Sostenibilità
Disabilità, The Guide Project: piattaforma digitale...
Disabilità, The Guide Project: piattaforma digitale accessibile ai lavoratori ciechi
Realizzata da Gruppo Cap, Deloitte Digital e Salesforce insieme a Barbara Contini
Si chiama Barbara Contini, ha 45 anni, gestisce un servizio di pronto intervento per emergenze idriche, è una campionessa di tiro con l'arco, ed è cieca. È anche la protagonista di una storia di integrazione di successo, che l’ha portata, insieme alla sua azienda e a tecnici specializzati, a realizzare un progetto per superare quelle barriere fatte di stereotipi e a volte veri e propri pregiudizi, che spesso portano a escludere le persone con disabilità dal mondo del lavoro. Il progetto si chiama The Guide Project, a realizzarlo sono stati Gruppo Cap, la green utility che gestisce il servizio idrico della Città metropolitana di Milano, Deloitte Digital e Salesforce, che hanno messo insieme tecnologia e relazioni umane, lavorando con Barbara per progettare, programmare e realizzare una versione su misura di una delle più efficienti piattaforme digitali.
Il progetto ha previsto anche l’ottimizzazione degli strumenti che Barbara usa quotidianamente nel suo lavoro di gestione clienti di Cap. “Per le persone cieche, lavorare non dovrebbe essere un’impresa. Per questo abbiamo voluto creare qualcosa di veramente nuovo - spiega Michele Tessera, Cio di Gruppo Cap - Un progetto importante tanto per le persone cieche, che potranno confrontarsi con nuove possibilità e opportunità professionali, ma anche per le aziende stesse, che altrimenti rischierebbero di perdersi il loro talento e il loro potenziale. Spero che quanto abbiamo fatto possa essere d’ispirazione per tante altre società”.
Il progetto è raccontato in un documentario, ideato dall’agenzia creativa Acne e diretto dalla regista Veronica Ciceri, presentato in occasione della Giornata Mondiale delle Disabilità in forma accessibile a persone cieche e sorde. “Noi ciechi abbiamo vinto sfide che sembravano impossibili - spiega Barbara Contini nel documentario - Io sono riuscita a diventare campionessa italiana paraolimpica nel tiro con l’arco, ma sono ancora tanti gli obiettivi da raggiungere. Abbiamo infatti ancora una barriera importante che dobbiamo abbattere, quella dell’integrazione completa nel mondo del lavoro”.
“È un progetto unico nel suo genere, siamo orgogliosi di aver contribuito alla creazione di un nuovo modello che, grazie alla tecnologia, permetterà a tantissime aziende di accogliere persone cieche nel mondo del lavoro”, commenta Federico Besana, partner Deloitte Digital per Gruppo Cap. "Per Salesforce inclusione è una parola chiave e questo progetto rappresenta il modo migliore per dare vita e concretezza a un valore fondamentale - aggiunge Vanessa Fortarezza, Country Leader Salesforce Italia - Siamo veramente molto orgogliosi di quanto realizzato per dare a Barbara uno strumento di lavoro accessibile ed evoluto”.
Secondo i più recenti dati Istat, nel 2019 in Italia le persone con disabilità erano 3 milioni e 150mila, il 5,2% della popolazione, di cui circa 2 milioni di età compresa tra i 15 e i 64 anni. Di questi, risulta occupato solo il 32,2% di coloro che soffrono di limitazioni gravi contro il 59,8% delle persone senza limitazioni. Le persone cieche assolute o parziali sono più di 122mila (dati Inps casellario pensionati Invciv, 2018), e il loro tasso di disoccupazione è del 70%, contro il 10,5 della media nazionale, dati Istat novembre 2018. L’obiettivo di The Guide Project è quello di dimostrare che, attraverso investimenti, innovazione e tecnologia, è possibile cambiare il punto di vista del mondo del lavoro rispetto alle persone affette da disabilità, che, come dice Barbara nel documentario a lei dedicato, da numeri possono così diventare risorse preziose per le imprese italiane.
Nato nell’autunno del 2022, The Guide Project ha visto una prima fase di ascolto delle difficoltà di Barbara nell’utilizzo della piattaforma Crm di Salesforce utilizzata per gestire in tempo reale le richieste dei cittadini. Il team Deloitte Digital, specializzato nell’implementazione dei servizi Salesforce per le aziende, ha lavorato per ottimizzare il sistema rendendolo più inclusivo e totalmente accessibile, superando le 'barriere architettoniche' digitali per consentire a Barbara di gestire anche le mansioni più urgenti e complesse, come quelle di pronto intervento, in maniera immediata e naturale. Nei primi tre mesi di attività, Barbara ha gestito in totale autonomia 2552 interventi.
Sostenibilità
Surriscaldamento climatico, il Venezuela è il primo Paese...
Addio anche al ghiacciaio Humboldt: tra il 1953 e il 2019 il Paese ha perso il 98% della sua copertura di ghiacciai
Il Venezuela è il primo Paese al mondo ad aver perso tutti i suoi ghiacciai. Anche l’ultimo che era rimasto nel territorio, il ghiacciaio Humboldt, è caduto vittima del cambiamento climatico: per gli scienziati adesso è classificato come “campo di ghiaccio” (“ice field”) o “nevaio”, a seguito di un significativo restringimento.
Il ghiacciaio Humboldt, o La Corona, era l’unico ghiacciaio rimasto nel Paese dal 2011, secondo il The Guardian. Gli scienziati avevano stimato che il ghiacciaio sarebbe durato per almeno un altro decennio, ma a causa dei disordini politici nel Paese non erano stati in grado di monitorare il sito per alcuni anni.
La Corona è passata dai 337 ettari di ghiaccio del 1910 ai 4 ettari nel 2022, fino a scendere sotto un’area di 2 ettari quest’anno. Generalmente, per rientrare nei ghiacciati, la massa di acqua ghiacciata deve estendersi per almeno 10 ettari.
In un disperato tentativo di salvare il ghiacciaio, lo scorso dicembre il governo Maduro aveva manifestato l’intenzione di utilizzare una copertura geotermica, costituita da 35 pezzi separati, ciascuno della grandezza di 2,75 per 80 metri, per salvaguardare ciò che restava del ghiacciaio Humboldt. Tentativo alquanto goffo ma soprattutto, dicono gli esperti, del tutto inutile.
La perdita dei ghiacciai
Soltanto 40 anni fa il Venezuela poteva vantare tre ghiacciai. In un secolo, dal 1910 al 2024, il Venezuela ha perso sei ghiacciati che si estendevano per circa 1.000 chilometri quadrati nella catena montuosa della Sierra Nevada de Mérida. Tutti diventati troppo piccoli per essere classificati come ghiacciai, con inevitabile innalzamento del livello del mare e le conseguenze sulle correnti oceaniche, che svolgono un ruolo fondamentale nel regolare il clima del pianeta.
Secondo gli studi condotti da Ifl Science, tra il 1953 e il 2019 la copertura dei ghiacciai in Venezuela è diminuita del 98%, con un tasso di perdita che è cresciuto vistosamente dal 1998 in poi, fino a raggiungere il 17% all’anno.
“I nostri ghiacciai tropicali stanno scomparendo rapidamente a partire dagli anni ’70”, ha commentato Alejandra Melfo, astrofisica dell’Universidad de los Andes di Mérida. Per Caroline Clason, glaciologa e professore associato all’Università di Durham, “il fatto che il Venezuela abbia perso tutti i suoi ghiacciai simboleggia davvero i cambiamenti che ci si può aspettare in tutta la criosfera globale se la crisi climatica va avanti”.
Secondo un rapporto Wwf, solo nel 2022 i ghiacciai hanno perso 3000 milioni di metri cubi di ghiaccio, più del 6% del volume residuo. È uno dei ritiri più consistenti degli ultimi cento anni, come successo anche nel 2003 e nel 2011.
I prossimi Paesi a rischio
Secondo il climatologo Maximiliano Herrera, intervistato da The Guardian, Indonesia, Messico e Slovenia saranno i prossimi Paesi a restare senza ghiacciai.
Intanto, con l’aprile appena trascorso, si sono raggiunti gli undici mesi consecutivi più caldi dei corrispettivi dell’anno prima. In pratica aprile 2024 è stato più caldo di aprile 2023, e così anche i dieci mesi precedenti. Sul finire dell’anno scorso, si è raggiunto per la prima volta nella storia il +2°C rispetto al periodo preindustriale. “Nella zona andina del Venezuela, ci sono stati alcuni mesi con anomalie mensili di +3°C/+4°C sopra la media 1991-2020, il che è eccezionale a quelle latitudini tropicali”, spiega ancora Herrera.
Il ruolo di El Niño
Ad aggravare la situazione nella zona dell’Oceano pacifico equatoriale è il fenomeno El Niño, caratterizzato da un insolito riscaldamento delle acque superficiali nell’area orientale dell’equatore e può accelerare la scomparsa dei ghiacciai tropicali.
Anche se si verifica nell’Oceano Pacifico equatoriale, questo fenomeno genera cambiamenti nei modelli meteorologici di tutto il mondo. El Niño non è un evento ciclico regolare e può verificarsi a intervalli irregolari, generalmente ogni due-sette anni, con alcuni cicli che durano solo pochi mesi e altri che possono persistere per un paio di anni.
Ma da cosa è provocato?
Questo riscaldamento delle acque è causato da una variazione dei venti alisei, che normalmente soffiano da est verso ovest lungo l’equatore. Durante El Niño, questi venti diventano più deboli o invertono la direzione, causando un accumulo di acqua calda nella parte orientale del Pacifico. A sua volta, questo cambiamento nella distribuzione della temperatura dell’acqua influisce sulla circolazione atmosferica e può alterare i modelli di precipitazione e le temperature in molte parti del mondo.
Per questo, gli effetti di El Niño possono essere vari, inclusi periodi di siccità in alcune regioni e piogge intense e inondazioni in altre. Tra le conseguenze più frequenti di El Niño ci sono inverni più umidi e piovosi nel sud degli Stati Uniti e condizioni più secche e calde nel nord. In altre parti del mondo, come l’Australia e i paesi dell’Asia sud-orientale, El Niño può causare siccità estreme e impatti negativi sull’agricoltura e sulle riserve idriche.
Chiaramente, anche El Niño ha giocato un ruolo importante nello scioglimento dei ghiacciai in Venezuela. Le conseguenze di questo fenomeno impattano inoltre sulla salute degli ecosistemi marini, in particolare sulle pescherie costiere, a causa del cambiamento delle temperature oceaniche e delle correnti con ripercussioni devastanti sulla biodiversità marina.
Sostenibilità
Economia circolare, Italia leader in Europa
Un modello nel riciclo secondo il Rapporto del Circular Economy Network ed Enea
L'impegno delle istituzioni nazionali, degli enti locali e dei singoli cittadini nel riciclo dei rifiuti ha portato a risultati di grande valore per il nostro Paese. Al punto che, un quinto di ciò che l'Italia produce proviene dal riciclo, un dato che ci posiziona al secondo posto in Europa in quanto ad economica circolare, dietro solo alla Francia. Relativamente al riciclo dei rifiuti, invece, siamo al primo posto in Europa.
Dunque, l'Italia di distingue per la capacità di sfruttare al meglio le risorse materiali in un'ottica di economia circolare. A tale proposito, nel nostro Paese la produttività delle risorse vale mediamente 3,7 euro di PIL per chilo di materiale consumato, contro la media UE di 2,5 euro per chilo. Il nostro sistema produttivo dimostra una forte spinta verso la circolarità coinvolgendo in questo processo virtuoso anche le piccole e medie imprese: il 65% delle PMI, infatti, dichiara di applicare principi di economia circolare, una percentuale più che raddoppiata rispetto al 2021. Sono questi alcuni dei dati più significativi emersi dal Rapporto sull'economia circolare realizzato dal Circular Economy Network e da Enea.
Per la prima volta in questo Rapporto le performance di economia circolare delle prime cinque economie dell'UE – Italia, Francia, Germania, Spagna, Polonia – sono state comparate utilizzando gli indicatori della Commissione europea, ovvero: produzione e consumo, gestione dei rifiuti, materie prime seconde, competitività e innovazione, sostenibilità ecologica e resilienza.
Un esempio virtuoso da seguire
Il nostro Paese rappresenta un esempio virtuoso nell'economia circolare fondato su riciclo, efficienza e innovazione, che dovrebbe essere preso a modello anche da altri Stati membri dell'UE. Il risultato raggiunto è dovuto principalmente all'efficienza nella gestione dei rifiuti. A tale proposito, in Italia il riciclo degli imballaggi ha raggiunto il 71,7% (dato risalente al 2021), otto punti superiore alla media UE che si ferma al 64%.
Non solo, la raccolta dei rifiuti urbani ha raggiunto quota 49,2%, anche in questo caso un dato superiore alla media europea del 48,6%, anche se ben lontana dal 69,1% della Germania. Un altro settore in cui il nosto Paese eccelle è quello del riciclo dei Raee (Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) dove abbiamo raggiunto l'87,1%, quasi sei punti percentuli più della media degli altri Stati membri. Da segnalare anche una considerevole riduzione dei rifiuti pro capite, scesi da 504 kg per abitante nel 2018 a 494 kg per abitante nel 2022. Con riferimento agli investimenti in economia circolare, l'Italia ha investito 12,4 miliardi di euro che corrispondono allo 0,7% del PIL, classificandosi al terzo posto alle spalle di Germania e Francia.
La crescita dell'economia circolare ha avuto un impatto positivo anche in termini di occupazione. In Italia gli occupati correlati a tale settore, nel 2021, erano 613 mila, il 2,4% del totale occupati e in aumento del 4% rispetto al 2017. Infine, il valore aggiunto generato dall'applicazione dei principi di economia circolare in Italia è stato pari a 43,6 miliardi di euro, 299,5 miliardi per l'intera UE. In conclusione, se da una lato risultano indiscutibili i progressi raggiunti in materia di economia circolare, dall'altro è necessario un impegno crescente per affrontare le sfide future, per le quali saranno fondamentali alcuni elementi: investimenti in ricerca e innovazione, promozione di modelli di consumo sostenibile, riduzione della dipendenza dai materiali d'importazione
Sostenibilità
Dal bambù al vetro, la nuova frontiera dell’architettura...
Resistenza alla trazione, versatilità ed eleganza: sono questi alcuni dei fattori che rendono attraente l’impiego del bambù nei più moderni progetti di architettura sostenibile. La vera novità, però, risiede nella scoperta di un procedimento che dalla pianta porta alla sintesi di un materiale molto simile al vetro. È la scommessa vinta da un gruppo di ricerca della CSUFT, in Cina, convinto che da questa innovazione gli architetti di tutto il mondo possano prendere le mosse per un rinnovamento ecologico dei modi dell’abitare. I risultati dello studio sono comparsi su “Research”.