paure umane attraverso il mimo e la recitazione. Ma tra tutte queste incredibili performance, Matteo si è distinto. Con la sua arte delle ombre, ha dipinto il palco di emozioni vere, regalando al pubblico momenti che nessuno dimenticherà.
Un talento premiato con il cuore del pubblico
Alla fine, il pubblico non ha avuto dubbi, il voto è stato chiaro. Matteo Fraziano ha stravinto, senza mezzi termini, perché quello che ha fatto, quello che ha mostrato, è arrivato dritto al cuore, senza filtri, senza fronzoli. Nel momento della premiazione, Matteo era lì, con la voce che gli tremava dall’emozione e ha detto poche parole, ma potentissime: “Questo è per mia madre, che ha sempre creduto in me“. Centomila euro in gettoni d’oro, sì, ma il valore vero era in quelle parole semplici, genuine, piene di amore. E in quel momento, lo abbiamo sentito tutti, quell’amore. Ci ha scaldato il cuore, ci ha fatto sentire parte di qualcosa di grande.
La passione che ha conquistato l’Italia
Matteo non è diventato un artista per caso. La sua è una storia di dedizione. Cresciuto in un quartiere popolare di Roma, è stato un video su internet a farlo innamorare delle ombre cinesi. E così, inizia il suo percorso: giornate intere passate a perfezionare una tecnica che sembrava quasi dimenticata, senza un maestro, senza una scuola. Un percorso da autodidatta che lo ha portato a fare piccoli spettacoli in teatri locali, fino al palco di uno dei programmi più seguiti in Italia.
“All’inizio non sapevo nemmeno se ci fosse un futuro per me con le ombre cinesi“, ha raccontato Matteo. Ma la sua passione era troppo grande per fermarsi. Oggi, il suo sogno è quello di portare quest’arte nei teatri di tutto il mondo, dimostrando che un’arte così antica può ancora incantare, stupire e soprattutto emozionare.
Il futuro di Matteo: nuove sfide e grandi sogni
Il successo ottenuto a Tu si que vales ha aperto a Matteo numerose porte. I social media sono esplosi, con l’hashtag #MatteoFraziano che è subito diventato virale. “È incredibile come qualcosa di così semplice possa toccare così tanti cuori“, ha scritto un utente su Twitter (X). E proprio grazie a questo clamore, si parla già di possibili collaborazioni importanti: festival internazionali, compagnie teatrali, forse anche uno spettacolo tutto suo.
Il giovane artista, dal canto suo, sembra avere le idee chiare: “Voglio portare l’arte delle ombre nei teatri di tutto il mondo. Voglio far vedere alla gente che anche una forma d’arte semplice e antica può ancora raccontare qualcosa di nuovo“.
Un’edizione di “Tu si que vales” che resterà nei cuori
La finale di Tu si que vales 2024 è stata una serata memorabile, ricca di talenti straordinari e sorprese. Domenico De Martino, con la sua simpatia e la sua energia contagiosa, ha conquistato la “Scuderia di Gerry Scotti” aggiudicandosi un viaggio a Parigi, un premio simbolico ma significativo per chi ha saputo strappare sorrisi a tutti.
Matteo Fraziano, invece, ha fatto qualcosa che è andato oltre, qualcosa di più profondo, qualcosa che ti prende e ti scuote. Ha dimostrato che anche in questo mondo tutto pieno di tecnologia, in mezzo a talent show che sembrano copie l’uno dell’altro, c’è ancora spazio per la magia. Quella magia vera, quella che non riesci nemmeno a descrivere a parole, ma che la senti, la senti dentro di te. Le sue ombre, semplici giochi di luce, erano molto più di quello che vedevi: c’era qualcosa che andava oltre lo schermo, oltre la performance. Un tocco di magia che ci ha fermato tutti per un attimo, ci ha fatto sentire qualcosa di vero.
Per questo, la sua vittoria non è stata solo un trofeo, non era solo un premio. No, era molto di più. Era la prova che i sogni, quelli veri, quelli che ci portiamo nel cuore, possono ancora vivere. Era per chi ci crede ancora, per chi sa che l’arte ha questo potere straordinario di emozionare, di toccare, di stupire. E forse, chissà, anche di cambiare un po’ il mondo.
Attualità
Gli animali domestici e il loro impatto positivo sul nostro benessere

Tra cani, gatti, conigli (e non solo!), chi sceglierai come tuo alleato della salute?
Gli animali sono parte di noi, delle nostre giornate e spesso nemmeno ce ne rendiamo conto. Ci sono, sempre, senza far rumore. E quando meno ce lo aspettiamo, ci strappano un sorriso, ci regalano un po’ di luce in quei giorni bui, quando sembra che tutto vada storto.
Cani, gatti, conigli. Ognuno ha il suo modo unico di rendere la nostra vita più speciale, più calda. Ma come fanno? Come riescono, con la loro semplicità, a toccare il nostro cuore così in profondità?
Cerchiamo di scoprirlo insieme, tuffiamoci in questo piccolo grande mondo fatto di amore incondizionato. Un mondo di code scodinzolanti, di fusa rassicuranti, di saltelli buffi. Vediamo come la loro presenza, così genuina e senza pretese, riesca a trasformare le nostre giornate, a renderle più piene, più vere, più vive.
I gatti: silenziosi custodi del nostro benessere
C’è qualcosa di quasi magico nei gatti. Un fascino che non è solo legato alla loro indipendenza, ma anche agli effetti benefici che hanno su di noi. Accarezzare un gatto mentre fa le fusa è una delle cose più belle che ci siano, davvero. C’è quella vibrazione profonda, quel suono che ti entra dentro, come un mantra di pace. E per un attimo, tutto il resto del mondo svanisce.
Le fusa sono una magia, riescono ad abbassare lo stress, a far calare quel maledetto cortisolo. Significa che, dopo una giornata pesante, piena di pensieri e preoccupazioni, accoccolarsi accanto al proprio gatto può aiutarti davvero a lasciar andare tutto, a trovare un po’ di calma, a respirare meglio.
E poi c’è la questione del cuore, proprio il cuore. Gli studi dicono che chi vive con un gatto ha meno probabilità di avere problemi cardiaci. Non è che sia una pozione magica ma quella serenità che riescono a darti, quella tranquillità che senti quando ti stanno accanto, può fare davvero la differenza. Abbassa la pressione, ti fa stare meglio. E il cuore ringrazia, letteralmente.
Ma non è solo una questione di corpo. La compagnia di un gatto è un balsamo per l’anima. Avere qualcuno che ti sta accanto – anche se magari ti guarda con quella sua aria un po’ distaccata dal divano – può fare un’enorme differenza, soprattutto quando le cose non vanno per il verso giusto. Non servono parole, non serve fare niente di speciale. La loro presenza è sufficiente. E arriva dritta al cuore, senza bisogno di spiegazioni.
I cani: amici leali che ci tengono in forma
“Il miglior amico dell’uomo”, si dice. E come dargli torto? Un cane è molto più che un animale domestico: è un compagno di vita. Chi possiede un cane sa bene che la loro energia è contagiosa. Basta guardarlo, il tuo fedele amico, con la coda che scodinzola e gli occhi pieni di aspettativa quando prendi il guinzaglio: è come se ti dicesse “Andiamo, è ora di esplorare il mondo!“. E questo rende noi umani più attivi, più dinamici.
Portare a spasso il cane significa uscire di casa, respirare aria fresca, camminare, magari anche fare una corsa. Un esercizio quotidiano che fa bene al corpo, al cuore, ma anche alla mente. Inoltre, è durante queste passeggiate che spesso si incontrano altre persone, si chiacchiera, si condividono sorrisi. I cani, senza nemmeno accorgersene, facilitano la nostra socialità. Ci connettono.
E poi, come possiamo dimenticare il loro supporto emotivo? Chiunque abbia mai avuto un cane sa quanto questi animali siano capaci di leggere le nostre emozioni, quasi meglio di noi stessi. Capiscono quando siamo giù, quando abbiamo bisogno di qualcuno. Ti vengono vicino, si appoggiano con quella testata dolce e in quel momento senti che non sei più solo.
È incredibile come riescano a farci sentire meglio, senza fare niente di speciale. Solo stando lì. Sono come un’ancora, quando tutto sembra andare alla deriva. La loro affettuosità, la loro lealtà, sono quel senso di sicurezza di cui abbiamo bisogno, quel calore che ci fa dire: “Va tutto bene, non sono solo.”
E se parliamo del sonno? Beh, il ritmo che un cane impone alla nostra vita – dalla sveglia per la passeggiata mattutina, fino alla sera quando crolla stanco vicino a noi – ci aiuta a creare routine più regolari, migliorando anche la qualità del nostro riposo.
Conigli: piccoli compagni dal cuore grande
E che dire dei conigli? Spesso sottovalutati, in realtà possono essere compagni adorabili e straordinariamente affettuosi. Non si tratta solo di animali carini da guardare; i conigli sono creature che richiedono attenzione, dedizione e che, in cambio, regalano calma e serenità.
Accarezzare un coniglio, vederlo muoversi silenzioso per casa, è qualcosa di magico. Ti fermi un attimo, lo osservi e tutto sembra rallentare. C’è qualcosa di quasi terapeutico nel modo in cui saltella, nel suo essere così delicato. Non fa rumore, non chiede molto, ma sa regalare momenti di pura dolcezza, senza sforzo. Perfetto per chi ha bisogno di calma, di serenità.
E poi, se hai problemi di allergie, i conigli sono una scelta fantastica. La loro pelliccia è meno problematica rispetto a quella di cani e gatti: questo li rende perfetti per chi ha sensibilità respiratorie. Un piccolo amico che ti tiene compagnia, senza fare troppo rumore ma che sa come riempire i tuoi spazi di affetto.
Osservare un coniglio è come entrare in contatto con un piccolo mondo segreto, fatto di movimenti delicati, annusate curiose e momenti di puro relax. E questo può avere un effetto calmante incredibile, aiutando a ridurre lo stress e favorendo la concentrazione.
Perché scegliere un animale domestico fa bene alla salute
Insomma, che sia un gatto, un cane, un coniglio, o qualunque altro animale che non abbiamo menzionato, avere un amico a quattro zampe (o due!) vicino cambia tutto. Ma proprio tutto, davvero. Non è solo fare più movimento, sentirsi meno stressati, o avere il cuore che batte un po’ meglio. Sì, certo, tutto questo è vero, ma il vero regalo è un altro.

Il vero regalo è quella capacità incredibile che hanno di toccarci l’anima, di farci sorridere quando non ne abbiamo voglia, di farci sentire amati. E lo fanno senza rendersene conto, senza sforzo. Il legame che si crea tra noi e loro è qualcosa di incredibile, di magico, di quelle cose che senti dentro e non sai nemmeno perché. Non ci sono parole, davvero, non serve spiegare. È un legame che va oltre tutto, oltre ogni spiegazione, oltre ogni logica, e lo senti e basta.
Loro sentono le nostre emozioni, capiscono quando siamo giù, quando siamo felici. E sono lì. Sempre lì. Senza fare domande, senza aspettarsi nulla. Pronti a darci quella gioia semplice, quella gioia che non si compra. È amore, amore vero, senza condizioni, senza chiedere niente. Solo un po’ di attenzione, solo un po’ del nostro tempo. E questo, forse, è il dono più grande che la vita possa mai darci.
Se stai pensando di adottare un animale, fermati. Prenditi un attimo e chiediti sul serio: Ho abbastanza tempo per lui? Posso dargli tutto quello di cui ha bisogno? Sono pronto a prendermi cura di lui come merita? Sono domande importanti, perché un animale non è un giocattolo, non è un passatempo. È una vita, una vita che dipenderà da te, da noi. E merita tutto il rispetto, tutto l’amore che possiamo dare. Perché loro ci danno tutto, sempre, senza mai chiedere nulla indietro.
La scienza ci supporta: i benefici sono reali
Lo sappiamo, lo abbiamo sempre saputo e la scienza lo conferma: convivere con un animale fa bene, punto. Non c’è bisogno di mille parole complicate, lo sentiamo ogni giorno sulla nostra pelle. Ma se proprio vogliamo andare sui dati, beh, ci sono anche quelli a dirlo. Uno studio dell’American Heart Association, ad esempio, ha mostrato che bastano dieci minuti — solo dieci minuti! – di coccole con il nostro amico a quattro zampe per abbassare lo stress, ridurre il famoso cortisolo. Non è sorprendente, no? Chi ha un animale vive meglio, più a lungo. C’è un motivo se la loro compagnia ci fa sentire più sereni, più vivi.
E non è solo questione di quanto viviamo, è la qualità della vita che cambia. La loro presenza ci tira fuori da quella solitudine pesante, ci toglie un po’ di quel buio che ogni tanto arriva. Uno studio su Frontiers in Psychology ci dice che gli animali possono ridurre i sintomi di depressione e ansia. Ma lo sappiamo già: quando ci appoggiano il muso addosso o semplicemente si accucciano vicino a noi, tutto sembra un po’ meno difficile. Sono un antidoto naturale contro lo stress, contro la solitudine. Solo con il loro esserci.
Ogni animale è speciale a modo suo
Dunque… cani, gatti, conigli, ognuno di loro ha un modo unico di arricchire la nostra vita.
- I gatti ci regalano relax e conforto, il loro mondo fatto di fusa e silenzi ci insegna l’importanza della calma.
- I cani sono energia pura, ci spingono a uscire, a muoverci, a essere più aperti verso gli altri.
- I conigli, con la loro dolcezza discreta, portano un tocco di tranquillità e serenità nelle nostre giornate.
Quale scegliere? Beh, dipende da noi, dal nostro stile di vita, dalle nostre esigenze. Non esiste una risposta giusta o sbagliata, ma c’è una cosa sicura: qualsiasi animale decideremo di accogliere, saprà darci un affetto che viene dal cuore, sincero, senza filtri. Ci sarà sempre e ci arricchirà ogni singolo giorno.
Non c’è davvero niente di più bello che tornare a casa e trovare qualcuno che, in un modo tutto suo, è felice di vederci. Che ci guarda con quegli occhi pieni di fiducia, come a dire “Ehi, finalmente sei qui!“. Che aspetta solo noi, che c’è, semplicemente. Questo è il dono più grande che ci fanno gli animali: il loro esserci, senza mai chiedere nulla in cambio, senza condizioni. In un mondo che spesso ci mette alla prova, dove dobbiamo sempre dimostrare qualcosa, loro ci amano così come siamo, senza se e senza ma. Ed è qualcosa di inestimabile.
Attualità
Pavia e il Tesoro Longobardo: il fascino di una storia che non smette di vivere

Ci sono luoghi che sembrano respirare il tempo, che portano sulle spalle il peso dolce della memoria e che, con un sussurro, riescono a catapultarti in epoche lontane. Pavia, incastonata tra le rive del Ticino e la storia, è uno di questi luoghi. Antica capitale del regno longobardo, oggi questa città lombarda ci regala un nuovo frammento del suo glorioso passato: un tesoro archeologico, nascosto per secoli, è tornato alla luce, rivelando storie di re, nobili e monaci che sembrano pronte a intrecciarsi con le nostre.
Un frammento di eternità sotto i nostri piedi
Nel cuore pulsante di Pavia, tra le antiche mura del Piccolo Chiostro del Santissimo Salvatore, gli archeologi guidati dalla Professoressa Caterina Giostra dell’Università Cattolica del Sacro Cuore hanno fatto una scoperta straordinaria. Qui, sotto la superficie apparentemente muta del terreno, è emerso un complesso funerario longobardo che ha il sapore della storia vera, quella che si può quasi toccare.
Queste non sono tombe qualsiasi. Ogni dettaglio – dalle mura ben conservate alla disposizione ordinata – racconta di un’epoca in cui Pavia non era semplicemente una città, ma il centro del potere, della cultura e della fede. Tra le sepolture spicca una tomba unica, decorata con cura, intonacata e dipinta, forse appartenuta a un membro della corte reale. Immaginate chi potrebbe esserci stato lì: un uomo o una donna che camminava accanto ai sovrani, che assisteva a decisioni cruciali per il destino di un regno, che forse, senza saperlo, stava lasciando una traccia indelebile nella storia.
Il monastero che racconta storie dimenticate
Il Chiostro del Santissimo Salvatore, fondato nel VII secolo dal re longobardo Aiperto I, è un luogo che trasuda silenzio e mistero. Nel tempo, ha subito trasformazioni profonde: nel X secolo l’Imperatrice Adelaide lo ridisegnò, cancellando molte tracce delle sue origini. Ma ora, grazie agli scavi, quelle radici lontane tornano a parlare.
Accanto alle tombe dei nobili, ci sono sepolture più semplici, forse di monaci che hanno vissuto e pregato qui nei secoli successivi. E poi frammenti di ceramica, un antico cunicolo che conduce al pozzo centrale del chiostro… sono dettagli che ci parlano di una quotidianità fatta di fede, fatica e comunità. È come se il monastero, con le sue pietre consumate, ci stesse raccontando il suo segreto più intimo.
Ossa che parlano, frammenti che narrano
E la storia non si ferma qui. Grazie al lavoro dell’Antropologa Cristina Cattaneo e del suo team, presto conosceremo ancora più dettagli sulla vita dei longobardi. Analizzando i resti ritrovati, si ricostruirà un quadro vivissimo di ciò che mangiavano, di come vivevano, delle loro origini. Non si tratta solo di frammenti di ossa: sono finestre su un passato che, sorprendentemente, si intreccia con il nostro presente.
Un sogno che guarda lontano
E poi c’è chi, come Don Franco Tassone, il Parroco del Santissimo Salvatore, non riesce a trattenere l’emozione. Per Don Franco, questa non è solo una scoperta archeologica. È un dono. Il suo sogno è che il chiostro diventi un luogo aperto a tutti, un museo vivo, un ponte tra i secoli. Immagina i visitatori che passeggiano tra le tombe, ascoltano il mormorio del passato e sentono, per un attimo, di essere parte di qualcosa di molto più grande di loro stessi.
E gli scavi non sono finiti. Il prossimo anno si continuerà a scavare, a cercare, a sognare. Perché ogni pietra spostata, ogni centimetro di terreno esplorato potrebbe nascondere un nuovo capitolo di questa incredibile storia.
Pavia: un cuore che batte tra passato e futuro
Camminare per Pavia oggi è un viaggio straordinario tra le pieghe del tempo. Ogni passo è come sfogliare un libro senza fine, dove ogni pagina svela una parte della nostra anima, una traccia di ciò che siamo stati e un sogno di ciò che possiamo diventare. Le tombe longobarde che riaffiorano nel cuore pulsante della città non sono solo frammenti di pietra e ossa, ma voci potenti che ci parlano, ci invitano a riscoprire la nostra origine e a riflettere sul destino che ci attende.
Ogni strada, ogni angolo di Pavia è un abbraccio che ci accoglie con il suo mistero e la sua bellezza senza tempo, pronta a rivelarci segreti dimenticati. E questo nuovo capitolo, scritto nella polvere degli scavi, non è solo un invito: è un richiamo vibrante, un appello irresistibile a fermarsi, a sentire che il passato, con la sua forza e il suo splendore, è più vicino di quanto pensiamo.
“Perché la storia non è un semplice ricordo, ma un dono inestimabile, un tesoro da custodire con gratitudine e passione. E in questo dono c’è la meraviglia di chi siamo stati, la potenza di chi siamo oggi e la straordinaria promessa di tutto ciò che possiamo ancora diventare. Un viaggio senza fine, che continua a battere nei cuori di chi ha il coraggio di ascoltarlo.” (Anna Del Bene)
Attualità
Giornata Mondiale dei Poveri 2024: Un invito all’azione e alla riflessione per una...

Sta arrivando di nuovo la Giornata Mondiale dei Poveri, e quest’anno cadrà domenica 17 novembre 2024. Otto anni di fila, ormai, e ogni volta questo appuntamento non lascia mai nessuno indifferente. Papa Francesco l’ha voluta nel 2017 per ricordarci quanto sia importante la solidarietà, stare vicini a chi soffre, a chi vive situazioni difficili. Non è solo un giorno per fermarsi a riflettere, no. È una vera e propria occasione per mettersi in gioco, per praticare davvero quei valori che parlano di incontro, di aiuto, di mani tese.
Quest’anno il tema è “La preghiera del povero sale fino a Dio” (cfr. Siracide 21,5). Un tema forte, che ci scuote e ci invita a guardare ai più fragili con uno sguardo diverso, più profondo. Non si tratta solo di aiutare con cose materiali, cibo, vestiti. C’è una spiritualità, spesso più intensa della nostra, che merita attenzione. Questo è un invito, a essere lì con loro, pregare insieme, ascoltarli davvero e non lasciarli mai soli.
Il messaggio di Papa Francesco: Un monito per il nostro tempo
Nel suo messaggio per la Giornata Mondiale dei Poveri 2024, Papa Francesco ha toccato corde profonde, quelle che ti fanno fermare un attimo. Le sue parole non parlano di una preghiera qualsiasi, di quelle che si fanno in silenzio, senza pensarci troppo. No, la preghiera del povero è un grido. È un urlo che viene da un cuore che conosce il dolore vero, quello che ti piega. Non è una preghiera fredda, vuota. È la preghiera di chi ha conosciuto la solitudine, l’abbandono, la privazione. E questo grido, questo richiamo, non possiamo far finta di non sentirlo. Arriva a tutti noi, ci colpisce.
Il Papa ha anche voluto sottolineare una cosa importante: la povertà non è solo la mancanza di soldi o beni materiali. C’è anche una povertà dell’anima, un isolamento che spesso ignoriamo. La vera ricchezza, dice Papa Francesco, è la capacità di condividere, di ascoltare, di vedere il valore in ogni persona. Condividere è vivere davvero, e questo messaggio va oltre questa singola giornata. È qualcosa che deve vivere dentro di noi ogni giorno.
Le iniziative delle diocesi italiane: Un impegno che parte dal territorio
In tutta Italia, le diocesi stanno preparando questo evento con iniziative pensate per coinvolgere davvero tutta la comunità. È quel momento in cui le parole diventano fatti, quando l’impegno si fa concreto, dal basso, dalle persone, dalle realtà locali. A Taranto, la Caritas diocesana ha messo in piedi due giorni di riflessione e preghiera, che culmineranno con una messa speciale celebrata dall’arcivescovo Ciro Miniero e poi con un pranzo conviviale al centro di accoglienza San Cataldo. Ma non è solo un pranzo, no – è molto più di qualche piatto caldo: è uno stare insieme, un parlare, un sentirsi vicini, come una famiglia che si ritrova.
A Cremona, la comunità si riunirà per un incontro presso il Centro pastorale diocesano, dove operatori della carità e volontari si scambieranno testimonianze di vita. Racconti di chi è accanto ai poveri ogni giorno, che vivono di storie fatte di speranza e difficoltà.
A Genova, invece, una lettera aperta – firmata dalla Caritas e da altre realtà locali – è stata rivolta a tutta la città per riflettere sul significato più ampio della giustizia sociale. Una lettera che non usa mezzi termini: l’assenza di diritti è ciò che genera la povertà. Anche qui, la giornata sarà accompagnata da momenti di preghiera, raccolte alimentari e attività di sensibilizzazione.
Roma: la celebrazione con Papa Francesco
A Roma, il momento centrale sarà la celebrazione eucaristica presieduta da Papa Francesco nella Basilica di San Pietro alle 10 del mattino. Durante questa messa, il Papa benedirà simbolicamente 13 chiavi, simbolo dei 13 Paesi in cui la Famiglia Vincenziana costruirà nuove abitazioni per i poveri grazie al Progetto “13 case”. Siria, Haiti, Ucraina: sono alcuni dei Paesi in cui queste nuove case vedranno la luce e la Siria sarà direttamente sostenuta dalla Santa Sede come gesto di carità per l’Anno Santo.
Al termine della celebrazione, il Papa pranzerà con 1.300 poveri in Aula Paolo VI. Un momento conviviale che è diventato una tradizione, organizzato dal Dicastero per il Servizio della Carità con il supporto della Croce Rossa Italiana. La musica della Fanfara Nazionale della Croce Rossa accompagnerà l’evento, portando un po’ di gioia in un contesto che spesso è segnato dalle difficoltà.
Le chiavi benedette: un simbolo di speranza
Parliamo per un attimo delle chiavi che il Papa benedirà. Sono più di un semplice gesto simbolico: rappresentano l’impegno della Chiesa a garantire un futuro dignitoso a chi vive nella precarietà. Il Progetto “13 case” ha un obiettivo semplice ma essenziale: offrire un tetto a chi non ce l’ha, specialmente in quei Paesi che sono stati colpiti da conflitti o crisi economiche devastanti. Un gesto piccolo, forse, nel contesto delle grandi necessità mondiali, ma di un valore enorme per chi riceve quella chiave.
Il rapporto della Caritas sulla povertà in Italia: uno spaccato doloroso ma necessario
In occasione della Giornata Mondiale dei Poveri, la Caritas Italiana ha tirato fuori il suo rapporto annuale sulla povertà e sull’esclusione sociale. Un documento che non ti lascia indifferente, non può farlo: i numeri sono lì, crudi, senza filtri. Sono drammatici. La povertà continua a colpire forte, soprattutto le famiglie con bambini, gli anziani soli, gli immigrati.
Il costo della vita che sale, i lavori precari che non danno sicurezza, le opportunità che mancano. Tutto questo ha creato una tempesta perfetta, una spirale che sta risucchiando sempre più persone nella povertà. Non possiamo chiudere gli occhi. Non possiamo far finta di niente. Questo rapporto della Caritas è un grido, un appello diretto a tutti: alle istituzioni, certo, ma anche a noi come società. “Servono politiche di sostegno vere, concrete, e una cultura della solidarietà“, ci dice. E come dargli torto?
Riflessione e azione: cosa possiamo fare noi?
La Giornata Mondiale dei Poveri, alla fine, è proprio questo: un invito. Un invito a fare qualcosa, non solo a pensarci. Non è solo un giorno da segnare sul calendario ma è molto di più. È un impegno che deve entrare nelle nostre vite, tutti i giorni. Le parole di Papa Francesco suonano come un avvertimento, forte e chiaro: “Non possiamo restare indifferenti di fronte alla sofferenza di chi ci sta accanto. La povertà è una ferita aperta, tocca tutti noi, e richiede una risposta collettiva, fatta di amore, compassione, giustizia”.
Non possiamo far finta di niente, mettere un velo davanti agli occhi. Questo non è solo un problema delle istituzioni, della Chiesa, ma di ognuno di noi, ogni singolo giorno, nel nostro piccolo. Sono i gesti semplici a fare la differenza: dare una mano al vicino, dedicare un po’ del nostro tempo, condividere quello che abbiamo. Perché la povertà non è una condanna scritta nel destino, è qualcosa che possiamo combattere, insieme, un passo alla volta.
Guardando al futuro con speranza
Le sfide che abbiamo davanti sono enormi e questo lo sappiamo tutti. La povertà non la risolvi con una magia o con una giornata di buoni propositi. Ci vuole un cambiamento profondo, vero, e ci vuole impegno, ogni giorno. Non è facile, certo. Ma la Giornata Mondiale dei Poveri è proprio quel momento in cui fermarsi e ricordarci perché non dobbiamo mollare, perché questo impegno conta. Per ritrovarci e ricaricare le energie.
È un invito a guardarci negli occhi e vedere, negli altri, qualcuno che merita la nostra empatia, il nostro rispetto. In un mondo che sembra fatto solo di muri, di divisioni, di ingiustizie, tocca a noi fare qualcosa. Tocca a noi costruire ponti, allungare una mano a chi sta in difficoltà, provare a essere parte della soluzione e non del problema.
Quindi, questo 17 novembre, non lasciamo che la Giornata Mondiale dei Poveri resti solo una data sul calendario. Facciamola diventare un punto di partenza, un’occasione per fare qualcosa di concreto, per fare la differenza. Alla fine dei conti, siamo tutti chiamati a far parte di una comunità che non lascia indietro nessuno. Nessuno. E questo, più di ogni altra cosa, è quello che conta davvero.
Attualità
Re Carlo III compie 76 anni: un compleanno all’insegna della speranza, solidarietà...

Il 76º compleanno di Re Carlo III? Beh, tutto fuorché una festa pomposa e piena di sfarzo. Siamo il 14 novembre 2024, e Carlo ha deciso di celebrare in modo semplice, vero, dedicandosi a quello che gli sta più a cuore da sempre: aiutare gli altri, essere lì per chi ha bisogno, e portare un po’ di speranza. Niente parate, niente lustrini. Solo gesti concreti, fatti di cuore, per chi ne ha davvero bisogno. E sapete cosa? È proprio questo che amiamo di lui: quella sua responsabilità genuina, che non si ferma mai, che non si stanca mai.
Una giornata lontana dai riflettori
Ciò che differenzia Carlo III dagli altri membri della famiglia reale è proprio questa sua capacità di trasformare anche momenti personali in gesti simbolici di grande impatto sociale. Nessuna sorpresa quindi se, per il suo compleanno, ha deciso di concentrarsi su chi è meno fortunato, anziché su feste e celebrazioni mondane. Tradizionalmente, il compleanno ufficiale di un sovrano viene festeggiato in estate con la nota parata Trooping the Colour – una tradizione che va avanti da secoli. Ma quest’anno, il vero spirito della celebrazione è stato rappresentato dalle azioni di Carlo il 14 novembre.
Lontano dai riflettori, lontano da tutto quel glamour delle cerimonie ufficiali, il Re ha voluto fare di questo giorno un momento speciale per fare davvero la differenza. Ha inaugurato due nuovi centri di distribuzione alimentare – uno a Londra e uno nel Merseyside – nell’ambito del Coronation Food Project, quel progetto che aveva lanciato proprio lo scorso anno, durante l’incoronazione, per combattere la povertà alimentare e lo spreco di cibo. Ed eccolo qui, ancora, con la stessa determinazione. Non si è fermato e non si fermerà: questa è una delle sue battaglie più vere, più sentite. C’è il cuore di Carlo in tutto questo, e si vede.
Combattere la povertà alimentare: un obiettivo di tutti noi
Questi nuovi centri? Non sono solo posti dove chi è in difficoltà può trovare un pasto caldo. No, c’è molto di più. Vogliono anche insegnarci come gestire meglio le nostre risorse, come evitare lo spreco. Carlo ci ha messo anima e cuore in questa sfida, e si vede. “Non c’è nulla di più importante che garantire che ogni persona abbia il cibo di cui ha bisogno“, ha detto con la sua voce calma, ma che non lascia dubbi. “In un’epoca in cui lo spreco è così diffuso, dobbiamo davvero trovare modi per aiutare i nostri vicini e creare comunità più forti.” E come non essere d’accordo?
Una famiglia che si stringe
Nonostante Carlo volesse mantenere un basso profilo per il suo compleanno, la famiglia reale non ha dimenticato di celebrare questo giorno. William e Kate, per esempio, hanno deciso di condividere un messaggio dolce e tenero sui social, accompagnato da una foto informale del re scattata durante il suo recente viaggio alle Isole Samoa. Con una corona di fiori intorno al collo e quel sorriso che sembra dire “sono a mio agio, sono felice“, Carlo ci appare genuino, rilassato, più umano che mai. Anche Harry, nonostante il suo solito modo riservato di fare, ha mandato un messaggio di auguri dalla sua casa in California. Un piccolo gesto, ma di grande importanza, che ci ricorda una cosa: nonostante tutto, i legami familiari sono ancora lì, solidi. E forse, è proprio questo che conta di più.
Un anno complicato, ma con la testa alta
Il 2024… che anno, ragazzi. Difficile, difficile sul serio per Re Carlo e tutta la famiglia reale. Carlo e Kate hanno affrontato una diagnosi di cancro, tutti e due. Una notizia che ha scosso il Regno Unito, che ha fatto tremare tutti. Ma sapete cosa è successo? La gente si è stretta attorno a loro, li ha sostenuti. Perché sì, il dolore può dividere, ma spesso unisce. E William, in un’intervista recente, ha detto senza mezzi termini che “questo è stato probabilmente l’anno più duro della mia vita“. Ecco, è una frase che racconta tutta la fragilità di una famiglia che, anche sotto i riflettori, resta fatta di persone vere. Con paure, difficoltà, momenti bui. Ma nonostante tutto, loro, non mollano mai.
Carlo, in particolare, non si è mai fermato. Sempre lì, sempre con la testa alta. La sua dedizione ai doveri, incrollabile, nonostante il dolore, le difficoltà, tutto. La sua resilienza è diventata una fonte di ispirazione per tanti. Ci ha mostrato che, anche quando la vita ci colpisce forte, possiamo comunque andare avanti. Possiamo ancora fare del bene, restare fedeli a chi siamo, al nostro ruolo. Ed è questa forza che rende Carlo un simbolo di stabilità, di speranza, per molti britannici.
Un impegno che dura da una vita
Sapete qual è una delle cose che la gente ammira di più di Carlo? Il fatto che lui ci creda davvero. E non da ieri, ma da anni e anni. Il suo impegno per l’ambiente, per le cause sociali… è lì da sempre. Ben prima che parole come “sostenibilità” e “cambiamento climatico” diventassero sulla bocca di tutti. Lui ci credeva, ci metteva la faccia, e ci metteva l’anima. E continua a farlo. Quando ha parlato al centro di distribuzione alimentare, l’ha detto chiaro e tondo: “Non possiamo affrontare il cambiamento climatico senza pensare a chi è più vulnerabile.” Le sue parole non sono solo slogan. “Le soluzioni devono includere tutti, migliorare la vita di tutti, non solo di pochi.” Questo è Carlo, non c’è finzione. Lui agisce, promuove progetti, è lì in prima persona. Il Coronation Food Project? Solo l’ultimo esempio di questo suo modo di fare: concreto, altruista. Lui non parla solo, lui fa. Carlo agisce, promuove progetti, si spende in prima persona.
Un compleanno pieno di speranza, ma vero, umano
E la giornata? Beh, si è conclusa con qualcosa di molto più intimo. Un ricevimento a Buckingham Palace, niente di sfarzoso, solo un momento di pace. Carlo, finalmente, ha potuto rilassarsi un po’ e passare del tempo con le persone che ama. Tra gli invitati c’erano anche rappresentanti delle organizzazioni benefiche che sostiene. Un bel gesto, no? Un segnale forte di quanto tenga a stare vicino a chi ha bisogno, a chi lotta ogni giorno. Perché la visione di Carlo non si ferma al qui e ora. No, lui guarda avanti, sempre, con quel desiderio di lasciare qualcosa di bello e importante per chi verrà dopo. Un’eredità di speranza, di solidarietà.
E per tanti britannici, questo compleanno è stato un momento per fermarsi a pensare ai valori che Carlo rappresenta. Solidarietà, resilienza, speranza. Nonostante le difficoltà, sia personali che professionali, Carlo ha continuato a lavorare per migliorare la vita degli altri. E lo fa con quella convinzione profonda che solo l’unione e la compassione possono fare davvero la differenza. Che ne dite? Forse ha proprio ragione.
Questo 76° compleanno di Re Carlo III non è stato solo un promemoria della sua vita e del suo percorso. No, è stato un promemoria del suo impegno instancabile per il popolo britannico e per il pianeta. Una visione che non si limita alle parole ma che guarda lontano, verso un futuro in cui tutte le sfide, per quanto dure, possono essere affrontate insieme. E dopo tutto quello che ha passato quest’anno, il messaggio è chiaro: c’è sempre speranza, sempre. E c’è sempre una possibilità di fare del bene, anche quando tutto sembra difficile.
Attualità
“Women for Women against Violence – Camomilla Award”: Napoli ospita la IX edizione...

L’Auditorium del centro RAI di Napoli ha ospitato la registrazione televisiva della IX edizione dell’evento: “Women for Women against Violence – Camomilla Award”, una kermesse straordinaria e unica dedicata ai due killer delle donne, la violenza di genere e il tumore al seno, che è stata presentata, in maniera brillante e competente, da Arianna Ciampoli e Beppe Convertini per la regia di Antonio Centomani la cui messa in onda è prevista a gennaio 2024 in seconda serata su Rai Due.
Quasi sempre si parla di chi muore e non ce la fa, Women for Women, invece, ideato, prodotto e organizzato da Donatella Gimigliano, Presidente dell’Associazione Consorzio Umanitas, che ne è anche l’autrice con Fabrizio Silvestri e Cristina Monaco, patrocinato dal Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Ministero della Cultura, CUG del MIC, Unicef, Croce Rossa Italiana e LILT (Lega Italiana Lotta contro i Tumori), vuole dare voce alla forza delle donne che non smettono mai di combattere e che vincono ogni giorno. Un evento pensato anche per ricordare che ogni anno in Italia oltre 100 donne vengono uccise da uomini che, quasi sempre, sostengono di amarle, e per ricordare, inoltre, che il tumore al seno, nel nostro Paese, è il big killer più letale e più frequente del genere femminile e principale causa di mortalità oncologica (12 mila all’anno).


Un approdo per la prima volta a Napoli alla luce del fatto che, nonostante la regione sia fortemente impegnata e abbia posto in essere importanti provvedimenti, secondo un report dell’Istat, la Campania, dopo Lombardia e Lazio, è terza nella classifica italiana del maggior numero di denunce ai centri antiviolenza, questo significa che ogni giorno tre donne chiedono aiuto. Non solo, è tra le regioni che pagano il più alto tributo di sangue, solo nel 2023 ben otto omicidi, sangue che si aggiunge a dolore, se si pensa ai 72 orfani campani di femminicidio. Di contro, alla luce dei 4.000 nuovi casi di carcinoma della mammella che vengono stimati ogni anno, può vantare un esemplare punto di riferimento in eccellenza nella Breast Unit dell’Azienda ospedaliera universitaria Federico II.
Ha aperto la serata, che ha visto la collaborazione anche della giornalista Cinzia Profita, il fenomeno emergente della scena musicale napoletana amatissima sui social, la giovane cantante STE con il brano “T’aggiu vuluto bene”, accompagnata da due straordinari dancer di fama internazionale: Antonio Fini & Abby Silva Gavezzoli. Le luci dei riflettori si sono accese poi per ascoltare, tre toccanti monologhi, il racconto di Rosanna Banfi dal titolo “Io ballo per la vita”, la testimonianza di Nicolò Maja, giovane orfano del femminicidio da più di un anno supportato dall’associazione che si è chiesto: “Come posso perdonarti papà?”, dedicato all’autore della strage della sua famiglia di cui lui è l’unico sopravvissuto, che ha festeggiato il suo nuovo lavoro nell’azienda Leonardo e ha premiato con il camomilla Award il manager Antonio Liotti (Chief People & Organization Officer Leonardo Spa), sorpresa per il giovane da parte di Claudia Gerini che gli ha inviato un affettuoso messaggio augurale a sorpresa, a seguire ancora la storia di Nadia Accetti “Dal tunnel della violenza all’amore per la vita”, una combattente che ha trasformato il dolore di una violenza, e i gravi disturbi alimentari che le ha causato, in forza e resilienza e voglia di aiutare gli altri.
La kermesse ha ospitato anche due donne già raccontate nelle precedenti edizioni che hanno ricevuto un bellissimo viaggio rivelato sul palco da Leonardo Massa, Vice President Southern Europe della Divisione Crociere del Gruppo MSC, Valentina Pitzalis, data alle fiamme dal suo ex marito e rimasta gravemente sfigurata, attivamente impegnata nella sensibilizzazione contro la violenza sulle donne, la stilista Antonietta Tuccillo, che sta combattendo un tumore ovarico di alto grado, e che ha presentato la sua nuova creatura dedicata all’award della kermesse, l’abito “Camomilla”, indossato dalla bellissima modella e influencer Ilaria Capponi, che ha ricevuto anche il riconoscimento “Women for Women Social” nato alla luce di una sempre frequente aggressività verbale nei social network che si trasforma in una vera e propria fenomenologia di azioni violente e discriminatorie, per il suo attivismo contro il body shaming.


Una emozionante sorpresa anche per Carla Caiazzo, vittima di violenza e Presidente dell’Associazione “Io rido ancora” che ha ricevuto un gioiello da una omonima donatrice.
Hanno ricevuto il “Camomilla Award”, scultura realizzata dal maestro orafo Michele Affidato che si ispira alla virtù terapeutiche del fiore della pianta che aiuta le piante malate a guarire, Carmela Pace, Presidente dell’Unicef, Rosario Valastro, Presidente Croce Rossa Italiana, lo Chef Gennaro Esposito, Simona Sala, Direttrice Rai Radio 2, il giornalista Giuseppe Brindisi, al timone del programma Mediaset “Zona Bianca”, il regista Giuseppe Nuzzo (per il corto e testimonianza di Cristina Donadio “La scelta”), la conduttrice tv Emanuela Folliero, l’attivista, scrittrice e opinionista Vladimir Luxuria, la fotografa Tiziana Luxardo, firma di “Women for Women against Violence – la Mostra” che sarà itinerante in Italia e all’estero in occasione del decennale dell’evento, la kosovara Adelina Trshana studentessa della World House di Rondine – Cittadella della Pace, che accoglie giovani provenienti da Paesi teatro di conflitti armati o post-conflitti.
Special guests gli esilaranti Gemelli di Guidonia che hanno entusiasmato il pubblico con performance tratte dal loro spettacolo “Intelligenza musicale” fatto di musica, parodie, monologhi, la violinista elettrica dall’archetto luminoso Elsa Martignoni, i Maestri Flautisti Giuseppe Mario Finocchiaro e Camilla Refice, le pianiste Scilla Lenzi e Cristina Donnini.
Tra le personalità presenti alla kermesse Francesco Schittulli (Presidente Lega Italiana Lotta contro i Tumori), Carolina Marconi con le Dancers for Oncology di Carolyn Smith, Maria Rita Grieco, Vicedirettrice Tg1, Emanuela Ferrante, assessore allo Sport e Pari Opportunità del Comune di Napoli, Patrizio Rispo con una nutrita rappresentanza di attori del cast di Un Posto al Sole, Alessandra Positano, Marketing Manager Carpisa.
Attualità
La fine di un’era: Il Fondaco dei Tedeschi chiude nel 2025, ma cosa ci aspetta ora?

Venezia sta per perdere un altro pezzo della sua storia recente. Il Fondaco dei Tedeschi, quel posto incredibile che si affaccia sul Canal Grande, proprio lì, a due passi dal Ponte di Rialto, chiuderà per sempre nel 2025. Sapete, dopo anni di sfarzo, di lusso sfrenato, di tentativi di tenerlo a galla, il gruppo DFS (sì, quelli di LVMH, il colosso del lusso) ha deciso che non ne vale più la pena. Non ha più senso andare avanti. E ci sta. Alla fine, i tempi cambiano e forse questo tipo di attrattiva non funziona più come prima.
Non rinnoveranno il contratto di affitto. Le perdite si sono accumulate, anno dopo anno, senza sosta – più di 100 milioni di euro negli ultimi cinque anni – e ora è tempo di lasciare la scena. Ma, sapete, questa non è solo una storia di numeri o di affari andati male. È una riflessione profonda sul futuro di una città che già soffre, una città meravigliosa come Venezia, che ora deve fare i conti con un’altra ferita aperta.
Un cambiamento che invita alla riflessione
Venezia è un posto unico al mondo, un gioiello di cultura e architettura. Ma diciamocelo, i problemi che affronta sono sotto gli occhi di tutti, e il Fondaco dei Tedeschi è solo l’ultima goccia di un vaso già colmo. Ma sapete, forse questa è anche un’opportunità: un momento per fermarsi, ripensare la città, capire davvero come gestire e vivere questi luoghi che sono così speciali. La chiusura del Fondaco non è solo una questione di soldi o di affari in perdita – certo, il turismo asiatico è calato, la pandemia ha cambiato tutto, e il mercato del lusso è in declino – ma qui si parla di qualcosa di più grande. È un simbolo di cambiamento, un invito a guardarci attorno e capire che forse è ora di andare oltre il turismo di massa, oltre quel consumismo che consuma tutto, anche le nostre città.
Il Fondaco dei Tedeschi è stato una vera e propria icona del lusso. Storicamente, questo edificio risale al XIII secolo, quando fungeva da magazzino per le merci provenienti dalla Germania. Poi, nel 2016, è stato trasformato in un centro commerciale di lusso, con spazi culturali e una terrazza panoramica mozzafiato che – inutile negarlo – ha attirato migliaia di visitatori. Ma ora tutto questo non basta più.
Un modello insostenibile e il futuro da immaginare
Diciamolo chiaramente, il modello proposto da DFS non è stato sostenibile. La crisi economica e la pandemia hanno fatto a pezzi il settore del lusso, questo lo sappiamo tutti. Ma sapete cosa sembra ancora più chiaro? Che il pubblico, le persone, sono cambiate. E anche il turismo, inutile negarlo, non è più quello di prima. Quindi, ecco che la chiusura del Fondaco diventa un’occasione, un momento per ripensare il futuro non solo di questo posto ma di tutte le città d’arte, come Venezia.
Ecco, siamo qui, davanti a una sfida vera: come possiamo reinventare questo luogo? Come possiamo evitare che diventi solo un altro spazio vuoto, un altro segno di qualcosa che non c’è più? Magari è davvero il momento giusto per fare un passo indietro e pensare ad una gestione più sostenibile, qualcosa che non metta più al centro il lusso, ma la cultura, la comunità, la storia. Qualcosa che abbia senso per tutti noi, non solo per pochi.
Un’opportunità per Venezia
Immaginate il Fondaco come uno spazio rinnovato: non più solo un luogo per pochi, ma uno spazio per tutti. Un centro culturale, un luogo che valorizzi l’artigianato locale, un hub per eventi culturali che diano voce ai cittadini e ai visitatori in maniera nuova e responsabile. Potrebbe diventare un simbolo della rigenerazione urbana, un posto che celebri l’identità veneziana senza però ripetere i soliti schemi del passato.
Pensateci un attimo: Venezia, già così sovraccarica di turismo e pressioni esterne, ha l’occasione di trasformare questo edificio storico in qualcosa che abbia un valore vero, un impatto concreto sulla vita della città. La crisi climatica ci impone di cambiare, di prendere decisioni radicali. Venezia potrebbe approfittarne per reinventarsi, per creare un esempio di sostenibilità, di città che non solo valorizza il suo patrimonio, ma lo protegge e lo rende vivo in maniera intelligente.
Una nuova visione per il Fondaco dei Tedeschi
Insomma, non è solo una questione di numeri, di perdite economiche o di strategie commerciali fallite. Qui c’è una domanda davvero importante da porsi: che tipo di città vogliamo per il futuro? Vogliamo davvero continuare a vedere questi luoghi pieni di storia trasformati in centri di lusso dove nessuno di noi può entrare? O vogliamo che tornino a essere vivi, pieni di energia, di persone, di storie? Insomma, vogliamo che siano posti che uniscono passato e futuro in un modo che abbia davvero senso, che sia qualcosa di nuovo e che appartenga a tutti, non solo a pochi privilegiati?
La chiusura del Fondaco dei Tedeschi è una perdita, certo, è inutile negarlo. Ma è anche un riflesso delle contraddizioni che tutti noi viviamo ogni giorno. È una chiamata, un momento in cui ci si deve fermare e riflettere. Magari trasformare questo spazio in qualcosa di nuovo, di diverso, potrebbe essere un passo vero verso una Venezia più sostenibile, che riesce a cambiare senza mai dimenticare chi è, la sua anima, quello che la rende speciale.
Vedremo cosa succederà nel 2025. Chissà. Ma sapete cosa? Ci piace pensare che questo sia solo l’inizio di una nuova storia. Una storia in cui Venezia non è più solo vittima di un turismo di massa che la schiaccia ma trova il modo di essere protagonista di un cambiamento autentico, reale. Una città che si rinnova, sì, ma senza vendere la sua anima. Una città che valorizza ciò che è, per renderla ancora più bella, più viva, più vera.
Attualità
La battaglia di Laura Santi: la dignità, la malattia e la scelta di autodeterminarsi

Laura Santi non è una donna che si arrende facilmente. Anzi, a 50 anni è diventata il simbolo di una battaglia che è tanto personale quanto sociale. Laura Santi, una giornalista di Perugia, ha affrontato oltre vent’anni di vita con la sclerosi multipla. Una forma progressiva, che l’ha messa alla prova, che l’ha cambiata profondamente.
Ma non è stata solo sofferenza. No, è stato anche un lungo percorso di tenacia, di forza, di voler sfidare ogni limite che la malattia cercava di imporre. Non si è mai arresa. Ha detto no alla rassegnazione, si è aggrappata con tutta sé stessa a quella scintilla di autonomia, di controllo. E oggi, la sua storia parla per tanti. È diventata un simbolo, un messaggio forte per il diritto di scegliere, di non farsi dettare le regole dalla malattia.
L’inizio del viaggio: un colpo improvviso nel 2000
Immaginatevi poco più che ventenni, con tutta la vita davanti e poi arriva la diagnosi: sclerosi multipla.

Era il 2000. Laura aveva poco più di vent’anni, la vita davanti, e poi… arriva quella diagnosi. Sclerosi multipla. Uno di quei colpi che ti levano il fiato. Tutto è iniziato con un problema alla vista, un’infiammazione al nervo ottico. Sembra una sciocchezza, vero? Invece no. Chi conosce questa malattia sa che spesso è proprio così che comincia: un piccolo segnale che ti cambia la vita per sempre.
Da allora, Laura ha lottato. Ha continuato a fare ciò che amava: il giornalismo, le attività sportive, la vita quotidiana, adattando ogni cosa al suo corpo che cambiava. Ma la malattia è progredita, inesorabile.
Oggi Laura è costretta a vivere con una tetraplegia totale. Non può fare nulla senza l’aiuto degli altri. Dipende da qualcuno per ogni cosa. Ogni maledetta cosa. Anche le più piccole, quelle che per chiunque altro sono niente: bere un sorso d’acqua, girarsi nel letto, accendere una luce. Ogni gesto che noi nemmeno notiamo, per lei è una montagna da scalare, o meglio, qualcosa che non può nemmeno scalare da sola. Ed è proprio questo che l’ha spinta, più di tutto, a cercare una soluzione. A voler riprendere almeno un piccolo pezzetto della sua vita, a voler decidere qualcosa, qualsiasi cosa. Anche solo una, che fosse ancora sua. Perché quello che le resta è questo bisogno disperato di sentirsi ancora padrona di sé, almeno un po’.
Una scelta coraggiosa: il percorso verso il suicidio assistito
Nel 2022, Laura ha detto basta. Ha deciso di riprendersi la sua vita, di fare una scelta che l’ha messa a dura prova, che è stata straziante, pesante, ma profondamente sua. Ha scelto di affrontare tutta la burocrazia, di andare per vie legali, per poter avere il diritto di dire basta, di andarsene con dignità, a modo suo.
Una strada fatta di ostacoli, di muri, di mille porte chiuse, ma per lei era fondamentale poter scegliere. In Italia questo diritto esiste solo grazie a una sentenza della Corte Costituzionale del 2019, un piccolo spiraglio per chi si ritrova a soffrire senza vie d’uscita, per chi non ce la fa più. Un percorso pieno di carte, burocrazia, attese interminabili.

Non è stato facile, affatto. Ma Laura ha messo tutto quello che le restava, ogni briciolo di energia, ogni frammento di forza per arrivare fino in fondo. Non è stato un cammino facile. Ma lei non si è fermata.
Supportata dall’Associazione Luca Coscioni, Laura ha fatto richiesta all’ASL Umbria 1 per la verifica delle sue condizioni, come richiesto dalla normativa. Ma le difficoltà burocratiche non sono mancate. Ritardi su ritardi, silenzi che urlavano più di mille parole, risposte che sembravano non arrivare mai. Laura si è trovata sommersa in un mare di carte, firme, promesse infrante. Era come se il sistema fosse fatto apposta per farti perdere la speranza, per soffocare ogni briciolo di forza rimasta, per spingerti a dire ‘basta’, a gettare la spugna. Sembrava tutto organizzato per toglierti la voglia di lottare, per distruggere il coraggio di chi, come lei, ancora osava chiedere solo un po’ di dignità, un po’ di rispetto.
Laura era esausta, arrabbiata, stanca di quell’immobilismo infinito. A maggio 2023 ha tirato fuori tutto il coraggio che le rimaneva, ogni briciolo e si è presentata all’ASL con un esposto per omissione di atti d’ufficio. Non ce la faceva più ad aspettare, non poteva più stare lì ferma a guardare il tempo passare. Doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa, per provare a cambiare le cose, per dare un segnale, per smuovere quel muro di indifferenza.
Basta, doveva fare qualcosa.
“Da oltre un anno aspetto una risposta che tarda ad arrivare. La mia condizione peggiora ogni giorno, e io continuo a non avere certezze sul mio futuro”, ha dichiarato pubblicamente, portando alla luce la sua rabbia e il suo dolore.
Il riconoscimento del diritto: una vittoria che vale più di mille parole
Finalmente, nel novembre 2024, è arrivata la risposta tanto attesa. Il Comitato Etico regionale ha espresso parere positivo: Laura soddisfa tutti i requisiti stabiliti dalla Corte Costituzionale per accedere al suicidio assistito.
Una decisione che la rende la nona persona in Italia a ottenere questa autorizzazione.
“Per me, questa è la miglior cura palliativa che esista”, ha detto Laura, con una lucidità che colpisce. “Sapere di poter scegliere il momento in cui porre fine alla mia vita mi restituisce un senso di controllo che la malattia mi aveva tolto.”
Eppure, nonostante l’autorizzazione ottenuta, Laura non ha ancora fissato una data. Non è una questione di fretta: è la consapevolezza che, anche solo poter scegliere, è già una forma di sollievo.
Un dibattito acceso in Italia: il diritto di morire come parte del diritto di vivere
La storia di Laura ha riacceso una questione che in Italia è ancora un tabù: il diritto al fine vita. In Italia, parlare di eutanasia è ancora un tabù e il suicidio assistito è permesso solo in pochissimi casi, con mille difficoltà. La storia di Laura ha messo in luce, senza mezzi termini, le assurdità di un sistema che da una parte parla di autodeterminazione, ma dall’altra rende tutto dannatamente complicato.
Ti promettono libertà di scelta, ma poi, nei fatti, è una libertà che ti sfugge tra le dita, una promessa vuota.
Sì, la sentenza della Corte Costituzionale è stata un passo avanti. Ma uno piccolo, minuscolo. Non basta. Mancano ancora leggi chiare, dirette, che diano risposte certe a chi soffre, senza costringerlo a combattere contro una burocrazia lenta, fredda, indifferente. Laura lo ha detto senza giri di parole: questa incertezza l’ha fatta soffrire più di quanto fosse necessario. Se ci fosse stata una legge, una vera legge, tutto sarebbe stato diverso. Più semplice. Meno doloroso.
Il sostegno dell’Associazione Luca Coscioni e la lotta per i diritti civili

In tutta questa storia, Laura non è mai stata sola.
Laura ha trovato un alleato prezioso nell’Associazione Luca Coscioni. Gente che ci mette l’anima, che da anni combatte per chi soffre, per dare a tutti la libertà di scelta, per la dignità delle persone. Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione, lo ha detto senza mezzi termini:
“La storia di Laura ci insegna quanto sia urgente una legge sul fine vita, una legge vera, che finalmente difenda chi soffre e renda queste procedure semplici, umane, senza quella burocrazia infinita e insensibile.”
Ma non sono mancate le critiche. C’è chi vede il suicidio assistito come una sconfitta, chi crede che il sistema sanitario dovrebbe investire più nelle cure palliative.
E Laura ha una risposta anche per loro:
“Le cure palliative non possono restituirmi ciò che ho perso. La mia è una scelta personale, che riguarda solo me e la mia dignità.”
Parole forti, che riflettono la realtà di chi ha già perso molto, troppo e che non vuole perdere anche il diritto di decidere per sé stessa.
Riflessioni e speranze per il futuro
La storia di Laura non riguarda solo lei. Non riguarda solo una donna che decide di mettere fine alla propria sofferenza. Riguarda tutti noi. Riguarda la nostra capacità di capire, di rispettare le scelte degli altri, soprattutto quando si parla di cose così intime, così profonde. Parliamo di vita e di morte, della sfera più privata di una persona. Riguarda un sistema che deve fare ancora tanta strada per essere davvero vicino a chi soffre. Per riconoscere che, sì, il diritto di morire con dignità è parte del diritto di vivere con dignità.
Laura Santi è una donna che ha deciso di non piegarsi. Ha deciso di essere la protagonista della sua vita, fino alla fine. La storia di Laura è un urlo disperato, uno di quelli che non puoi più ignorare, anche se ti tappassi le orecchie. Nessuno, mai, dovrebbe essere costretto a combattere contro una burocrazia fredda, distante, solo per avere il diritto di decidere sulla propria sofferenza. Nessuno, mai. È inaccettabile, è disumano.
Il futuro? Ce lo dobbiamo ancora scrivere e questa è la verità. Ma c’è una cosa certa: la forza di Laura ha già cambiato qualcosa. Ha aperto una crepa in quel muro di indifferenza, ha costretto tutti noi, come Paese, a guardarci allo specchio e chiederci: davvero è giusto obbligare qualcuno a vivere una vita che non sente più sua? Davvero siamo questo?
Mentre il dibattito va avanti, vogliamo sperare che storie come quella di Laura ci portino verso una società più umana, più compassionevole, meno giudicante. Una società dove il diritto di scegliere non sia più un privilegio per pochi ma un diritto reale, per tutti.
Perché tutti meritiamo rispetto. Tutti meritiamo la possibilità di scegliere. Sempre.
Attualità
Bonus Natale 2024: Un aiuto concreto per i lavoratori dipendenti

Manca poco a Natale e come ogni anno, le spese si accumulano e i bilanci familiari diventano più difficili da gestire. Proprio per questo arriva una notizia interessante per moltissimi lavoratori dipendenti in Italia: il Bonus Natale 2024. Si tratta di un contributo di 100 euro, una tantum, pensato per chi si trova in una determinata fascia reddituale e ha almeno un figlio a carico. E non parliamo solo della consueta tredicesima mensilità ma di un sostegno extra, di cui vale sicuramente la pena sapere di più.
Cos’è questo Bonus Natale 2024?
Allora, facciamola semplice: il Bonus Natale è un aiuto economico di 100 euro, che va a chi ha certi requisiti. Niente di complicato, solo un modo per dare una mano a quelle famiglie che, diciamocelo, a Natale si trovano con un sacco di spese extra – tra regali per i bambini, cenoni e chi più ne ha più ne metta – e magari non se la passano benissimo economicamente. Chi rispetta i requisiti si vedrà arrivare questo contributo direttamente in busta paga, insieme alla tredicesima, giusto per avere un po’ di respiro finanziario in più durante le feste.
Il Bonus Natale 2024 è stato pensato proprio per questo: dare un piccolo aiuto extra a chi ne ha davvero bisogno. Non è per tutti, no, è per chi fatica di più a far quadrare i conti. Insomma, un modo per rendere il Natale un po’ meno pesante, soprattutto per quelle famiglie italiane con entrate medie o medio-basse.
Chi può richiedere il Bonus: Requisiti essenziali
Vediamo subito a chi è rivolto questo Bonus e quali sono i requisiti da rispettare per poter accedere al contributo. Sono tre i punti fondamentali:
- Requisito reddituale: Allora, il bonus va a chi, nel 2024, ha avuto un reddito complessivo non superiore a 28.000 euro. Insomma, l’idea è di dare una mano a chi sta in una fascia di reddito media o medio-bassa, quelli che sentono più di tutti il peso delle spese natalizie.
- Situazione familiare: Serve avere almeno un figlio fiscalmente a carico. Questo è uno degli aspetti più importanti: non è solo per chi è sposato ma anche per i genitori single e le coppie di fatto. Una scelta che amplia il raggio dei possibili beneficiari, includendo anche quelle famiglie che convivono e hanno dei figli, senza essere formalmente sposati.
- Capienza fiscale: Infine, bisogna verificare di avere una capienza fiscale sufficiente, cioè che l’imposta lorda sui redditi da lavoro dipendente sia superiore alle detrazioni spettanti. Questo è un aspetto un po’ tecnico ma serve per garantire che il bonus arrivi davvero a chi paga le tasse e ha un carico fiscale concreto da sostenere.
Come fare per ottenerlo?
Se state pensando di fare domanda, ecco cosa c’è da sapere. Il Bonus Natale non arriva in automatico, quindi, ecco che tocca ai lavoratori fare un po’ di burocrazia. Bisogna presentare una dichiarazione al datore di lavoro. Sì, una specie di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, in cui si dice di avere tutti i requisiti richiesti, incluso il codice fiscale dei figli a carico. Non è complicato ma serve farlo.
Ma attenzione alle scadenze:
- Per i dipendenti pubblici, il termine è fissato per il 22 novembre 2024 alle ore 12:00. Serve rispettare questa data per permettere agli enti pubblici di elaborare correttamente i pagamenti.
- Per quanto riguarda i dipendenti privati, invece, la scadenza può variare a seconda delle indicazioni del datore di lavoro. In ogni caso, è sempre meglio muoversi per tempo.
Altri dettagli pratici
Non tutti sanno che il bonus di 100 euro è proporzionato ai giorni di lavoro svolti durante il 2024. Quindi, se avete lavorato solo una parte dell’anno, l’importo sarà ridotto. Non è un contributo fisso per tutti ma cambia a seconda della vostra situazione lavorativa.
E per chi, purtroppo, non riuscisse a presentare la domanda in tempo? Niente paura. In questo caso, il Bonus può essere recuperato nella dichiarazione dei redditi per l’anno 2025. È una sorta di seconda chance per chi non è riuscito a fare tutto entro la scadenza: l’importo può essere richiesto come detrazione fiscale, evitando così di perdere questo piccolo aiuto.
Perché questo Bonus è importante?
Si potrebbe pensare: 100 euro sono davvero così importanti? La risposta è sì, soprattutto quando consideriamo il periodo dell’anno. Il Natale è uno dei momenti in cui le famiglie italiane spendono di più, tra regali, cene, spostamenti e attività con i bambini. Ricevere questo contributo insieme alla tredicesima può fare la differenza e rappresenta un modo per affrontare le spese senza troppa ansia. Non è molto, certo, ma in un periodo come questo, ogni aiuto conta.
In più, questo bonus è parte di un piano più ampio che cerca di alleviare la pressione fiscale sui lavoratori dipendenti con figli. Negli ultimi anni, sono state diverse le misure di sostegno proposte, ma questa sembra essere pensata per arrivare direttamente nelle tasche di chi ne ha davvero bisogno.
Dove trovare ulteriori informazioni
Se siete curiosi e volete saperne di più, l‘Agenzia delle Entrate ha pubblicato una circolare – la n. 19/E del 10 ottobre 2024 – che descrive in dettaglio tutti gli aspetti del Bonus Natale 2024. Potete trovarla direttamente sul loro sito ufficiale (agenziaentrate.gov.it) e è il documento di riferimento per chi vuole essere sicuro di avere tutte le carte in regola.
Questo bonus è una piccola ma significativa iniziativa per tutti quei lavoratori dipendenti italiani che hanno figli a carico e un reddito medio-basso. Un aiuto extra che, messo insieme alla tredicesima, vuole rendere le feste un po’ meno pesanti, un po’ più serene. Quindi, mi raccomando, controllate bene i requisiti e non perdetevi le scadenze: è un’occasione che può davvero fare la differenza, specialmente in un periodo dell’anno dove ogni piccolo contributo può dare una mano.
Attualità
CDS salva i cervi d’Abruzzo, ON. BRAMBILLA: “Vittoria, ci hanno dato ragione”

“I magistrati amministrativi di secondo grado – spiega – hanno riconosciuto la fondatezza del ricorso che era stato respinto in primo grado e hanno ricordato che la Regione potrebbe adottare misure per la prevenzione di incidenti stradali, “come l’apposizione di recinzioni e la realizzazione di attraversamenti faunistici”. Esattamente ciò che propone uno dei miei emendamenti alla legge di bilancio”. Quindi i cervi, per ora, non si toccano.
“La popolazione di cervi in Abruzzo – prosegue la deputata – non ha avuto una “proliferazione anomala”, ma un aumento contenuto per l’abbandono delle terre agricole da parte dell’uomo e l’abbondanza di cibo, in un territorio dove la presenza del lupo fa da naturale contrappeso. I danni agli agricoltori sono tutto sommato limitati – l’anno scorso la Regione ha speso 170 mila euro in indennizzi – e non è neppure certo che gli abbattimenti riducano davvero le perdite nelle colture. Anzi, come dimostrano esperienze pregresse con altre specie, non hanno mai risolto veramente i problemi. Sotto la maschera del piano di contenimento, c’è un programma venatorio a vantaggio dei cacciatori, la lobby più vezzeggiata da tutte le Regioni italiane, del loro divertimento e delle loro casse (i proventi da tariffario andrebbero agli Ambiti territoriali di caccia). Ma il conto vero lo pagherebbe Bambi, con la sua pelle. E tutti noi diventeremmo più poveri”.
“Ringrazio perciò, una per una – conclude – tutte le personalità dello spettacolo e della cultura che hanno accolto l’invito della nostra LEIDAA e del nostro movimento culturale “La coscienza degli animali” a rivolgere alla Regione Abruzzo un accorato appello per fermare quest’ inutile strage”.
Attualità
La storia del telefono cellulare: Dal sogno alla rivoluzione delle comunicazioni

Proviamo a immaginare com’era la vita senza i telefoni cellulari. Strano, vero? Oggi sembra quasi impossibile pensarci, ma c’è stato davvero un tempo in cui tutto questo semplicemente non esisteva. Immaginate di voler parlare con qualcuno e dover per forza trovare un telefono fisso, o magari aspettare di tornare a casa per fare quella chiamata. Magari eravate per strada, sotto la pioggia, cercando una cabina telefonica che funzionasse e spesso le monete finivano proprio sul più bello. Niente messaggi veloci, niente videochiamate, niente selfie da mandare al volo. Insomma, era un altro mondo. Nessuna possibilità di prenotare un taxi all’ultimo momento o di chiedere indicazioni semplicemente guardando lo schermo del vostro telefono.
Tutte queste piccole comodità che oggi diamo per scontate, un tempo erano sogni irraggiungibili. Gli smartphone che ormai ci portiamo dietro ovunque sono il risultato di anni di prove, errori, fallimenti e sogni grandi. Ci sono stati momenti di successo, ma anche tanti fallimenti e ognuno di questi ci ha portato più vicini a quello che oggi consideriamo normale. Ma da dove è partito tutto? Andiamo a scoprirlo passo dopo passo, tra storie pazze e momenti epici. Prendetevi un po’ di tempo, la storia è più incredibile di quanto si possa immaginare.
Dove tutto comincia: i primi esperimenti


Allora, la storia del telefono cellulare inizia con tentativi che sembrano quasi pazzie. Parliamo degli anni ’40, quando c’erano questi pionieri, veri e propri visionari, che facevano esperimenti senza neanche sapere se sarebbero riusciti. Tutto comincia nei laboratori della Bell Labs, una divisione di AT&T. Immaginate questi scienziati, chiusi in stanze piene di cavi e valvole, roba strana che forse manco noi capiremmo. Già negli anni ’40, stavano provando a inventare qualcosa che somigliasse alla telefonia mobile. Ma lasciate perdere: era tutto rudimentale, un disastro. Nel 1946, Bell mise insieme la prima rete mobile, ma non pensate ai cellulari che conosciamo oggi: erano enormi, installati sulle automobili, pesanti e scomodissimi. Altro che metterli in tasca, impossibile!
Nel frattempo, in altre parti del mondo, nessuno stava con le mani in mano. Negli Stati Uniti, la RCA stava facendo esperimenti con nuovi sistemi di comunicazione radio. In Europa, la Plessey cercava di migliorare la copertura e la qualità del segnale. Ma qual era il problema più grande? La “banda”. Non c’era abbastanza spazio per tutte le chiamate, una specie di ingorgo telefonico continuo. L’idea di avere una piccola scatoletta in tasca per parlare con qualcuno dall’altra parte del mondo? Beh, scordatevelo. Era pura fantascienza, un sogno lontanissimo.
Il momento storico: Martin Cooper e il primo vero cellulare

Per arrivare a parlare di telefoni cellulari veri e propri, dobbiamo spostarci negli anni ’70. E qui entra in gioco Martin Cooper, uno di quei tipi che cambiano tutto. Martin Cooper, ingegnere in Motorola, viene ricordato come il “padre” del telefono cellulare. Siamo al 3 aprile 1973 e sapete cosa fa? Prende questo enorme aggeggio, un mattone di nome DynaTAC 8000X, pesante come un dannato chilo e chiama il suo rivale, Joel Engel di Bell Labs. Una cosa tipo: “Hey Joel, ce l’abbiamo fatta!”. Provate a immaginarvi la scena: un telefono che pesava più di una bottiglia d’acqua, con un’autonomia ridicola di 30 minuti dopo 10 ore di ricarica… eppure, era magia pura.
Cooper e il suo team ci avevano messo l’anima in quel progetto. Tre anni di ricerca, prove e tanti problemi da risolvere. Dovevano capire come rendere più piccoli tutti quei componenti elettronici, come far sì che la batteria durasse abbastanza da fare almeno una chiamata decente. Non era facile, affatto. Ma alla fine ce l’hanno fatta. Quel giorno d’aprile ha cambiato tutto. La telefonia mobile, che fino a quel momento sembrava da film di fantascienza, stava diventando realtà.
Gli anni ’80: la prima commercializzazione

Dopo quella chiamata epica di Cooper, passano altri dieci anni… dieci anni! Prima che il primo cellulare vero e proprio finisse nelle mani del pubblico. Arriva il Motorola DynaTAC 8000X, nel 1983. E sapete qual era il prezzo? Tenetevi forte: circa 4.000 dollari. Cioè, una piccola fortuna per quei tempi, roba da pochi eletti. E infatti, nonostante il prezzo assurdo, il DynaTAC diventò subito un simbolo di status. Lo vedevi nelle mani di uomini d’affari e di quei pionieri digitali pieni di soldi che volevano far vedere che erano avanti.
E questi telefoni, in quegli anni, erano proprio dei mattoni: enormi, pesanti, con pochissime funzioni. Facevano una cosa sola e facevano pure fatica: le chiamate vocali. Niente messaggi, niente app, niente fotocamere. Praticamente era un telefono fisso, ma senza il filo, che però potevi portarti dietro… sempre che avessi abbastanza forza per farlo!
Il boom degli anni ’90: GSM e la democratizzazione del cellulare

Gli anni ’90… che anni! I telefoni cellulari cambiarono completamente. Le vecchie reti analogiche? Un disastro: limitate, piene di interferenze. Piano piano, però, queste reti vennero sostituite dal GSM (Global System for Mobile Communications) e fu un vero punto di svolta. Era il 1991 e l’Europa per prima disse: “Facciamo qualcosa di diverso, rendiamo queste reti standard per tutti!”. E il GSM permise proprio questo: ora potevi usare il cellulare anche fuori dai confini del tuo Paese. Tutto questo fece decollare la produzione di massa e i costi iniziarono a scendere. Fu un momento decisivo.
E poi, sempre negli anni ’90, i telefoni stessi cominciarono a cambiare aspetto: sempre più piccoli, leggeri e finalmente un po’ meno costosi. Nokia, Ericsson e altri brand iniziarono a creare modelli che non erano più dei mattoni, ma qualcosa che la gente poteva usare senza troppi problemi. Chi se lo dimentica il Nokia 3210, uscito nel 1999?? Quello sì che era un telefono: robusto, con il mitico Snake che ci ha fatto perdere ore intere. Subito un successo tra giovani e adulti, un pezzo di storia.

Ma già qualche anno prima, nel 1996, Motorola aveva fatto parlare di sé con un altro colpo di genio: il Motorola StarTAC. Il primo telefono a conchiglia, piccolo, leggero, finalmente qualcosa che potevi davvero infilare in tasca senza sembrare un cyborg. Era un simbolo, un oggetto che faceva dire a tutti: “Wow, guarda che roba!”. Non era solo pratico, era figo. La gente impazziva per questo telefono. Non più un mattone, ma qualcosa di davvero portatile. Il StarTAC ha segnato un passaggio importante, quasi un anticipo dei telefoni moderni. È stato un successo enorme e ha dato il via a tutto ciò che è venuto dopo.
E poi, il Nokia 3310… chi non se lo ricorda? Snake, la resistenza infinita, cadute che avrebbero distrutto qualsiasi altra cosa, ma non lui! Era diventato un’icona e senza dubbio ha contribuito alla diffusione dei cellulari come pochi altri modelli.
E poi, negli anni ’90, c’è un’altra piccola rivoluzione. Gli SMS. Sì, i messaggini. Allora, pensate un attimo: il primo messaggio di testo venne mandato nel 1992. Sì, era un semplice “Merry Christmas”. Roba semplice, niente di epico. Mandato da un computer a un cellulare. Una cosa piccola, ma se ci pensate bene, era l’inizio di qualcosa di enorme. Niente di che, vero? Ma fu solo l’inizio. Da lì in poi, i messaggi di testo diventano uno dei modi più popolari per comunicare. Un “dove sei?”, un “ti voglio bene”, tutto in pochi caratteri. Qualcosa che cambia le relazioni, il modo di parlare, tutto quanto.
Gli anni 2000: la nascita degli smartphone

E poi, eccoci agli anni 2000. Il cellulare smette di essere solo per chiamare. Diventa molto di più. Iniziano a chiamarli smartphone. La vera svolta arriva con il BlackBerry: email sul telefono, internet sempre con te. Nokia, ovviamente, non rimane a guardare. Nel 1996 lancia il Nokia Communicator, qualcosa che cercava di unire le funzionalità di un computer con un telefono. Era strano, ma era un inizio. Un tentativo di fare qualcosa di diverso, di innovativo. E non era l’unico. Tutti volevano essere i primi a creare il vero smartphone.
Ma il vero spartiacque? Beh, arriva nel 2007. E chi c’era? Steve Jobs. Sale sul palco e presenta al mondo l’iPhone. Una presentazione pubblica e il pubblico resta senza parole. Jobs tira fuori questo dispositivo e non è solo un telefono: è un lettore musicale, un navigatore, tutto in uno. La reazione? Incredibile, la gente impazzisce. L’entusiasmo è immediato, le notizie esplodono ovunque, tutti ne parlano. Non è solo un salto tecnologico, è un fenomeno culturale.
La gente fa la fila fuori dagli Apple Store, ore e ore, persino giorni interi, pur di essere tra i primi a metterci le mani sopra. Questo dispositivo segna davvero l’inizio di qualcosa di nuovo, l’era degli smartphone. Cambia per sempre il nostro modo di vivere la tecnologia. Non era solo un telefono, era tutto: una fotocamera, un lettore musicale, un navigatore. Un piccolo computer in tasca, con quella interfaccia touch che cambiava tutto. L’iPhone ridefinisce cosa significa avere un cellulare. E poi, arriva l’era degli app store: puoi scaricare funzionalità, giochi, strumenti di lavoro, social network. Un mondo tutto nuovo e tutto a portata di mano.
Le reti 3G e 4G: connessione sempre più veloce
Ma, diciamocelo, uno smartphone senza una rete come si deve, non avrebbe cambiato molto. E qui entra in gioco il 3G. Prima, navigare in internet era una roba da matti, lento come una tartaruga. Poi arriva il 3G e finalmente la navigazione diventa qualcosa di sopportabile, più fluida, più veloce. Ma non ci fermiamo lì. Dopo un po’, ecco il 4G. Era il 2010 e all’improvviso tutto cambia ancora. Streaming di video in alta definizione, applicazioni che divorano dati senza problemi. E così il cellulare non era più solo per fare chiamate o mandare messaggini. No, diventava lo strumento per guardare contenuti multimediali, Youtube, Netflix, tutto a portata di mano. Insomma, lo smartphone diventa una finestra vera e propria sul mondo.
I giorni nostri: 5G e il futuro del cellulare

Oggi siamo nell’era del 5G. Roba veloce, velocissima. Promette cose mai viste prima, tipo la realtà aumentata, la realtà virtuale e poi tutte quelle applicazioni avanzate per l’Internet delle Cose. Pensateci un attimo: i telefoni di oggi, tipo gli ultimi iPhone o Samsung Galaxy, sono praticamente dei supercomputer che fanno sembrare i computer usati per andare sulla Luna negli anni ’60 delle calcolatrici giocattolo. Assurdo, no?
E il futuro? Dove andremo a finire? Qualcuno dice dispositivi indossabili, roba da tenere addosso tutto il tempo. Occhiali smart, auricolari che non ti togli mai, sempre connessi, senza neanche dover tirare fuori il telefono dalla tasca. Oppure, cose ancora più folli: chip sottopelle, comunicazione invisibile. Magari l’intelligenza artificiale farà tutto per noi, senza nemmeno accorgercene. Chissà… sembra fantascienza, ma piano piano, ci stiamo arrivando davvero.
Un cambiamento culturale profondo

Il telefono cellulare non ha solo cambiato come comunichiamo, ha stravolto il modo in cui viviamo. Negli anni ’80 era un affare per businessman, roba da gente con la valigetta. Poi, anni ’90 e 2000, boom: diventa un oggetto di massa, ce l’avevano tutti. E oggi? Beh è praticamente un pezzo di noi, una estensione del nostro corpo. Pensateci: quante volte al giorno lo controllate? È il nostro calendario, ci dice dove andare, ci fa da macchina fotografica, ci tiene in contatto con tutti. Non possiamo farne a meno.
Questa rivoluzione del cellulare è stata così profonda che ha cambiato tutto: cultura, relazioni, persino la psicologia. Ci ha reso dipendenti, ma allo stesso tempo ci ha dato opportunità incredibili di connessione e accesso all’informazione. Insomma, è una lama a doppio taglio. Ha cambiato le regole del mondo del lavoro, permettendo il remote working e nuove forme di business.
Un viaggio incredibile che continua

La storia del telefono cellulare è fatta di tutto: innovazione continua, tentativi assurdi, fallimenti, sogni, successi… un mix di tutto. Immaginate Martin Cooper, nel 1973, che chiama il suo rivale con un apparecchio enorme, un “mattone” che pesava un chilo. E da lì, passo dopo passo, errori su errori, alla fine siamo arrivati ai dispositivi di oggi, quelli che ti porti in tasca e sono più potenti di un computer da tavolo di vent’anni fa. È stato un viaggio lungo, strano, pieno di colpi di scena. Affascinante, insomma.
Ma non è finita qui: il viaggio continua. Ogni anno vediamo nuove funzionalità, nuove tecnologie, nuovi modelli. E chissà come sarà il telefono cellulare tra venti o trent’anni. Forse non avremo nemmeno più bisogno di un “telefono” come lo intendiamo oggi. Forse comunicheremo direttamente con la nostra mente. O forse torneremo a riscoprire il piacere della conversazione faccia a faccia, senza schermi a separarci.
D’ora in poi potrebbe succedere qualsiasi cosa. Ma una cosa è sicura: il cellulare, un oggetto che abbiamo sempre in tasca, ha davvero cambiato tutto. Una svolta epocale. Siamo solo all’inizio e questa tecnologia, non sappiamo neanche dove ci porterà ancora. Siamo all’alba di qualcosa di enorme e ci stiamo solo scaldando i motori.
“Il telefono cellulare non è solo tecnologia, è l’evoluzione di un sogno che ha cambiato il nostro modo di vivere, comunicare e sognare il futuro.” – Junior Cristarella
Attualità
Storie di speranza e salvataggi: la lotta per Melody e altri amici animali a “Dalla parte...

Una vera sfida per i veterinari del CRAS “Stella del nord” è il caso della capriolina Melody, semiparalizzata da un brutto incidente. Hanno bisogno di aiuto anche un coloratissimo fagiano maschio e una civetta “nera” perché caduta in una canna fumaria. Questo e molto altro a “Dalla Parte degli Animali”, la trasmissione più animalista della tv italiana, ideata e condotta dall’on. Michela Vittoria Brambilla, in onda ogni domenica alle 10.05 su Rete4 e in replica domenica alle 16.30 su La5 e il martedì, in seconda serata, sempre su Retequattro.
Melody è rimasta ferita dal crollo di una legnaia e purtroppo ha bisogno di un’imbracatura per restare in posizione eretta, e di molta fisioterapia, ma non ha lesioni irreversibili, è vigile ed ha voglia di vivere. C’è speranza, e tanto basta agli operatori del CRAS. La polizia provinciale porta uno splendido esemplare di fagiano maschio liberato per la caccia, coloratissimo ma ferito ad una zampa, e una civetta sporca di fuliggine. Tornano a volare quattro piccioni curati nell’ospedale degli animali. Sui 469 cervi che in Abruzzo rischiano l’abbattimento “Dalla parte degli animali” registra l’accorato appello di tanti vip che, come la maggioranza degli italiani, li vorrebbero vivi. A proposito di vip, questa volta conosceremo i due “figli pelosi” dell’ex bomber della nazionale di calcio Luca Toni. Il salvataggio di LEIDAA racconta la storia della cagnolina Claudine, investita e recuperata in Albania.
Daremo uno sguardo al Centro cinofili della polizia di Stato, di fatto la “scuola” dei “binomi” uomo-cane che entreranno in servizio antidroga e per varie missioni di ordine pubblico. Un altro bel servizio è dedicato al salvataggio del maiale Totò, che ora vive felice con Vito come se fosse il suo cagnolino. Per la rubrica “Impariamo divertendoci” Susanna ci insegnerà il richiamo. Don Cosimo ci parlerà dell’orso, un animale potente che ama la mitezza dei santi. Immancabili le rubriche di Stella: “Un cavallo per amico”, dove si fa spiegare come si chiamano le parti del corpo di un cavallo, e Stella’s world, dedicato al cavallo alato Pegaso. Per la cucina veg, largo a sua maestà il fungo porcino, mentre Speedy racconterà tutto sull’allodola, uccellino caro ai poeti, e farà un appello per la micina smarrita Moka.
Ecco il momento delle adozioni, tante come sempre. C’è Giuliano il molosso, otto anni, che ha urgente bisogno d’amore, Cheyenne salvata dalle perreras spagnole, la cagnolina Nora che viene dalla Sardegna, la micina Rory trovata in una cascina abbandonata. L’adozione live è quella della beagle Hope, fattrice sfruttata fino all’ultimo in un allevamento, che incontra il nuovo amico, Franco.
Il video promo della puntata è visibile al link https://www.youtube.com/watch?v=kTT8gU_7ojE.
Attualità
Anticiclone in arrivo: meteo stabile, nebbie persistenti e qualche problema di smog nelle...

Le ultime settimane ci hanno portato un bel po’ di maltempo, ma ora le cose stanno cambiando. Un nuovo anticiclone si sta rafforzando, questa volta anche in quota, il che significa che ci aspetta un periodo di stabilità piuttosto garantita. Niente più vortici ciclonici a disturbarci, ormai si sposteranno verso l’area iberica, lasciando al massimo qualche pioggia isolata sulle nostre Isole maggiori. Ma attenzione, la stabilità non significa solo belle giornate: ci faranno infatti compagnia anche nebbie, nubi basse e un po’ di smog, specialmente nelle aree pianeggianti e densamente popolate.
Ora che l’atmosfera si uniformerà, anche in quota, avremo una sincronia lungo tutta la colonna d’aria. In parole povere, meno contrasto tra caldo e freddo, niente più spinte alla formazione di nuvole pesanti e nessuna precipitazione intensa. Tuttavia, è l’umidità che potrebbe diventare un problema: è già bella alta di suo e con la pressione che sale tenderà a concentrarsi negli strati bassi dell’atmosfera. Insomma, aspettatevi nebbie sempre più insistenti, specialmente nelle grandi pianure interne e nelle valli, che potrebbero persino diventare persistenti in alcune zone. Nel frattempo, le aree collinari e montuose vedranno un clima decisamente atipico per la fine di ottobre, caratterizzato da tanto sole e temperature piuttosto miti.
Vediamo più nel dettaglio cosa aspettarci nei prossimi giorni
Meteo martedì: Cominciamo con il Nord e il medio alto Adriatico, dove avremo foschie, nebbie e nubi basse in pianura, con una parziale dissoluzione durante il giorno, ma attenzione: lungo il corso del Po queste nebbie potrebbero essere davvero persistenti. Sole pieno sulle Alpi e sul resto della Penisola, con qualche nube a dare fastidio sulle Isole maggiori e sul medio-basso Adriatico, ma senza precipitazioni. Le temperature? Stazionarie e sopra le medie del periodo, quindi ci godremo ancora un po’ di quel caldo atipico che sembra non volerci lasciare. I venti saranno di scirocco sulle Isole e di maestrale altrove, con mari mossi soprattutto sui bacini più occidentali e sull’Adriatico, mentre gli altri saranno più tranquilli.
Meteo mercoledì: Anche qui, lo scenario non cambia di molto: foschie, nebbie e nubi basse continueranno a caratterizzare le pianure del Nord e il medio alto Adriatico, con qualche resistenza persino nelle ore diurne. Ancora tanto sole sulle Alpi e sulle altre zone peninsulari, mentre sulle Isole maggiori avremo qualche disturbo nuvoloso, con possibilità di fenomeni sporadici in Sardegna. Le temperature resteranno stabili e superiori alla media, mentre i venti continueranno ad essere sciroccali sulle Isole e di maestrale altrove. Per quanto riguarda i mari, la situazione rimarrà invariata: mossi quelli occidentali e l’Adriatico, più calmi gli altri.
Meteo giovedì: Giovedì ci porta una situazione molto simile, con foschie, nebbie e nubi basse che persisteranno in pianura al Nord, nelle valli del Centro e sul medio alto Adriatico. Anche qui, non aspettatevi grandi cambiamenti: sole sulle Alpi e nelle altre aree, mentre sulle Isole maggiori potremmo vedere qualche nuvola e qualche fenomeno isolato in Sardegna. Le temperature resteranno stazionarie, con un possibile lieve calo al Nord, ma comunque superiori alle medie stagionali. I venti saranno sempre di scirocco sulle Isole maggiori e di maestrale altrove e i mari si manterranno mossi a Ovest e sull’Adriatico meridionale.
In sostanza, l’arrivo dell’anticiclone ci garantirà qualche giorno di stabilità e bel tempo, almeno per chi si trova lontano dalle aree più soggette alla nebbia. Per chi vive nelle grandi pianure, però, la nebbia potrebbe diventare una presenza piuttosto scomoda e con essa anche il rischio di inquinamento atmosferico in aumento. Godiamoci il sole dove c’è, ma non dimentichiamoci di fare attenzione all’aria che respiriamo, soprattutto nelle aree più urbanizzate.
Attualità
Tradizione messicana del 27 ottobre: il ritorno degli animali dall’aldilà per una...

C’è questa storia, una di quelle che ti fanno fermare un attimo e pensare. Il 27 ottobre è una data particolare, un po’ magica se vogliamo. Non è che la segni sul calendario, o che tutti ne parlino, ma vale la pena sapere cosa succede in quel giorno. Secondo una vecchia tradizione messicana, gli animali che abbiamo amato e che non ci sono più, tornano. Solo per una notte, ma tornano davvero. Cani, gatti, coniglietti, uccellini… quei piccoli compagni di vita che ci hanno fatto ridere, ci hanno consolato e che, quando se ne sono andati, hanno lasciato un vuoto enorme. Ecco, loro tornano. Giusto per farci un saluto.
Adesso, parliamoci chiaro. La perdita di un animale domestico non è una cosa da poco. Anzi, chi ne ha avuto uno sa quanto fa male. Per qualcuno è come perdere un familiare. E no, non è un’esagerazione. Chi non ci è passato magari non lo capisce, ma per chi ha condiviso anni con un cane, un gatto, o qualunque altro amico peloso, beh, è come perdere un pezzo di sé. Quel vuoto che rimane non lo riempi facilmente. E allora, quando senti di questa leggenda, ti viene quasi da sorridere, anche solo un po’.
Si parla del Ponte dell’Arcobaleno, un posto bellissimo dove, secondo la leggenda, vanno tutti gli animali quando se ne vanno da questo mondo. Lì non c’è più sofferenza, non c’è malattia. Solo prati verdi, colline infinite, aria profumata e tanto gioco. È un’immagine che consola, diciamoci la verità. Pensare che i nostri amici siano lì, felici e sereni, mentre aspettano il giorno in cui ci rivedremo, è qualcosa che ci fa stare meglio.
Ma la parte più bella di tutta questa storia è che, secondo la tradizione messicana, c’è un giorno – il 27 ottobre – in cui tutti gli animali possono tornare per una notte. A casa. Tornano dai loro umani, quelli che li hanno amati tanto e che, sì, continuano a pensare a loro ogni singolo giorno. Questa tradizione viene dagli aztechi, che consideravano il cane una sorta di guida spirituale, anche nell’aldilà. Insomma, il cane era il compagno di viaggio delle anime. Ed è da lì che viene questa credenza che, una volta all’anno, i nostri amici possano tornare tra noi.
E allora cosa si fa per accoglierli? In Messico c’è questa usanza bellissima. Si preparano degli altari, chiamati ofrendas. Sopra ci si mette una foto del nostro animale – quella che magari già teniamo in bella vista, sullo scaffale o sul comodino. Poi c’è una ciotola d’acqua, un piatto con il loro cibo preferito, magari anche un giocattolo. Quello con cui facevano avanti e indietro per la casa, che si portavano ovunque. E poi una candela, accesa per tutta la notte, o anche solo per un po’, giusto per indicare loro la strada. Così, possono trovare di nuovo la via di casa, ritrovare la famiglia che li ha amati.
La cosa bella è che non c’è spazio per la tristezza. No, niente lacrime. È un momento per ricordare, per sorridere. È un modo per sentirli di nuovo vicini, anche solo per qualche ora. Un modo per dire: “Ehi, non ti ho mai dimenticato”. Pensare che, ovunque siano, i nostri animali stanno bene, corrono felici e magari per quella notte tornano qui, con noi. Anche solo per sentirci, per farci sentire che sì, quel legame non si è mai spezzato.
Quindi ecco il punto. Il 27 ottobre, se volete partecipare a questa tradizione, preparate qualcosa per loro. Non serve chissà che. Una foto, un po’ d’acqua, il loro cibo preferito, una candela. È un gesto semplice, ma pieno di significato. Non è solo per loro, ma anche per noi. Per ricordare quei momenti belli, per sentirci di nuovo vicini e per non dimenticare mai quanto ci hanno dato.
E chissà, magari quella notte, quando tutto è tranquillo, sentirete qualcosa. Un rumore, un soffio d’aria che sembra più caldo, o quel silenzio che sembra carico di presenze. Forse sarà solo la nostra immaginazione, o forse no. Ma in fondo, che importa? È il pensiero che conta. L’amore non se ne va mai, resta lì e anche se loro non ci sono più fisicamente, quel legame non muore. E il 27 ottobre è il momento perfetto per ricordarcelo.
Attualità
Valle dei Segni Wine Trail: torna il grande weekend tra sport, storia e buon vino in...

L’ultimo weekend di ottobre promette di portare nuovamente in scena la Valle dei Segni Wine Trail, un appuntamento che, dopo il successo dello scorso anno, torna con la stessa energia – se non di più – a far parlare di sé come evento di riferimento dell’autunno in Valcamonica. Un mix perfetto di sport, cultura e, ovviamente, buon vino. Perché diciamocelo, cosa c’è di meglio di una corsa tra la natura, con lo scenario spettacolare delle montagne e una tappa nelle cantine locali?
Dunque, preparatevi: questo evento non è solo per i runner incalliti, ma anche per chi ha voglia di immergersi in un’esperienza che unisce la storia, il paesaggio e il gusto in un unico percorso avventuroso. Partiamo dall’aspetto sportivo, sì, ma qui non si tratta solo di chilometri e sudore. È anche un’occasione per riscoprire il cuore autentico della Valcamonica, tra vecchi sentieri e antiche mulattiere che hanno visto passare generazioni e raccontano storie di una valle che ha tanto da offrire.
Tre gare, tre avventure diverse, per tutti i gusti e livelli di preparazione. La sfida più dura, l’ultra trail di ben 55 km, partirà sabato 26 ottobre alle 8 del mattino, da Capo di Ponte fino a Darfo Boario Terme. Un tracciato tosto, con un dislivello di 2.500 metri: roba per chi ama mettere alla prova i propri limiti. Poi c’è la half trail, sempre sabato, ma alle 10: un percorso di 18 km con 950 metri di dislivello, per chi cerca qualcosa di impegnativo ma, diciamo, senza spingersi all’estremo. E infine, per i più tranquilli (o per chi vuole solo godersi l’aria della valle senza esagerare), domenica 27 ottobre alle 15 ci sarà il Lago Moro Short Trail, un percorso di 8 km, con anche una versione non competitiva.
E non finisce qui. Perché, oltre alla parte sportiva, la manifestazione propone una vera immersione nella storia e nella cultura della Valcamonica. Lungo i percorsi si attraversano luoghi che raccontano il passato di questa terra, come le incisioni rupestri degli antichi Camuni, patrimonio mondiale dell’Unesco. E poi c’è il Santuario dell’Annunciata, che sembra quasi sospeso in un punto panoramico da sogno. L’obiettivo di tutto questo? Farvi vivere davvero il territorio, entrare in contatto con la sua anima, fatta di storia scritta sulle pietre e di una natura che lascia senza fiato.
Ma attenzione, perché le sorprese non si fermano alle gare. Giovedì 24 e venerdì 25 ottobre sono in programma anche tanti eventi di contorno, per chi vuole immergersi nello spirito della valle e scoprire di più su cultura e tradizioni locali. L’organizzazione ha pensato a tutto, e per chi vuole pianificare il proprio weekend nei dettagli, il sito ufficiale dell’evento – valledeisegniwinetrail.it – offre tutte le informazioni necessarie.
Quindi, se avete voglia di una fuga d’autunno che mescola sport, storia e vino (che non guasta mai), la Valle dei Segni Wine Trail è decisamente l’evento da segnare in calendario. Non importa che siate degli atleti in cerca di adrenalina, dei semplici amatori, o dei curiosi pronti a vivere un’esperienza diversa: la Valcamonica vi aspetta, con il suo fascino unico e le sue storie scolpite nella roccia.
Attualità
Trieste, 70 anni di ritorno all’Italia: la città che unisce passato, presente e...

Questa mattina Trieste si è svegliata con il cuore rivolto al passato e lo sguardo proiettato verso il futuro. Siamo qui per celebrare il 70° anniversario del ritorno di Trieste all’Italia, un momento storico che ancora oggi si sente nelle strade, tra i vicoli di questa città che sa essere culla e ponte tra culture. Era il 26 ottobre del 1954 quando entrò in vigore il famoso Memorandum di Londra, con cui Trieste tornava ufficialmente sotto la bandiera italiana, segnando la fine di un’epoca travagliata e il recupero di un’identità tanto attesa.
Oggi, in Piazza dell’Unità d’Italia, si è svolta la cerimonia ufficiale con la presenza di figure di spicco: Ignazio La Russa, presidente del Senato, e Luca Ciriani, ministro per i Rapporti con il Parlamento, tra gli altri. E non potevano mancare le Frecce Tricolori, con la loro esibizione che ha fatto vibrare i cuori dei presenti, portando nel cielo di Trieste i colori di una nazione che sente profondamente l’importanza di questa giornata.
Ma cosa rappresenta oggi Trieste per l’Italia? A rispondere è stato il presidente del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, che con un messaggio per la vigilia della ricorrenza, da oltreoceano dove si trova in missione negli Stati Uniti, ha parlato con toni molto chiari: «Di strada ne è stata fatta moltissima—ha detto—e Trieste oggi è tornata non solo a far parte dell’Italia, ma ne è anche uno degli elementi di spicco». Ha voluto sottolineare quanto la città giuliana non solo guardi al futuro con ambizione, ma lo faccia apportando un valore aggiunto straordinario, fatto di cultura, dialogo e apertura al mondo. Trieste, secondo Fedriga, «ha radici profondamente italiane, ma sa anche dialogare con chiunque, creando connessioni e valorizzando il proprio ruolo internazionale».
E qui, forse, sta il vero cuore di questa celebrazione. Non è solo una giornata per ricordare un evento storico, ma è soprattutto un momento per riflettere su cosa significhi, oggi, essere triestini. Una città che per decenni è stata simbolo di divisione e ora si presenta come luogo di incontro, una porta sull’Europa e un ponte verso il Mediterraneo. È questo lo spirito che si vuole celebrare: non la semplice riconquista di un territorio, ma l’affermazione di una città viva, che sa progettare il proprio futuro.
E non manca la componente più umana, quella che forse è meno raccontata nei libri di storia, ma che vive nei ricordi delle persone che quelle strade le hanno percorse. Il senatore Roberto Menia, componente del Comitato 10 Febbraio, ha voluto parlare del significato personale di questo anniversario: «Sono un figlio del XXI secolo, ma Trieste ha segnato il completamento del nostro Risorgimento nazionale—ha detto—e ha vissuto in prima linea tragedie come le foibe, l’esodo e la contesa tra mondo libero e comunismo». Non parole facili da sentire, ma necessarie, perché Trieste è anche questo: una città che ha conosciuto il dolore, ma che non ha mai smesso di guardare avanti.
Oggi Trieste si racconta come una piattaforma logistica al centro dell’Europa, una città orgogliosa della sua storia, della sua lingua, della sua cultura, e soprattutto del suo ruolo da protagonista in Italia. Non è solo la destra a voler ricordare questa storia—come ha aggiunto Menia, la destra ha avuto il merito di preservare il ricordo delle tragedie delle foibe e dell’esodo, istituendo il 10 febbraio come Giorno del Ricordo—ma è un’intera comunità a tenere viva la memoria.
Oggi abbiamo celebrato non solo un anniversario, ma un’identità che vive e dialoga con il mondo. E Trieste, ancora una volta, ci mostra come la storia possa essere un trampolino per il futuro, senza dimenticare le radici che ci tengono saldi alla terra che ci ha cresciuto.
Attualità
Meteo: Anticiclone in arrivo, ecco cosa ci aspetta fino al Ponte di Ognissanti

La prossima settimana si prospetta come un viaggio piuttosto movimentato, almeno in termini atmosferici. Cominciamo con una buona notizia: l’anticiclone sta per rafforzarsi, e con lui ci porterà un po’ di pace climatica, dopo un weekend che promette di essere abbastanza turbolento, specie al Nordovest e in Sardegna. Non aspettatevi però che tutto cambi in un batter d’occhio. La situazione andrà migliorando piano piano, con qualche colpo di scena residuo.

Lunedì 28 sarà una giornata di transizione. Ci troveremo ancora a dover fare i conti con un po’ di piogge qua e là, soprattutto su Levante Ligure, Toscana, Emilia Romagna e Sardegna. Niente di troppo serio, ma meglio portarsi un ombrello, non si sa mai. Il resto del Paese vedrà cieli più sereni, anche se la classica foschia mattutina o qualche banco di nebbia sulle coste adriatiche potrebbe rovinare un po’ la vista.
Da martedì 29, invece, sembra che l’anticiclone decida di mettere radici serie sulla nostra Penisola, garantendoci finalmente giornate più stabili e soleggiate. Però, non possiamo far finta di niente: Val Padana e coste adriatiche centro-settentrionali continueranno a vedersela con nebbie dense e nubi basse nelle ore più fredde. Una compagnia non troppo gradevole, ma che dovrebbe poi lasciare spazio al sole nelle ore centrali della giornata.
Le temperature? Beh, direi che ci attende un clima tutto sommato mite. Almeno fino all’inizio del Ponte di Ognissanti, non dovremmo assistere a grandi variazioni termiche, mantenendoci su valori gradevoli, più primaverili che autunnali. Sembra quasi di poter dimenticare che siamo a fine ottobre, con quelle giornate limpide che ci ricordano più l’inizio della bella stagione che l’avvicinarsi dell’inverno.
Però, attenti al colpo di scena nel weekend! Proprio in quei giorni, qualcosa potrebbe iniziare a cambiare. Dalle alte latitudini europee, infatti, pare che correnti di aria fredda di origine artica potrebbero dirigersi verso l’Europa centrale, portando con sé un calo delle temperature piuttosto evidente. Non è escluso che, a cavallo tra fine settimana e inizio del Ponte, anche le nostre regioni settentrionali possano avvertire un primo brivido d’inverno, con un aumento dell’instabilità e temperature in discesa. Ma è ancora presto per dirlo con certezza: la distanza temporale lascia margine a eventuali sorprese, quindi meglio rimanere sintonizzati per i prossimi aggiornamenti.
Insomma, per ora possiamo tirare un sospiro di sollievo, godendoci qualche giornata serena in arrivo, ma occhio al fine settimana, potrebbe portare con sé un cambio di scena degno di un film. Vi terremo informati, non mancate i prossimi aggiornamenti!
Attualità
SuperEnalotto 25 ottobre: il jackpot sale a 23 milioni, tutti i dettagli...

Venerdì 25 ottobre 2024 niente ‘6’ e niente ‘5+1’ al SuperEnalotto. Insomma, il jackpot è salvo ancora una volta e continua a crescere. Ma non tutto è andato perduto: sono stati centrati due bei ‘5’, che hanno portato a casa 62.871,34 euro ciascuno. Una cifra mica da ridere, no? Insomma, qualcuno stasera festeggia, anche se magari senza il gran botto del ‘6’. Il prossimo jackpot sarà da ben 23 milioni di euro. Un bel sogno, che continua ad attirare giocatori e speranze.
La combinazione vincente del 25/10/2024
5, 11, 39, 41, 62, 80
Numero Jolly: 78
SuperStar: 33
Per chi magari è nuovo o si sta chiedendo come funziona questa storia del SuperEnalotto, diamo un’occhiata rapida ai costi. La giocata minima è una singola colonna, e costa 1 euro. La colonna prevede la scelta di 6 numeri, e se ci volete aggiungere quel pizzico di magia in più con l’opzione SuperStar, vi costerà altri 0,50 centesimi. Insomma, la giocata base con SuperStar viene a fare 1,50 euro. E, ovviamente, più colonne si giocano, più sale la spesa. Potete anche partecipare con i sistemi a caratura: si punta tutti insieme, si condividono le quote e, se si vince, ognuno ha la sua parte.
E come si vince? Beh, al SuperEnalotto si vince già con 2 numeri, anche se ovviamente i premi veri iniziano dai 4 in su. Con 2 numeri azzeccati si parla di una cifra orientativa di 5 euro. Con 3 numeri, si sale a 25 euro. Con 4 numeri si possono prendere circa 300 euro. Azzeccando 5 numeri si arriva a 32mila euro, mentre con il 5+1 si può salire addirittura a 620mila euro. E poi, certo, c’è il sogno del ‘6’, quello che fa girare la testa a tutti.
Per chi vuole controllare se è stato tra i fortunati, basta scaricare l’ App del SuperEnalotto , o magari dare un’occhiata all’archivio online, dove si trovano le ultime 30 estrazioni. Sempre utile, per chi magari si è perso qualche verifica.
In bocca al lupo per la prossima estrazione! Chi lo sa, magari la prossima volta toccherà proprio a voi.
Attualità
Dennis Scuderi, il primo Mister Curvy italiano: “Il bullismo mi ha reso più forte, oggi...

Dennis Scuderi, il primo Mister Curvy italiano, si racconta: “Il bullismo? Mi ha reso più forte!” In una recente intervista rilasciata a Occhio All’Artista Magazine, Dennis Scuderi, noto come il primo Mister Curvy italiano, ha condiviso la sua storia personale, il riscatto nel mondo dello spettacolo e i suoi progetti futuri. Scuderi ha affrontato il tema del bullismo, ricordando come questo fenomeno abbia segnato la sua vita, ma anche rafforzato il suo carattere.
“Il bullismo ha fatto parte della mia vita, ma non mi sono mai lasciato abbattere. Ho sempre reagito con educazione e intelligenza, e oggi sono orgoglioso di chi sono diventato”, ha dichiarato. Dennis ha anche parlato del suo percorso nel mondo della moda curvy, sottolineando come abbia imparato ad amare e valorizzare il suo corpo, lontano da stereotipi di perfezione. “Non sono perfetto agli occhi degli altri, ma per me lo sono. Le curve sono belle e vanno valorizzate”, ha detto, distanziandosi però da certi atteggiamenti di alcuni influencer curvy.
Sul fronte professionale, Scuderi ha recentemente ottenuto un diploma in lingua inglese e sta studiando recitazione. Tra i suoi sogni c’è la partecipazione a un cinepanettone o l’interpretazione di un cattivo in una serie TV. Ha inoltre in corso provini per reality show, con la speranza di partecipare all’Isola dei Famosi. Scuderi ha concluso l’intervista con un consiglio ai giovani che desiderano entrare nel mondo dello spettacolo: “Non arrendetevi mai ai primi ‘no’, e continuate a credere in voi stessi”.
Attualità
Senior più digitali: Il progetto ‘Digitalmente Attivi’ per colmare il divario...

Allora, l’idea di fondo è questa: rendere gli over 65 più svegli con la tecnologia, capaci di usarla e difendersi quando serve. Questo è proprio lo spirito di Digitalmente Attivi. Fondazione Longevitas, insieme a Fondazione Lottomatica, ha deciso di mettersi in gioco per aiutare le persone anziane a capire come funzionano queste nuove tecnologie – tablet, smartphone e tutto il resto – così da poter sfruttare al meglio internet, sia per restare in contatto con gli altri che per accedere a vari servizi, senza farsi fregare dalle truffe.
Dai, diciamolo chiaro e tondo, quante volte la tecnologia ci fa impazzire? Se sei nato prima che il digitale esplodesse ovunque, anche solo prenotare una visita medica dal cellulare ti può sembrare una missione impossibile. Ed è proprio qui che arriva Digitalmente Attivi. Eleonora Selvi, presidente della Fondazione Longevitas, la vede così: “Ormai tutto si fa online, dal contatto con il medico a quello con la pubblica amministrazione e diventa davvero importante aiutare gli anziani a colmare questo divario”.
Insomma, l’idea è semplice: Fondazione Longevitas e Fondazione Lottomatica vogliono dare una mano ai nostri nonni per non restare indietro, per non sentirsi esclusi. Come dice anche Riccardo Capecchi, presidente della Fondazione Lottomatica: “Per noi è importante restituire qualcosa alla comunità, con i nostri progetti e le nostre competenze. Bisogna dare alle persone la possibilità di imparare”.
E quindi, cosa succede in pratica? Il progetto parte da cinque regioni italiane – Lazio, Umbria, Marche, Abruzzo e Toscana. Ci saranno degli incontri di formazione che dureranno quattro ore, con due ore dedicate a laboratori interattivi. Non parliamo di lezioni dove si ascolta e basta, ma di momenti in cui ogni partecipante può prendere un tablet o uno smartphone e provarci sul serio, fare errori e imparare, in sicurezza e senza paura di sbagliare.
Alla fine, il punto è proprio questo: fare in modo che il digitale non sia un muro da scalare, ma una porta per restare collegati con il mondo. Anche gli over 65 meritano di godersi tutte le opportunità della tecnologia, di sentirsi più autonomi e soprattutto più sicuri. Con Digitalmente Attivi, il futuro è lì, a portata di mano, senza che l’età diventi un limite.
Attualità
Valeria Marini sarà la madrina di Showdog presso megastore degli animali Zoomiguana

Una festa di ‘razza’ attende chi abita a Marcianise, in provincia di Caserta, e dintorni. Domenica 13 ottobre, nei megastore degli animali Zoomiguana, è infatti previsto – a parte dalle 15.00 – Showdog, l’evento in collaborazione con Ermanno Alviggi che premia la bellezza dei cani, fedeli e inserapibili. Si tratta di una vera e propria gara di bellezza, destinata a cani di razza con o senza pedigree, dove non mancheranno anche i cani eroi, che si sono contraddistinti per le loro gesta, e Fancy Show.
Una serata, aperta a tutti quelli che volessero passare qualche ora in spensieratezza e in allegria, che beneficerà della presenza di Valeria Marini, scelta come madrina ufficiale dell’evento per l’amore che, nel corso degli anni, ha mostrato per i nostri amici a quattro zampe. Un concorso, lo Showdog, arrivato all’undicesima edizione, che ormai è diventato un punto fisso di ritrovo per tutti gli amanti dei cani, che continua a brillare e ad acquistare prestigio.
Attualità
Innovazione e bellezza a “Il Salotto delle Celebrità” durante la Mostra del...

In un mondo dove l’estetica e il benessere si intrecciano sempre più con l’innovazione, Raffaele Ruberto, in arte The Beauty Biologist, emerge come una realtà pionieristica, pronta a rivoluzionare il settore con un approccio scientifico e collaborazioni di spicco. In occasione dell’esclusivo evento della Mostra del Cinema di Venezia, abbiamo l’opportunità di approfondire la visione, i progetti futuri e le motivazioni che animano questa impresa attraverso un’intervista che svela non solo le strategie imprenditoriali di Raffaele, ma anche il suo personale legame con il cinema e l’importanza di eventi di tale calibro per la diffusione dell’innovazione e della bellezza.
“Benvenuto! Potresti descrivere brevemente la mission e il fattore distintivo della tua impresa rispetto agli altri nel settore?”
Come fondatore e formulatore dell’azienda Laboratorium Vita Nobilis qui in Italia, volevo portare in questo Paese i miei 25 anni di esperienza come beauty brand builder e ricercatore scientifico nel settore della bellezza: l’obiettivo è quello di creare una fusione con il settore italiano della produzione di cosmetici, che è il più grande ed uno dei più importanti al mondo. La mia azienda non si limita a produrre prodotti per la cura della pelle o make-up, costruiamo invece il marchio da zero e seguiamo i nostri clienti attraverso un processo di 5 fasi, che porta il loro marchio direttamente sugli scaffali dei negozi. Questo è un vero approccio a 360 gradi, che non si trova da nessun’altra parte. La maggior parte delle persone avvia un marchio di bellezza e non ne sa abbastanza delle vendite, degli aspetti commerciali, della logistica e di tutti gli altri dettagli che vanno dal marketing, ai social, al branding. Noi gestiamo tutto per te.
“Quali progetti o sogni futuri stai esplorando? Ci sono novità emozionanti che vorresti anticipare?”
Naturalmente abbiamo i nostri marchi, oltre a creare marchi per altri. Siamo entusiasti di portare la prossima evoluzione nei nostri marchi, con il lancio del marchio The Beauty Biologist il prossimo anno, nel 2025. Questo è molto entusiasmante, poichéstiamo offrendo design di fascia alta e formulazioni innovative, ma a costi raggiungibili. Questa è la prossima generazione di inclusione: bellezza di lusso di fascia alta, accessibile a tutte le persone. Anche la sostenibilità è per me una missione fondamentale.
“Partecipare a questo evento esclusivo è una scelta significativa. Quali sono le tue motivazioni e aspettative?”
Adoro incontrare nuove persone e condividere la visione della mia azienda con il mondo. Il Festival del Cinema di Venezia è un evento iconico, conosciuto in tutto il mondo: è un onore far parte del tessuto di questa città senza tempo.
“In occasione della Mostra del Cinema di Venezia, ci interesserebbe conoscere il tuo legame personale con il cinema. Quali film, registi o attori ti hanno influenzato maggiormente?”
Da dove comincio? Il Festival del Cinema di Venezia è una finestra sulle più grandi menti creative del mondo del cinema. Il cinema è stato il mezzo più importante per trasmettere i trend e i vari look nel mondo della bellezza. Sono soprattutto entusiasta di vedere l’evoluzione della bellezza catturata dai film makers nel festival di quest’anno e di confrontare i look con quelle viste nei film più classici.
Attualità
La bellezza e la cura della persona con Germana Quasi durante la Mostra del Cinema di...

Oggi conosceremo meglio Germana Quasi, fondatrice di ben due centri estetici ed imprenditrice della bellezza con la sua nuova linea di cosmetici Luxury presentata a Venezia per le celebrità ospiti al format “Il Salotto delle Celebrità”.
La sua partecipazione a questo evento ha lasciato il segno come sponsor ufficiale per la skincare ed in ambito di consulenza beauty per i volti più noti del mondo dello spettacolo nazionale ed internazionale.
Il suo progetto ha lasciato il segno a Venezia, dando modo a Germana di far conoscere non solo la sua professionalità e quella del suo team, ma anche di mettere tutta la sua passione per la cosmetica al servizio di ogni partecipante all’evento. Conosciamola meglio!
“Benvenuta! Potresti descrivere brevemente la mission e il fattore distintivo della tua impresa rispetto agli altri nel settore?”
Grazie a voi. La mia missione è sempre stata quella di offrire benessere e valorizzare la bellezza unica di ogni donna. Fin dall’inizio, ho cercato di elevare la mia professione a un livello superiore rispetto alla media. Il nostro obiettivo è andare oltre i trattamenti estetici standard, creando percorsi su misura che uniscano innovazione, qualità e attenzione ai dettagli. Il fattore distintivo della mia impresa rispetto agli altri nel settore è la nostra dedizione a elevare l’estetica a una forma d’arte. Non ci limitiamo a seguire le tendenze, bensì le anticipiamo, combinando tecniche all’avanguardia con un approccio che mette al centro la persona e il suo benessere. Questo ci permette di offrire un livello di servizio che va oltre la media, facendo sentire ogni cliente speciale e unico.
“Quali progetti o sogni futuri stai esplorando? Ci sono novità emozionanti che vorresti anticipare?”
Dopo l’apertura del secondo centro estetico, non nascondo di aver subito pensato al terzo! Il mio desiderio è offrire al mio paese il massimo del lusso e del comfort disponibile sul mercato. Chi può dirlo? Non sono certo una persona che si accontenta della propria zona di comfort, ho in mente molti progetti futuri! Uno dei miei sogni era partecipare al Festival del Cinema di Venezia, e ora che l’ho realizzato, posso assicurarvi che non mi fermerò qui!
Sono entusiasta di condividere che sto lavorando a diversi progetti futuri che mi stanno molto a cuore. Uno dei più importanti è il lancio imminente del mio e-commerce online, dove offrirò una selezione di prodotti esclusivi ispirati alla bellezza e all’eleganza di Venezia. Questo progetto rappresenta per me un passo importante per portare la mia visione estetica a un pubblico più ampio.
“Partecipare a questo evento esclusivo è una scelta significativa. Quali sono le tue motivazioni e aspettative?”
Aver partecipato al Festival del Cinema di Venezia è stata per meuna straordinaria occasione di crescita personale e professionale. Essere parte di un evento così prestigioso significa entrare in contatto con un ambiente ricco di creatività, innovazione e bellezza, che sono valori fondamentali anche nel mio lavoro. Da un lato, il desiderio di ispirarmi alle eccellenze del mondo del cinema e dell’arte, dall’altro, l’opportunità di portare visibilità ai miei progetti e al mio brand.
Le mie aspettative sono di creare nuove connessioni, scoprire tendenze emergenti e, naturalmente, di lasciarmi ispirare per continuare a offrire il meglio alle mie clienti.
Questo evento è stato per me una fonte inesauribile di idee e stimoli che spero di tradurre in nuovi successi e progetti futuri.
“In occasione della Mostra del Cinema di Venezia, ci interesserebbe conoscere il tuo legame personale con il cinema. Quali film, registi o attori ti hanno influenzato maggiormente?”
Mi è sempre piaciuto guardare film in generale, mi piace farmi coinvolgere e immedesimarmi nei personaggi.
Sicuramente prediligo i film che trattano la bellezza, la moda, lo stile perché senza dubbio è ciò che mi entusiasma di più, ciò che mi fa sognare ad occhi aperti.
Attualità
Diabasi, la scuola di massaggio più longeva d’Italia sbarca alla Mostra del Cinema...

In questa esclusiva intervista, abbiamo il piacere di conversare con la Dott.sa Roberta Ludovico, responsabile degli eventi e della didattica Diabasi. Scopriremo la mission e l’unicità di questa impresa, i suoi progetti futuri e ci parlerà delle sue aspettative per un evento esclusivo, oltre al suo personale legame con il cinema italiano. Un viaggio affascinante nel cuore della scuola professionale di massaggio Diabasi e delle sue ambizioni.
Domanda 1 – Potresti descrivere brevemente la Scuola Professionale di Massaggio Diabasi e spiegare cosa la contraddistingue rispetto alle altre scuole di massaggio?
La scuola professionale di massaggio Diabasi è presente in Italia dal 1999 e, con i suoi 25 anni di attività, è la scuola che vanta il maggior numero di anni di esperienza nel settore e che ha come missioneformare, inserire e orientare gli allievi nel mondo del Lavoro da Massaggiatore. Ogni anno formiamo 10.000 allievi, grazie alle 60 sedi didattiche dislocate su tutto il territorio nazionale e gli oltre 90 docenti, proponendo tecniche di massaggio dagli elevati standard di qualità (convideo di ogni singola manovra e manuali tecnici molto completi). La formazione avviene sia in presenza che in live streaming, utilizzando in quest’ultimo caso una tecnologia innovativa che dispone di tretelecamere e l’allievo è in grado velocemente di acquisire il know-how per poter lavorare da subito in sicurezza. Tutte le tecniche vengono valutate periodicamente da un comitato tecnico scientifico, composto da medici, fisioterapisti ed esperti del settore che osservano, verificano, vagliano e testano tutti i protocolli di massaggio, rendendoli sicuri ed efficaci. Oltre alla formazione, Diabasi consente ai propri allievi di svolgere dei laboratori pratici nell’ambito di eventi sia sportivi che di vario genere e livello, in modo da poter acquisire maggiori esperienze e sicurezze in quello che un domani sarà lo svolgimento della professione in termini lavorativi. Diabasi fornisce inoltre una serie di servizi di consulenza (fiscale, legale, assicurativa e giuridica) e assistenza a vari livelli che facilitano l’ingresso dell’allievo nel mondo del lavoro. Diabasi ha accordi con oltre 70 strutture alberghiere di alto livello, dove coordina l’attività di gestione dell’area massaggi, grazie a uno staff di allievi selezionato per ogni stagione.
Domanda 2 – In quali prossimi progetti ed eventi futuri sarete impegnati? Ci sono novità emozionanti che vorresti anticipare?
I prossimi mesi saranno ricchissimi di grandi eventi sportivi e non, che ci vedranno impegnati in giro per l’Italia. Solo per citarne alcuni, saremo all’Ironman Italy a Cervia in Emilia-Romagna il 21 settembre e alla Venicemarathon a Venezia il 27 ottobre. Con orgoglio annuncio chela nostra scuola è stata scelta per organizzare il 1° Campionato Italiano di Massaggio, una competizione promossa dalla Federazione Internazionale del Massaggio (WMF), in programma a Roma il 28-29 settembre. Inoltre, ogni anno Diabasi organizza un campus formativo a livello nazionale che raduna professionisti e allievi da ogni parte d’Italia. Il Campus si svolge a giugno e quest’anno, giunto alla sua settima edizione, lo abbiamo tenuto a San Benedetto del Tronto in provincia di Ascoli Piceno nelle Marche e abbiamo avuto oltre 150partecipanti e leggende olimpioniche del calibro di Antonio Rossi e Valerio Mastrangelo tra l’annovero dei relatori che hanno preso parte alle diverse tavole rotonde e convegni organizzati durante il Campus Diabasi. Nel 2025 miriamo ad un Campus ancor più ambizioso, con l’obiettivo di renderlo ancora più grande ed importante, non solo come numero di presenze, di relatori e docenti di elevato spessore formativo, ma anche per lo sviluppo di contenuti didattici ed approfondimenti di alto livello che possano dare al Partecipante maggiore professionalità e specializzazione.
Domanda 3 – Partecipare a questo evento esclusivo è una scelta significativa. Quali sono le motivazioni e le aspettative di Diabasi?
Ogni anno Diabasi partecipa ad eventi esclusivi, legati al mondo dello spettacolo e della moda come il Festival di Sanremo, la Milano Fashion Week e il Festival del Cinema. Eventi che rappresentano per Diabasi un’importante vetrina promozionale e per gli allievi un grande stimolo e un’opportunità di crescita professionale. È sempre bello sentirsi parte di un grande evento, viverlo dall’interno e respirarne l’atmosfera e non vediamo l’ora di poter donare relax e benessere alle numerose star che passeranno dal Salotto delle Celebrità.
Domanda 4 – In occasione della Mostra del Cinema di Venezia, ci interesserebbe conoscere il tuo legame personale con il cinema. Quali film, registi o attori ti hanno influenzato maggiormente?
Sono una grande appassionata di film in generale e mi piace molto andare al cinema. Prediligo i film di fantascienza e quelli di animazione perché ho studiato grafica informatica e mi diverte vederne l’applicazione nei fantasy e nei cartoni animati. Il mio attore preferito è Antony Hopkins.
Attualità
Riscatto e immersioni: Giovani della giustizia minorile puliscono i fondali di Napoli

Napoli – Mare Nostrum – I ragazzi dell’Area Penale in immersione per la tutela dell’ambiente
L’iniziativa di Archeoclub D’Italia con la Marina Militare. Madrina Claudia Conte.
Mercoledì 25 settembre i meravigliosi fondali delGolfo di Napoli, in prossimità di Castel dell’Ovo, ospiteranno i ragazzi dell’Area Penale di Napoli per una mattinata all’insegna dell’amore per il mare e per l’ambiente, dell’inclusione e del riscatto sociale.
Il progetto Bust Busters Mare Nostrum, che vede in rete il Centro di Giustizia Minorile della Campania, l’Associazione Archeoclub D’Italia e la Marina Militare, permette ai ragazzi del Centro di Giustizia Minorile di acquisire competenze nella pratica subacquea per essere poi avviati nel mondo del lavoro. I ragazzi si immergono nei fondali per svolgere attività a tutela dell’ambiente, come la raccolta dei rifiuti e la pulizia dei fondali.
Ad accompagnarli una madrina d’eccezione: Claudia Conte, che commenta l’iniziativa: “Sono entusiasta di essere in Campania, regione che amo, per questa straordinaria iniziativa, modello di inclusione, rieducazione e cittadinanza attiva che vede diversi stakeholder fare sistema per dare un futuro diverso ai giovanissimi dell’Area Penale di Napoli. Grazie ai palombari della Marina Militare – ha dichiarato la giornalista e scrittrice sempre in prima linea per l’inclusione e la solidarietà – e ai volontari di Archeoclub D’Italia, i ragazzi possono conoscere il patrimonio ambientale e culturale dei fondali marini, le tecniche di immersione, ma anche sentirsi utili alla società e alla comunità raccogliendo rifiuti e pulendo i fondali. Sentirsi parte di un grande equipaggio”.
Questa esperienza educativa, unica del suo genere, offre un percorso di crescita ed reinserimento nella società civile di ragazzi dal passato difficile, che hanno sbagliato, ma che dimostrano desiderio di cambiamento e di riscatto. Ai ragazzi si propone un modello di vita caratterizzato dai principi insiti nelle attività marinare, quali la legalità, l’onestà e il rispetto reciproco.
Le immersioni avverranno dalla motovela della legalità MareNostrum Dike, un tempo tristemente nota come Oceanis 465 con la quale gli scafisti trafficavano persone, bambini, donne, dalla Turchia alla Sicilia.
La Oceanis 465 fu sequestrata dalla Guardia di Finanza, poi confiscata e recentemente affidata ad Archeoclub D’Italia, a supporto di iniziative sociali e culturali.
Durante la mattinata, i ragazzi per la prima volta supporteranno anche un’attività che darà loro la possibilità di comprendere l’importanza della risorsa geologica, anche nella tutela dei prodotti di eccellenza del Made in Italy e nella ricerca scientifica. Il Limoncello dell’Antica Distilleria Petrone – verrà posto in affinamento per un anno nei fondali di Castel dell’Ovo.
“I ragazzi dell’Area Penale di Napoli che attraverso il progetto Bust Busters hanno seguito corsi di immersione subacquea alla scoperta del patrimonio geologico, ambientale e storico dei fondali, saranno parte di una giornata memorabile, in grado di unire il sociale alla ricerca scientifica.” – commenta il Presidente di Archeoclub D’Italia Rosario Santanastasio che prosegue: “È una nuova strada anche per loro!”
Attualità
HyperSport Responder: l’ambulanza da 395 km/h che rivoluziona il soccorso a Dubai

Quando ci viene in mente un mezzo di soccorso, ci immaginiamo il solito veicolo pratico, progettato per arrivare il più velocemente possibile dove c’è un’emergenza. Ma, come spesso accade, a Dubai le cose funzionano in modo un po’ diverso. Qui anche un mezzo sanitario può diventare un vero e proprio bolide di lusso. La HyperSport Responder, con una velocità massima di 395 km/h, non è solo un mezzo di soccorso ma detiene il record mondiale come l’ambulanza più veloce (e costosa) mai costruita: roba da Guinness, insomma.
Una supercar che diventa ambulanza
Dimentica quello che sai sulle ambulanze. Questa è basata sulla Lykan HyperSport, una supercar di cui esistono solo sette esemplari al mondo. Il prezzo? Oltre 3 milioni di euro per ciascuna. Già qui la cosa fa riflettere. Ma non è solo questione di soldi: c’è lusso dappertutto. Dai fari tempestati di diamanti agli interni placcati in oro. Sì, hai letto bene. Oro.
E sotto il cofano? Ovviamente non poteva mancare un motore degno di una vettura sportiva: parliamo di un Porsche twin-turbo da 780 cavalli. Questo bestione è capace di far schizzare il veicolo da 0 a 100 km/h in meno di tre secondi. Sì, hai capito bene! È roba che ti lascia a bocca aperta, soprattutto se pensi che stiamo parlando di un servizio di emergenza e non di una macchina da pista. Surreale, vero?
Nonostante tutta questa potenza, la Lykan HyperSport non si dimentica di essere lussuosa. I fari decorati con 440 diamanti e gli interni placcati in oro la rendono unica nel suo genere. Se fosse solo una macchina di lusso, già sarebbe assurda, figuriamoci come ambulanza!
Un’ambulanza contro il tempo
Ma torniamo alla domanda principale: tutta questa velocità serve davvero in situazioni di emergenza? Secondo Khalifa bin Darrai, CEO della Dubai Corporation for Ambulance Services (DCAS), l’obiettivo è ridurre i tempi di risposta. In una città come Dubai, con traffico caotico e strade affollate, arrivare in fretta è essenziale. Potrebbe essere la differenza tra salvare o meno una vita.
La HyperSport Responder non è solo un “giocattolo” di lusso. È stata pensata per situazioni molto specifiche, come il trasporto rapido di organi vitali o per soccorrere in aree dove il traffico è davvero bloccato. Certo, però, non tutti sono convinti che una velocità del genere basti da sola. Oltre alla velocità, c’è bisogno di spazio e comfort, e questo tipo di supercar non è esattamente famosa per la sua capienza interna.
Un gioiello tecnologico
Oltre alla velocità, questo mezzo è un vero e proprio concentrato di tecnologia. Il motore potente è solo l’inizio. La HyperSport Responder è equipaggiata con un display olografico 3D, un sistema di navigazione satellitare ultra moderno e una connessione internet continua per restare sempre in contatto con gli ospedali. Insomma, è un mix tra un bolide da corsa e una sala operativa volante.
Ma, nonostante tutte queste caratteristiche futuristiche, c’è chi si chiede quanto sia davvero utile in situazioni più complesse. Alcuni pensano che, più che un’ambulanza, sia una mossa per promuovere l’immagine di Dubai come città ultramoderna. E, guardando il design, viene proprio il sospetto che un po’ di marketing ci sia dietro.
Un’ambulanza da record in una città da record
Non sorprende che questa innovazione sia stata introdotta proprio a nella città degli Emirati, la città dove lusso e innovazione vanno a braccetto. Negli Emirati Arabi, supercar come questa non sono una novità, nemmeno per le forze dell’ordine. La polizia ha un parco auto che comprende Ferrari, Lamborghini e persino Bugatti. Aggiungerne una come ambulanza sembra perfettamente in linea con il loro stile di vita esagerato.
Ma fuori da Dubai? Forse sarebbe meno utile. In molte città, infatti, la cosa più importante per un’ambulanza non è tanto la velocità, quanto la capacità di muoversi agilmente tra le strade strette o bloccate. In questo senso, la HyperSport Responder sembra più una vetrina di lusso che un vero strumento pratico.
C’è chi, però, pensa che veicoli così avanzati possano davvero migliorare i servizi di emergenza, soprattutto in grandi città congestionate. Forse un giorno vedremo ambulanze come la HyperSport Responder girare per le strade di tutto il mondo. Chi lo sa.
Un’ambulanza che racconta una città
A pensarci bene, la HyperSport Responder racconta sicuramente molto di Dubai. È una città che non si accontenta mai dell’ordinario e cerca sempre di superare qualsiasi limite, ebbene sì, anche quando si parla di sanità. Questo veicolo è la perfetta incarnazione di lusso e innovazione che definisce Dubai, dove anche le cose più inaspettate diventano occasione per stupire.
Quest’ambulanza rivoluzionaria sarà davvero la svolta nel mondo dei soccorsi? Questo solo il tempo ce lo dirà. Per ora continuerà a far parlare di sé, come un simbolo di una città che non smette mai di sorprendere.
Attualità
“Non compleanno” da record: boom di presenze e donazioni, superate le...

Una terza edizione da record assoluto per presenze e donazioni raccolte, quella del “Non compleanno”, l’evento di solidarietà promosso e organizzato da Lorenzo Crea, Luca Iannuzzi, Eduardo Angeloni e Nicola Diomaiuta, svoltosi sabato 7 settembre al Nabilah di Bacoli. Sold out di pubblico e più di 20 mila euro raccolti nella sola serata dell’evento ai desk della Fondazione Melanoma Onlus presieduta dal professore Paolo Ascierto, presente al charity party, e alla quale sarà interamente devoluto l’incasso dell’iniziativa per la ricerca contro il cancro. Ai fondi raccolti sabato 7 si aggiungeranno poi le somme dei bonifici on line già arrivati nelle scorse settimane direttamente alla Fondazione Melanoma da quando è stato annunciato l’evento. Tutto lascia pensare che saranno superati gli incassi delle due edizioni precedenti.

Il Non Compleanno è un progetto solidale nato dalla volontà di Crea, Iannuzzi e Angeloni per sostenere la battaglia contro il cancro e il lavoro della equipe di Ascierto.
Oltre 1000 persone hanno partecipato alla I edizione, numero cresciuto di volta in volta consentendo a questo evento di raccogliere decine di migliaia di euro per una giusta causa.
La serata, introdotta da Dino Piacenti di We can dance, format tv fra i media partner dell’evento insieme a J’Adore Napoli e GtChannel, è stata impreziosita dal live show musicale di Erminio Sinni e dai dj set di Jessica Ferrara, Joe C e Dj Cerchietto. Il gruppo di lavoro che ha organizzato l’evento è stato formato dai promotori dell’iniziativa Lorenzo Crea, Luca Iannuzzi, Eduardo Angeloni e Nicola Diomaiuta, e da Luigi Graziano Di Matteo, Simona Cisale, Maria Carla Palermo, Francesco Pollio, Armida Iodice, Brunella De Luca, Enzo Agliardi e Simona Bosso. Tutti, compresi gli staff del Nabilah, di T&D Angeloni e Narciso, hanno lavorato a supporto dell’evento in maniera totalmente gratuita.



Fra i presenti alla serata, nella moltitudine di persone che ha riempito in ogni angolo la suggestiva location del Nabilah e che anche stavolta non ha mancato di sostenere con entusiasmo e convinzione la nobile causa del Non compleanno e della Fondazione Melanoma onlus del Prof. Ascierto, c’erano l’ingegnere Ciro Verdoliva, direttore generale della Asl Napoli 1; Antonio Caiazzo, capo staff del Sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, gli attori Biagio Manna, Ciro Villano e Gino Rivieccio; le attrici Mariasole Di Maio, Mariacarla Casillo, Angela Bertamino e Ludovica Nasti; il vicepresidente nazionale di Confesercenti Vincenzo Schiavo; gli editori televisivi Tony Florio e Genny Coppola, il magistrato Concetta Menale; l’avvocato Cetty Saetta, il prof. Antonio Salvatore, gli imprenditori e manager Francesco Russo, Alessandro Totaro, Aniello Di Vuolo, Gaetano Agliata, Nancy d’Anna e Davide Angeloni, i produttori cinematografici Silvana Leonardo e Andrea Leone e tanti altri protagonisti del mondo dell’imprenditoria e delle professioni, della moda, cultura e spettacolo.
Numerosissimi i partner dell’evento, grazie ai quali è stato possibile assicurare il successo dell’iniziativa, compresi i protagonisti del settore food and beverage che hanno offerto agli ospiti presenti le proprie prelibatezze: Sorbillo, Signora Bettola, 50panino, Cantine Tizzano, De Vivo Pasticceria, Perrella Collection, Eccellenze napoletane, Poppella, TLB ‘o Talebano, To live, Misterbar, La bontà del fornaio, ‘A cucina e Mammà, La bontà dell’orto, Cantine Tizzano, Matronae Wine Experience, Cavasete, Scaturchio 1903, Pastificio Bassolino, Raffaele Caldarelli, Pasquale Ruocco fotografi, Mosaicon, Alkemik, Antiche radici, Alma de Lux, Babà Re, Timbone, Villa Domi, Chef Salvatore Cristoforo, Orneta, Amoy caffè, Diva – il bello delle donne, Luxury Model Agency, Petrone, Gsm, Pezzullo, Tipografia Del Prete, Baronetto 51, Antonio Passante, Fabrizio Erbaggio, Cantina di Solopaca, Villa Raiano, Clara C Valdobbiadene, GMC srl.
Attualità
Michel Barnier: il nuovo Primo Ministro della Francia scelto da Macron per superare...

Emmanuel Macron ha fatto una scelta strategica nominando Michel Barnier come nuovo Primo Ministro della Francia, in un momento in cui il panorama politico francese è profondamente diviso. L’incarico a Barnier arriva dopo quasi due mesi di stallo politico, seguito alle elezioni legislative anticipate che hanno lasciato il Paese senza una maggioranza chiara in Parlamento. Macron ha incaricato Barnier di formare un governo di unità nazionale, con l’obiettivo di creare un equilibrio tra le diverse forze politiche del Paese, coinvolgendo anche l’opposizione.
Un uomo di esperienza per una Francia divisa
La carriera di Michel Barnier lo ha reso una figura rispettata sia a livello nazionale che internazionale. È stato ministro in diversi governi francesi e ha ricoperto il ruolo di commissario europeo per ben due volte. La sua esperienza è forse più nota per il ruolo di capo negoziatore dell’Unione Europea durante le trattative per la Brexit, un compito che ha svolto con grande abilità, guadagnandosi la fiducia di molti leader europei. Questi incarichi hanno contribuito a cementare la sua reputazione come abile mediatore e negoziatore, una qualità essenziale per navigare l’attuale crisi politica in Francia.
La Francia è attualmente frammentata, con la sinistra del Nuovo Fronte Popolare che ha ottenuto una vittoria nelle recenti elezioni legislative, ma non è riuscita a ottenere abbastanza seggi per formare un governo da sola. Questo ha creato un vuoto di potere che Macron ha cercato di riempire con la nomina di Barnier, sperando che la sua esperienza e il suo appeal possano unire un Parlamento diviso.
La sfida del governo di unità nazionale
La decisione di Macron di puntare su un governo di unità nazionale è una mossa volta a stabilizzare il Paese. Barnier è stato incaricato di formare un esecutivo che possa contare su un’ampia base di consenso, includendo rappresentanti di diverse forze politiche, in particolare del centrodestra. Questa strategia, pur complessa, punta a evitare il rischio di un blocco politico che potrebbe paralizzare le riforme necessarie per affrontare le sfide economiche e sociali della Francia.
L’obiettivo di Macron è chiaro: dare vita a un governo capace di navigare attraverso un periodo di tensione politica e disordini sociali, che ha visto una crescente ondata di proteste e malcontento in tutto il Paese. Le principali problematiche che Barnier dovrà affrontare comprendono una ripresa economica lenta, la gestione delle crisi internazionali e le riforme sociali che Macron ha promesso durante la sua presidenza.
Le reazioni politiche: un’opposizione in fermento
Non tutti, però, hanno accolto con favore la nomina di Barnier. Il leader della sinistra radicale, Jean-Luc Mélenchon, ha duramente criticato la scelta, accusando Macron di aver “rubato” l’elezione e di aver ignorato la volontà del popolo. Mélenchon e altri esponenti della sinistra sostengono che la nomina di un esponente della destra come Barnier rappresenti un tradimento delle aspettative del Nuovo Fronte Popolare, che aveva ottenuto una vittoria significativa nelle elezioni legislative.
Mélenchon ha già chiamato a una massiccia mobilitazione popolare, programmando manifestazioni per le prossime settimane. Questo lascia intendere che il nuovo governo guidato da Barnier dovrà affrontare non solo la sfida di ottenere il consenso all’interno del Parlamento, ma anche di placare una parte dell’opinione pubblica sempre più scontenta e pronta a scendere in piazza per protestare contro quella che vedono come una “negazione della democrazia”.
La scelta di Barnier: tra pragmatismo e fedeltà a Macron
Michel Barnier, sebbene esponente di un partito di centrodestra, ha dimostrato negli anni una grande capacità di dialogo e una visione europeista che coincide con quella di Macron. La sua fedeltà alle istituzioni europee e la sua esperienza nel negoziare accordi complessi lo rendono una figura rassicurante per Macron, che ha bisogno di un premier in grado di mantenere continuità con le politiche portate avanti negli ultimi sette anni. Al contempo, Barnier rappresenta anche un elemento di novità rispetto al giovane Gabriel Attal, il predecessore che aveva guidato il governo per un breve periodo prima della crisi.
Barnier, il più anziano premier della storia della Quinta Repubblica, si troverà dunque a gestire una situazione che richiede grandi capacità diplomatiche, soprattutto nella formazione di una coalizione di governo che includa forze politiche molto diverse tra loro. Questa mossa potrebbe rafforzare la posizione di Macron, consolidando una leadership che punta a essere pragmatica e inclusiva, ma le sfide sono numerose e il futuro politico della Francia rimane incerto.
Le prospettive future
Il compito di Michel Barnier sarà quello di guidare la Francia attraverso un periodo di grandi cambiamenti e incertezze. La sua nomina come Primo Ministro è vista come una scelta pragmatica, ma non priva di rischi. Dovrà dimostrare di essere capace di costruire un governo che possa gestire le numerose sfide interne, tra cui la crescente disuguaglianza economica, il problema dell’immigrazione e il cambiamento climatico, che sono stati al centro del dibattito politico negli ultimi anni.
Allo stesso tempo, Barnier dovrà bilanciare le aspettative di una Francia che guarda sempre di più alle prossime elezioni presidenziali del 2027. Il rischio che la sua leadership sia solo transitoria è alto, soprattutto in un contesto in cui le forze politiche tradizionali stanno perdendo terreno di fronte a nuove formazioni più radicali e populiste. L’eredità che Barnier lascerà come Premier sarà strettamente legata alla sua capacità di creare un governo che possa realmente unire il Paese e prepararlo per le sfide future.
Attualità
Il dolore che resta: Il toccante omaggio di Chiara Tramontano alla sorella Giulia

Dietro la facciata di una società sempre più frenetica e distratta che si dimentica delle tragedie personali dietro i fatti di cronaca, le parole di Chiara Tramontano dedicano un omaggio commovente alla sorella Giulia, tragicamente scomparsa in circostanze che hanno scosso l’Italia intera. La morte di Giulia Tramontano, incinta di sette mesi, ha lasciato una ferita profonda non solo nella sua famiglia ma anche in tutti coloro che hanno seguito la vicenda con angoscia.
Chiara, attraverso un post pubblicato sui social, ha affidato alla scrittura il suo dolore, raccontando il viaggio interiore che sta affrontando per convivere con l’assenza di Giulia. Le sue parole sono una testimonianza cruda e sincera di quanto sia difficile trovare un nuovo equilibrio in una vita segnata da una perdita così devastante.


Nel post, Chiara descrive il processo di accettazione di una realtà in cui la sorella non c’è più fisicamente, ma continua a essere presente in ogni gesto, in ogni pensiero, in ogni scelta quotidiana. Il dolore è palpabile, ma allo stesso tempo emerge una forza di volontà straordinaria nel voler trovare un senso e una serenità anche dopo una tragedia del genere.
Chiara scrive: “Oggi affido a questa tastiera il compito di raccogliere le mie lacrime e trasformarle in inchiostro su un foglio bianco. Non ho ancora trovato un posto in cui ospitarti nella mia nuova vita, quella dopo la tua morte“. Con queste parole si apre una lettera che non è solo un addio, ma un dialogo continuo con Giulia, un modo per mantenerla vicina nonostante l’assenza.
Il post prosegue affrontando i sensi di colpa che inevitabilmente emergono quando si cerca di andare avanti: “Tu sei il tramonto che mi lascio alle spalle ogni giorno, incolpandomi di averlo trascurato ed essere andata avanti“. Ma Chiara cerca di superare questi sentimenti, comprendendo che andare avanti non significa dimenticare, ma prepararsi a un nuovo giorno con la consapevolezza che la sorella sarà sempre parte della sua vita.
Chiara sottolinea come Giulia sia presente in ogni momento, anche nei dettagli apparentemente banali della vita quotidiana: “Tu sei nei 30 secondi di riposo tra un esercizio e l’altro in palestra, quei secondi che scorrono lentamente e che spesso mi ritrovo ad accorciare per non pensare“. È un dolore che si fa spazio tra gli impegni, che si manifesta nei momenti di pausa, ma che viene affrontato con dignità e resilienza.
Chiara aggiunge un messaggio carico di speranza: “Imparerò a rispettare il tempo e a dargli il giusto valore, non un aguzzino che mastica i miei ricordi e li sputa per farmi soffrire, ma la medicina del mio dolore“. È una riflessione sulla vita che continua, su come il tempo possa diventare un alleato per guarire le ferite, pur mantenendo vivo il ricordo di chi non c’è più.
Il dolore della famiglia Tramontano ha trovato un potente mezzo di espressione in queste parole che parlano di una perdita, ma anche di una forza che si alimenta dell’amore e del ricordo. La storia di Giulia Tramontano è diventata un simbolo di quanto sia importante non dimenticare le vittime di violenze, ma allo stesso tempo ci ricorda quanto sia fondamentale sostenere chi resta e deve affrontare l’immane compito di ricostruire una vita ferita.
Attualità
Miss Italia racconta l’Italia: un emozionante viaggio nel cuore del Belpaese

In un’epoca in cui i social media hanno il potere di connettere milioni di persone in tutto il mondo, Miss Italia ha deciso di sfruttare questa potente piattaforma per svelare le meraviglie nascoste del nostro amato Paese. Nasce così “Miss Italia Racconta l’Italia“, un’iniziativa che invita le concorrenti dell’85^ edizione del concorso a condividere, attraverso i loro occhi e le loro emozioni, i luoghi più affascinanti e suggestivi delle loro città.
Immaginate di intraprendere un viaggio virtuale, guidati dalle voci appassionate delle Miss che vi conducono attraverso le strade lastricate di storia, i monumenti che sfidano il tempo e i paesaggi mozzafiato che caratterizzano ogni angolo d’Italia. Grazie a Instagram, queste giovani donne avranno l’opportunità di catturare l’essenza del loro territorio in video di 90 secondi, regalando al mondo intero uno sguardo intimo e autentico sulle bellezze che spesso passano inosservate.

Ma “Miss Italia Racconta l’Italia”, quest’anno svolta in collaborazione con Acqua Rocchetta, non è solo un’occasione per celebrare il patrimonio artistico e culturale del nostro Paese. È anche una sfida per le concorrenti, che gareggeranno per il titolo di Miss Social della loro regione. Una commissione tecnica, guidata da esperti del settore digitale, valuterà ogni post, premiando l’abilità di creare uno storytelling coinvolgente, la maestria nella produzione visiva e la scelta di luoghi caratteristici, anche se non necessariamente famosi.
L’idea di questo straordinario viaggio virtuale è nata dalla mente brillante di Enzo Rimedio, digital communications manager di Miss Italia, nome di spicco nel panorama della comunicazione digitale italiana, autore di libri e docente di digital PR, che ha voluto portare la sua expertise per rendere il Concorso ancora più al passo con i tempi e coinvolgente per il pubblico con un progetto che prevede oltre 5 milioni di visualizzazioni complessive per circa 300 Miss partecipanti di tutta l’Italia.

Lo scorso anno, Elisa Novello, Miss Italia Social, ha dimostrato, nel suo video dedicato a San Lucido in provincia di Cosenza, come si possa incantare e emozionare una giuria. La sua vittoria è la prova tangibile del potere delle storie autentiche e della capacità dei social media di amplificare la voce di chi ha qualcosa di straordinario da condividere.
Che siate appassionati di arte, storia o semplicemente curiosi di scoprire angoli sconosciuti dello Stivale, “Miss Italia Racconta l’Italia” vi invita a intraprendere questo viaggio emozionante, un passo alla volta, un video alla volta. Lasciatevi trasportare dalle storie delle Miss, dalle loro emozioni e dalla loro passione per la bellezza, e scoprirete che l’Italia è un Paese che non smette mai di stupire e meravigliare.
Attualità
La nuova linea 6 Santa Maria degli Angeli-Chiaia: Arte, tecnologia e storia in movimento

Il 16 luglio 2024 Napoli ha festeggiato un evento straordinario: l’inaugurazione della nuova Linea 6 della metropolitana, che collega Santa Maria degli Angeli a Chiaia. Dal 17 luglio, i cittadini possono usufruire di questo nuovo percorso, che permette di andare dalla Mostra d’Oltremare a Piazza Municipio in soli 13 minuti. Non è solo un passo avanti per la mobilità, ma un’esperienza artistica unica.
Partenope: L’anima di Napoli
La leggenda dice che Partenope, una sirena affascinata dalla bellezza del golfo, scelse Napoli come sua casa. Questa storia riflette l’anima della città: bella e resiliente. La metropolitana di Napoli ha iniziato la sua avventura nel 1925 con la “Direttissima”, collegando Piazza Garibaldi al Vomero. Da allora, la rete è cresciuta e si è modernizzata, offrendo sempre più servizi ai napoletani.
La linea 6: Un capolavoro di arte e tecnologia
La Linea 6 non è solo un mezzo di trasporto, ma un vero e proprio museo sotterraneo. Ogni stazione è stata progettata da architetti di fama internazionale, diventando un’opera d’arte. La stazione Arco Mirelli, disegnata da Hans Kollhoff, è uno spettacolo di acciaio e vetro. La stazione San Pasquale, opera di Boris Podrecca, è un omaggio a Benedetto Croce. La stazione Chiaia, firmata da Uberto Siola, si sviluppa su tre livelli, ognuno con un design unico.
Stazione di Chiaia: Un tempio di bellezza e innovazione
La stazione di Chiaia è un vero capolavoro. Al primo livello, l’ingresso su Piazza Santa Maria degli Angeli è illuminato da ampie vetrate che fanno entrare la luce naturale. Al secondo livello, con ingresso su via Chiaia, ci sono sculture moderne e installazioni artistiche che catturano l’occhio. Il terzo livello, il piano banchina, ha colori caldi e un’illuminazione LED che cambia tonalità a seconda dell’ora del giorno. Le pareti, decorate con mosaici e citazioni di poeti napoletani, rendono ogni attesa un momento culturale.
Per mantenere queste opere in perfette condizioni, è fondamentale l’impegno delle autorità e dei cittadini. La manutenzione regolare e la protezione da usura e vandalismo sono essenziali per preservare queste meraviglie per le generazioni future.
Un sistema di trasporto integrato
La Linea 6 non solo migliora la mobilità urbana, ma offre anche molte possibilità di interscambio. La stazione Municipio è collegata con la Linea 1 della metropolitana, la funicolare centrale, traghetti e aliscafi. Le stazioni Chiaia e San Pasquale permettono di accedere alla funicolare di Chiaia, mentre Mergellina è collegata alla funicolare omonima. Le stazioni Lala, Augusto e Mostra facilitano l’interscambio con la Cumana, creando una rete di trasporto efficiente e integrata.
Le parole delle autorità
Il sindaco Gaetano Manfredi ha sottolineato quanto sia importante questa nuova linea per Napoli, dimostrando che la città è capace di realizzare grandi progetti. L’assessore Edoardo Cosenza ha assicurato che i nuovi treni offriranno un servizio regolare, con una corsa ogni 4 minuti e mezzo, garantendo efficienza e puntualità per tutti i passeggeri.
“Come la sirena Partenope scelse Napoli, incantata dalla sua bellezza, la nuova Linea 6 celebra l’anima di questa città. Ogni viaggio su questa linea è un incontro tra arte e innovazione, riflettendo la continua evoluzione di Napoli…” (AnnA Del Bene)
Attualità
Storia di un’adozione: Il coraggio e la rinascita di Fatima Sarnicola, dalla...

Oggi incontriamo Fatima Sarnicola, una ragazza la cui vita è un viaggio intenso e toccante di coraggio, resilienza e speranza. Nata in un piccolo villaggio della Lituania, Skaciai, Fatima ha vissuto i suoi primi anni tra gli orfanotrofi, dove ha subito abusi e maltrattamenti. Nonostante queste esperienze traumatiche, ha sempre avuto dentro di sé una forza straordinaria che l’ha aiutata a sopravvivere e a sognare una vita migliore. A soli otto anni, la sua vita ha preso una svolta decisiva quando è stata adottata da una coppia italiana amorevole, iniziando così un nuovo capitolo della sua esistenza.
L’arrivo in Italia non è stato privo di sfide, Fatima ha dovuto affrontare non solo l’adattamento a un nuovo ambiente e a una nuova lingua, ma anche il bullismo a scuola. Questi momenti dolorosi l’hanno colpita profondamente, ma hanno anche alimentato la sua determinazione a non arrendersi mai. Ricorda ancora come, nonostante gli insulti e le umiliazioni, ha trovato la forza di continuare a studiare e a lottare per dimostrare il suo valore. La sua esperienza scolastica, sebbene segnata da difficoltà, le ha insegnato l’importanza della resilienza e della perseveranza.
Il giorno in cui è stata adottata è uno dei ricordi più preziosi di Fatima. Descrive con emozione il primo incontro con i suoi genitori adottivi, l’iniziale paura di fronte a un uomo senza capelli, e l’incanto nello sguardo amorevole di sua madre. La loro presenza ha rappresentato per lei la fine di un incubo e l’inizio di una vita piena di amore e protezione. Questo amore incondizionato l’ha aiutata a guarire le sue ferite e a costruire una nuova identità, trovando finalmente la sicurezza e il calore di una vera famiglia.
Fatima ha trovato il coraggio di condividere la sua storia sui social media, inizialmente come sfogo personale, ma presto si è resa conto del potente impatto che poteva avere sugli altri. Grazie al supporto e ai consigli della sua famiglia adottiva, ha iniziato a raccontare il suo passato su TikTok, attirando l’attenzione di migliaia di persone. Questo ha portato alla creazione del gruppo Telegram “Noi siamo una famiglia“, una comunità di oltre 140 ragazzi adottati, e del podcast “Storie di adozioni“, dove le esperienze personali diventano fonte di ispirazione e sostegno.

Uno dei momenti più significativi del suo percorso è stato il viaggio di ritorno in Lituania, dove ha rivisto i luoghi del suo passato. Questo viaggio le ha permesso di confrontarsi con i suoi ricordi e di fare pace con la sua storia. Ha promesso a se stessa di usare la sua esperienza per aiutare gli altri, e da questa promessa è nato “AdoptLife“, il primo magazine italiano dedicato all’adozione e all’affido. Con “AdoptLife”, Fatima vuole fornire informazioni accurate, risorse utili e storie di vita che possano guidare e supportare le famiglie adottive e chiunque sia coinvolto in questo percorso.
Gestire una comunità online e affrontare le critiche sui social media richiede forza e determinazione, così Fatima ha imparato a trasformare le critiche in opportunità di discussione, mantenendo sempre il focus sul suo messaggio di speranza e resilienza. Grazie al supporto della sua famiglia e dei suoi collaboratori, è riuscita a mantenere l’integrità del suo progetto e a continuare a offrire supporto a chi ne ha bisogno.
Il suo percorso accademico in Scienze Biologiche è un altro aspetto della sua straordinaria storia. Nonostante le difficoltà iniziali, Fatima ha perseverato e ha continuato gli studi. Il suo sogno è contribuire alla ricerca contro i tumori, utilizzando le sue competenze per fare la differenza nella vita delle persone. Questo desiderio di aiutare gli altri è il filo conduttore della sua vita, dalla sua infanzia difficile alla sua carriera accademica e oltre.
Fatima ha anche una visione chiara per il futuro di “AdoptLife”. Vuole trasformare il magazine in una pubblicazione cartacea disponibile in tutta Italia e in altri Paesi europei, creando una rete di supporto internazionale per le famiglie adottive. Il suo obiettivo è abbattere i pregiudizi legati all’adozione e all’affido, promuovendo una maggiore comprensione e accettazione di queste realtà. L’impegno di Fatima è instancabile e la sua passione per aiutare gli altri stanno cambiando il panorama dell’adozione in Italia, offrendo speranza e supporto a molti che, come lei, cercano una seconda possibilità.
Noi l’abbiamo incontrata in esclusiva ed ecco un’intervista che, anche se un po’ più lunga del solito, vi consigliamo vivamente di leggere: le sue parole toccanti e sincere vi porteranno a conoscere una storia di rinascita, forza e amore che non potrete dimenticare.
Fatima, nella tua infanzia in Lituania hai vissuto esperienze drammatiche, tra cui maltrattamenti e abusi nei vari orfanotrofi in cui sei stata. Come pensi che quei momenti difficili e traumatici abbiano plasmato la tua forza interiore e la tua capacità di affrontare le sfide della vita? Quali strategie o risorse personali hai sviluppato per superare quei traumi e trasformarli in una fonte di resilienza?
Ho sempre creduto di essere nata forte. Mi sono ritrovata ad affrontare il male più volte ma non mi sono mai lasciata intimorire. All’orfanotrofio, quando subivo maltrattamenti, sentivo che avrei superato qualsiasi situazione spiacevole, e così è stato. Mi sono sempre rialzata quando gli altri mi facevano cadere, sempre. Non nego che ogni volta che mi rialzavo, al mio corpo si aggiungeva una cicatrice in più, ma da piccola ragionavo in questo modo: se ho una cicatrice in più vuol dire che ho lottato e che quindi ho vinto. La forza è dentro di noi, ma ammetto che tirarla fuori per proteggersi non è semplice. Ciò che è scattato nella mia mente nel momento in cui ho capito di essere stata abbandonata è stato un istinto di sopravvivenza. Volevo farcela, volevo vivere, e soprattutto volevo una famiglia. La fede è stata ciò che mi ha aiutato in quei momenti di silenzio. Pregavo tanto insieme alle mie compagne di stanza; ci inginocchiavamo a terra guardando la finestra con il desiderio di uscire da quelle mura. Credevamo che quello fosse l’unico posto al mondo esistente, che oltre quel bosco non ci fosse niente. Quando poi sono stata adottata, ho capito che non era così, e la mia vita è cambiata. Ammetto che quando mi sono sentita parte di una famiglia, ho messo a riposo la mia forza e mi sono lasciata coccolare. Mi sentivo stanca e avevo bisogno che qualcuno finalmente si prendesse cura di me e della mia sorella biologica, con cui sono stata adottata. Mi dicevo: “Ora ho una famiglia, non serve che lotti più per essere felice.” Questo pensiero è nato grazie all’amore con cui i miei genitori mi hanno avvolta e cresciuta. I miei traumi non hanno consumato il mio essere perché io sono stata più forte di loro, soprattutto perché ho vissuto cose orribili e ce l’ho sempre fatta. Non nego che l’unica paura che avevo era quella di un nuovo abbandono, ma nel momento in cui sono atterrata in Italia con la mia nuova famiglia, ho capito che potevo lasciar andare via quel pensiero. Ciò che mi ha più scosso è stato il ritorno delle persone del mio passato, come fratelli, sorelle, e zii, che mi cercavano con delle lettere e poi sui social. Questa è stata la difficoltà più grande che ho dovuto affrontare, perché inizialmente non volevo confrontarmi con la mia storia. Anche se provavo ad andare avanti, c’era sempre qualcuno che mi riportava indietro. Ma anche questo è stato superato grazie alla presenza e al sostegno della mia famiglia. Quando noi ragazzi adottati abbiamo tre elementi fondamentali: amore, protezione e ascolto, non c’è bisogno di applicare nessuna strategia per stare bene. Se i nostri genitori adottivi adottano anche la nostra storia, ci sentiamo a casa e la nostra forza diventa ancor più grande, e il futuro non ci spaventa. Anche nei momenti più bui, ho cercato di trovare una scintilla di speranza e di costruire su di essa. Inoltre, ho imparato l’importanza del perdono, sia verso me stessa che verso chi mi aveva fatto del male. Ho capito che portare rancore non avrebbe fatto altro che prolungare il mio dolore. Perdonare non significa dimenticare, ma permette di liberarsi da un peso emotivo che impedisce di andare avanti.

Quando sei arrivata in Italia a otto anni, hai dovuto affrontare non solo l’adattamento a un nuovo ambiente e a una nuova lingua, ma anche il bullismo a scuola. Puoi raccontarci come hai vissuto questi momenti e in che modo sei riuscita a trasformare quelle esperienze dolorose in una motivazione per aiutare altri ragazzi adottati? Ci sono stati episodi specifici o persone che ti hanno aiutato a trovare questa forza interiore?
Quando qualcuno mi chiede “Fatima, ma ti manca la scuola?”, rispondo subito con un “no” deciso, perché ho sofferto tanto. Prima di arrivare in Italia, frequentavo già la scuola e venivo presa in giro perché ero l’unica orfana della classe. Quando il bullismo si è ripresentato anche nella mia nuova scuola, nella mia nuova vita, non ci ho più visto. Le offese e i pregiudizi erano pesanti e anziché diminuire, aumentavano col passare degli anni scolastici, non solo da parte dei miei compagni di classe, ma anche dagli insegnanti. L’unico voto alto che presi a scuola fu in quinta elementare perché vinsi una gara di corsa senza fare allenamento. Nessuno sapeva che correvo spesso per scappare dall’orfanotrofio, quindi l’allenamento c’era eccome. Portai la coppa a casa, ma non ne fui felice. Col tempo però ho realizzato che quella vittoria rappresentava molto di più di un semplice trofeo: era la prova della mia resilienza e della mia capacità di trasformare una situazione negativa in qualcosa di positivo. Riguardo allo studio, invece, avevo una curiosità fuori dal normale, e ci rimanevo male quando, nonostante passassi pomeriggi interi a studiare dopo la scuola, i voti restavano bassi e finivo l’anno con debiti. Non sono riuscita nemmeno a diplomarmi con un voto alto, eppure, durante l’esame orale, c’erano più di trenta ragazzi vicino alla porta ad ascoltarmi e i professori smisero di leggere il loro giornale quando iniziai a parlare. Come ho fatto a convivere con questo continuo bullismo? Soffrendo. Tornavo a casa piangendo un giorno sì e un giorno no. Altre volte non riuscivo a rimanere tutte le cinque ore in classe e chiedevo un permesso per uscire prima, altre volte ancora mi rifiutavo di andarci. Sentivo che qualsiasi cosa facessi, che sia studiare o relazionarmi, non sarebbe servito a nulla. Diventavo simpatica ai miei compagni di classe solo quando alzavo la voce contro i professori dicendo che ero stanca di non ricevere mai voti alti, di sentirmi sempre una stupida straniera. “Fatima oggi litiga con la prof così non facciamo lezione,” dicevano. E quando provavo a difendermi da queste affermazioni, tutta la classe mi andava contro insultandomi: “Sei una figlia falsa, torna nel tuo Paese, sei bruttissima, vai dal chirurgo plastico, non sai parlare, con noi non esci”. E infatti uscivo con altri ragazzi adottati o con il fidanzatino. La mia famiglia ha sempre fatto presente questa mia sofferenza alla scuola, ma a nessuno sembrava importare. Pochi professori sono riusciti a capirmi e a trattarmi normalmente, come una ragazza che desiderava studiare. Fu un insegnante a far emergere la mia storia: i miei genitori avevano sempre preferito tacere per evitare che mi trattassero diversamente, e da quel momento il bullismo si concentrò non solo sul mio aspetto esteriore ma anche sulla mia storia. Dopo questo, ho desiderato il giorno della maturità come il giorno dei regali di Natale. Ho usato nuovamente la mia forza per resistere a quei momenti, sostenuta dall’unione della mia famiglia. Ma non nego che mi fa male sentire che molti ragazzi adottati vengono trattati come sono stata trattata io. I genitori mi scrivono dicendo: “Ho dovuto far cambiare scuola alla mia bambina perché la chiamavano orfanella, eppure una famiglia ce l’ha”, oppure i figli mi scrivono dicendo: “Mi bullizzano, non so più come fare”. Questo succede perché a scuola l’adozione non viene sensibilizzata. Bisognerebbe farlo, insegnando che un figlio adottivo non è un figlio diverso, ma piuttosto un figlio con una storia speciale, con un inizio di vita diverso. Il legame di sangue non supera il legame adottivo, perché è l’amore la chiave di tutto. Il mio motto, da me creato, è: “Usate l’amore per insegnare la vita”. Un motto che desidero venga interiorizzato da tutti, specialmente dagli insegnanti, affinché insegnino che l’adozione è un tema universale; dai genitori, perché attraverso il supporto si insegna il concetto di famiglia, dell’amore per sé stessi e verso gli altri, della vita; e dai figli adottivi, per non dimenticare che l’amore è un sentimento che meritiamo e che dobbiamo sempre proteggere. I pregiudizi ci saranno sempre, le difficoltà nella vita aumenteranno, ma se ci ricordiamo ciò che abbiamo vissuto, ci ricordiamo anche che siamo forti e che quindi ogni evento spiacevole può diventare un insegnamento per affrontare qualsiasi situazione con ottimismo e soprattutto con coraggio. E concludo dicendo che un voto basso non determina la vostra bravura. Considerando le difficoltà che avete dovuto superare, sappiate che quel 4, 5 o 6 è un ben oltre di un 10. Non tutti hanno la sensibilità di capire la vostra storia e, soprattutto, il vostro valore. Rendete orgogliosi voi stessi, il tempo farà il resto.
Il giorno in cui sei stata adottata dai tuoi genitori italiani è stato un momento di svolta nella tua vita. Puoi condividere con noi le emozioni, le paure e le speranze che hai provato durante quel primo incontro? Come è cambiata la tua percezione della vita e della famiglia in quel momento e nei giorni successivi?
Il giorno in cui sono stata adottata è stato il più bello della mia vita. Il 12 novembre 2006 siamo diventati ufficialmente una famiglia. Ho conosciuto i miei genitori nello stesso anno, ad agosto. L’iter dell’adozione in Lituania prevedeva due viaggi per conoscere il bambino abbinato; quindi, i miei genitori li conobbi durante il periodo climatico più favorevole. Ricordo l’emozione appena li incontrai e la paura per la mancanza di capelli sulla testa del mio papà. Non avevo mai visto un uomo senza capelli, ma questa paura si alleviò con un regalino da parte sua. Rimasi incantata dagli occhi di mia madre e dal suo sguardo buono. Sentivo dentro di me vibrazioni positive e ogni giorno che passava speravo di avere il potere di fermare il tempo e restare con loro per l’eternità. Purtroppo, il nostro primo incontro finì dopo una settimana e i miei genitori ripartirono per l’Italia, lasciandomi giochi, soldi e il loro profumo sui miei vestiti. Una cosa per cui sono stata molto grata è la scelta di adozione anche della mia sorellina Anna, che avevo conosciuto due anni prima ma che poi non avevo più avuto la possibilità di vedere. Quando la andammo a prendere per passare quella settimana insieme, capii che c’era la possibilità di andare via da quel posto tutte e due insieme. Quando pregavo, lo facevo dicendo anche il nome di mia sorella. Dal nostro incontro sentivo di avere una ragione di vita per smettere di scappare dall’orfanotrofio e attendere. Rividi successivamente i miei genitori ad ottobre e passammo un mese e mezzo insieme, proprio come una famiglia. I miei affittarono un appartamento a Vilnius, la capitale della Lituania, e dal giorno dopo iniziammo a chiamarli mamma e papà. Legammo da subito. Mamma mi comprò tantissimi vestiti e cose buone da mangiare. Nella valigia portarono dall’Italia DVD di cartoni animati in italiano e manuali per imparare la nuova lingua. Piano piano espressi il desiderio di cambiare nome e così, con il tempo, imparai ad amare “Fatima” e tutto l’amore che i miei genitori mi davano ogni giorno. Ricordo che alla sentenza con il giudice dissi: “Voglio partire per l’Italia con la mia sorellina e con i miei genitori,” e gli bastò questa affermazione per capire che ero pronta a lasciare quel capitolo della mia vita. Ricordo anche che la sera prima di partire avevo paura di essere lasciata lì e passai una notte intera sveglia a guardare la macchina parcheggiata nel cortile, ma provavo anche l’emozione di vivere la vita che sognavo nell’orfanotrofio. Sembra sempre che le parole non siano abbastanza per descrivere quel giorno, ma posso dire che quando qualcuno mi chiede quando io sia nata, desidero rispondere nel 2006 anziché nel 1998. Quel giorno ha segnato una svolta radicale nella mia percezione della vita e della famiglia. Con l’adozione ho iniziato a sognare in grande, a immaginare possibilità che prima sembravano irraggiungibili. La mia mamma mi insegnava l’italiano con pazienza, mentre mio papà mi raccontava storie della loro vita in Italia, facendomi sentire parte di qualcosa di speciale. L’amore dei miei genitori mi ha insegnato che non importa quanto difficile sia il passato, c’è sempre la possibilità di un nuovo inizio. E questo nuovo inizio mi ha dato la forza e la motivazione per aiutare altri bambini adottati, affinché possano trovare la stessa felicità e sicurezza che io ho trovato.

Hai iniziato a condividere la tua storia sui social media come un semplice sfogo personale. Qual è stato il momento o l’evento specifico in cui hai realizzato che la tua storia poteva avere un impatto positivo su migliaia di persone? Come hai deciso di strutturare la tua presenza online per massimizzare questo impatto?
Questa domanda la rispondo con le lacrime agli occhi perché è stata nuovamente la mia famiglia a farmi capire che potevo essere d’aiuto per tanti altri ragazzi adottivi e famiglie. Nel 2021, durante un semplice pomeriggio in cui ricordavamo momenti dei nostri primi incontri e primi abbracci, mia mamma mi disse queste parole: “Non dimenticare la bambina che sei stata, non dividere la tua personalità in due identità. Tu sei lei e quella bambina sarà la tua forza domani e nel futuro. Non cancellare il tuo passato.” Poi aggiunse: “Fai ciò che senti, ciò che ti dice il cuore.” In quel momento ho capito di avere la forza di raccontare ciò che mi è successo e ho realizzato che potevo finalmente confrontarmi con persone che mi avrebbero capito senza giudicarmi. Così ho aperto il mio profilo su TikTok, usando coraggiosamente il mio nome e cognome. Ho iniziato pubblicando momenti della mia adozione e successivamente video di interpretazione e monologhi. Quando ho iniziato a mostrarmi fisicamente, le critiche non sono mancate. Alcuni dicevano che stavo inventando una storia per ottenere successo perché ero bella e potevo fare la modella; altri pensavano che prendessi spunto da film sull’adozione o libri per alimentare il mio racconto. Decisi di prendere una pausa che durò quasi un anno, riprendendo poi nel 2022 grazie al supporto della mia famiglia. Ho trasformato quelle critiche in una sensibilizzazione per far comprendere veramente le mie parole, mettendo in evidenza più le critiche che i commenti positivi. Virtualmente, ho incontrato altri ragazzi adottati e ho deciso di aprire il primo gruppo Telegram italiano per ragazzi adottati chiamato “Noi siamo una famiglia”, unendo più di 140 ragazzi adottati e successivamente “Cuore Adottivo”, il primo gruppo Telegram per i genitori in attesa a adottivi. Un viaggio in Lituania è stato determinante: ho fatto ritorno nel mio paese d’origine e ho rivisto la mia prima casa, scuola e orfanotrofio. Anche se non ho avuto il coraggio di avvicinarmi all’orfanotrofio, ho sentito le urla di quei bambini e, soprattutto, le mie. Questo è stato uno dei momenti più intensi emotivamente della mia vita. Avevo giurato a me stessa di non tornarci mai più, nemmeno per curiosità, ma il destino ha deciso diversamente. Quando sono salita sull’aereo per tornare in Italia, ho fatto una promessa: avrei raccontato le storie degli altri affinché le persone comprendessero che non esisteva solo la mia storia di adozione, ma molte altre. Nasce così il primo podcast italiano sulle storie di adozioni nazionali ed internazionali. Ricevevo molte domande, il che mi ha portato a rilasciare interviste e ad essere invitata in programmi Rai e riviste editoriali. Ma ho sentito che potevo fare di più quando mi è stata posta una domanda improvvisa: “Come si fa per adottare? A chi devo rivolgermi?”. Ho capito la gravità della situazione: molte persone non solo non conoscevano le storie di adozione, ma non sapevano nemmeno cosa fosse l’adozione. Nel 2023 ho deciso di fare un passo più grande fondando il primo giornale italiano sull’adozione e l’affido. In tre mesi, in piena estate, ho formato il mio team di partenza grazie a un annuncio sui social. Ho capito che per sensibilizzare al meglio sulla tematica dovevo unire professionisti nei campi legale, psicologico e assistenza sociale per rispondere ad ogni domanda dei nostri lettori e sensibilizzare su ogni aspetto. Ho disegnato il logo, creato le grafiche per i profili social, investito i miei risparmi nella creazione del sito web e in ulteriori passi avanti. In cinque mesi di lavoro incessante, ho realizzato il progetto e il 9 ottobre 2023 è nato AdoptLife. “Mamma, papà, per caso esiste un giornale sull’adozione in Italia?”, chiesi ai miei genitori. “No, non esiste”, mi risposero. “Bene, non so come si faccia, ma lo realizzo io”, risposi io. Ringrazio i miei genitori per aver tirato fuori il meglio di me, per avermi dato l’autostima, la cultura e soprattutto la continua forza. Devo ringraziare anche il mio team, che ha creduto nel progetto fin dalla nostra prima videochiamata, supportandomi in ogni mia idea, strategia di comunicazione e nella pubblicazione mensile della rivista. Senza di loro, l’inizio sarebbe stato sicuramente diverso. Non nego di aver sentito l’aiuto di qualche angelo del cielo, perché quando oggi, dopo quasi un anno, guardo il lavoro che continuo a portare avanti, mi chiedo sempre come sia riuscita senza avere titoli di studio in nessuna materia utile per il progetto. Poi ho capito che quando si agisce con il cuore si fa la differenza, e quando si combinano disciplina, valori e passione, si riesce a tirare fuori il meglio di sé stessi.
Sei riuscita a creare una comunità online molto attiva e solidale attraverso piattaforme come TikTok e Telegram. Quali sono le sfide più grandi che hai affrontato nel gestire questo spazio di condivisione e supporto? Come riesci a mantenere un equilibrio tra il supporto emotivo che offri agli altri e la tua salute mentale e benessere personale?
Su TikTok, mi sono impostata dei limiti. Pubblicavo un video e rientravo nell’app solo per caricarne un altro. I miei follower sapevano che se avessero desiderato un confronto o un supporto, avrebbero potuto rivolgersi al mio gruppo su Telegram. Dedico solo il fine settimana alla lettura dei commenti sotto ai miei video, prendendoli come spunto per la mia sensibilizzazione. Invece su Telegram, una delle sfide principali è stata gestire le aspettative e le emozioni dei ragazzi all’interno della community. Molti cercano sostegno emotivo e consigli, quindi è fondamentale essere presenti e rispondere in modo efficace per essere davvero d’aiuto. Per mantenere una presenza costante, ho avuto il supporto di due ragazze adottate che mi hanno aiutato a moderare il gruppo, e alle quali sono grata nonostante le delusioni ricevute in seguito. Ogni giorno si univano al gruppo sempre più ragazzi, ognuno con la propria storia e le proprie emozioni. Le storie di adozione sono tutte diverse e riconoscere le sfumature di ciascuna non è stato semplice. A volte scaturivano discussioni accese o addirittura offese. Altre volte, rimanevo sveglia di notte con le moderatrici per sostenere le ragazze più fragili. Questi momenti mi emozionano: spegnendo il telefono, mi rendevo conto di aver creato qualcosa di utile per gli altri. Inizialmente, gestire la mia emotività personale è stato difficile. I racconti altrui mi turbavano e trovare le parole giuste non era semplice, specialmente durante le videochiamate. Con il passare dei mesi, mi sono legata sempre di più ai ragazzi e il telefono ha cominciato a squillare anche per chiamate e consigli privati. Mi è stato attribuito anche il ruolo di “psicologa del gruppo”. Ho imparato a gestire le emozioni che mi trasmettevano: quando mi sento vulnerabile, spengo il telefono, faccio un respiro e lo riaccendo solo quando sono pronta. Grazie a questi ragazzi ho compreso che il dolore ci ha uniti: l’abbandono e la ricerca di comprensione hanno spinto molti a oltrepassare i confini del gruppo. Mi hanno ringraziato con canzoni, disegni e poesie, condividendo le loro emozioni. Molti di loro hanno raccontato la propria storia nel mio podcast. La cosa che mi ha rammaricato di più è stata l’atteggiamento ostile di alcuni ragazzi fin dal primo giorno, che, nonostante ciò, sono rimasti nel gruppo per screditarmi. Ho cercato di far loro capire che il gruppo era un luogo di apertura e supporto, ma ogni tentativo è stato vano. Questo ha contribuito a renderlo meno attivo. Nel frattempo, ho creato un gruppo per i genitori adottivi, dove molti si sono incontrati di persona, condividendo gioie e sfide dell’adozione. Sono felice di facilitare questi scambi. Alla fine, non tutti apprezzeranno il nostro impegno, ma l’importante è non smettere di farlo. Continuerò a offrire il mio aiuto fino all’ultimo battito, come ripeto spesso alle persone che mi seguono.

Il tuo podcast, “Storie di adozioni”, ha permesso a molti ragazzi adottati di condividere le loro esperienze personali. Qual è stata la storia che ti ha colpito di più e perché? Ci sono stati episodi in cui hai visto un cambiamento tangibile nella vita di qualcuno grazie alla piattaforma che hai creato?
Tutte le storie mi hanno toccato profondamente in modi diversi. Ognuna presenta aspetti unici e scoprirle è stato commovente. Ci sono ragazzi che hanno vissuto in orfanotrofio come me e quindi comprendono pienamente la mia esperienza, essendo passati attraverso eventi simili. Altri non ricordano molto del loro passato, ma condividono comunque con me le difficoltà dell’adattamento dopo l’adozione, nel relazionarsi e soprattutto nell’essere accettati. Viviamo in una società che non cambia, il che ha portato me e i miei ragazzi ad affrontare le stesse difficoltà. Tuttavia, le modalità di affrontarle sono diverse: alcuni hanno avuto genitori più assenti, mentre altri il contrario. Purtroppo, quando non c’è un adeguato sostegno verso i figli, ciò che accade loro può diventare un peso che decidono di portare da soli, facendoli sentire ancora più soli. “Mi sento nuovamente abbandonata”, sono parole che non dimenticherò mai, dette da una ragazza del gruppo. Tra tutte le storie raccontate, una in particolare ha colpito profondamente me e gli ascoltatori: quella di un ragazzo di nome Luca. Due mesi dopo la pubblicazione del podcast, Luca è stato contattato dalle sue sorelle e ha poi incontrato il suo papà adottivo. Conservo ancora il messaggio che mi ha mandato. Sapere che il podcast ha aiutato Luca e la sua famiglia a ritrovarsi è una gioia immensa e mi motiva a continuare a promuoverlo. Spero di riuscire presto a incoraggiare molti altri ragazzi a condividere la propria esperienza e a far loro capire che insieme possiamo fare la differenza, evitando che altri bambini debbano subire ciò che abbiamo dovuto affrontare noi. L’unione fa la forza e io sono qui per dare una mano a tutti loro.
Hai parlato spesso della necessità di riformare le leggi italiane sull’adozione, evidenziando le difficoltà burocratiche e i lunghi tempi di attesa. Quali specifiche modifiche ritieni fondamentali per migliorare il processo adottivo e renderlo più accessibile e giusto? Hai avuto contatti con legislatori o istituzioni per promuovere questi cambiamenti?
L’adozione è un argomento profondo che richiede attenzione alle necessità dei bambini e a un processo equo ed efficiente per tutti i soggetti coinvolti. Per migliorare le leggi italiane sull’adozione e renderle più accessibili, occorre considerare diverse modifiche cruciali: semplificare e accelerare i procedimenti burocratici senza compromettere la sicurezza e il benessere del bambino adottato. I lunghi tempi di attesa spesso derivano da complessità burocratiche e procedure internazionali, che potrebbero essere riviste per garantire tempi più brevi senza compromettere la sicurezza dei bambini, assicurando loro di trovare presto una famiglia amorevole. È essenziale anche definire chiaramente i requisiti per i genitori adottivi e i criteri di selezione, bilanciando rigorosi standard con un accesso equo all’adozione. Il supporto post-adozione è altrettanto cruciale: garantire un sostegno adeguato sia ai bambini adottati che alle famiglie adottive può migliorare il loro adattamento e ridurre rischi di problematiche post-adozione, come ad esempio l’interruzione dei percorsi di adozione che riporta il bambino in uno stato di abbandono, situazione inaccettabile. Un altro aspetto da considerare è l’adozione piena per le coppie single e coppie LGBTQ+. Il principio dell’affidamento deve essere tutelato, evitando che un bambino venga strappato dalle braccia di chi lo ha accolto a casa propria solo perché la famiglia biologica si manifesta nuovamente. Il benessere del bambino è prioritario, e cambiamenti legislativi devono proteggere questo principio. Per quanto riguarda il coinvolgimento con legislatori e istituzioni, è fondamentale il dialogo per sensibilizzare e promuovere riforme legislative necessarie. La collaborazione con legislatori, ONG e altre istituzioni può essere determinante nel portare avanti proposte concrete di cambiamento, e personalmente sarei interessata a contribuire attivamente in questo ambito al momento opportuno.

Nonostante le difficoltà iniziali, sei riuscita a costruire una carriera accademica brillante e stai per laurearti in Scienze Biologiche. Come pensi di integrare il tuo background personale e le tue esperienze di vita con il tuo futuro professionale nel campo della ricerca scientifica, specialmente in progetti legati alla lotta contro i tumori?
Le difficoltà iniziali che ho affrontato mi hanno insegnato resilienza, determinazione e l’importanza di non arrendersi mai. La scelta di studiare Biologia è stata ben ponderata. Fin da piccola ho nutrito il desiderio di aiutare gli altri, soprattutto quando vedevo bambini accanto a me soffrire. Ricordo vividamente una volta in cui un mio compagno di classe è entrato camminando con la testa rivolta verso il pavimento e la schiena curva, una scena che mi ha profondamente colpita. Quando sono stata adottata, mi sono ripromessa di studiare con impegno affinché la mia educazione potesse essere un aiuto concreto per gli altri. Sono felicissima che il giorno della mia laurea si stia avvicinando e sono orgogliosa di aver già dato un contributo significativo come collaboratrice scientifica nel campo della ricerca oncologica, con un progetto recentemente diventato globale e pubblicato su riviste come Springer Journals; è stato un momento emozionante. Nel campo oncologico, intendo concentrarmi su ulteriori progetti che possano contribuire concretamente alla comprensione dei meccanismi biologici alla base della formazione e della diffusione dei tumori. Desidero esplorare le possibilità di sviluppare nuove terapie o migliorare quelle esistenti, utilizzando approcci innovativi e multidisciplinari. Non vedo l’ora di contribuire ancora di più.
La tua storia è seguita da molte persone sui social media, ma hai anche ricevuto critiche e dubbi sulla veridicità dei tuoi racconti. Come rispondi a chi mette in discussione la tua esperienza? Quali strategie utilizzi per affrontare e gestire le critiche negative e mantenere la tua integrità e il tuo messaggio positivo?
Come accennato nelle risposte precedenti, è stato emotivamente complicato gestire le prime critiche. Con il tempo, ho imparato a trasformarle in opportunità di discussione per far comprendere il mio messaggio, soprattutto per sensibilizzare sul fatto che esistono storie che nessuno racconta per timore di essere giudicati, e chi decide di farlo merita il nostro sostegno per il grande coraggio dimostrato.
Sono felice di condividere ulteriormente una breve guida su come affronto le critiche:
1. Trasformare le critiche in discussione: accolgo le critiche come opportunità per spiegare meglio la mia esperienza e il mio punto di vista. Cerco di educare e informare le persone sulle sfumature e le complessità della mia storia, incoraggiando una conversazione costruttiva.
2. Mantenere il focus sul messaggio principale: mi concentro sempre sul motivo per cui ho deciso di condividere la mia storia. Mantenere il focus sul messaggio di speranza, coraggio o consapevolezza che voglio trasmettere ai miei follower è essenziale per me.
3. Rispondere con calma e rispetto: quando rispondo alle critiche, lo faccio con calma e rispetto. Evito polemiche e cerco di comunicare in modo chiaro e pacato, anche quando le critiche sono sfavorevoli.
4. Cercare il sostegno delle persone che comprendono: trovo conforto nel sostegno delle persone che capiscono e condividono le mie esperienze o il mio messaggio. Questo mi aiuta a mantenere la fiducia nel mio percorso e nel mio intento di sensibilizzare gli altri.
5. Non lasciare che le critiche mi scoraggino: è importante non permettere alle critiche negative di minare la mia determinazione o la mia fiducia nel mio racconto. Continuo a essere autentica e a condividere la mia storia con la consapevolezza che può ispirare e aiutare gli altri.

L’apertura del gruppo Telegram “Noi siamo una famiglia” è stata un’iniziativa molto apprezzata. Quali sono gli obiettivi a lungo termine di questo gruppo e come intendi raggiungerli? Quali attività o progetti specifici hai pianificato per supportare ulteriormente i membri della comunità?
Nell’ultimo periodo, a seguito di vari gravi eventi accaduti, tra cui denunce tra due membri del gruppo, ho preso una pausa per capire come impedire che i membri, anziché unirsi per solidarietà, si uniscano per manifestare il proprio dolore senza considerare quello degli altri. Non intendo assolutamente abbandonare i miei ragazzi, ma tengo molto a offrire loro un posto sicuro e amorevole, cosa che, nel corso dell’ultimo anno, a causa di alcuni membri, si è persa. Questo mi ha fatto stare molto male, soprattutto perché sono stati proprio quei ragazzi che stavo aiutando di più o che ho abbracciato unendo le nostre braccia. Quando sarò pronta a offrire nuovamente sicurezza e un ambiente tranquillo, sarò più che felice di creare iniziative che vadano oltre il digitale, come incontri faccia a faccia e attività di gruppo che favoriscano la comunicazione aperta e il reciproco rispetto. Vorrei promuovere un clima di fiducia e comprensione reciproca tra tutti i membri, incoraggiando la solidarietà e la collaborazione anziché la divisione. Sarà importante per me stabilire nuove regole e linee guida che assicurino il rispetto reciproco e il benessere di ogni membro del gruppo, in modo che possiamo essere una famiglia.
La tua relazione con la tua famiglia adottiva è stata un pilastro fondamentale nella tua vita. Quali valori e insegnamenti ti hanno trasmesso i tuoi genitori adottivi che ritieni essenziali nel tuo percorso di vita e nella tua missione di supportare gli altri? Puoi condividere qualche aneddoto o momento speciale che ha rafforzato questo legame?
Mi ricollego subito all’ultima domanda. C’è stato un episodio che mi ha fatto comprendere quanto bene mi vogliano i miei genitori. Un giorno mi buttai a terra e presi a pugni il pavimento. Continuavo a ricevere messaggi di minacce da parte dei miei parenti biologici, come per esempio: “Quando farai 18 anni verremo ad Agropoli e ti porteremo via”, motivo per cui insistei, senza dare troppe spiegazioni, ai miei genitori di festeggiare i miei diciotto anni lontano, e scegliemmo Firenze. È stato un giorno abbastanza difficile perché mi sentivo come se qualcuno volesse strapparmi dalla mia famiglia, ma poi lo dissi ai miei genitori e loro mi rassicurarono dicendo che non c’era bisogno di andare lontano, che comunque mi avrebbero protetta. Giorni prima, però, ebbi un forte crollo emotivo e iniziai a urlare forte. Provai un bruciore interiore indescrivibile, ma in quell’urlo si buttarono a terra anche i miei genitori e mia sorella e iniziammo a piangere insieme. Questa è una di quelle domande in cui scoppio sempre a piangere, come in questo esatto momento, perché quell’amore ricevuto in quelle urla ha sostituito tutto l’amore mancato nell’infanzia. Mi sono sentita davvero parte di una famiglia, mi sono sentita a casa. Sebbene il motivo di quella mia reazione l’abbia confessato dopo, i miei genitori hanno compreso che stavo soffrendo e si sono presi il mio dolore. Iniziai anche a parlare anni prima della mia storia, cosa che ci ha legato subito, ma questo accaduto ci ha resi un tutt’uno. Grazie a loro ho capito che l’amore guarisce ogni tipo di ferita, che il rispetto per se stessi e per gli altri è fondamentale, che la sensibilità e l’empatia non devono mai mancare e soprattutto che non c’è bene più grande della propria famiglia. Grazie a loro ho compreso la mia storia, ne ho fatto la mia forza, non provo più alcun rimorso perché ho esplorato ogni mancanza e ho cercato le risposte. Non odio i miei genitori biologici, anzi, li ringrazio, perché hanno acconsentito alla mia adozione, mi hanno dato la possibilità di vivere una vita felice, anziché riportarmi indietro. Ho compreso le difficoltà che avevano e la sopravvivenza attuata. Non è colpa di nessuno. Ogni vita inizia diversamente e la mia è iniziata con una cicatrice nel cuore, ma l’essere umano non è nato per soffrire e la stessa vita cerca di rimediare o di indirizzarti verso la strada giusta. I tempi di attesa, i documenti infiniti, i momenti di sconforto, le notti insonni, vengono trasformati un giorno in amore e ogni sforzo diventa solo un ricordo di una meravigliosa vittoria.

Recentemente hai lanciato il magazine digitale “AdoptLife”, che si propone di affrontare vari aspetti dell’adozione. Quali temi principali vengono trattati nella rivista e quali sono le tue aspettative per il suo impatto sulla società e sulle famiglie adottive? Come vedi il futuro di “AdoptLife” e quali sono i prossimi passi per far crescere questa iniziativa?
AdoptLife nasce su tre pilastri fondamentali: notizie, storie e risorse. Va oltre un semplice giornale; come dico spesso, è un punto di riferimento sull’adozione. Affrontiamo ogni aspetto dell’adozione così come dell’affido, con l’obiettivo di fornire una panoramica completa e approfondita su questi temi complessi e delicati. Nella sezione notizie, pubblichiamo aggiornamenti sugli sviluppi legislativi riguardanti l’adozione e l’affido, sia a livello nazionale che internazionale. Informiamo i nostri lettori su eventi, conferenze e seminari dedicati all’adozione, così come su iniziative di enti e associazioni che operano nel settore. La nostra missione è garantire che chiunque sia interessato all’adozione o all’affido sia sempre aggiornato e informato sulle ultime novità. Le storie personali sono il cuore pulsante di AdoptLife. Condividiamo testimonianze di adozione nazionale ed internazionale, racconti che mettono in luce le sfide e le gioie di chi vive questa esperienza. Queste storie non solo ispirano, ma aiutano anche a creare una maggiore consapevolezza e comprensione delle diverse dinamiche familiari. Offriamo risorse pratiche per chiunque sia coinvolto o interessato nell’adozione e nell’affido. Queste includono guide sugli aspetti psicologici e legali dell’adozione, consigli per affrontare le varie fasi del processo adottivo, e strumenti per la gestione delle sfide quotidiane. Inoltre, abbiamo rubriche culturali che trattano di libri, film e giochi legati all’adozione e all’infanzia. Questo approccio aiuta a normalizzare e integrare il discorso sull’adozione nella cultura popolare, rendendolo più accessibile e meno stigmatizzato. I consigli dei miei genitori adottivi sono particolarmente preziosi, offrendo una prospettiva diretta e pratica su come gestire le diverse situazioni. Spieghiamo il significato dell’adozione anche attraverso il gossip, mettendo in luce i pensieri dei personaggi noti sul tema. Di recente, abbiamo aperto uno sportello online per fornire supporto immediato a chi ne ha bisogno. Questo servizio è nato dall’esperienza maturata assistendo coppie nello scegliere l’ente per adottare, spiegando il percorso e aiutando i ragazzi nella ricerca delle origini. Il nostro sportello è una risorsa vitale per chi cerca risposte, consulenze o semplicemente una parola di conforto. Uno dei nostri obiettivi principali è affrontare e smantellare i pregiudizi legati all’adozione e all’affido. Attraverso articoli, testimonianze e risorse educative, cerchiamo di promuovere una maggiore comprensione e accettazione di queste pratiche. Vogliamo che la società veda l’adozione e l’affido non come ultime risorse, ma come scelte valide e amorevoli per costruire una famiglia. Per il futuro di AdoptLife, spero di trasformarlo in un magazine cartaceo disponibile mensilmente in tutte le edicole italiane e anche in altri paesi europei. Attualmente, non esiste a livello europeo un giornale sull’adozione e sull’affido, e vogliamo colmare questo vuoto. Continuando a lavorare attraverso le piattaforme social, apriremo ulteriori rubriche e selezioneremo nuove voci, affinché più professionisti possano contribuire con la propria esperienza a una buona cultura e educazione. L’obiettivo è creare una rete di supporto internazionale, dove le migliori pratiche e le storie ispiratrici possano essere condivise e celebrate. AdoptLife è più di un semplice progetto; è una missione. Vogliamo che ogni bambino abbia una famiglia amorevole e che ogni famiglia che decide di adottare o affidare possa farlo con tutte le informazioni, il supporto e le risorse necessarie. Crediamo che l’amore guarisca ogni ferita e che, con la giusta guida e comprensione, ogni storia di adozione possa diventare una storia di successo e di amore incondizionato.
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Attualità
“Elastic Heart”: la toccante storia di Nunzio Bellino diretta da Giuseppe...

Elastic Heart, il toccante cortometraggio diretto e sceneggiato da Giuseppe Cossentino, è ora disponibile su Amazon Prime Video. Il film racconta la straordinaria storia di Nunzio Bellino, l’uomo elastico affetto dalla rara Sindrome di Ehlers-Danlos, che ha affrontato discriminazioni e bullismo a causa della sua condizione.

Nunzio Bellino, protagonista del cortometraggio, interpreta se stesso con una naturalezza ed espressività fuori dal comune, portando sullo schermo un racconto di resilienza e speranza. La sua interpretazione intensa e commovente, insieme alla direzione poetica di Cossentino, offre uno sguardo profondo e umano sulle difficoltà e le ingiustizie vissute da chi è affetto da patologie rare.
“Elastic Heart” è una delle opere di spicco della quinta stagione di The Ticket Show, una raccolta d’autore di cortometraggi che celebra il meglio del cinema breve nel nostro paese. Disponibile gratuitamente per tutti gli abbonati a Prime Video, ogni stagione di The Ticket Show è composta da quattro cortometraggi unici, ciascuno capace di emozionare e sorprendere il pubblico.

Il lavoro di Cossentino ha già vinto numerosi premi ed è stato finalista in molti festival cinematografici, ricevendo ampi consensi per la sua capacità di sensibilizzare il pubblico sulle patologie rare e denunciare con forza il fenomeno del bullismo. La distribuzione di “Elastic Heart” su Amazon Prime Video da parte di Sud Sound Studios rappresenta un ulteriore riconoscimento del valore di quest’opera, che continua a parlare al cuore degli spettatori.
Il successo del cortometraggio ha ispirato anche la creazione di un libro fumetto intitolato “L’Uomo Elastico”, attraverso il quale Nunzio Bellino e Giuseppe Cossentino sono diventati testimonial contro ogni forma di discriminazione e violenza. Questa opera ha ricevuto riconoscimenti in contesti prestigiosi come il Festival del Cinema di Venezia e Casa Sanremo Writers 2024 durante il Festival di Sanremo.

Invitiamo tutti a guardare “Elastic Heart” su Amazon Prime Video e a lasciarsi toccare da una storia che va oltre il dolore per celebrare la forza e la dignità dell’essere umano. Un cortometraggio che, con la sua osservazione lucida e ferma, dà voce a chi non ne ha e illumina un fenomeno ancora troppo poco conosciuto.
Attualità
Roma celebra l’innovazione con i nuovi “Cestò”

Nel cuore pulsante della Capitale Italiana, un’epoca nuova di gestione dei rifiuti prende forma con l’arrivo dei moderni cestini “Cestò”. Questi eleganti contenitori sostituiranno i modelli precedenti, aumentando la loro presenza sulle strade cittadine a ben 18.000 unità, triplicando così la loro distribuzione attuale. Il nome stesso, “Cestò”, un brillante gioco di parole dialettale, riflette con calore l’inclusione di questi nuovi guardiani della pulizia urbana.
Origini del nome “Cestò”
Il nome “Cestò” deriva dal dialetto romanesco, giocando con l’espressione che significa letteralmente “ce sta” (ci sta) in italiano standard. Questo nome non solo rievoca la parlata locale, ma sottolinea anche la presenza essenziale di questi cestini nelle strade di Roma, come parte integrante del paesaggio urbano. La scelta del nome è un omaggio affettuoso alla cultura e alla storia della città, confermando l’identità romana di questo nuovo elemento di infrastruttura urbana.
Ispirato al design iconico introdotto durante il Giubileo del 2000, il nuovo “Cestò” combina estetica e funzionalità con materiali ignifughi e antideflagranti, garantendo sicurezza e resistenza, in linea con le più severe normative antiterrorismo. La scelta del polietilene ad alta densità (HDPE), un materiale leggero, riciclato e riciclabile, dimostra un impegno verso la sostenibilità ambientale, ponendo Roma all’avanguardia nella gestione responsabile dei rifiuti urbani.
La presentazione ufficiale del piano di posizionamento, avvenuta il 25 giugno in via dei Fori Imperiali, ha visto la partecipazione illustre del sindaco Roberto Gualtieri, dell’assessora ai Rifiuti Sabrina Alfonsi, del presidente di Ama Bruno Manzi e del direttore generale Alessandro Filippi. Le prime installazioni si concentreranno strategicamente nelle aree di San Pietro, Colosseo, piazza Venezia e Fori Imperiali, aumentando significativamente la disponibilità dei cestini del 70% in queste località chiave.
Il programma prevede l’installazione di ulteriori 2.800 cestini nei municipi I e VIII entro la fine di agosto, con una distribuzione graduale per tutti i municipi entro dicembre, in coincidenza con l’inizio del Giubileo. I cestini rimossi, ma ancora funzionali, saranno conservati per eventuali necessità future o eventi speciali, dimostrando un approccio olistico e proattivo nella gestione degli spazi urbani.

In parallelo, è stata avviata una campagna di comunicazione integrata per educare i residenti e i visitatori sull’importanza dell’utilizzo corretto dei nuovi “Cestò”. Il sindaco Gualtieri ha enfatizzato che tutti i cestini sono realizzati con materiali riciclati e monitorati attraverso un sistema georeferenziale avanzato, garantendo un servizio efficiente e responsabile.
Un ritorno alle origini: la gestione dei rifiuti nell’Antica Roma
Quest’iniziativa contemporanea offre un’opportunità unica di confrontare l’attuale gestione dei rifiuti con i metodi antichi dell’Impero Romano. Sebbene le strade romane fossero tenute pulite dai “coponii” o “quararii”, la gestione dei rifiuti all’epoca era primitiva rispetto agli standard moderni, con scarti spesso gettati nelle vie o nei fiumi, creando problematiche igieniche e di salute pubblica. Il contrasto con l’approccio tecnologico e sostenibile attuale evidenzia il progresso significativo verso una città più pulita e sicura.
Una città impeccabile: segno di civiltà e rispetto
L’introduzione dei nuovi “Cestò” a Roma rappresenta non solo un miglioramento nella gestione dei rifiuti, ma un impegno tangibile verso una città impreziosita dalla sua storia millenaria. Ogni “Cestò” invita i cittadini e i visitatori a custodire la bellezza e l’eredità culturale di Roma, contribuendo attivamente alla sua conservazione e vivibilità quotidiana. La cura di Roma è un atto di amore e rispetto, riflettendo l’impegno collettivo verso una coesistenza civile e sostenibile, testimoniando che il progresso civile non è solo ciò che costruiamo, ma anche come preserviamo e proteggiamo.
“I Cestò a Roma sono come note di una sinfonia antica, tessute tra le pietre millenarie della Città Eterna… Ogni Cestò, con la sua semplice presenza, riverbera un’ode alla bellezza e alla storia che pervadono ogni angolo di questa città eterna… È un invito poetico a custodire con amore e rispetto il tesoro di Roma, preservando la sua magia per le fortunate future generazioni…” (AnnA Del Bene)
Attualità
Intervista esclusiva a Diego Di Flora, voce e cuore del Napoli Pride

Diego Di Flora, appassionato organizzatore di eventi e fervente sostenitore dei diritti civili, è una figura centrale nel panorama dei Pride italiani. Con un’impegno incrollabile per la causa LGBTQI+ e una particolare attenzione alla qualità e al significato di ogni evento che dirige, Diego si dedica anima e corpo alla realizzazione del Napoli Pride. Quest’anno, oltre al suo ruolo a Napoli, affronta la sfida di dirigere anche il Pride di Noto, raddoppiando il suo impegno per la visibilità e la lotta per l’uguaglianza. La sua vita, animata dalla solidarietà fin da bambino, lo porta a essere non solo un organizzatore di eventi, ma un vero e proprio attivista per il cambiamento sociale.
La nostra intervista esclusiva
Salve Diego, quali eventi e manifestazioni sono previsti quest’anno per il prossimo Napoli Pride?
“In ogni Pride metto tanto ‘cuore’. La città di Napoli ha da sempre accolto con molta inclusione la parata e negli ultimi anni lo show finale. Per questo sono molto fiero della mia Napoli che mi regala ogni anno un’onda d’amore che invade l’intera città. C’è purtroppo ancora molto da fare in Italia, soprattutto in questo periodo storico, dove bisogna a tutti i costi manifestare ai Pride per la tutela dei Diritti fondamentali per ognuno di noi.”
La scelta della madrina dell’evento è ricaduta su Malika Ayane. Per quale motivo?
“Non ho avuto alcun dubbio, le ho scritto un whatsapp e dopo pochi minuti mi ha detto che sarebbe stata onorata di essere la madrina. Malika è sempre stata accanto alla comunità lgbtqi+ ogni giorno della sua carriera. Con la sua presenza conferma ancora una volta la sua posizione, mettendoci la faccia e in questo caso anche la voce per la tutela dei diritti. Senza troppe pretese, senza troppi divismi. Lei è solo felice di essermi accanto in questa edizione del Napoli Pride.”

Quanto è importante al giorno d’oggi, anche in vista della situazione politica italiana, manifestare il proprio orgoglio gay?
“È fondamentale per tutti noi esserci. Fin quando vivremo in un Paese dove esistono diversità legislative tra i cittadini è nostro dovere manifestare. I diritti civili dovrebbero andare di pari passo con le persone. Con tutte le persone. Per questo bisogna manifestare ai Pride, per non perdere quei pochi diritti acquisiti e per avanzare verso una vera uguaglianza. La prima e più banale risposta sull’importanza di manifestare ai Pride ha a che fare con il semplice fatto che un diritto non è mai conquistato per sempre, e che comunque con la legge si può arrivare solo fino ad un certo punto. Il movimento Lgbtqi+ non riguarda solo diritti e libertà legislative, ma anche libertà sociali e culturali che spesso non vanno alla pari con la legge. Ma soprattutto ci tengo a invitare le persone, tutte ad esserci, non si scende in piazza solo per se’: in molte parti del mondo le persone lgbtqi+ sono punite, torturate e allontanate dalla loro comunità. In 72 Paesi essere omosessuali è un reato. E questo va cambiato. E mi piace pensare che da Napoli si possa dare lezioni di coerenza e di inclusione.”
In che modo si può sostenere il Napoli Pride?
“Si può essere parte attiva dell’organizzazione. Le associazioni Alfi le maree, Antinoo Arcigay Napoli, ATN Associazione Trans Napoli e Pride Vesuvio Rainbow che insieme formano il Comitato Napoli Pride cercano l’intervento di volontari, collaboratori ma soprattutto si può sostenerli con una donazione.”
È anche direttore artistico del pride di Noto. Come mai questo doppio ruolo?
“Ho accettato l’invito dell’Arcigay Siracusa e del Comune di Noto come una doppia sfida. Sarà massacrante perché a distanza di soli 30 giorni mi occuperò di due Pride, ma io amo le sfide. Noto è una città molto attenzionata a livello internazionale, turisti da tutto il mondo fanno a gara per arrivare a Noto, quindi per me sarà stimolante dirigere una serata all’insegna della musica in un posto incantevole. Il 27 luglio ci sarà la prima edizione del Noto Pride.”

Quando è nata la sua passione per l’organizzazione degli eventi?
“Un po’ di anni fa ormai. Ho sempre amato il mio lavoro e provo a farlo con tutta la passione che ho. Decido io cosa dirigere, non accetto tutto. Non mi interessa fare numero ma solo la qualità dell’evento. Anzi solitamente quando mi propongono dei lavori a cui non sono interessato giro i numeri dei miei colleghi.”
Quando ha deciso di fare virare questa sua attività anche per cause dal forte valore civile, in tutela dei diritti, come i Pride?
“Sono stato educato alla cultura della solidarietà. Fin da bambino ho sempre aiutato chi era in difficoltà, mi piaceva essere disponibile. Nel tempo ho capito che potevo unire questa mia sensibilità col lavoro. Non mi sono mai più fermato e finché potrò sarò sempre al fianco di chi lotta per i diritti, per le disuguaglianze, per una malattia etc.”
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Attualità
Nuova “Casa dell’Acqua” inaugurata a Roma: un passo verso la...

Il giorno 12 giugno si è distinto nel calendario di Roma per l’avvio di un servizio che si prefigge di rivoluzionare l’approccio alla risorsa idrica nella capitale: è stata inaugurata una nuova Casa dell’Acqua. Questo particolare punto di erogazione si trova vicino alla Via Sacra, un luogo carico di storia, che funge da connessione vitale tra il Colosseo e il Foro Romano, due dei più significativi siti archeologici della città. Questo nuovo impianto si inserisce all’interno di una più ampia visione ambientale del gruppo Acea, avviata una decade fa, mirata a sensibilizzare la popolazione e i numerosi visitatori sulle tematiche del risparmio idrico e della sostenibilità. L’obiettivo di tale iniziativa è doppio: da un lato, stimolare una maggiore coscienza nell’uso dell’acqua, dall’altro, promuovere attivamente l’abbandono delle bottiglie di plastica monouso a favore di soluzioni più sostenibili come i contenitori riutilizzabili.
Decennale del progetto Casa dell’Acqua: tecnologia e tradizione
Le Case dell’Acqua rappresentano una moderna evoluzione delle storiche fontane di Roma, coniugando tradizione e innovazione tecnologica. Oltre alla distribuzione di acqua naturale e frizzante, queste strutture offrono servizi aggiuntivi quali prese di alimentazione elettrica per la ricarica di dispositivi mobili e la geolocalizzazione tramite l’app Acea Waidy Wow. Questa applicazione permette agli utenti, tra le altre cose, di monitorare il proprio livello di idratazione.
Un network in espansione
Da Roma, il progetto si è esteso in altre regioni quali Lazio, Toscana, Umbria, Campania e Molise. Ad oggi, il gruppo Acea gestisce circa 430 Case dell’Acqua, che distribuiscono gratuitamente oltre 110 milioni di litri d’acqua all’anno. L’espansione di questo network promuove la riduzione dei rifiuti plastici grazie all’uso di contenitori ricaricabili.
Commenti istituzionali sull’inaugurazione
Ornella Segnalini, assessora ai Lavori pubblici di Roma Capitale, ha espressamente lodato l’inaugurazione della nuova casetta dell’acqua, ricordando che solo due mesi fa sono stati installati tre nuovi nasoni nell’area del Colosseo. L’apertura della nuova Casa dell’Acqua rappresenta un ulteriore impegno verso la modernizzazione e l’ecosostenibilità.
Barbara Marinali, presidente del gruppo Acea, ha evidenziato l’importanza del decennale del progetto, sottolineando come esso risponda alle esigenze del territorio e della popolazione locale e dei visitatori, specie in previsione del prossimo Giubileo. All’evento è stata presente anche la vicepresidente del I municipio Alessandra Sermoneta.
L’impegno del Parco Archeologico del Colosseo
Alfonsina Russo, direttrice del Parco Archeologico del Colosseo, ha rimarcato l’integrazione di queste iniziative nel progetto PArCo Green, evidenziando come l’eco-sostenibilità rappresenti un obiettivo prioritario per il Parco. Questa sinergia tra il progetto delle Case dell’Acqua e le politiche ambientali del Parco Archeologico del Colosseo illustra un modello di gestione del patrimonio culturale che tiene conto della sostenibilità ambientale.
L’apertura della nuova Casa dell’Acqua di Roma è un esempio emblematico di come le infrastrutture moderne possano integrarsi armoniosamente con il contesto storico e culturale di una città, contribuendo al contempo alla salvaguardia ambientale e alla qualità della vita urbana. Questo progetto offre una risorsa preziosa per i residenti e i visitatori, sottolineando anche l’importanza di politiche ambientali proattive in contesti urbani densamente popolati e ricchi di storia.
“Con ogni nuova Casa dell’Acqua inaugurata, rafforziamo il nostro impegno verso un futuro in cui la sostenibilità ambientale e la salvaguardia delle risorse idriche diventano pilastri fondamentali nella costruzione di una comunità più consapevole e responsabile.” — Anna Del Bene
Attualità
Rai Pubblica Utilità al centro di We Make Future 2024

Rai Pubblica Utilità si afferma come attore centrale nel panorama dell’evento We Make Future, un appuntamento di rilevanza internazionale che si dedica alle nuove frontiere della tecnologia, del digitale e dell’intelligenza artificiale. L’edizione del 2024 si tiene a Bologna, dal 13 al 15 giugno, trasformando la città in un hub di innovazione e scambio culturale.
La cerimonia di apertura, elemento distintivo dell’evento, viene impreziosita dalla presenza di performer esperti nella Lingua Italiana dei Segni (LIS), che offrono una dimostrazione delle più avanzate produzioni di Rai Accessibilità.

Durante il We Make Future, Rai Pubblica Utilità non si limita a partecipare ma emerge come una delle figure di spicco, guidando dibattiti e panel di discussione e prendendo parte attiva a convegni e interviste. La sua presenza si distingue per l’impegno nel promuovere temi di accessibilità e inclusione, due pilastri fondamentali della sua missione.
Un inizio ricco di significato: La cerimonia di apertura
Gli artisti della LIS, presenti come abbiamo detto durante la cerimonia di apertur, trasformano un linguaggio tradizionalmente visivo in uno strumento di partecipazione e inclusione, dimostrando in modo tangibile come le barriere comunicative possano essere non solo superate ma trasformate in ponti di comprensione reciproca. La scelta di includere questi performer è un’affermazione potente del valore dell’accessibilità come principio fondamentale in tutte le sfere della società, dalla cultura alla tecnologia.


Attraverso questa performance di apertura, il We Make Future stabilisce subito un ambiente che celebra la diversità e l’accessibilità, sottolineando che l’innovazione tecnologica deve andare di pari passo con l’avanzamento sociale e l’inclusione di tutti gli individui, indipendentemente dalle loro capacità fisiche o sensoriali. Questo inizio simbolico ma potente serve come promemoria che la tecnologia, quando usata correttamente, è uno strumento che può demolire le barriere e costruire comunità più coese e inclusive.
Focalizzazione sull’accessibilità: una giornata di incontri e riflessioni
Il Venerdì 14 giugno si distingue come giornata chiave nel calendario del We Make Future, con un programma densamente popolato di incontri dal vivo, pianificato tra le 9:20 e le 13:00.
1. Televideo: Innovazione continua nell’accessibilità
La giornata si apre con l’intervento sul Televideo, la storica piattaforma che per quarant’anni ha giocato un ruolo cruciale nell’accessibilità dei contenuti media. Giuseppe Sangiovanni, Direttore di Rai Pubblica Utilità, insieme a Guido Barlozzetti, autore per la Rai, riflette su come questa tecnologia abbia continuato ad evolversi per rimanere rilevante e efficace. Particolare attenzione viene data ai servizi come i sottotitoli a pagina 777, che rappresentano un aiuto indispensabile per gli spettatori con difficoltà uditive, garantendo l’accesso alle informazioni anche in zone del paese meno servite dalla rete internet.
2. Design accessibile: Creare senza escludere
Segue un approfondimento sul design accessibile tenuto da Dina Riccò, Associate Professor al Dipartimento di Design del Politecnico di Milano. Il suo intervento pone l’accento su come il design possa e debba essere un catalizzatore per l’inclusione, attraverso la creazione di prodotti che non solo rispondano alle esigenze di tutti gli utenti, ma che anche ne facilitino l’autonomia nelle attività quotidiane. L’approccio che propone è radicale: progettare pensando a tutti gli utenti fin dalle prime fasi di concezione del prodotto, per evitare qualsiasi forma di esclusione.
3. Diritto alla cultura accessibile attraverso il Museo Omero
Il terzo appuntamento della giornata è incentrato sulla cultura accessibile, presentato da Andrea Socrati, noto per il suo impegno nell’educazione inclusiva e accessibilità nell’ambito artistico. Il focus è sul Museo Omero, situato in Italia, riconosciuto come un esempio pionieristico di accessibilità nell’arte. Questo museo, unico nel suo genere, ha implementato soluzioni innovative per rendere le opere d’arte accessibili a persone con disabilità visive, consentendo loro di esplorare e apprezzare l’arte attraverso il tatto e altri sensi, una pratica che sfida e arricchisce la percezione convenzionale dell’arte visiva.
4. Favorire l’accesso all’arte e alla cultura sin dall’infanzia
Segue una discussione su come l’accessibilità sia stata integrata nei programmi per bambini, presentata da Maria Chiara Andriello, manager dell’accessibilità per Rai Pubblica Utilità, insieme ad Angela Senatore, rappresentante dell’Antoniano di Bologna. Un esempio emblematico è la trasformazione dello Zecchino d’Oro, un celebre programma televisivo per bambini, adattato per essere fruibile anche da bambini con disabilità sensoriali. Questi adattamenti includono l’introduzione di audiodescrizione, sottotitoli e traduzione in Lingua dei Segni Italiana, dimostrando l’impegno nel rendere la cultura e l’intrattenimento accessibili fin dalla più tenera età, promuovendo così un ambiente inclusivo sin dall’inizio della formazione culturale e sociale dei giovani spettatori.
Pomeriggio di venerdì: Riflettori sulla comunicazione accessibile
Il segmento pomeridiano del We Make Future continua a concentrarsi sull’importanza dell’accessibilità, stavolta con un approccio particolare alla comunicazione. Tra le 15:20 e le 15:40, si svolge un panel di discussione che vede protagonisti Maria Chiara Andriello, Dina Riccò, e Andrea Socrati, che condividono riflessioni e approfondimenti tratti dal loro libro “Accessibilità comunicativa. Progettare contenuti per tutti”. Questo testo rappresenta una raccolta significativa di ricerche e case study che evidenziano le varie metodologie e pratiche migliori per assicurare che i contenuti mediatici siano fruibili da un pubblico il più vasto possibile, includendo quindi persone con disabilità sensoriali o cognitive.


Moderata da Michela La Pietra, vicedirettore di Rai Pubblica Utilità, la sessione offre un’occasione unica per esplorare le sfide e le soluzioni innovative nel campo della produzione di contenuti accessibili. Questo dialogo mira a sensibilizzare ulteriormente i creatori di contenuti e i professionisti dei media sull’importanza di considerare l’accessibilità fin dalle prime fasi di sviluppo di programmi, prodotti e servizi.
Approfondimenti scientifici e impatto sociale: Il sabato di We Make Future
La giornata di sabato si apre con un focus sulle ultime tecnologie nel campo della meteorologia, iniziando con un panel alle 9:20. Durante questo incontro, figure di spicco come Carlo Cacciamani, direttore dell’agenzia Italia Meteo, e Gabriella Scipione, Responsabile Data Management & Analytics HPC, esplorano come strumenti come satelliti, intelligenza artificiale, Digital Twins e tecnologie di realtà aumentata stiano rivoluzionando la raccolta e l’analisi dei dati meteorologici. Queste tecnologie non solo migliorano la precisione delle previsioni meteorologiche ma anche la comprensione e la gestione dei cambiamenti climatici a scala globale.
Campagna “Weather Kids” dell’UNDP: Educazione e azione
A seguire, alle 10:20, l’attenzione si sposta sulla sensibilizzazione al cambiamento climatico attraverso l’iniziativa “Weather Kids”, una campagna promossa dall’UNDP in collaborazione con RAI Meteo. Questa sessione, che vede la partecipazione di Malak Chabar, Communication and Project Analyst del UNDP Rome Centre for Climate Action and Energy Transition, e un contributo video di Boaz Paldi, Communications and Partnerships Specialist di UNDP, si propone di educare e mobilitare i giovani e il pubblico generale. La campagna “Weather Kids” punta a infondere una maggiore consapevolezza delle problematiche legate al clima e stimolare un’azione collettiva per affrontare questi impellenti problemi ambientali, sottolineando l’importanza dell’educazione climatica fin dalla giovane età.


Chiusura innovativa: Tecnologie forensi in evidenza
La sessione finale di We Make Future, prevista per le 10:40, si focalizza sulle recenti innovazioni nel campo delle tecnologie forensi, in particolare quelle applicate all’analisi degli incidenti stradali. Questo segmento evidenzia la collaborazione tra la Polizia Stradale e Rai Mobilità, che hanno unito le forze per sviluppare e implementare soluzioni tecnologiche avanzate. Questi nuovi strumenti permettono analisi più precise e rapide dei veicoli coinvolti in incidenti, migliorando così l’efficacia delle indagini e la sicurezza stradale.
Un palcoscenico per l’innovazione e l’inclusione
Con la conclusione di questo evento, We Make Future si riafferma come un punto di riferimento essenziale per il dibattito e lo sviluppo nel settore dell’accessibilità, dell’inclusione e della tecnologia avanzata. Rai Pubblica Utilità, attraverso la sua partecipazione attiva e le iniziative presentate, ha dimostrato un impegno costante e una leadership efficace, sottolineando il suo ruolo chiave nel promuovere un futuro più inclusivo e accessibile per tutti.
Attualità
Books for Peace: A Claudia Conte il prestigioso premio per l’impegno sociale

Durante l’evento sul disagio giovanile sono intervenuti insieme all’autrice, Questore Antidroga Antonio Pignataro, Carla Garlatti Autorità Garante per l’Infanzia, l’attrice Elisabetta Pellini. Ha moderato Marzia Roncacci TG2.
Il “Books for Peace 2024”, prestigioso riconoscimento dedicato alla valorizzazione dei libri, dell’arte e della cultura che trattano temi fondamentali quali la violenza di genere, il bullismo, le discriminazioni razziali e religiose, l’integrazione, la pace, è stato assegnato alla giornalista, attivista per i diritti umani e scrittrice Claudia Conte grazie al suo ultimo libro “La Voce di Iside”, romanzo che testimonia e offre uno sguardo intenso e profondo sul complesso tema del disagio giovanile, dell’isolamento, dei cambiamenti emotivi e sociali, e delle insicurezze delle nuove generazioni.

La cerimonia si e’ svolta mercoledì 12 giugno alle 18.30 a Roma presso la sede di Banca Generali, all’interno di una serata moderata dalla giornalista del Tg2 Marzia Roncacci, che ha avuto al centro il dibattito dal titolo ‘Disagio giovanile, come prevenire il male dei nostri giorni’. Insieme a Conte sono intervenuti il Questore antidroga Consulente Presidenza del Consiglio Antonio Pignataro, Carla Garlatti Autorità Garante dell’infanzia e dell’adolescenza , Claudio Saltari (Presidente Associazione di volontariato Donatorinati della Polizia di Stato). A leggere i brani del libro l’attrice e regista Elisabetta Pellini.
L’evento culturale, e’ stato organizzato da Andrea Petrangeli private banker di Banca Generali, ed è proseguito con firmacopie de “La voce di Iside” e cocktail di saluti
Con Carla Garlatti Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza.
Attualità
Atella Sound Circus: La magia delle arti circensi e della musica dal vivo

L’evento che trasforma Succivo in un palcoscenico incantato.
Per il settimo anno continua la fusione della magia delle arti circensi con quella della musica dal vivo. Un evento dedicato alla spensieratezza dei più piccoli e delle famiglie. Spettacoli unici con 17 artisti nazionali e internazionali, attività didattiche, formative e di intrattenimento con la possibilità di mangiare cibo tradizionale e sano.

Dal 27 al 30 giugno l’Associazione Artenova proporrà un vortice di musica, arte e divertimento in occasione della settima edizione dell’Atella Sound Circus, il Festival di musica e arti di strada che ha conquistato il cuore di migliaia di appassionati. Un evento imperdibile che trasformerà il Casale di Teverolaccio di Succivo in un mondo incantato.
Il festival è sostenuto dall’amministrazione comunale di Succivo, guidata dal Sindaco Salvatore Papa e dal delegato alla cultura Giuseppe Mitrano, che ha rinnovato il suo impegno confermando il patrocinio economico e morale. Un segno tangibile per valorizzare il territorio e promuovere eventi di grande qualità.
Un evento familiare con attività didattiche e di intrattenimento
L’Atella Sound Circus non è un semplice festival ma una celebrazione della bellezza delle arti circensi e degli artisti di strada. La fusione perfetta tra tradizione, classicità e innovazione si esprimerà attraverso spettacoli indimenticabili e performance mozzafiato.
Protagonisti 18 straordinari artisti di strada e circensi, buskers, musicisti di diverse estrazioni, pronti a stupire il pubblico con le loro performance uniche e coinvolgenti. Un’edizione che si preannuncia davvero speciale, all’insegna della scoperta di culture e sonorità diverse, per un’esperienza di viaggio sensoriale senza eguali con momenti di pura meraviglia e divertimento per grandi e piccini.




Il cast musicale è lungo e variegato, troviamo: Paolo Baldini col progetto DubFiles, considerato il miglior musicista e produttore reggae e dub italiano. E’ il bassista degli Almamegretta e ha collaborato con Africa Unite, B.R. Stylers, Jovanotti, Tre Allegri Ragazzi Morti e Mellow Mood. Prima di lui il giorno venerdì 28 giugno suonerà la promettente musicista napoletana, di base a Londra, Dub Marta. Il concerto buskers lo farà i Soulpalco gruppo votato alla musica tradizionale, tra tarantelle e tammurriate.
Sabato 29 giugno è la volta della Funky * Club Orchestra che coinvolgerà il pubblico in una maniera non indifferente a ritmo di funky, soul, elettronica e disco music. Prima di loro sul palco la musica dei trentini Electric Circus ricchi di groove funk, ricami blues, psichedelia e profumi world. Il concerto buskers ci farà fare un tuffo nelle sonorità degli anni 30 & 40, con l’Hot Swing Quartet tra jazz e swing jazz Manouche, in omaggio a Django Reinhardt, per arrivare poi alle sonorità balcaniche. Domenica 30 giugno chiudono i concerti di questa edizione La NovaBeat Orchestra e i buskers Do Brasil: i primi sono un collettivo di 15 musicisti di Napoli che affonda le radici nella musica Afrobeat. Una vera e propria Big Band capace di portare un carico di energia ed emotività da far muovere il pubblico in una danza libera e piena di gioia. I secondi vi faranno fare un viaggio nella musica popolare brasiliana. Do Brasil trio interpreterà sia brani famosi che brani più sofisticati, ispirati da João Gilberto, Chico Buarque, Elis Regina, Djavan e Caetano Veloso.
Novità di quest’anno è la giornata inaugurale dedicata interamente ai bambini! Grazie all’esperienza laboratoriale realizzata dall’Associazione ArteNova, durante l’ultimo anno scolastico, giovedì 27 giugno i più piccoli saranno i protagonisti indiscussi: appresi i rudimenti dell’arte di strada si trasformeranno in artisti e si esibiranno dal vivo. La giornata non è altro che il progetto conclusivo voluto l’inverno scorso dalla Preside Debora Belardo della scuola Rocco-Cinquegrana di Sant’Arpino e della Preside Loredana Russo della scuola Santagata di Gricignano insieme alla cooperativa E.V.A. di Casal di Principe. Il progetto è sostenuto da Save the Children.


Il 28 Giugno – alle ore 17:30 partecipazione gratuita con prenotazione via whatsapp al 3926649199 verrà riproposta la magia e il potere rigenerativo della Meditazione, accompagnati dal suono armonico delle Campane Tibetane.
Immersi nella natura, in uno “spazio di consapevolezza”, sarà possibile riconnettersi al respiro, stare in ascolto di sé, aprire il cuore alle emozioni e lasciarsi coinvolgere dall’atmosfera circense che ci circonda.
L’arte del busking, con la sua nobile e affascinante tradizione, sarà il cuore pulsante dell’Atella Sound Circus. Gli spettatori potranno immergersi completamente nella magia di questo mondo straordinario, scoprendo le abilità e la creatività degli artisti di strada, e lasciandosi coinvolgere da performance che resteranno impresse nella memoria.





Gli artisti di strada
TADAM CIRCO
TaDam – Compagnia e Scuola di Circo-Teatro nasce nel 2015 diventando una dei primi ad aver portato il circo a Piacenza. Si esibiscono con spettacoli di teatro, giocoleria, manipolazione, cerchio aereo, trapezio statico, trampoli.
CIRCO ENTERO
Nahuel Iribarren e Lucia Villaseco sono artisti di Buenos Aires che viaggiano a bordo della loro F100 nella quale trasportano gioia, risate e grande qualità artistica. Si esibiranno con spettacoli comici di giocoleria e trapezio.
DJACO
Nome d’arte di Giacomo di Vona dalla provincia di Frosinone. Il suo spettacolo è “The Animal Freak Show” spettacolo multidisciplinare che fonde tecniche di circo comicità e follia.
GAHIA FIORINI
Gahia si esibisce con “Mrs. Rompibolle” uno dei suoi spettacoli di bolle di sapone adatto a tutta la famiglia. Inoltre svolge laboratori creativi in cui realizza braccialetti e treccine colorate insieme ai bambini.
NICOLA MACCHIARULO
In arte “Il Macchiarlo” propone uno spettacolo in cui la giocoleria, la magia e il mimo sono al servizio del gioco clownesco di questo personaggio a cui…” va tutto storto”. Uno spettacolo che con l’aiuto del pubblico… se tutto va bene … andrà malissimo.
GIULIO LINGUITI
Coinvolgente ed emozionante IN CERCHIO è uno spettacolo poetico in equilibrio fra virtuosismo acrobatico e monologo teatrale. Tra i pochi spettacoli di strada italiani su ruota Cyr che si distingue per l’utilizzo della parola usata come mezzo espressivo al pari della tecnica circense.
PYROVAGHI
Nicola, appassionato di circo contemporaneo, e Marilù, legata da anni al mondo del teatro, si sono incontrati nel 2016 dopo anni di carriere separate e hanno dato vita al duo Pyròvaghi con lo spettacolo “Back To Life” un forte messaggio contro la violenza di genere è uno spettacolo di strada originale e commovente in cui il teatro si serve dell’antica Danza del Fuoco Indiana e delle tecniche di giocoleria per raccontare la storia di una donna scappata dalla violenza e la sua rinascita. Non è la violenza ad essere in scena ma quel delicato momento in cui lei reimpara ad amarsi e ad utilizzare le proprie ferite per costruire le basi di una nuova vita.
Scuola di Danza ENSEMBLE
Sotto la direzione di Rosaria De Donato ci saranno le Esibizione di danza delle giovani allieve
ROBERTO PALLONCINI
Artista di strada di Torino specializzato nell’arte di creare con i suoi palloncini qualsiasi personaggio o strumento amato dai bambini. Un vero pozzo di inventiva e creatività.
LA MURGA LOS ESPOSITOS
La Murga Porteña è una potentissima arma di protesta, variopinta, gioiosa e rumorosa che nasce in Argentina a Buenos Aires. A Napoli la Murga Los Espositos ne assorbe la cultura unendola all’arte ai colori e allo spirito della sua città. Nata nel 2016 all’interno del Giardino Liberato di Materdei, la Murga Los Espositos coniuga musica, danza e teatro, portando in strada i valori di condivisione e inclusione.Ci piace pensare che la nostra sia una murga napulegna in cui- come avviene sempre a Napoli- tutti si avvicinano, si connettono e si influenzano reciprocamente, creando così un’anima collettiva e forte. Il nostro desiderio è quello di contagiare chi ci incontra, travolgendolo nella libertà di espressione senza paura.
Non mancheranno le delizie culinarie, grazie agli Stand gastronomici e i Food Truck con prodotti tipici locali per garantire a tutti un’esperienza culinaria sana e gustosa.
Attualità
Nella mente di Vettor Pisani | FOLIGNO, inaugurata la mostra al CIAC dal 9 giugno al 22...

Il Ciac di Foligno dedica una vasta mostra antologica a Vettor Pisani, uno degli artisti più rappresentativi della scena internazionale dell’arte contemporanea tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo. E’ stata inaugurata la mostra “Vettor Pisani. Viaggio ai confini della mente”, dal 9 giugno al 22 settembre 2024 nel Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno, a cura di Italo Tomassoni.
La mostra è promossa e sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno; l’organizzazione è realizzata in collaborazione con Maggioli Cultura e Turismo.
La mostra comprende oltre 50 capolavori accuratamente selezionati tra le opere degli anni Settanta e quelle della produzione successiva, intensissima fino alla morte dell’autore. È possibile anche prendere visione del raro materiale fotografico relativo alla documentazione delle performance che, irripetibili, non sono altrimenti documentabili. In particolare sono esposti i materiali relativi a “L’Androgino. Carne umana e oro” (1971), nella realizzazione presentata a Roma nella storica mostra “Contemporanea”(1973), e quelli relativi a “Storie di Eroi. La parte assassinata” (1975).

La mostra presenta anche un polittico di 8 opere di Vettor Pisani ricomposto come piramide rovesciata da Mimma Pisani nel 2012.
Refrattario alle poetiche in voga negli anni settanta, Vettor Pisani (1934-2011) ha elaborato una visione dell’arte ispirata al mito e alle credenze magiche e religiose dell’ermetismo e delle dottrine anteriori al cristianesimo. Dotato di una sconfinata cultura sapienziale, ha creato opere visionarie che affrontano il problema della verità nell’arte e i grandi temi dell’esistenza.
Esordito con l’elaborazione di grammatiche corporali votate al culto dell’enigma, il suo linguaggio si evolve nella direzione di un attraversamento critico della storia dell’arte e, in particolare, dell’arte simbolista dell’Europa centrale. Critico e revisionista nei confronti delle avanguardie storiche e delle tendenze che caratterizzano l’arte contemporanea, trova fonte di ispirazione nel pensiero di Schopenhauer e di Nietzsche, nella poesia di Novalis e Von Kleist, nella pittura di Boeklin, Khnopff, Moreau, nonché nella cultura dell’alchimia e della psicanalisi. Della contemporaneità condivide criticamente le opere di Marcel Duchamp, Joseph Beuys, Ives Klein e Gino de Dominicis.

La mostra è curata da Italo Tomassoni che ha avuto un lungo sodalizio con l’artista che, per lunghi e ripetuti periodi, è stato suo ospite a Foligno. Durante l’esposizione viene radiodiffusa, in sottofondo, la voce di Vettor Pisani, conservata in sei nastri magnetofonici.
Le opere provengono da varie collezioni e, per la parte più cospicua, dalla collezione della Fondazione Morra di Napoli, dal Museo Vettor Pisani di Caggiano e dalla collezione Pieroni-Stiefelmeier di Roma, ma anche dalla Collezione Jacorossi di Roma, Cardelli e Fontana di Sarzana, Collezione Paneghini di Busto Arsizio. Saranno a corredo un’ampia raccolta di cataloghi, fotografie, documenti e materiali inediti.
Una particolare sezione documentale alla memoria è dedicata alle pubblicazioni di Mimma Pisani, moglie, ispiratrice, critica profonda e, talvolta, performer dell’artista. Sono esposte anche testimonianze fornite da Luciana Pisani, sorella di Vettor e, anch’essa, sua fedele performer.

Vettor Pisani è stato anche un infaticabile scrittore, autore di una ingente quantità di romanzi saggio sui quali la critica non si è ancora soffermata abbastanza. In mostra è possibile ammirare la quasi totalità di queste rare pubblicazioni, importanti perché confluiscono nel grande progetto pisaniano dell’Opus Magnum. I romanzi, circa trenta, sono un supporto creativo indispensabile per comprendere il significato dell’opera di Pisani nel suo complesso, oltre ad una riconosciuta componente organica della creatività totalizzante dell’autore. Questo corpus di scrittura, che tratta del Mito e del culto di Mnemosine, riveste una rilevanza degna del Warburg Institute di Londra ed è sottolineata nella prospettiva della realizzazione di un Archivio scientifico e di una Bio-Bibliografia intellettuale.
Il CIAC, con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno, produrrà anche il catalogo della mostra.