Economia
Ucraina, pil russo trainato da spese militari, triplicate...
Ucraina, pil russo trainato da spese militari, triplicate dal 2021 al 2024
La Russia è diventa un'economia di guerra a tutti gli effetti. La ripresa della crescita russa dal 2023 ha sorpreso molti osservatori che due anni fa prevedevano una forte recessione, a causa delle sanzioni internazionali legate all'invasione russa dell'Ucraina il 24 febbraio 2022. Per il 2024 il Fondo monetario internazionale nei giorni scorsi ha stimato che il pil russo dovrebbe crescere del 2,6%, ben 1,5 punti in più rispetto a quanto si aspettava lo scorso autunno (per il 2025 si stima un pil a +1,1%). A spingere la crescita economica russa, in questa fase, è la spesa pubblica per gli armamenti che crea uno stimolo temporaneo all'attività economica. "I conflitti passati indicano che è comune, in tempi di guerra, che la crescita sia sostenuta per un certo periodo dalle spese militari, ma questo dinamismo è generalmente seguito da una ricaduta", osserva un report di Asteres.
Nella primavera del 2022, osserva Sylvain Bersinger, "a seguito delle sanzioni contro la Russia numerosi analisti prevedevano una grave crisi economica". L'Fmi, nell'aprile del 2022, puntava su una contrazione annua del pil dell'8,5%. "Se la Russia è effettivamente entrata in recessione, il calo dell'attività si è limitato a un -2,1% e il rimbalzo è iniziato nel 2023. La Russia è riuscita a eludere le sanzioni commerciali grazie alla Cina o spostando i flussi commerciali attraverso paesi terzi. Soprattutto, il paese ha effettuato spese militari pubbliche importanti a sostegno dell’attività. Tra il 2021 e il 2024 si prevede che il bilancio militare del Paese triplicherà, il che rappresenterebbe uno stimolo di bilancio dell’economia russa pari a circa il 4% del pil. La crescita economica russa, stimolata dalla spesa pubblica, probabilmente crollerebbe se le spese militari venissero ridotte".
Tuttavia, osserva l'analista, "le guerre e le conseguenti spese militari stimolano l’attività economica ma solo nel breve periodo. L'analisi delle guerre napoleoniche, della prima guerra mondiale e della seconda guerra mondiale dimostrano che l’economia è inizialmente stimolata dalle spese militari ma alla fine la crescita si inverte una volta terminato il conflitto".
Il pil pro capite del Regno Unito, osserva Bersinger analizzando il periodo delle guerre napoleoniche, "è rimasto sostanzialmente stabile per tutta la prima parte del XIX secolo, ma ha subito un calo dopo il 1815", ossia dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo il 18 giugno 1815. Secondo i dati del Madison Project, rileva l'analista, il pil pro capite del Regno Unito è sceso per alcuni anni raggiungendo il minimo nel 1819, probabilmente a causa della diminuzione delle spese militari alla fine della guerra. Per la maggior parte dei belligeranti, il punto più basso in termini di pil pro capite, sottolinea ancora, "viene raggiunto dopo la guerra". Per quanto riguarda la prima guerra mondiale, "nel caso del Regno Unito o degli Stati Uniti (direttamente impegnati da 1917), il pil pro capite rimase elevato fino al 1918, poi diminuì per diversi anni. Questa tendenza è probabilmente spiegata dall’aumento delle spese militari durante la guerra, il cui effetto positivo sulla crescita si è dissipato a partire dal 1918".
In Francia, osserva, "il pil pro capite è rimasto stabile fino al 1916 per poi crollare oltre il 25%, probabilmente a causa della distruzione delle infrastrutture. Il caso della Germania è leggermente diverso, poiché la crescita economica tedesca non sembra aver beneficiato di un notevole impulso della spesa militare. Tuttavia, come nei casi dell'Inghilterra e degli Usa si registra una contrazione di pil pro capite alla fine della guerra".
Per quanto riguarda la seconda guerra mondiale, sottolinea l'analista, "la spesa militare stimolò l'economia americana fino al 1945. L'analisi dell'evoluzione del pil pro capite francese, britannico e tedesco è falsato dall’entità delle distruzioni e della disorganizzazione causata dalla guerra (bombardamenti e occupazioni). L’esempio americano è forse, dal punto di vista economico, il più ricco di insegnamenti dal momento che i combattimenti non si sono svolti nel paese. Il pil pro capite statunitense è cresciuto fortemente fino al 1945, spinto dalle spese militari che aumentarono fortemente fino a raggiungere il 40% del pil (contro 3,1% del pil nel 2023). Poi, quando le spese militari diminuirono dopo la guerra (7% del pil dedicato alle spese militari alla fine degli anni ’40), il pil pro capite degli Stati Uniti si contrasse e non ha ritrovato il suo livello del 1945 prima degli anni '50".
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Ita-Lufthansa, rinvio in vista: l’Ue attende nuove...
Bruxelles teme che con il matrimonio tra le compagnie venga ridotta la concorrenza
Sulla questione Ita Airways e Lufthansa la Commissione europea attende nuove proposte sul taglio delle rotte con un probabile rinvio della decisione a metà giugno. Per l'acquisto del 41% di Ita il gruppo tedesco vuole investire 325 milioni ma Bruxelles teme che con il matrimonio tra le compagnie venga ridotta la concorrenza.
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Webuild, bilancio e nuovo Cda lanciano titolo in Borsa...
Giornata particolarmente brillante in Borsa per Webuild che, dopo l'approvazione del bilancio 2023 e la nomina del nuovo Consiglio di amministrazione, che ha riconfermato Pietro Salini come amministratore delegato, chiude la seduta odierna di scambi in deciso rialzo: il titolo balza a quota +5,17% attestandosi a 2,27 euro per azione.
L'assemblea degli azionisti della società, riunitasi questa mattina, ha approvato anche la distribuzione di un dividendo per un importo pari a 0,071 euro per ciascuna azione ordinaria ed 0,824 euro per ciascuna azione di risparmio esistente ed avente diritto al dividendo alla data di stacco della cedola.
Quanto al nuovo cda, composto da 15 membri, vede Gian Luca Gregori con funzioni di presidente, oltre a Davide Croff, Moroello Diaz della Vittoria Pallavicini, Paola Fandella, Francesca Fonzi, Flavia Mazzarella, Itzik Michael Meghnagi, Francesco Renato Mele, Teresa Naddeo, Alessandro Salini, Pietro Salini, Serena Torielli, Michele Valensise, Laura Zanetti e Francesco Chiappetta.
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Università, Free Academy: “Atenei tradizionali e...
Benché l’Italia abbia un bassissimo numero di laureati (in Europa unicamente la Romania ha risultati peggiori), all’interno del bilancio pubblico il comparto universitario pesa in maniera significativa. Secondo l’ultimo rapporto dell’Anvur, il Fondo per il finanziamento ordinario (Ffo) delle università ammonta a 9,205 miliardi di euro, che vanno a coprire più dei 2/3 delle necessità delle università statali. Di questa somma, soltanto lo 0,73% (68 milioni di euro) è destinato alle università non statali, sia tradizionali sia telematiche.
A giudizio di Aurelio Mustacciuoli, responsabile Studi e Ricerche di Free Academy, “limitandoci a considerare l’Ffo lo studente di un’università statale ogni anno costa al contribuente ben 5.701 euro, mentre di media uno studente delle università private costa 195 euro. Se poi si considerano le università telematiche (lasciando quindi da parte gli atenei privati tradizionali: la Bocconi di Milano, la Luiss di Roma ecc.) le risorse che lo Stato destina alle università online ammontano a soli 2,8 milioni”. Questo significa che uno studente universitario telematico grava sullo Stato per la risibile cifra di 12,5 euro: lo 0,21% di quanto costa in media uno studente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, della Sapienza di Roma o della Federico II di Napoli.
Non basta. La maggior parte delle università telematiche sono fondazioni, ma alcune di loro – quelle più 'sotto attacco' da parte dei difensori dello status quo – sono società di capitali e quindi ogni anno versano somme considerevoli all’erario. Sempre ad avviso di Mustacciuoli, “considerando unicamente il gruppo universitario Multiversity (che è controllato dal fondo Cvc Capital Partners e che include Unipegaso, Mercatorum e San Raffaele Roma) nel 2022 per le sole imposte dirette è stato registrato un esborso di 43 milioni di euro: il che significa che soltanto questi tre atenei online danno allo Stato ben 15 volte quanto tutte le università telematiche nel loro insieme ottengono in forma di Ffo”. Quindi vi sono ben 5050 studenti italiani delle università pubbliche che possono studiare grazie alle entrate fiscali garantite dal gruppo Multiversity.
Da questo punto di vista, una crescita degli atenei privati telematici – la cui retta è mediamente assai inferiore al costo che ogni studente comporta per le casse statali – condurrebbe non soltanto a un minor costo complessivo per ogni studente, ma aiuterebbe anche a ridurre l’esorbitante prelievo fiscale che grava sulle imprese, sulle famiglie e sui lavoratori.
In conclusione, secondo Mustacciuoli, “alla luce dei dati sopra riportati è chiaro che lo studente tradizionale costa allo Stato ben 5.701 euro soltanto per l’Ffo, mentre ognuno degli oltre 144 mila studenti di Unipegaso, Mercatorum e San Raffaele Roma (a.a. 2022-23) porta alle casse statali 331 euro. Si tratta di cifre che devono far riflettere”.