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Salute e Benessere

Anziani discriminati per l’età, 4 su 10 esclusi dalle...

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Anziani discriminati per l’età, 4 su 10 esclusi dalle cure migliori

Anziani discriminati per l'età, 4 su 10 esclusi dalle cure migliori

"Troppo vecchi e costosi" per ricevere le cure più avanzate, da cui trarrebbero i maggiori benefici, e per essere inclusi negli studi clinici per la sperimentazione di farmaci di cui sono i primi a fare uso. Quattro anziani su 10 sono esclusi dalle cure migliori proprio per l’età. Questo stigma accorcia anche la vita: il rischio di mortalità è fino a 4 volte più alto. Lo evidenziano i geriatri, lanciando l'allarme sui bisogni di salute, soprattutto dei grandi anziani, su cui l'Ssn non investe abbastanza risorse. "Un paradosso - rilevano - frutto di uno stigma grave e inaccettabile sulla base dell'età, che si riflette anche sulla percezione negativa del proprio invecchiamento inducendo la stessa persona anziana a rinunciare all'aderenza alle terapie, a screening e comportamenti preventivi, con gravi effetti sulla salute".

L'ageismo è una questione di rilevanza globale. Secondo uno studio condotto su oltre 80mila persone in 57 Paesi, pubblicato sull'International Journal of Environmental Research and Public Health, una persona su due ha pregiudizi basati sull'età che influenzano anche uno dei settori chiave della vita degli anziani, cioè la sanità, riducendo l'accessibilità alle cure e l'appropriatezza dei trattamenti.

Nasce da qui la Carta di Firenze, il primo manifesto mondiale contro l'ageismo sanitario, messo a nudo e rafforzato anche dalla pandemia, presentato in occasione del congresso 'Anti-ageism Alliance. A Global Geriatric Task Force for older adults' care', organizzato dalla Fondazione Menarini con il patrocinio della Società italiana di gerontologia e geriatria (Sigg), che vede riuniti a Firenze oggi e domani, nell'Auditorium della Camera di Commercio, i presidenti delle maggiori società geriatriche del mondo, insieme a esponenti dell'Organizzazione mondiale della sanità e delle Nazioni Unite, esperti di etica e rappresentanti delle associazioni di pazienti. Il documento - coordinato da Andrea Ungar, ordinario di Geriatria all'Università di Firenze, presidente del congresso e della Sigg, e da Luigi Ferrucci, direttore scientifico del National Institute on Aging di Baltimora - è stato messo a punto da un panel internazionale di esperti. Pubblicato sull'European Geriatric Medicine e sul Journal of Gerontology, punta su 12 azioni concrete per ridurre al minimo l'impatto negativo dell'ageismo nell'assistenza sanitaria e migliorare la qualità di vita degli anziani, riducendo i costi legati alle loro patologie.

"In base ai pregiudizi e agli stereotipi legati all'età si ritengono gli anziani già 'titolari di una quantità di vita sufficiente', ormai gravosi per il sistema sociale ed economico. Quasi un effetto collaterale del successo medico che ha cronicizzato le malattie, determinando un incremento della coesistenza di più patologie nello stesso individuo - afferma Ungar -E' aumentato così il numero di anziani da assistere e, con esso, la forma più diffusa di ageismo, cioè la discriminazione in ambito sanitario. Infatti, nonostante rappresentino la maggioranza dei malati con patologie croniche quasi sempre concomitanti, il 40% degli anziani è tagliato fuori dalle terapie più avanzate e appropriate e dai protocolli sperimentali senza valide ragioni mediche, ma solo in base all'età".

Gli effetti negativi dell'ageismo, sottolinea, "influenzano anche la longevità, con una probabilità fino a 4 volte più alta di morire nelle persone anziane che hanno un'autopercezione negativa dell'invecchiamento rispetto a quanti hanno una visione positiva della vecchiaia. Interiorizzare stigma e pregiudizi potrebbe essere un nuovo fattore di rischio per una vita più lunga". Lo provano i risultati di uno studio condotto su 5.483 persone di età compresa tra i 50 e 74 anni, pubblicato su The Gerontologist dai ricercatori del New Jersey Institute for Successful Aging, secondo cui gli anziani che hanno atteggiamenti ageisti hanno un rischio di mortalità entro 9 anni fino a 4 volte più alto (45%) rispetto a chi ha una percezione positiva dell'invecchiamento, pur tenendo conto delle variabili demografiche di salute e stile di vita.

"Nella comunità medica - puntualizza Ferrucci - resistono barriere mentali che fanno ritenere poco adeguato il ricorso a nuovi farmaci e alle terapie più innovative, oltre una certa età. Bisogna quindi proteggere gli anziani dalla discriminazione sanitaria e fare in modo che ricevano le cure migliori". "E' inevitabile - ammettono gli esperti - che laddove le risorse sono limitate, si operino delle scelte, ma un paziente anziano curato in maniera inefficace va incontro a ricadute e riospedalizzazioni e deve essere nuovamente trattato con uno spreco di risorse, oltre che di vita e sofferenze individuali".

Le azioni proposte nel manifesto per invertire la rotta puntano innanzitutto alla formazione. Il tema dell'invecchiamento - si chiede - deve diventare parte integrante del percorso formativo del personale sanitario e degli assistenti sociali. "E' necessario anche un cambiamento di paradigma nell'approccio alla cura dell'anziano - prosegue Ungar - che non può essere trattato 'a pezzetti', di volta in volta dal cardiologo, dal neurologo, dal diabetologo, ma deve essere seguito con il necessario sguardo di insieme dal geriatra come medico della complessità. Serve poi dare priorità agli anziani nei pronto soccorso - rimarca - che rappresentano un fattore di rischio per via dei lunghi tempi di attesa e una presa in carico non adeguata, che possono contribuire al declino cognitivo e al peggioramento delle condizioni fisiche".

Il medico deve anche cercare una maggiore condivisione del percorso di cura con il paziente e con i suoi caregiver informandoli correttamente delle possibili alternative, ascoltando con attenzione le loro esperienze. "I pazienti anziani - chiosa Ferrucci - andrebbero inclusi nei trial clinici per la sperimentazione di farmaci da cui sono tagliati fuori perché ritenuti troppo 'inquinati' dalle loro fragilità, che comporterebbero studi più sofisticati e complessi e maggiori controlli. Vengono invece esclusi, quando sono i primi a far uso di farmaci e terapie. Altrettanto necessario riprogettare gli ambienti ospedalieri per renderli più age-friendly, riducendo l'isolamento e l'immobilismo a letto dei pazienti e realizzare device sanitari facilmente utilizzabili anche da chi è più avanti negli anni".

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Salute e Benessere

Covid, AstraZeneca ritira autorizzazione vaccino in Ue:...

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Cosa ha detto l'azienda anglo-svedese all'Adnkronos Salute. Cavaleri (Ema): "Ci aspettiamo ritiro vaccini non più usati"

AstraZeneca

"Considerata la quantità di vaccini disponibili ed efficaci per le nuove varianti di Covid-19, non c'è più stata domanda per il vaccino Vaxzevria che di conseguenza non è più stato prodotto ne distribuito. Non prevedendo quindi una futura domanda" per il prodotto, "AstraZeneca ha pertanto deciso di ritirare l'autorizzazione all'immissione in commercio per Vaxzevria all'interno dell'Ue". Lo precisa l'azienda anglo-svedese all'Adnkronos Salute.

Ema: "Ci aspettiamo ritiro vaccini non più usati"

"L'autorizzazione del vaccino anti-Covid Vaxzevria" di AstraZeneca "sarà ritirata e il processo è già ufficialmente iniziato con la Commissione europea. Questo è in linea con le aspettative che vaccini non più usati e aggiornati vengano ritirati, come da nostra indicazione". A chiarirlo all'Adnkronos Salute è Marco Cavaleri, che all'Agenzia europea del farmaco Ema è responsabile Rischi sanitari e Strategie vaccinali e presiede la Task force emergenze (Etf). Le indicazioni a cui fa riferimento l'esperto sono quelle che l'Etf ha diffuso in due documenti, uno datato 16 febbraio e l'altro del 30 aprile scorso, in cui si entra nel merito della raccomandazione Ema di aggiornare la composizione dei vaccini anti-Covid per l'uso nella campagna vaccinale 2024-2025, nello specifico adattandoli alla famiglia di sottovarianti Omicron JN.1, l'ultima 'dinastia' dominante.

Gli esperti dell'Etf spiegavano che la composizione dei vaccini Covid è cambiata 3 volte dalla loro prima approvazione nel 2020, seguendo la rapida evoluzione del virus che lo ha portato ad accumulare tantissime mutazioni allontanandosi tanto dalla sua 'versione' iniziale. Nella nota diffusa dall'Ema per informare sui prossimi passi, si spiegava anche che i titolari delle Aic dei vaccini avrebbero dovuto contattare l'Ema per discutere gli aggiornamenti alle autorizzazioni all'immissione in commercio dei loro prodotti, essendo previsto che tutti aggiornino la composizione dei loro vaccini autorizzati, in conformità con la raccomandazione dell'Etf. "Ci aspettiamo che tutti i vaccini monovalenti con ceppo originale tipo Wuhan vengano ritirati", conferma Cavaleri. Che il vaccino a vettore adenovirale AstraZeneca andasse nella direzione del ritiro dell'autorizzazione, come spiegato dalla stessa azienda anche oggi, era 'scritto' nei numeri da tempo. Già i grafici finanziari rilasciati sul secondo trimestre 2023 mostravano una casella vuota: nessuna vendita registrata per il vaccino Covid nel periodo aprile-maggio-giugno.

"Stiamo lavorando con tutti produttori per sfoltire il numero dei vaccini approvati, così da gestire solo quelli che vengono regolarmente aggiornati come da nostre raccomandazioni", continua Cavaleri.

La ratio viene approfondita nel documento del 16 febbraio: "Mentre Sars-CoV-2 circola e si evolve, nuove varianti continuano ad emergere con la capacità per eludere l'immunità indotta da una precedente infezione o vaccinazione. Di conseguenza, i vaccini Covid richiedono aggiornamenti regolari dei ceppi, una situazione molto simile ai vaccini antinfluenzali aggiornati regolarmente", si legge. Oggi, continuavano gli autori nel documento, "il virus ancestrale e le prime varianti genetiche" di Sars-CoV-2 "non circolano più nella popolazione umana in misura significativa".

E, come ricorda anche l'esperto, si evidenziava che "si potrebbe ottenere un reindirizzamento preferenziale della risposta anticorpale verso le varianti attualmente circolanti mediante esposizione a vaccini contenenti la proteina spike di virus attualmente circolanti senza includere la Spike del ceppo originario, oramai distante dal punto di vista immunologico".

L'ammissione choc: "Vaccino anti covid AstraZeneca può causare trombosi rara"

Il primo maggio scorso, in una notizia diffusa dal 'Telegraph' e rimbalzata sui media britannici, l'ammissione choc dell'azienda. Il vaccino anti-Covid di AstraZeneca "in casi molto rari può causare Tts", la cosiddetta 'sindrome da trombosi con trombocitopenia', caratterizzata da coaguli di sangue e bassi livelli ematici di piastrine, ha ammesso per la prima volta il gruppo farmaceutico anglo-svedese, nell'ambito di una causa collettiva nel Regno Unito.

"Il meccanismo causale" con cui il vaccino può provocare Tts "non è noto", ha precisato l'azienda nei documenti legali depositati in febbraio. "La Tts - ha puntualizzato inoltre AstraZeneca - può verificarsi anche in assenza della somministrazione del vaccino. Il nesso di causalità in ogni singolo caso sarà oggetto di prove da parte di esperti", ha aggiunto la società.

Il vaccino Covid-19 di AstraZeneca, Covishield - ricorda l''Independent' - è stato sviluppato dal colosso anglo-svedese in collaborazione con l'università di Oxford e prodotto dal Serum Institute of India. E' stato largamente somministrato in oltre 150 Paesi, tra cui Gran Bretagna e India. Alcuni studi condotti durante la pandemia avevano indicato per il vaccino un'efficacia anti-Covid del 60-80%, ma in alcune persone che avevano ricevuto l'iniezione sono stati segnalati casi di trombosi anche potenzialmente fatali.

I cittadini che in Uk hanno intentato la causa collettiva contro AstraZeneca sostengono che il vaccino Covishield ha provocato morti e lesioni gravi, chiedendo danni fino a 100 milioni di sterline per risarcire circa 50 vittime. Uno dei denuncianti ha riferito che il vaccino gli ha causato una lesione permanente al cervello, successiva a un evento trombotico, che gli ha impedito di lavorare. Pur contestando l'accusa, in uno dei documenti giudiziari depositati AstraZeneca ha riconosciuto che il vaccino può causare Tts in casi molto rari. Finora, invece, il gruppo farmaceutico aveva sempre tenuto il punto. Anche nel 2023, riporta sempre l'Independent, insisteva nel non accettare l'affermazione generale secondo cui la Tts è provocata dal vaccino.

L'Organizzazione mondiale della sanità, rammenta l'Independent, ha confermato che "dopo la vaccinazione con Covishield è stato segnalato un evento avverso molto raro chiamato trombosi con trombocitopenia, che comporta eventi insoliti e gravi di coagulazione del sangue associati a una bassa conta piastrinica". Secondo il Council for International Organizations of Medical Sciences, si definiscono effetti collaterali molto rari quelli segnalati in meno di 1 caso su 10mila. Per l'Oms, comunque, "nei Paesi con trasmissione Sars-CoV-2 in corso il beneficio della vaccinazione nella protezione contro Covid-19 supera di gran lunga i rischi".

"Dall'insieme delle evidenze raccolte negli studi clinici e dai dati del mondo reale, è stato continuamente dimostrato che il vaccino" anti-Covid "AstraZeneca-Oxford ha un profilo di sicurezza accettabile e gli enti regolatori di tutto il mondo affermano costantemente che i benefici della vaccinazione superano i rischi di effetti collaterali potenzialmente estremamente rari". Lo precisa un portavoce del gruppo farmaceutico.

"La nostra solidarietà - aggiunge AstraZeneca - va a chiunque abbia perso i propri cari o abbia riportato problemi di salute. La sicurezza dei pazienti è la nostra massima priorità e le autorità regolatorie hanno standard chiari e rigorosi per garantire l'impiego sicuro di tutti i farmaci, compresi i vaccini".

Le informazioni di prodotto relative al vaccino AstraZeneca-Oxford - disponibili al pubblico - sono state aggiornate nell'aprile 2021 con l'approvazione dell'agenzia del farmaco britannica Mhra, includendo l'eventualità che il vaccino possa, in casi molto rari, di essere un fattore scatenante di Tts.

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Salute e Benessere

Ai cattivo pediatra, non riconosce i bimbi con ritardo di...

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Foto di repertorio - FOTOGRAMMA

L'intelligenza artificiale ha tante doti che possono e potranno rivelarsi utili in medicina, ma al momento mostra parecchie lacune quando si misura con questioni pediatriche come il sospetto di un ritardo di sviluppo nei bambini. A mettere alla prova ChatGpt, chatbot basato su Ai e apprendimento automatico, è uno studio presentato al Meeting Pas - Pediatric Academic Societies 2024, che si apre oggi a Toronto in Canada. Le performance di ChatGpt sono state valutate da medici certificati che per ora bocciano l'Ai nei panni di pediatra.

I ricercatori hanno esaminato come ChatGpt ha risposto a 108 preoccupazioni espresse da genitori che temevano un ritardo di sviluppo del loro bimbo, confrontando anche i responsi dell'Ai con quelli del medico in carne e ossa. E' risultato che "ChatGpt raramente classificava un caso come anomalo", dando ragione alle "preoccupazioni dei pediatri secondo cui" oggi "lo strumento non è preparato per essere affidabile" nella valutazione dei "modelli comportamentali dei bambini".

Rispetto ai medici umani, nel 36% dei casi l'intelligenza artificiale si è mostrata meno preoccupata di avere davanti un bimbo con possibile ritardo dello sviluppo. Solo nel 5% dei casi l'Ai ha espresso preoccupazioni maggiori, ma i pediatri veri hanno identificato circa il 30% in più di possibili ritardi di sviluppo rispetto a ChatGpt. Complessivamente, nel 41% dei casi l'intelligenza artificiale è arrivata a conclusioni diverse dal pediatra vero rispetto a un sospetto ritardo dello sviluppo. Ai e medici sono stati in disaccordo soprattutto quando gli elementi che preoccupavano i genitori erano di tipo sociale, emotivo e comportamentale, piuttosto che fisico, e quando riguardavano bambini maggiori di un anno.

"Gli strumenti di intelligenza artificiale come ChatGpt possono fornire informazioni accurate ai genitori riguardo allo sviluppo del loro bambino, ma non si comportano ancora come i medici" quando vengono chiamati a "determinati compiti", afferma Joseph G. Barile, assistente di ricerca presso il Cohen Children's Medical Center, Usa, l'autore che ha illustrato la ricerca al congresso.

In particolare, rimarca l'esperto, "questo studio indica che i pediatri sono più convinti di ChatGpt quando si tratta di definire alcuni ritardi dello sviluppo come anomali".

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Salute e Benessere

Cure palliative pediatriche, torna il Giro d’Italia...

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Domani a Roma la presentazione della terza edizione - Il tour al via dall'11 maggio al 16 giugno lungo tutta la Penisola

Cure palliative pediatriche, torna il Giro d'Italia per dar voce alle Cpp

Domani, sabato 4 maggio, alle 16 a Roma sul Ponte delle Musica, sarà presentata la terza edizione del Giro d'Italia delle cure palliative pediatriche. L'evento, patrocinato dal Comune di Roma, vedrà la partecipazione di Alessandra Locatelli, ministro per le Disabilità, e Alessandro Onorato, assessore allo Sport, turismo, moda e grandi eventi di Roma Capitale, e avrà come testimonial d'eccezione l'ex campione della nazionale di rugby italiana Andrea Lo Cicero. Dopo il grande successo delle prime due edizioni - che hanno visto la presenza di circa 35mila partecipanti, con più di 100 eventi in 17 regioni italiane e il coinvolgimento di oltre 200 associazioni - il 2024 si annuncia ancora più̀ denso di eventi. Obiettivo della terza edizione è promuovere lo sviluppo delle Reti di cure palliative pediatriche (Cpp) coinvolgendo la società civile e sensibilizzando i professionisti sociosanitari e le istituzioni al fine di renderle operative in tutte le Regioni.

"Questa iniziativa - dichiara Onorato - è molto nobile e sono contento di partecipare. In Italia sono 30mila i minori che hanno bisogno di cure palliative pediatriche ed è necessario sensibilizzare le persone sul tema. E non c'è modo migliore di farlo attraverso lo sport, veicolo ideale per diffondere le sane abitudini di vita e spingere le persone a prendersi cura di loro stesse. Salute e attività sportiva vanno di pari passo. Complimenti anche per l'idea di abbinare un messaggio così importante a una pedalata in questo scenario suggestivo".

La Rete di Cpp - riporta una nota - è un modello organizzativo previsto dalla legge 38/2010 che definisce attori e servizi per garantire la miglior qualità di vita possibile al minore con patologia inguaribile ad alta complessità assistenziale e alla sua famiglia. "Molteplici sono i bisogni a cui è necessario dare risposte corrette e adeguate. Nessuno da solo può fornirle tutte - sottolinea Silvia Lefebvre d'Ovidio, presidente della Fondazione Maruzza - Per questo è importante operare insieme favorendo la creazione e lo sviluppo delle reti. La disponibilità̀ di accesso ai servizi di Cpp in Italia è quanto mai eterogenea, con aree in cui l'organizzazione è carente o del tutto assente. Questo provoca un senso di smarrimento e di abbandono che impedisce ai piccoli pazienti di andare a scuola, praticare uno sport e condividere momenti di socialità, esperienze che sono uno stimolo importante e necessario di crescita e di confronto, e danno significato alla vita".

Lo studio PalliPed, recentemente pubblicato sull''Italian Journal of Pediatrics' - si legge nella nota - offre una panoramica sullo stato dell'arte dei servizi specialistici di Cpp in Italia, concentrandosi sulle strutture e le risorse dei 19 centri mappati di 12 regioni e 2 province autonome. Sono invece 7 le Regioni che hanno dichiarato di non avere centri o strutture dedicate ai servizi specialistici di Cpp. Per quanto riguarda le risorse impiegate nei centri, l'indagine rivela come il personale non sia sufficiente a coprire la richiesta: sono infatti 115 gli infermieri, 55 i medici, 31 gli assistenti sociali, 27 gli psicologi e 13 i fisioterapisti che lavorano in Cpp. Peraltro, alcune non dedicate a tempo pieno e spesso disponibili solo al bisogno o su base volontaria. E' emerso, inoltre, che il 77% degli infermieri non ha una formazione specifica, che solo 54% dei medici e il 30% degli psicologi ha conseguito un master degree in Cpp.

"Avere dei dati aggiornati relativi allo stato dell'arte delle Cpp in Italia, di come funzionano i servizi/strutture dedicate, delle risorse disponibili nonché della numerosità e tipologia di pazienti seguiti è fondamentale ed inderogabile per poter proporre ed organizzare azioni/interventi migliorativi - afferma Franca Benini, responsabile del Centro regionale veneto di terapia del dolore e cure palliative pediatriche, Dipartimento Salute della donna e del bambino Aou - interventi che possano portare ad un cambiamento di vita e di assistenza reale e proficuo per i pazienti e le loro famiglia".

Proprio in quest'ottica la Fondazione Maruzza - riferisce la nota - ha dato avvio a una seconda fase del progetto PalliPed, fase che si propone di monitorare in tempo reale l'evoluzione organizzativa delle Reti/Servizi di Cpp nelle diverse regioni italiane e della loro capacità di dare risposte appropriate alla moltitudine di bisogni che la malattia inguaribile in ambito pediatrico innesca. I dati di tale ricognizione saranno disponibili entro il primo semestre dell'anno in corso.

Il Giro d'Italia delle cure palliative pediatriche si svolgerà̀ dall'11 maggio al 16 giugno su tutta la Penisola (https://www.girocurepalliativepediatriche.it/), con eventi di carattere sportivo, scientifico, istituzionale, culturale e ricreativo per dare voce alle Cpp. Quest'anno il tema dell'iniziativa è 'Ciascuno a suo Nodo, insieme siamo Rete'. Verranno infatti esplorati 'nodi' necessari a costruire la rete assistenziale in grado di dare risposte efficaci ai bisogni dei bambini malati inguaribili e delle loro famiglie.

Le cure palliative pediatriche sono un approccio assistenziale in grado di garantire ai minori affetti da malattie inguaribili e alle loro famiglie la miglior qualità̀ di vita possibile, attraverso il lavoro di professionisti specializzati che si prendono cura dei bambini, preferibilmente a domicilio, sostenendo le famiglie in tutte le fasi della malattia, alleviando sofferenze fisiche, psicologiche, emotive e spirituali. Non solo: tali cure si occupano di un'ampia varietà̀ di patologie, molte delle quali rare o senza diagnosi, la cui natura specifica determina il tipo di progetto assistenziale per il singolo paziente e tutto il suo nucleo familiare.

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