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La lotta allo spreco alimentare diventa cool con la ‘doggy...

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La lotta allo spreco alimentare diventa cool con la ‘doggy bag’, presentato pdl per renderla obbligatoria

doggy bag

Fino a non molto tempo fa, chiedere al cameriere di metterci in un sacchetto gli avanzi del pranzo al ristorante per portarceli a casa significava fare la figura del ‘poveraccio’ o del tirchio, sicuramente di quello che ‘non sa vivere’. Ma le cose cambiano, a partire dai nomi: adesso, chiedere di avere la ‘doggy bag’ è cool, alla moda, tanto che per molti vip è diventata un’abitudine (più o meno di facciata). Alla base, ci sono la nuova sensibilità per l’ambiente e la consapevolezza di voler evitare gli sprechi, figlie di un’epoca che si è lasciata edonismo e sfrenatezza alle spalle e che punta a essere sostenibile e attenta, in una parola etica.

La lotta allo sperpero del cibo non a caso è uno degli obiettivi fissati nell’Agenda Onu 2030, che prevede di dimezzarlo entro, appunto, il 2030.

Lo spreco alimentare problema ambientale e sociale

Si tratta di una sfida rilevante, perché questo tipo di spreco ha un impatto pesante sotto vari punti di vista, ambientale in primis ma anche sociale ed economico. Qualche dato: lo spreco di cibo produce il 10% delle emissioni di gas serra e dilapida ingenti risorse, idriche, energetiche, di terreno. Si calcola che, se fosse uno Stato, sarebbe il terzo produttore al Mondo di emissioni di CO2 dopo Usa e Cina. Senza contare le emissioni prodotte dalla disgregazione dei rifiuti alimentari gettati in discarica e la deforestazione dovuta alla creazione di nuovi campi per produrre cibi che non verranno mai mangiati.

Secondo la Fao, ogni anno circa un terzo dell’intera produzione agricola mondiale destinata al consumo umano viene sprecato. Un problema e un ‘lusso’ che riguarda soprattutto i Paesi ricchi, perché quelli in via di sviluppo certamente non possono permettersi di scialare: sempre secondo la Fao, in media un occidentale ‘butta al secchio’ 95–115 kg di alimenti all'anno, mentre nell'Africa subsahariana l la percentuale si ferma intorno ai 6–11 kg all'anno.

Ovviamente non sono solo gli avanzi del ristorante il problema, che invece è complesso e riguarda tutta la filiera, dal processo di produzione agricola alla lavorazione fino alla vendita e alla conservazione del cibo.

Non a caso l’Europa ha adottato la ‘Farm to Fork’ Strategy for a fair, healthy and environmentally-friendly food system’, un programma ‘dalla fattoria alla forchetta’ proprio per arrivare a consumare in modo più sostenibile e ridurre gli sprechi a 360 gradi.

Anche se non sono l’unico attore in gioco, i consumatori hanno comunque un grosso ruolo e quindi anche un ampio margine d’azione. Una via passa proprio dalla doggy bag, diffusissima negli Stati Uniti e obbligatoria in Francia e Spagna. Riciclare gli avanzi del ristorante è ormai una necessità e un trend, dunque, ma è così anche in Italia?

Italia sprecona

Partiamo da un dato che purtroppo, come spesso accade, non ci fa onore: secondo i dati della Fondazione Bdfn, ogni italiano spreca 65 kg di cibo all’anno, a causa di comportamenti sbagliati o semplicemente superficiali, in casa e al ristorante. Il Paese perciò ha un gran bisogno di contrastare il fenomeno.

E proprio in questo contesto nasce la proposta di legge dal titolo 'Obbligatorietà della doggy bag' presentata oggi in Parlamento da Giandiego Gatta, deputato di Forza Italia e responsabile nazionale Dipartimento pesca e acquacoltura del partito azzurro, con il presidente dei deputati di Forza Italia Paolo Barelli insieme ai Circoli per l’ambiente e della cultura rurale.

La pdl ha l’obiettivo, spiega Gatta, “di contribuire a contrastare lo spreco alimentare. Introdurre la doggy bag anche in Italia sarebbe non solo un atto di buon senso che aiuterebbe a contrastare lo spreco alimentare ma avrebbe anche una finalità sociale”.

Cosa ne pensano gli italiani?

Se all’estero la doggy bag è diffusa e nessuno ci vede nulla di strano nel chiederla, in Italia non è ancora così. Per la Coldiretti “permangono molte resistenze anche se di fronte a questa nuova esigenza la ristorazione si attrezza e in un numero crescente di esercizi, per evitare imbarazzi, si chiede riservatamente al cliente se desidera portare a casa il cibo o anche le bottiglie di vino non finite e si mettono a disposizione confezioni o vaschette ad hoc”.

Per i ristoratori infatti ''la doggy bag è già realtà'', come sottolinea il presidente di Fiepeti (associazione dei pubblici esercizi Confesercenti) Giancarlo Banchieri, commentando la proposta di legge annunciata: ''Non penso ci siano ristoratori che negano la possibilità di portarsi a casa eventuali avanzi. La verità però è che pochi clienti chiedono di farlo: imporre multe a un ristoratore che ha finito le vaschette di alluminio non cambierà la situazione”.

Ridurre gli sprechi è nell’interesse di tutti: dell’ambiente, dei consumatori e anche dei ristoratori. Per raggiungere questo obiettivo, però, bisogna lavorare sulla promozione di comportamenti e strategie anti spreco. Un impegno che ci prendiamo volentieri: proporremo ai nostri associati di esporre nei loro ristoranti cartelli che invitino i clienti a chiedere la doggy bag. Ma occorre chiarire in modo definitivo le responsabilità: una volta usciti dal ristorante, spetta ai clienti conservare correttamente gli alimenti”, conclude Banchieri.

Se permangono imbarazzi e resistenze, c’è comunque motivo di essere ottimisti che qualcosa sta cambiando anche da noi: secondo un’analisi Coldiretti/Censis diffusa proprio in riferimento alla annunciata proposta parlamentare, quasi un italiano su 2 (49%) è pronto a chiedere la doggy bag al ristorante, percentuale che sale al 58% tra i giovani, i più propensi verso le tematiche green e i meno interessati alla vecchia ‘etichetta’. Gli italiani insomma stanno capendo che chiedere la ‘schiscetta’ e riutilizzare a casa quanto non si è mangiato al ristorante non è un gesto volgare o da poveracci ma anzi un segno di attenzione e rispetto per l’ambiente e per gli altri: d’altronde, se lo fanno celeb come Rihanna e Michelle Obama, non può che essere un’abitudine cool.

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Economia

Arriva Wishew, il nuovo social ‘made in Italy’...

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Il social network italiano ha raccolto oltre 50 mila iscritti in sole due settimane prima del lancio. Un record per una startupi italiana che ha in Lmdv Capital il principale investitor

Arriva Wishew, il nuovo social 'made in Italy' debutta negli Usa

E' ormai questione di ore il debutto negli Stati Uniti di Wishew (pronunciato 'wish you', all’americana) il social network italiano che ha raccolto oltre 50 mila iscritti in sole due settimane prima del lancio. Un record per una start up tutta italiana che ha in Lmdv Capital il principale investitor. Lmdv Capital, infatti, ha sposato il progetto di 3 giovani imprenditori italiani diventandone il principale investitore. Fondato da Giacomo Vose (39 anni) Antonino Risicato (29) e Vincenzo De Caro (29), Wishew permetterà di postare video chiedendo agli altri utenti un dollaro (o più) per realizzare il sogno di una vita.

"Wishew porta il mondo del crowdfunding su un altro livello - spiega Giacomo Vose-. Vogliamo offrire a miliardi di persone la possibilità di realizzare un sogno al di là delle loro possibilità: un viaggio ai tropici, un pianoforte, un master universitario; qualunque cosa. Basterà postare il proprio video e chiedere l’aiuto della comunità: abbiamo ‘bannato’ i ‘like’, ma ci sarà un tasto per donare 1 dollaro e l’algoritmo premierà chi dona di più e più spesso". Il primo orizzonte di Wishew sarà gli Stati Uniti, dove si concentra il 49% del crowdfunding mondiale: il business model di Wishew partirà da questo primato, trattenendo una piccola quota delle donazioni ed offrendo pacchetti di sponsorizzazione dei desideri.

"Qui ci concentreremo per i prossimi due anni prima di rendere la App disponibile in Europa", riprende Vose. "Wishew sarà, soprattutto, una comunità di persone con un sogno nel cassetto che chiede l’aiuto delle altre per realizzarlo ed è, nel contempo, pronta a donare il proprio. È uno strumento partecipativo, è uno strumento genuino, è un social network che cambia in un colpo solo la focalizzazione: non più 'l’apparire' ma l’altruismo, la reciprocità e i desideri più profondi. Sappiamo che ci saranno molti utenti facoltosi che doneranno senza chiedere, ma il nostro target sono le persone della classe ‘media’ che si scambieranno esperienze e donazioni".

Nell'arco di due anni, rileva Leonardo Maria Del Vecchio che, oltre essere Chief Strategy Officer di EssilorLuxottica, è anche Presidente della Fondazione filantropica OneSight EssilorLuxottica Italia Ets, "ci apriremo al mercato globale ma non sarà questa l'unica novità: puntiamo ad arricchire Wishew con un intero nuovo livello dedicato alle charity e al mondo del volontariato. Sostenere un progetto che ha un modello di business articolato e può diventare anche motore di progresso e di miglioramento per le persone è l'ideale di imprenditoria che sto perseguendo con la mia azienda Lmdv Capital”.

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Porti, Adsp Mtcs è definitivamente riconosciuta come porto...

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Porti, Adsp Mtcs è definitivamente riconosciuta come porto Core

Lo scorso 24 aprile è stato pubblicato nel Guce, la Gazzetta ufficiale dell'Unione Europea, il regolamento Ten T che ha ufficializzato che l'Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centro Settentrionale è definitivamente riconosciuta come porto Core. La chiusura formale di questo lungo percorso, tentato dal 1996 ma solo negli ultimi 3 anni chiuso con la Commissione prima e adesso anche con il Parlamento UE, permette finalmente ai porti di Roma e del Lazio di poter entrare dalla porta principale nei programmi di finanziamento europei.

"Aver ottenuto la chiusura formale della procedura e questo riconoscimento a livello europeo - sottolinea Pino Musolino Presidente dell'AdSP Mtcs - è motivo di grande orgoglio e soddisfazione e certifica, ancora una volta, che il lavoro che stiamo facendo sta dando i suoi frutti in tutti gli ambiti".

"Siamo di fronte - conclude Musolino - ad un risultato che è figlio di un grande lavoro istituzionale di squadra, sia a livello italiano che europeo. È sicuramente uno stimolo a fare di più e meglio per sfruttare le possibilità offerte dall'inserimento nella rete "Core", soprattutto per le autostrade del mare. Una occasione per lo sviluppo e la crescita occupazione del porto e di tutto il territorio".

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Energia, Emanuela Trentin (Siram Veolia):...

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Emanuela Trentin, ceo di Siram Veolia

“La transizione energetica e la decarbonizzazione sono processi necessari e irreversibili: rappresentano non solo una necessità ambientale per garantire una crescita sostenibile nel lungo periodo, ma anche, e soprattutto, una scelta urgente che nel breve consentirà ai nostri Paesi di rendersi autonomi dal punto di vista energetico”.

Ad affermarlo Emanuela Trentin, ceo di Siram Veolia, durante la G7 Industry Stakeholder Conference in corso oggi presso il Centro Congressi dell’Unione Industriali Torino.

"Parliamo di un cammino che ci vede direttamente coinvolti come player di lunga data e leader mondiale nella trasformazione ecologica e che, grazie a tecnologie, competenze e strumenti a nostra disposizione, possiamo percorrere fino in fondo - ha proseguito- attraverso interventi di efficienza energetica associati alla produzione di energia locale, stimiamo al 2030, a livello europeo, un potenziale di 400 GW di energia da sbloccare, pari alla domanda dell’Italia, con la possibilità di ridurre le emissioni di 420 Mt di Co2".

"Siamo consapevoli che le fonti energetiche green siano più costose, con una supply-chain più lunga, e che per questo necessitino di più ampi e condivisi incentivi per essere finanziariamente sostenibili, incentivi basati sulla performance energetica ed ambientale in una logica di pay by results - ha detto ancora - vediamo negli interventi di efficienza energetica, associati alla produzione locale di energia rinnovabile, la strada da perseguire; grazie ad una gestione consapevole del valore dei dati, alle avanzate tecnologie basate sull’intelligenza artificiale (Ai) unite alle competenze umane oggi ne assicuriamo un'ulteriore accelerazione” “Promuoviamo e stimoliamo la collaborazione tra i settori pubblico e privato con il supporto di tutti gli attori in campo, dalle istituzioni agli operatori del settore, passando per i luoghi accademici e di formazione. Sotto questo profilo, le aziende private possono portare know-how tecnologico, competenze e facilitare l’accesso ai mercati finanziari, accelerando gli investimenti - ha concluso Trentin - siamo certi che questa sia l’unica via percorribile per raggiungere gli ambiziosi obiettivi posti dall’Unione Europea e vincere le sfide ambientali, economiche, sociali che ci attendono".

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