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Esteri

Kate, il cancro e la chemioterapia: domande e risposte

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La principessa rende nota la diagnosi

Kate Middleton

La principessa Kate, 42 anni, è malata di cancro e si sta sottoponendo a chemioterapia. L'annuncio della principessa del Galles, con un video, pone fine a due mesi di speculazioni e ipotesi dopo l'operazione a cui la moglie del principe William si è sottoposta a gennaio.

La diagnosi

Alla principessa del Galles, 42 anni, è stata diagnosticata una forma non specificata di cancro. Nel video diffuso dai canali di Kensington Palace, Kate ha spiegatoo che quando è stata sottoposta a un importante intervento chirurgico addominale a gennaio "si pensava che la mia condizione non fosse legata al cancro". L'intervento, effettuato presso la London Clinic, ha avuto successo. Dopo 13 notti in ospedale, la principessa è stata dimessa il 29 gennaio. "Tuttavia, i test effettuati dopo l'operazione hanno rilevato che era presente un cancro", ha detto venerdì. Kensington Palace ha dichiarato che non condividerà ulteriori informazioni mediche sulla forma o sullo stadio del cancro scoperto.

Quali esami sono stati eseguiti

Non sono stati resi noti dettagli su test ed esami successivi all'intervento. I test diagnostici per il cancro possono comprendere esami del sangue, scansioni e biopsie.

La biopsia prevede il prelievo di un piccolo campione in modo che possa essere esaminato al microscopio per identificare se sono presenti cellule anomale. La principessa ha reso noto che "i test effettuati dopo l'operazione hanno rilevato che era presente un cancro".

La terapia

Lo staff medico ha consigliato a Kate di sottoporsi a un ciclo di chemioterapia preventiva. La chemioterapia è un trattamento per eliminare le cellule tumorali. Esistono tipi diversi di protocolli chemioterapici, puntano tutti a evitare la riproduzione delle cellule tumorali, impedendo la proliferazione e la diffusione nell'organismo. La principessa è "nelle fasi iniziali" del trattamento. Secondo i media britannici, Kate ha iniziato un ciclo di chemioterapia preventiva alla fine di febbraio. Saranno i medici a indicare la conclusione della terapia e la durata del ciclo.

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Esteri

Matteo Falcinelli, l’arresto choc a Miami –...

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(Afp)

Le immagini dell'arresto e quelle successive di lui legato mani e piedi. Ha suscitato sdegno e proteste l'arresto a Miami dello studente italiano Matteo Falcinelli.

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Esteri

Ue-Cina, von der Leyen paladina dell’Unione...

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La presidente della Commissione Europea e la linea meno supina nei confronti di Pechino e del suo leader

Xi Jinping e von der Leyen  - Fotogramma /Ipa

La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, incontrando a Parigi il presidente cinese Xi Jinping, si è posta in perfetta continuità con la linea assertiva nei confronti della Cina da lei inaugurata dopo la fine della pandemia di Covid-19. Mentre ancora alla fine del 2020 la sua ‘madrina’ politica, l’allora cancelliera Angela Merkel, aveva fortemente voluto la firma di un trattato sugli investimenti Ue-Cina prima dell’insediamento del presidente Usa Joe Biden, mai entrato in vigore perché poco dopo Pechino avrebbe sanzionato alcuni eurodeputati di peso in risposta alle sanzioni comminate dall’Ue nei confronti di funzionari dello Xinjiang per la persecuzione degli uiguri, von der Leyen, pur essendo tedesca, ha adottato una linea assai meno supina nei confronti di Pechino.

Alfiere di un’Europa che si vuole ‘geopolitica’, e ricandidata alla guida della Commissione per il Ppe, partito che oggi a Berlino è all’opposizione e ha quindi le mani più libere, von der Leyen a Parigi ha espresso posizioni in linea con il discorso che aveva pronunciato il 30 marzo del 2023 al Mercator Institute, prima di una visita a Pechino a fianco del presidente francese Emmanuel Macron, che anche questa volta l’ha invitata, all’Eliseo, perché la presidente potesse confrontarsi con Xi.

Il segretario del Partito Comunista Cinese e presidente della Repubblica Popolare ha scelto di fare solo tre tappe in Europa, nella sua prima visita post-pandemia: Francia, Serbia e Ungheria. La selezione delle mete da parte del leader cinese parla da sola. Macron, che tra i capi di Stato e di governo è il ‘campione’ della linea federalista, ha capito subito dove Pechino voleva andare a parare e ha quindi invitato von der Leyen, che rappresenta l’Ue, e, secondo indiscrezioni, ha anche tentato, senza successo, di coinvolgere il cancelliere tedesco Olaf Scholz.

Von der Leyen ha detto di aver affrontato con Xi anzitutto il tema della guerra in Ucraina. Pechino, anche se ufficialmente non fornisce armamenti alla Russia, resta un grande fornitore di microchip, che consentono a Mosca di produrre armamenti e droni (grazie anche all’aiuto iraniano) e di altri prodotti a doppio uso, civile e militare. La presidente è stata piuttosto diretta: da parte di Pechino “serve - ha detto - uno sforzo maggiore per ridurre le consegne di beni a duplice uso alla Russia, che finiscono sul campo di battaglia" in Ucraina e, "data la natura esistenziale della minaccia derivante da questa guerra, sia per l'Ucraina che per l'Europa, ciò influisce sulle relazioni Ue-Cina".

La presidente ha tuttavia riconosciuto a Xi di avere “svolto un ruolo importante nel ridimensionare le irresponsabili minacce nucleari della Russia e sono fiduciosa - ha aggiunto - che continuerà a farlo”. In realtà Xi, come ha ricordato lo storico americano Stephen Kotkin a Foreign Affairs, è stato pubblicamente umiliato dall’’amico’ Vladimir Putin: subito dopo che la Cina aveva rassicurato il mondo sul fatto che la Russia non avrebbe usato l’atomica in Ucraina, Mosca ha annunciato lo spostamento di armi atomiche tattiche in Bielorussia, contraddicendo platealmente le rassicurazioni cinesi. Ma la presidente ha fatto finta di non saperlo, concedendo pubblicamente all’interlocutore quel ruolo di grande potenza cui Pechino aspira.

Von der Leyen ha anche auspicato che la Cina possa svolgere una funzione moderatrice nel Medio Oriente, augurandosi che “la Cina possa svolgere un ruolo importante nel limitare la proliferazione irresponsabile dei missili balistici e dei droni iraniani”. Anche qui, pur senza nominarli, è sembrata alludere ai microprocessori, che l’Iran importa in grandi quantità e senza i quali i suoi droni, usati contro Israele e forniti alla Russia affinché li possa scagliare contro l’Ucraina, non sarebbero in grado di volare.

Ma è sul piano dei rapporti economici tra Ue e Cina che von der Leyen è stata più che esplicita. All’Eliseo, ha detto von der Leyen, “abbiamo discusso anche degli squilibri” nei rapporti commerciali tra Ue e Cina, “che rimangono significativi, e questo è motivo di grande preoccupazione. Difenderemo le nostre aziende, difenderemo le nostre economie. Non esiteremo mai a farlo, se necessario”, ha promesso.

E ha indicato degli ambiti di preoccupazione molto precisi: “I prodotti sovvenzionati dalla Cina, come i veicoli elettrici o ad esempio l'acciaio, stanno inondando il mercato europeo”, ha detto. L’industria europea dell’automotive è in grave ritardo nella transizione all’elettrico: la Commissione intende gestire la transizione dando modo all’industria europea di compiere la transizione, ritenuta essenziale per la decarbonizzazione, avendo il tempo necessario. Si vuole evitare, in poche parole, quello è successo all’industria europea dei pannelli solari, spazzata via dalla concorrenza cinese, pesantemente sovvenzionata dallo Stato.

E’ una strategia che necessita di un’attenta calibratura, perché potrebbe avere effetti indesiderati: alcune grandi case automobilistiche europee hanno già annunciato un rinvio dell’elettrificazione dei propri listini, cosa che potrebbe far sospettare che scommettano sulla protezione ‘politica’ dalla concorrenza cinese. C’è chi, come il settimanale britannico The Economist, ha sostenuto recentemente che l’Ue dovrebbe semplicemente approfittare delle auto elettriche cinesi a basso costo per accelerare nella decarbonizzazione.

”Nello stesso tempo - prosegue - la Cina continua a sostenere massicciamente il suo settore manifatturiero. E questo, combinato con una domanda interna che non aumenta. Il mondo non può assorbire la sovrapproduzione della Cina”. In questo passaggio, von der Leyen ha mostrato una singolare consonanza con le posizioni dell’ex presidente della Bce Mario Draghi, che ha più volte ricordato come Pechino scarichi sul resto del mondo la propria sovraccapacità produttiva. Fonti Ue non confermano incontri particolari tra Draghi e von der Leyen, ma riferiscono che i contatti tra i due sono molto “frequenti”, dato che l’ex premier italiano sta preparando un rapporto sulla competitività dell’Ue per conto della Commissione.

Pertanto, ha continuato von der Leyen, “ho incoraggiato il governo cinese ad affrontare queste sovraccapacità strutturali". Per il presidente cinese Xi Jinping, il problema della sovraccapacità cinese semplicemente “non esiste”. L’Europa "non può accettare pratiche di distorsione del mercato che potrebbero portare alla deindustrializzazione qui a casa nostra”, ha continuato la presidente. “Affinché il commercio sia equo, anche l'accesso ai rispettivi mercati deve essere reciproco - ha continuato - abbiamo discusso di come realizzare progressi reali in materia di accesso al mercato. Rimango fiduciosa che si possano ottenere ulteriori progressi e, allo stesso tempo, siamo pronti a fare pieno uso dei nostri strumenti di difesa commerciale, se sarà necessario”.

Von der Leyen ha ricordato che la Commissione ha lanciato recentemente un’indagine sul mercato degli appalti pubblici relativi agli apparecchi medicali in Cina, la prima avviata usando lo strumento sugli appalti internazionali. La presidente con Xi è stata franca: “Quella tra Ue e Cina - ha detto - è una relazione complessa. Affrontiamo la questione in modo chiaro, in modo costruttivo e responsabile, perché una Cina che agisce in modo corretto è un bene per tutti noi. Nello stesso tempo, l'Europa non esiterà a prendere decisioni difficili, necessarie a proteggere la sua economia e la sua sicurezza". Perché, come ha detto lei stessa, nel rapporto tra Ue e Cina serve “rispetto reciproco”.

Mentre in campo commerciale l’Ue ha competenza esclusiva e può dunque essere risoluta e credibile, nella politica estera può solo coordinare e tentare di fare sintesi delle posizioni dei 27 Stati membri. E dunque, fatica a trovare una linea comune davanti all’invito inviato dal Cremlino, agli ambasciatori dell’Ue e dei 27 Paesi membri, a partecipare domani alla cerimonia di insediamento del presidente russo Vladimir Putin, per il suo quinto mandato presidenziale.

Gli eurodeputati del Ppe hanno scritto all’Alto Rappresentante Josep Borrell chiedendo che prenda una posizione chiara, invitando gli ambasciatori dei 27 a non partecipare. Ieri a mezzogiorno, a meno di 24 ore dalla cerimonia, gli Stati membri stavano ancora “discutendo” sul da farsi, ha spiegato il portavoce Peter Stano, aggiungendo però che Borrell è “contrario” a che l’Ue partecipi alla cerimonia. Non è affatto detto che tutti i 27 Paesi siano sulla stessa linea di Borrell. Se oggi i 27 ambasciatori davanti all’invito di Putin dovessero muoversi in ordine sparso, sarebbe l’ennesima conferma, malgrado gli sforzi di von der Leyen, che la strada da fare per una vera Unione ‘geopolitica’ è ancora molto lunga.

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Esteri

Difesa Ue, Bruxelles vorrebbe usare il Mes ma i Paesi...

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Lo spiegano all'Adnkronos fonti diplomatiche europee

Bandiere Ue - Fotogramma

L'idea di utilizzare il Meccanismo Europeo di Stabilità per finanziare le spese che l'Ue dovrà affrontare per la difesa comune, se dovesse davvero prendere quota, è destinata a scontrarsi con l'opposizione dei Paesi nordici. Lo spiegano all'Adnkronos fonti diplomatiche europee, dopo le indiscrezioni riportate da Politico.eu. Un'idea simile è "destinata al fallimento", per una serie di ragioni: la prima è che richiederebbe un cambiamento del trattato del Mes, una cosa che "non si fa con facilità", come si è visto con la riforma del Mes negoziata per anni nell'Eurogruppo, in particolare sotto il primo governo Conte, poi finalizzata dal Conte due con la firma dell'allora ministro dell'Economia Roberto Gualtieri e mai ratificata dall'Italia.

Per riformare il trattato del Mes serve l'unanimità dei venti Stati membri della zona euro nel Consiglio e poi la ratifica da parte di tutti i Parlamenti interessati, secondo le singole procedure nazionali. La lunghezza e complicazione dell'iter giuridico necessario non è l'unica ragione che rende questa strada quantomeno impervia: usare il Mes, si fa notare, significherebbe che i venti Paesi dell'area euro "pagherebbero per l'intera Ue", dato che il Meccanismo è finanziato esclusivamente dai Paesi dell'Eurozona. Un'eventualità che appare piuttosto "improbabile", osserva la fonte.

Pertanto, prosegue la fonte, "non credo che la Germania o l'Olanda la appoggerebbero", perlomeno non "a breve". Tuttavia, considerato il contesto geopolitico in rapido deterioramento e in vista delle elezioni presidenziali Usa in novembre, è vero che il problema di come finanziare maggiormente la difesa dell'Europa è certamente tra quelli in cima all'agenda per "tutti" i Paesi membri. Anche se, si osserva, una soluzione ci sarebbe, e pure "piuttosto semplice". Basterebbe che tutti i Paesi Ue membri della Nato, che sono ben 23 su 27, "raggiungessero l'obiettivo" di spendere un ammontare pari al 2% del Pil per la difesa, come gli alleati Nato si impegnarono a fare nel 2014 nel Galles. Solo questo porterebbe ad un aumento delle spese militari dell'ordine di "60-80 mld di euro all'anno".

Certo, ci sono Paesi, come l'Italia, che sono ancora lontani dall'obiettivo del 2% e che non sembrano destinati a raggiungerlo entro quest'anno, come si erano impegnati a fare nel 2014. E' vero che, con un debito che alla fine del 2024 è previsto poco sotto il 138% del Pil, non c'è "molta flessibilità". Tuttavia, questa difficoltà non verrebbe certo risolta ricorrendo a prestiti del Mes. Perché "anche quelli sono debiti", conclude la fonte.

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