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Salute e Benessere

‘Disturbi alimentari stanno diventando incurabili per...

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‘Disturbi alimentari stanno diventando incurabili per scelta politica’, lo sfogo

MANI DI GIOVANE RAGAZZA CHE SOFFRE DI ANORESSIA (Conese, MILANO - 0000-00-00) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate - FOTOGRAMMA

"Queste malattie", i disturbi del comportamento alimentare, "stanno diventando incurabili non perché lo dice la medicina o la scienza, ma perché lo sta decretando la politica". E' netto Stefano Tavilla, fra i fondatori della Fondazione Fiocchetto Lilla e presidente dell'associazione 'Mi Nutro di Vita', che ha deciso di impegnarsi per i diritti delle persone che soffrono di queste patologie dopo la morte di sua figlia Giulia, 17 anni, per bulimia. "C'è un disegno politico", teme, che ha portato all'azzeramento, decretato dall'ultima Manovra, del Fondo per il contrasto dei disturbi della nutrizione e dell'alimentazione.

"Il Fondo - ricorda Tavilla all'Adnkronos Salute - nasceva perché a fine 2021 in sede di legge di Bilancio veniva approvato un emendamento con il quale veniva data a queste malattie un'autonomia all'interno dei Lea, Livelli essenziali di assistenza. Nel frattempo, questo Fondo doveva traghettarci verso il nuovo assetto per il tempo che serviva a mandare in porto la revisione dei Lea. Era un fondo ministeriale di 25 milioni in 2 anni per tutte le Regioni, che avrebbero potuto accedervi presentando i progetti. Cosa vogliamo noi ora? Vogliamo i Lea. Questa legge è ferma da 2 anni, manca il decreto attuativo. Se queste malattie venissero riconosciute nei Lea, avrebbero fondi dedicati in maniera uniforme per tutte le Regioni". Certo, la cancellazione del Fondo ha un risvolto: "Sarebbe l'interruzione di tutti quei servizi che sono stati finanziati nelle Regioni, soprattutto dove non c'era nulla, attraverso questo strumento", prospetta.

Ma il problema per le associazioni è un altro. Il nodo dei Lea è "fondamentale per dare una prospettiva stabile, progettuale, in modo che queste malattie abbiano delle risorse proprie su tutto il territorio nazionale. Un decreto attuativo per una legge dello Stato si potrebbe fare in qualsiasi momento. Invece - dice Tavilla - temo sia una scelta. A settembre due esponenti di questa maggioranza hanno fatto una proposta di legge per l'istituzione di un fondo permanente di 20 milioni annui per i disturbi del comportamento alimentare. Perché, se c'è una legge sui Lea da rendere attuativa? Non vogliamo si metta un cappello sopra i malati per ottenere consenso. Un fondo non servirebbe, se ci fossero i Lea. Ma a ottobre 2023 c'è stata un'interrogazione al sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, il quale ha risposto che l'Organizzazione mondiale della sanità ritiene questi disturbi malattie psichiatriche, quindi non vanno scorporati dalla salute mentale all'interno dei Lea".

Tavilla obietta: "Forse non è chiaro che queste sono patologie multidisciplinari, hanno bisogno sì di cure mentali, ma anche di cure che riguardano il corpo". Ed esprime perplessità, condivise con le famiglie e le persone alle prese con la malattia: "Basta andare a guardare gli ultimi report sulla salute mentale, in cui i disturbi del comportamento alimentare non sono stati mai citati. Inoltre quegli stessi report dicono, per esempio, che la fascia d'età più interessata per quanto riguarda gli utenti della salute mentale va dai 35 ai 55 anni. Noi sappiamo che sono più di 2 milioni i giovani sotto i 25 anni che soffrono di queste malattie. E anche quelli che muoiono".

Dopo il Covid, osserva peraltro, "l'età di approccio ai disturbi si è abbassata tantissimo, ci sono anche tanti bambini purtroppo. E sapete quanti ragazzini di 14 anni con questi problemi vengono ricoverati nei reparti di Psichiatria ordinaria perché non possono entrare più in ospedale pediatrico? Sapete cosa vuol dire per loro passare anche solo 15 giorni in un reparto di Psichiatria in un ospedale? Vuol dire segnarli per tutta la vita", incalza Tavilla.

"Noi - insiste - chiediamo che venga attuata quella legge sui Lea e che da quella legge venga costruita una rete di servizi in ogni regione. Oggi ci sono realtà in cui non c'è nulla per questi disturbi e c'è tanto turismo sanitario, famiglie costrette a fare chilometri per poter curare i loro cari. Faccio un esempio: pensate a una famiglia con due figli, uno malato e uno no, che dal Sud si deve spostare in Lombardia. La mamma magari segue la figlia impegnata nelle cure, il padre resta col fratello a più di mille km di distanza. Sarebbe ben diverso se il supporto queste persone lo avessero sotto casa".

"Poi si fa anche un altro errore - prosegue il papà della Fondazione Fiocchetto Lilla - Si inquadrano le necessità con la struttura, che è quella che riceve il malato nella situazione più grave. Ma ricordiamo che queste malattie prima si intercettano e prima possono avere una risoluzione. La realtà, però, è ben lontana. Oggi a Milano, 'capitale economica' di questo Paese, per fare una prima visita un utente lombardo deve aspettare dai 6 agli 8 mesi. A Roma, la capitale d'Italia, un utente romano aspetta dai 9 ai 12 mesi. Va considerato che già in partenza ci si accorge della malattia quando è avanzata. Se poi si deve aspettare quel lasso di tempo, si accede al servizio quando il malato è già grave".

E ora, se si interrompono i fondi, "oltre all'allungamento di liste d'attesa già lunghissime - rimarca Tavilla - vedremo una contrazione della cura, la guarigione sarà tarata verso il basso, dovremo fare percorsi sempre più brevi e ci accontenteremo di raggiungere solo una remissione dei sintomi o un certo livello di peso. Ma questa non è guarigione, è una condizione in cui un malato può avere una ricaduta, con tutto quello che ne consegue per la persona, per la famiglia e per il Servizio sanitario nazionale. Non nascondiamo infine che questa è una malattia di genere. I maschi stanno aumentando, è vero, ma la maggioranza sono donne. E ci sono tutte quelle donne oltre i 35 anni che ormai non vengono più curate. Cosa ne facciamo di queste persone? Sono già abbandonate".

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Pressione alta, il ruolo del Dna: lo studio

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Maxi-studio internazionale apre a diagnosi di precisione, cure su misura e all'identificazione di nuovi bersagli terapeutici

Uno sfigmomanometro per misurare la pressione - FOTOGRAMMA

La pressione alta dipende certo dai cattivi stili di vita, ma sulla probabilità di ammalarsi di ipertensione - un fattore di rischio chiave per le patologie cardiovascolari - pesa anche il Dna. In un maxi studio sui dati di oltre un milione di persone, il più grande mai condotto finora sull'argomento, ricercatori e collaboratori dei National Institutes of Health-Nih americani hanno scoperto oltre 2mila regioni del genoma umano (loci genomici) legati alla pressione sanguigna, comprese 113 nuove regioni. Il lavoro è pubblicato su 'Nature Genetics' e secondo gli autori permetterà di capire meglio come viene regolata la pressione del sangue, nonché di identificare possibili bersagli per nuovi farmaci.

"Il nostro studio aiuta a spiegare una percentuale molto maggiore di differenze tra la pressione sanguigna di due persone rispetto a quanto precedentemente noto", afferma Jacob Keaton, sezione Informatica sanitaria di precisione del National Human Genome Research Institute (Nhgri), primo autore della ricerca alla quale hanno contribuito più di 140 scienziati di oltre 100 università, istituti e agenzie governative. I ricercatori sono riusciti anche a calcolare un punteggio di rischio poligenico, che combina gli effetti di tutte le varianti genomiche presenti in una persona, per prevederne la pressione e il pericolo ipertensione. "Conoscere il rischio di un paziente di sviluppare ipertensione potrebbe portare a trattamenti su misura, che hanno maggiori probabilità di essere efficaci", sottolinea Keaton.

Tra i nuovi loci genomici scoperti, molti si trovano in geni che svolgono un ruolo nel metabolismo del ferro, confermando precedenti evidenze secondo cui alti livelli di ferro possono contribuire alle malattie cardiovascolari, precisano gli autori. Gli scienziati hanno inoltre confermato l'associazione tra pressione sanguigna e varianti del gene Adra1A, che codifica per un recettore cellulare detto adrenergico, già target di farmaci per la pressione. Ecco perché gli autori ritengono che altre varianti genomiche individuate nella nuova ricerca potrebbero diventare bersagli farmacologici per sviluppare nuove terapie.

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Cardiologi: “Ecg con Ai è salto in avanti, screening...

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Cardiologi:

Lo studio sull'efficacia dell'uso di nuovi Ecg con intelligenza artificiale nel prevenire i decessi individuando pazienti ad alto rischio mortalità, "ci dice che non si deve avere paura e non si deve essere scettici rispetto all'uso dell'Ai nella pratica clinica. Questa ricerca e altre del genere forniscono una indicazione importante sul tema della prevenzione. Se un medico, grazie appunto all'Ai, riceve un alert su un paziente specifico può dedicargli più attenzione, si può identificare uno scompenso cardiaco, si possono usare farmaci antiaritmici in modo selettivo, ma anche individuare aritmie maligne. L'Ecg intelligente ci permette un salto in avanti con uno screening più approfondito rispetto a quello che si esegue di routine, riducendo anche i costi e l'inappropriatezza". Così all'Adnkronos Leonardo De Luca, vice presidente Anmco, l'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri, e direttore della struttura complessa di Cardiologia del Policlinico San Matteo di Pavia.

Rispetto alle innovazioni, in Italia "c'è un problema culturale", avverte De Luca. "Secondo un nostro censimento di tutte le strutture cardiologiche pubbliche, convenzionate e private presenti in Italia - spiega - parliamo di 790 strutture, solo nel 20% sono presenti strumenti di telemedicina, teleconsulto e telerefertazione. Il Pnrr doveva intervenire proprio su queste settore e sull'ammodernamento del parco tecnologico".

Il balzo tecnologico, favorito anche dall'Ai, può essere un rischio nel far aumentare la richiesta di offerta sanitaria 'hi-tech'? "C'è il rischio, come c'è un rischio di esagerare con l'interpretazione dei dati che arrivano dai vari software oggi a disposizione - risponde il primario di Cardiologia - Questo studio dimostra che proprio l'Ai applicata a un esame importante e ormai consolidato come l'Ecg può ridurre la mortalità del paziente ospedalizzato, ma c'è da considerare anche l'effetto Hawthorne, che accade quando c'è una variazione del comportamento in presenza di qualcuno che ti osserva. Questo - chiarisce - potrebbe essere accaduto nello studio quando il medico, che sa di partecipare a un ricerca, è più attento ai dati e all'osservazione clinica del paziente. Magari è più sensibile all'alert dell'Ai e interviene istantaneamente. Ma al di là di questa considerazione, davvero ormai con intelligenze artificiali che passano in rassegna milioni di dati e immagini in pochissimo tempo, siamo in presenza di una rivoluzione nel campo della cardiologia, e non solo".

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Nuovo cancro seno ereditario, Aiom: “Passo avanti per...

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Nuovo cancro seno ereditario, Aiom:

E' "un passo avanti importante sulla strada della diagnosi di precisione" lo studio dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano, pubblicato su 'Jama Network Open', che ha scoperto una nuova forma ereditaria di cancro al seno, associata al gene Cdh1. A spiegare all'Adnkronos Salute il valore del lavoro dei senologi Ieo è Francesco Perrone, presidente dell'Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) e direttore dell'Unità Sperimentazioni cliniche dell'Istituto nazionale tumori Fondazione Pascale di Napoli.

In donne operate per un tumore lobulare del seno, gli autori hanno definito una nuova sindrome chiamata 'carcinoma mammario lobulare ereditario', associata a mutazioni patogenetiche del gene Cdh1. Una forma di cancro e che si differenzia integralmente - sottolineano i ricercatori - dalla classica sindrome del carcinoma mammario ereditario causata dalle note mutazioni dei geni Brca1 e Brca2. I cosiddetti 'geni Jolie', che hanno spinto l'attrice americana e più di recente la supermodella Bianca Balti a ricorrere alla chirurgia preventiva per scongiurare il rischio cancro. Per i senologi Ieo, "le donne con un tumore lobulare, con età sotto i 45 anni, o con storia familiare positiva o con tumore lobulare bilaterale, dovrebbero essere tutte testate per il gene Cdh1".

Su questo punto Perrone precisa: "Non faccio anticipazioni sui contenuti delle future linee guida Aiom, che sono frutto di un processo lungo e complesso, e che sono valide una volta approvate dall'Istituto superiore di sanità e pubblicate". Ciò premesso, lo studio dell'Irccs fondato da Umberto Veronesi indica "una nuova potenziale possibilità di fare diagnosi di precisione", afferma l'oncologo. Le conclusioni del lavoro, puntualizza, aprono all'eventualità di "aggiungere, nei prossimi anni, qualcosa all'armamentario diagnostico già disponibile per cercare di identificare tumori che hanno una causa ereditaria". Un'opportunità molto importante per i pazienti con mutazioni genetiche a rischio cancro, ma anche per i loro familiari, sui quali potrà essere cercata la stessa mutazione, valutando strategie personalizzate di prevenzione.

La nuova ricerca dell'Ieo, commenta il presidente Aiom, "è uno studio sicuramente importante su un tema molto importante che è quello delle forme ereditarie di cancro. In questo caso una forma di cancro della mammella, il carcinoma lobulare, che non è la più frequente", rimarca Perrone. L'oncologo si complimenta pertanto con gli autori anche "per la capacità di mettere insieme una grande casistica, iniziata prima del 2000", così da produrre risultati abbastanza 'pesanti' da poter sperare di orientare in futuro la diagnosi oncologica di precisione.

"Al momento - ribadisce il numero uno dell'associazione oncologi medici - mi sembra che il senso di questa pubblicazione possa essere quello di aggiungere potenzialmente, nei prossimi anni, qualcosa all'armamentario diagnostico di cui disponiamo per individuare i tumori con una causa ereditaria. Che ciò si potrà tradurre in una modifica della terapia o della prognosi è molto presto per dirlo, però è una cosa importante. Con i più noti e importanti 'geni Jolie' - ricorda infatti Perrone - quello che accade" già oggi "è che si fa una diagnosi di un tumore che è legato a un'anomalia di questi geni, e quindi si può poi discutere e ragionare anche per la prevenzione del cancro nei familiari che potrebbero avere la stessa mutazione. Un elemento, questo, molto importante".

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