Economia
Bonus casa, ultima scadenza per la cessione del credito il...
Bonus casa, ultima scadenza per la cessione del credito il 4 aprile. Stop alla remissione in bonis
C’è tempo fino al 4 aprile 2024 per l’invio della comunicazione per la cessione del credito relativa ai bonus casa. Stop alla possibilità di remissione in bonis entro il termine di invio della dichiarazione dei redditi
Bonus casa, la scadenza per la comunicazione di cessione del credito del 4 aprile prossimo sarà definitiva. Questo il termine finale per optare per la modalità alternativa all’utilizzo in detrazione fiscale dei bonus edilizi.
Per effetto delle novità approvate nel corso del Consiglio dei Ministri del 26 marzo viene meno l’ulteriore chance di remissione in bonis entro la scadenza per la presentazione della dichiarazione dei redditi 2024.
Bonus casa, ultima scadenza per la cessione del credito il 4 aprile 2024
La scadenza per la comunicazione delle opzioni relative alla cessione del credito relative ai bonus casa è stata spostata dal 16 marzo al 4 aprile prossimo.
Il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate pubblicato il 22 febbraio ha concesso un margine di tempo superiore per effettuare l’adempimento necessario per perfezionare la cessione del credito.
La scadenza di giovedì 4 aprile interessa in particolare i contribuenti che nello scorso anno hanno sostenuto spese per lavori in casa per i quali è ancora ammessa la cessione del credito, al pari dei beneficiari delle detrazioni riferite alle spese sostenute nel 2020, 2021 e 2022 ai fini della cessione delle rate non ancora fruite.
Si tratta di uno degli appuntamenti più importanti in calendario per chi intende monetizzare le detrazioni fiscali in quanto, ad esempio, è incapiente e non può fruire dei bonus edilizi in dichiarazione dei redditi non avendo IRPEF sufficiente per “assorbire” la quota annua spettante.
Dal punto di vista operativo, ai fini della comunicazione per la cessione del credito in relazione al superbonus e agli altri bonus edilizi sarà necessario accedere all’area riservata del sito dell’Agenzia delle Entrate e selezionare il link denominato “Comunicazioni opzioni per interventi edilizi e Superbonus”.
L’invio dovrà essere effettuato entro il prossimo 4 aprile e i crediti ceduti saranno quindi visibili nel Cassetto Fiscale del beneficiario entro il giorno 10 del mese successivo, ai fini dell’accettazione e conseguentemente dell’utilizzo in compensazione.
Non vi saranno seconde opportunità per chi non effettuerà l’invio per tempo: salta la possibilità di remissione in bonis entro la scadenza della dichiarazione dei redditi 2024.
Cessione dei crediti, stop alla remissione in bonis
Fino allo scorso anno, la mancata trasmissione entro la scadenza del modello per l’esercizio dell’opzione per la cessione del credito poteva essere sanata mediante la remissione in bonis.
La possibilità di regolarizzare l’omissione, entro la scadenza della dichiarazione dei redditi e versando una somma pari a 250 euro, viene ora meno per effetto delle novità introdotte dal decreto legge in materia di agevolazioni fiscali approvato nel corso del Consiglio dei Ministri del 26 marzo.
La linea del Governo sul superbonus e, più in generale, sulle regole per la fruizione dei bonus edilizi introdotte dal Decreto Rilancio, si fa sempre più rigida. Per quel che riguarda lo stop alla remissione in bonis, alla base della scelta operata vi è la necessità di acquisire l’”ammontare complessivo delle opzioni esercitate e delle cessioni stipulate”. Questo quanto riportato nel comunicato stampa diramato da Palazzo Chigi.
Chi non opterà per la cessione del credito entro il 4 aprile avrà quindi come unica opportunità quella dell’utilizzo dei bonus fiscali in detrazione.
Porte sbarrate al momento sul fronte di possibili soluzioni alternative per gli incapienti che, anche a fronte del caos legato alla repentina evoluzione normativa relativa al superbonus, non hanno ancora individuato cessionari pronti all’acquisto delle somme maturate.
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Webuild, bilancio e nuovo Cda lanciano titolo in Borsa...
Giornata particolarmente brillante in Borsa per Webuild che, dopo l'approvazione del bilancio 2023 e la nomina del nuovo Consiglio di amministrazione, che ha riconfermato Pietro Salini come amministratore delegato, chiude la seduta odierna di scambi in deciso rialzo: il titolo balza a quota +5,17% attestandosi a 2,27 euro per azione.
L'assemblea degli azionisti della società, riunitasi questa mattina, ha approvato anche la distribuzione di un dividendo per un importo pari a 0,071 euro per ciascuna azione ordinaria ed 0,824 euro per ciascuna azione di risparmio esistente ed avente diritto al dividendo alla data di stacco della cedola.
Quanto al nuovo cda, composto da 15 membri, vede Gian Luca Gregori con funzioni di presidente, oltre a Davide Croff, Moroello Diaz della Vittoria Pallavicini, Paola Fandella, Francesca Fonzi, Flavia Mazzarella, Itzik Michael Meghnagi, Francesco Renato Mele, Teresa Naddeo, Alessandro Salini, Pietro Salini, Serena Torielli, Michele Valensise, Laura Zanetti e Francesco Chiappetta.
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Benché l’Italia abbia un bassissimo numero di laureati (in Europa unicamente la Romania ha risultati peggiori), all’interno del bilancio pubblico il comparto universitario pesa in maniera significativa. Secondo l’ultimo rapporto dell’Anvur, il Fondo per il finanziamento ordinario (Ffo) delle università ammonta a 9,205 miliardi di euro, che vanno a coprire più dei 2/3 delle necessità delle università statali. Di questa somma, soltanto lo 0,73% (68 milioni di euro) è destinato alle università non statali, sia tradizionali sia telematiche.
A giudizio di Aurelio Mustacciuoli, responsabile Studi e Ricerche di Free Academy, “limitandoci a considerare l’Ffo lo studente di un’università statale ogni anno costa al contribuente ben 5.701 euro, mentre di media uno studente delle università private costa 195 euro. Se poi si considerano le università telematiche (lasciando quindi da parte gli atenei privati tradizionali: la Bocconi di Milano, la Luiss di Roma ecc.) le risorse che lo Stato destina alle università online ammontano a soli 2,8 milioni”. Questo significa che uno studente universitario telematico grava sullo Stato per la risibile cifra di 12,5 euro: lo 0,21% di quanto costa in media uno studente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, della Sapienza di Roma o della Federico II di Napoli.
Non basta. La maggior parte delle università telematiche sono fondazioni, ma alcune di loro – quelle più 'sotto attacco' da parte dei difensori dello status quo – sono società di capitali e quindi ogni anno versano somme considerevoli all’erario. Sempre ad avviso di Mustacciuoli, “considerando unicamente il gruppo universitario Multiversity (che è controllato dal fondo Cvc Capital Partners e che include Unipegaso, Mercatorum e San Raffaele Roma) nel 2022 per le sole imposte dirette è stato registrato un esborso di 43 milioni di euro: il che significa che soltanto questi tre atenei online danno allo Stato ben 15 volte quanto tutte le università telematiche nel loro insieme ottengono in forma di Ffo”. Quindi vi sono ben 5050 studenti italiani delle università pubbliche che possono studiare grazie alle entrate fiscali garantite dal gruppo Multiversity.
Da questo punto di vista, una crescita degli atenei privati telematici – la cui retta è mediamente assai inferiore al costo che ogni studente comporta per le casse statali – condurrebbe non soltanto a un minor costo complessivo per ogni studente, ma aiuterebbe anche a ridurre l’esorbitante prelievo fiscale che grava sulle imprese, sulle famiglie e sui lavoratori.
In conclusione, secondo Mustacciuoli, “alla luce dei dati sopra riportati è chiaro che lo studente tradizionale costa allo Stato ben 5.701 euro soltanto per l’Ffo, mentre ognuno degli oltre 144 mila studenti di Unipegaso, Mercatorum e San Raffaele Roma (a.a. 2022-23) porta alle casse statali 331 euro. Si tratta di cifre che devono far riflettere”.