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Salute e Benessere

Terapia genica, mRna e le sfide per la medicina del futuro....

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Terapia genica, mRna e le sfide per la medicina del futuro. Parla Auricchio, direttore Tigem

Dai progetti dell'Istituto Telethon di Pozzuoli al nodo della sostenibilità delle terapie per i malati rari. Gli studi sul taglia e incolla del Dna, ma anche il lavoro per trovare nuove missioni a 'vecchi' farmaci. "Vogliamo spingere per portare l'innovazione fino al paziente"

Alberto Auricchio da metà aprile è il nuovo direttore dell'Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem)

Era fine gennaio 2024 quando sul 'New York Times' veniva raccontata la storia di Aissam Dam, 11enne cresciuto in un abisso di silenzio che aveva potuto sentire la voce del papà per la prima volta, emozionandosi. Affetto da una forma di sordità ereditaria, Aissam è diventato la prima persona a ricevere negli Stati Uniti la terapia genica per questa patologia. Tutto ciò è stato possibile anche perché dall'altra parte dell'Oceano a diverse migliaia di chilometri di distanza - per la precisione in Italia al Tigem di Pozzuoli (Napoli) - un gruppo di scienziati si è messo al bancone del laboratorio e ha studiato un modo per superare uno dei limiti della terapia genica: l'impossibilità per i piccoli vettori virali utilizzati per il 'trasporto' di impacchettare geni di grandi dimensioni per portarli a destinazione dove dovranno correggere il difetto all'origine della patologia.

Fra quegli scienziati c'era anche Alberto Auricchio, che da metà aprile è il nuovo direttore dell'Istituto Telethon di genetica e medicina (il Tigem, appunto). E superare gli ostacoli e le questioni di 'taglia' che impediscono alla terapia genica in vivo di ampliare i suoi orizzonti è una delle scommesse del centro. Insieme a un'altra frontiera su cui si sta "investendo tanto": l'editing genomico, le famose 'forbici molecolari' per il taglia e incolla del Dna. Un ulteriore filone promettente, spiega ancora Auricchio all'Adnkronos Salute, è quello delle ricerche che puntano a trovare nuove missioni per 'vecchi' farmaci, molecole già approvate per le quali al Tigem si studia un riposizionamento. "Abbiamo gruppi di ricerca che si occupano di capire se farmaci già approvati per alcune malattie possano avere un effetto benefico anche in modelli cellulari di malattie genetiche di nostro interesse. E' il caso di alcune malattie del metabolismo che potrebbero beneficiare di alcune di queste piccole molecole di sintesi chimica. Ci sono diversi farmaci al vaglio, ma tre di questi stiamo considerando di portarli avanti, sottoponendoli a delle prove successive con l'eventualità di arrivare poi ai pazienti".

La ricerca in Istituto, racconta Auricchio, è organizzata in tre aree in cui lavorano gruppi di ricerca indipendenti. "Sono programmi che fondamentalmente ripercorrono i passaggi cruciali della ricerca sulle malattie genetiche. La prima area è 'Medicina genomica', e si occupa di comprendere le basi genetiche delle malattie ereditarie di nostro interesse con degli approcci innovativi di omica (genomica, trascrittomica, proteomica). Poi c'è l'area 'Biologia cellulare delle malattie genetiche' che invece si concentra su quali sono i meccanismi che vengono alterati come conseguenza della mutazione genetica in una specifica malattia. Infine, il terzo programma è quello della 'Terapia molecolare'", che si occupa proprio di sviluppare nuove opzioni terapeutiche, "è un programma principalmente di terapia genica ma anche di terapie farmacologiche", illustra l'esperto.

Si comincia dunque identificando la mutazione genetica, poi si studia il meccanismo della malattia, per poi arrivare alla terapia. Questo lo stato dell'arte oggi. "Da medico pediatra esperto di terapia genica ora vorrei poter fare la differenza su un aspetto: quello di spingere sulla parte traslazionale, cioè cercare di fare uno sforzo all'interno dell'istituto per identificare le scoperte fatte all'interno delle prime due aree, che possano avere maggiori possibilità di trasformarsi in terapie e aiutare anche a sviluppare queste terapie fino alle sperimentazioni cliniche", dice Auricchio.

I campi più promettenti in cui si intravede ulteriore sviluppo? "Ce n'è uno che è relativamente recente ma in enorme espansione: l'editing genomico, sul quale anche noi stiamo facendo un investimento ingente", evidenzia. "Crispr-Cas e nucleasi simili possono andare in maniera molto mirata a tagliare il Dna in punti specifici e poi con interventi diversi si può correggere il Dna nel punto in cui è stato tagliato. Questo editing genomico lo definiamo 'in vivo' e anche la terapia genica che noi facciamo è fatta in vivo, cioè direttamente nel contesto di un tessuto di un paziente. Un esempio di questo approccio è l'editing genomico che facciamo per alcune malattie della retina, per alcune forme di cecità ereditarie che prevedono che gli strumenti per l'editing vengano introdotti attraverso dei vettori per terapia genica direttamente nella retina. Stesso discorso per il fegato. Sono i due organi target e i gruppi di malattie sono la cecità ereditaria e le malattie ereditarie del metabolismo".

Per il resto, continua lo scienziato a capo del Tigem "continuiamo a dedicarci alla terapia genica con delle piattaforme innovative. In altre parole, cerchiamo di sfruttare la nostra esperienza per mettere a punto delle piattaforme di terapia genica che superino alcuni ostacoli. Per esempio, il vettore che oggi in terapia genica si utilizza di più in vivo deriva da un virus che si chiama adeno-associato, è molto efficiente e contenuto in vari prodotti già approvati di terapia genica. Ma uno dei limiti di questo sistema - chiarisce - è che si tratta di una piccola particella che non può contenere grossi pezzi di Dna, è come se fosse un piccolo guscio all'interno del quale è difficile fare impacchettare un grosso pezzo di Dna".

Riuscirci è stata una sfida: "Abbiamo messo a punto delle piattaforme che ci permettono di utilizzare il vettore adeno-associato trasportando geni di grosse dimensioni, le stiamo utilizzando in laboratorio ma una in particolare sta per entrare in clinica per una cecità ereditaria. E' una sperimentazione che stiamo portando avanti in collaborazione con l'università Vanvitelli di Napoli e la Fondazione Telethon l'ha data in licenza a un'azienda americana che si chiama Akouos, di Boston", che l'ha già utilizzata per il caso di Aissam e la sordità ereditaria. Quindi questa realtà Usa ha fatto una sperimentazione "utilizzando una piattaforma che noi abbiamo messo a punto".

Trasportare geni di grandi dimensioni è una delle sfide, "non è l'unico limite - precisa Auricchio - però è un limite importante perché chiaramente se la mutazione" problematica su cui intervenire "è in un gene di grosse dimensioni, e se non c'è una maniera per farlo entrare efficientemente nelle cellule per poter restituire la funzione persa, non si riesce a fare la terapia genica".

MRna e forbici molecolari, le promesse di un inedito 'mix' - Dopo essersi guadagnata fama planetaria con i vaccini Covid, la tecnologia dell'Rna messaggero torna sotto i riflettori, in questi giorni, in una veste inedita: alcuni risultati scientifici hanno infatti acceso la speranza per una futura applicazione nelle malattie rare, la speranza che l'mRna possa realizzare la tanto attesa promessa di generare proteine ​​terapeutiche direttamente nell'organismo. Uno scenario esplorato di recente sulla rivista 'Nature' che ha guardato alle prospettive di questa scoperta da Nobel andando oltre i vaccini, ma evidenziando anche le sfide che restano (natura 'fugace' dell'mRna ed effetti collaterali sono quelle accennate). Sul fronte delle malattie rare, ragiona Auricchio, "ci sono due aspetti nei quali la terapia con mRna può essere utile".

Uno di questi in particolare è di interesse anche per gli scienziati del centro, spiega, cioè l'applicazione dell'Rna alle cosiddette 'forbici molecolari' che si usano per correggere il Dna in un preciso punto con un'operazione di taglia e incolla. Questa strategia potrebbe ovviare a un problema. L'ideale sarebbe che queste forbici molecolari quando hanno esaurito il loro compito svaniscano, non siano più operative. L'Rna in questo potrebbe aiutare, sarebbe strategico per un'attivazione 'a tempo'. "Se è un filone promettente? Assolutamente sì e anche noi al Tigem stiamo cominciando a utilizzare Rna con nanoparticelle proprio per l'editing del genoma al quale siamo interessati".

Tornando alle due vie che potrebbe seguire lo sviluppo dell'mRna in ambito di malattie genetiche rare, Auricchio approfondisce: "Da una parte l'mRna può essere utilizzato al posto del Dna. Cioè noi con la terapia genica mettiamo una copia del gene corretto all'interno delle cellule, mentre con la particella lipidica che contiene l'Rna metteremmo l'Rna per quella proteina. Qual è la differenza? Che con la terapia genica, mettendo il Dna, l'espressione della proteina durerà per molti anni o anche a vita. Se invece mettiamo l'Rna questa espressione durerà di meno perché questo verrà tradotto in proteina ma entrambi poi andranno via e non c'è il Dna che supporta la produzione successiva di Rna e proteine".

Questo significa però anche che operazioni di addizione o sostituzione "fatte con Rna per una patologia cronica come le malattie genetiche richiederanno più di una somministrazione. E' un po' un limite rispetto alla terapia genica", riflette Auricchio. Nature riporta il caso di una terapia progettata da Moderna che utilizza la tecnologia dell'mRna per ripristinare la funzione metabolica nelle persone affette da una patologia rara, l'acidemia propionica. Il farmaco che contiene due sequenze di mRna che producono ciascuna parti dell'enzima altrimenti difettoso va somministrato con infusioni ogni 2 o 3 settimane. In un piccolo studio i risultati iniziali appaiono incoraggianti. Andranno ora visti gli esiti di sperimentazioni più ampie.

"L'altro tipo di utilizzo per le malattie genetiche ha a che fare con l'editing del genoma - continua Auricchio - In altre parole se si vuole fare editing genomico e dare Crispr Cas alle cellule per curarle, in vivo o ex vivo che sia, se lo si fa con un vettore virale si avrà Crispr Cas espresso molto a lungo da queste cellule e non è una cosa buona. Perché Crispr Cas è un enzima che una volta che ha fatto la modificazione del Dna, che è una modificazione permanente, potrebbe tranquillamente andar via, scomparire, non c'è necessità che rimanga. Anzi al contrario la sua permanenza potrebbe creare dei danni 'off-target', in contesti che non sono quelli desiderati. Quindi si è pensato che se Crispr Cas lo si dà attraverso Rna questo garantirebbe che venga espresso in una finestra di tempo breve. Per cui fa quello che deve fare e poi l'Rna e la proteina vengono degradati. A mio avviso per le malattie genetiche l'applicazione principe dell'Rna è proprio questa: nel campo del genome editing". Insomma c'è ancora da lavorare, concordano tutti gli esperti. Ma, come afferma su 'Nature' la pioniera delle tecnologia a mRna, il premio Nobel Katalin Karikó, "è un primo passo nella giusta direzione".

Malattie rare e cure a rischio - Ma all'orizzonte non ci sono solo sfide e rebus scientifici. "La sostenibilità dei farmaci per le malattie rare e ultra rare, e in particolare dei prodotti di terapia genica, sta diventando un problema importante per il quale non esiste una soluzione univoca. Da una parte si può intervenire abbattendo i costi dello sviluppo clinico di questi farmaci, dall'altro si possono adottare modelli nuovi a valle dell'approvazione, dopo cioè che un prodotto è andato sul mercato. C'è molta discussione al riguardo, sui modelli da mettere in campo. Gli ingenti fondi messi a disposizione dal Pnrr", Piano nazionale di ripresa e resilienza, "potrebbero essere usati proprio in questa direzione, ma questo è avvenuto solo in parte", spiega Auricchio.

Partiamo dal primo punto, l'abbattimento dei costi di sviluppo: come si fa? "Una possibilità - risponde Auricchio - sono i progetti cosiddetti 'piattaforma', che cioè usano uno stesso approccio, ad esempio lo stesso tipo di vettore per terapia genica, per più malattie contemporaneamente, permettendo di abbattere alcuni costi di sviluppo, seguendo una strategia concordata con le agenzie regolatorie".

"L'altro problema, inaspettato fino a poco fa - continua il direttore del Tigem - è quello osservato in alcuni casi, a valle dell'approvazione, con aziende che dismettono farmaci approvati perché non più sostenibili per loro, considerato il ristretto numero di malati che ne beneficiano. E' stato questo - ricorda - il caso recente di un farmaco di terapia genica che la Fondazione Telethon, in particolare il Tiget, aveva sviluppato per una malattie rara e che è stato dato in licenza ad un'azienda che aveva il compito di produrlo e distribuirlo dopo l'autorizzazione. Questa azienda lo ha poi dismesso e la Fondazione, in maniera coraggiosa ed assolutamente innovativa, si è ripresa in carico il farmaco organizzandone la produzione e distribuzione, e rendendolo quindi disponibile di nuovo ai pazienti. Questa iniziativa ha avuto una grossa risonanza nel mondo scientifico ed anche imprenditoriale. Sebbene la Fondazione stia per seguire lo stesso percorso anche per un secondo prodotto simile, dubito che riesca a farlo per molti altri ancora - osserva Auricchio - essendo una organizzazione non-profit e non un'azienda".

Insomma, il dibattito resta aperto. E per quanto riguarda i finanziamenti alla ricerca, ammette lo scienziato, "la situazione nel nostro Paese non è rosea, l'Italia non è un Paese che investe in ricerca e non offre possibilità di accedere a fondi in maniera programmata e competitiva. Al Tigem siamo fortunati - evidenzia il direttore - in quanto applichiamo a fondi che la Fondazione Telethon ci mette a disposizione dopo una valutazione rigorosa fatta da una commissione internazionale di esperti. Inoltre ci impegniamo nel procurarci fondi esterni, soprattutto provenienti dalla Comunità europea. Negli anni siamo diventati sempre più efficaci in questo senso grazie al nostro Ufficio scientifico che supporta i nostri ricercatori nella stesura dei progetti di ricerca. In particolare i grant della Comunità europea 'a cordata', che prevedono la partecipazione allo stesso grosso progetto di più ricercatori di diverse nazioni europee. Siamo stati anche bravi ad assicurarci i prestigiosi e competitivi fondi dell'Erc (European Research Council): ad oggi al Tigem abbiamo vinto 16 finanziamenti dell'Erc, un numero non comune considerate le dimensioni del nostro istituto".

"Stiamo parlando comunque di fondi adatti a portare avanti ricerca di base e preclinica. Ma non quella ricerca traslazionale, che prevede poi uno sviluppo clinico. In quel caso - conclude Auricchio - bisogna trovare dei modelli diversi. Uno che la Fondazione ha recentemente adottato è la partnership con il fondo di investimento Sofinnova-Telethon che ha selezionato alcune delle ricerche fatte all'interno dell'ecosistema Telethon, principalmente Tigem a Napoli e Tiget a Milano, e ha investito creando delle spin-off, cioè delle piccole biotech che hanno spesso questo obiettivo di portare in clinica alcune delle nostre ricerche più avanzate, utilizzando fondi e competenze che non sono tipici di ambienti di ricerca accademica".

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Sanità, Siaarti: ‘anestesisti merce rara ma serve...

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Giarratano, 'contrari a formare specializzandi rianimatori, medici d'urgenza e chirurghi in ospedali periferici fuori rete formativa'

Sanità, Siaarti: 'anestesisti merce rara ma serve riforma sistema post-laurea'

"Anestesisti, rianimatori, medici d'urgenza e chirurghi sono ormai merce rara. Tuttavia, formare questi specializzandi anche in ospedali fuori rete formativa per colmare carenze di organico dovute ad anni di programmazione sbagliata ci lascia molto perplessi. La formazione sul campo e negli ospedali non è in discussione. Anzi, è fondamentale, ma occorre una riforma piena del sistema di formazione post-laurea Medicina che garantisca qualità della stessa, competenze e attività maturate sul campo". Così all'Adnkronos Salute il presidente della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) Antonino Giarratano, commenta l'approvazione da parte del Senato del 'Decreto Pnrr' che tanto preoccupa i medici specializzandi in cerca di una vera formazione post-laurea.

Per Giarratano "occorre evitare che lo specializzando sia considerato una risorsa destinata a coprire buchi di organico del Servizio sanitario regionale in strutture periferiche prive di molte specialità, dove - sottolinea - per restare alla disciplina di Anestesia e rianimazione, farebbe un'attività diversa e comunque priva di quelle specialità necessarie alla sua formazione, non maturando competenze essenziali per chi poi dovrà da tali nuovi specialisti essere assistito e curato".

Inoltre, "con questo provvedimento - evidenzia il presidente di Siaarti - è stata tolta ai docenti la loro funzione di certificare le acquisizioni di competenze. Chi lo farà, soprattutto se in alcune reti gli specializzandi non le matureranno? Insistiamo, troviamo soluzioni complessive che garantiscano tutte le esigenze, del sistema sanitario e della formazione. O la fuga dalle iscrizioni in alcune specialità diventerà una emorragia".

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I nani superlongevi dell’Ecuador hanno il cuore...

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Nuovo lavoro firmato da Valter Longo, padre della dieta mima-digiuno, sui vantaggi genetici della sindrome rara di Laron

Un laboratorio

Sono poche centinaia in tutto il mondo, non più di 400-500. Portatori di una mutazione genetica rara che causa sì una malattia associata a una forma di nanismo (sindrome di Laron o Ghrd, deficit del recettore dell'ormone della crescita), ma conferisce anche dei vantaggi: innanzitutto una super longevità (i topi con la stessa mutazione vivono il 40% in più) e poi un rischio molto basso di cancro e diabete di tipo 2, nonostante un tasso più alto di obesità, nonché cervelli più sani e migliori performance nei test cognitivi e di memoria. Ebbene, l'ultima scoperta è che questa mutazione - identificata per la prima volta in un gruppo di ecuadoriani i cui antenati erano fuggiti dalla Spagna durante l'Inquisizione oltre 3 secoli fa - sembra proteggere anche il cuore. Lo studio è pubblicato su 'Med' e porta la firma del padre della dieta mima-digiuno Valter Longo, scienziato italiano docente di gerontologia negli Usa alla University of Southern California, e dell'endocrinologo Jaime Guevara-Aguirre dell'Universidad San Francisco de Quito, Ecuador.

Lo studio

Per 2 decenni Longo, Guevara-Aguirre e i loro team hanno indagato sulle condizioni di salute e i processi di invecchiamento delle persone con Ghrd. Scoprendo che la mutazione che le caratterizza riduce la capacità dell'organismo di utilizzare l'ormone della crescita, ma rappresenta una specie di 'scudo' contro diverse patologie legate all'età. Finora, però, il rischio di malattie cardiovascolari nella sindrome di Laron restava poco chiaro. Anzi, l'idea era che negli esseri umani questa mutazione della longevità potesse aumentare i pericoli per cuore e vasi. Invece no.

I ricercatori hanno esaminato la funzione cardiovascolare, il danno all'apparato e i fattori di rischio nei pazienti Ghrd e nei loro parenti. Le valutazioni si sono svolte in due fasi a Los Angeles e in Ecuador, coinvolgendo un totale di 51 persone di cui 24 con sindrome di Laron diagnosticata e 27 familiari senza sindrome (controlli). E' risultato che "i soggetti Ghrd - riportano gli autori - presentavano livelli di glicemia, resistenza all'insulina e pressione sanguigna più bassi rispetto al gruppo di controllo. Avevano anche cuori più piccoli e carotidi meno spesse". Inoltre, "nonostante livelli elevati di colesterolo 'cattivo' Ldl, hanno mostrato una minor tendenza a sviluppare placche aterosclerotiche della carotide (7% vs 36%)".

"Questi risultati suggeriscono che gli individui con Ghrd hanno livelli normali o migliorati di fattori di rischio per patologie cardiovascolari rispetto ai loro familiari" senza sindrome di Laron, afferma Longo, autore senior del nuovo lavoro.

"Sebbene la popolazione testata sia ridotta - precisa lo scienziato - insieme agli studi su topi e altri organismi, questi dati sull'uomo forniscono preziose informazioni sugli effetti della carenza del recettore dell'ormone della crescita per la salute, e suggeriscono che farmaci o interventi dietetici che determinano effetti simili potrebbero ridurre l'incidenza di malattia e potenzialmente prolungare la longevità".

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Torna l’influenza, migliaia di bimbi a letto

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Risale l'incidenza. Ancora 280mila casi in una settimana

Bimbo con influenza - Fotogramma

Tornano a salire in Italia i casi di influenza e virus 'cugini', soprattutto tra i bimbi più piccoli, complici gli 'up and down' del meteo di questa strana primavera. Lo riportano gli ultimi bollettini del sistema di sorveglianza RespiVirNet, curato dall'Istituto superiore di sanità. E superano quota 14 milioni gli italiani messi a letto da infezioni che ancora sembrano non voler mollare la presa.

"Nella sedicesima settimana del 2024", dal 15 al 21 aprile, si legge, "i casi stimati di sindrome similinfluenzale, rapportati all'intera popolazione italiana, sono circa 282.000, per un totale di circa 14.399.000 casi a partire dall'inizio della sorveglianza". Nei 7 giorni analizzati l'incidenza delle sindromi simil-influenzali resta "stabile", pari a 4,8 casi per mille assistiti (erano 4,7 nella settimana precedente). Rimangono "maggiormente colpiti i bambini sotto i 5 anni di età, in cui si osserva un livello di incidenza di 14 casi per mille assistiti, in leggero aumento rispetto alla settimana precedente (13,7)".

In Toscana, Puglia e Basilicata, l'incidenza di influenza & Co. torna alla soglia basale.

Rezza: "Super coda per primavera ballerina"

"Abbiamo avuto una stagione influenzale molto molto intensa e attiva, con tantissimi casi: oltre 14 milioni di sindromi similinfluenzali che è un numero considerevole. E anche la parte finale, la 'coda' che stiamo sperimentando in queste settimane, è altrettanto lunga e intensa, e si accompagna alla circolazione ancora presente anche di altri virus circolatori". Complici "i cambiamenti di temperatura e una primavera ballerina e, in certi momenti, quasi invernale". Così all'Adnkronos Salute Giovanni Rezza, docente straordinario di Igiene all'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano sulla ripresa delle infezioni nei bambini più piccoli.

Quando si hanno i forti sbalzi di temperatura aumentano i contagi soprattutto perché "con il freddo tendiamo a stare in ambienti chiusi che facilitano i contatti, come ormai tutti sanno molto bene dopo l'esperienza pandemica". Siamo, comunque, "nella fase finale della stagione dei virus respiratori: vediamo in circolazione un po' d'influenza e una piccola 'zuppa' di altri patogeni, dal virus respiratorio sinciziale ai più presenti rinovirus". L'influenza di quest'anno "è stata sicuramente pesante e prolungata", nonostante "l'inverno mite". Ora però, "ci aspettiamo che la circolazione vada sempre più a diminuire". Quella che stiamo vivendo, "per quanto altalenante e prolungata, rappresenta comunque una coda, con una circolazione più bassa rispetto a un mese fa. Con il rialzo delle temperature in vista, probabilmente, staremo tutti di più all'aria aperta, e vedremo anche assottigliarsi sempre di più questa lunga e fastidiosa coda".

Lopalco: "Sbalzi termici causa solo in parte"

"I fattori climatici, incluse le 'altalene termiche', sono solo in parte fattori che facilitano la circolazione dei virus respiratori. Quello che di sicuro sappiamo è che l'ultima stagione influenzale, compresa la coda che stiamo vivendo, si caratterizza per una straordinaria intensità di circolazione virale", afferma all'Adnkronos Salute Pier Luigi Lopalco, docente di Igiene all'università del Salento.

"Quello che osserviamo in questi giorni - continua Lopalco - è il tipico 'colpo di coda' stagionale. Non cambia la valutazione che abbiamo fatto dell'intera stagione influenzale: quella del 2023/24 è stata certamente una stagione molto intensa di circolazione virale sostenuta sia da virus dell'influenza che da altri virus 'cugini', fra cui il virus respiratorio sinciziale ed il Covid-19. A fronte di questa intensità virale, purtroppo, non abbiamo avuto una adeguata attenzione alla vaccinazione. E' stata un'occasione di prevenzione mancata", conclude Lopalco.

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