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Ue-Cina, von der Leyen paladina dell’Unione...

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Ue-Cina, von der Leyen paladina dell’Unione ‘geopolitica’: linea dura con Xi

La presidente della Commissione Europea e la linea meno supina nei confronti di Pechino e del suo leader

Xi Jinping e von der Leyen  - Fotogramma /Ipa

La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, incontrando a Parigi il presidente cinese Xi Jinping, si è posta in perfetta continuità con la linea assertiva nei confronti della Cina da lei inaugurata dopo la fine della pandemia di Covid-19. Mentre ancora alla fine del 2020 la sua ‘madrina’ politica, l’allora cancelliera Angela Merkel, aveva fortemente voluto la firma di un trattato sugli investimenti Ue-Cina prima dell’insediamento del presidente Usa Joe Biden, mai entrato in vigore perché poco dopo Pechino avrebbe sanzionato alcuni eurodeputati di peso in risposta alle sanzioni comminate dall’Ue nei confronti di funzionari dello Xinjiang per la persecuzione degli uiguri, von der Leyen, pur essendo tedesca, ha adottato una linea assai meno supina nei confronti di Pechino.

Alfiere di un’Europa che si vuole ‘geopolitica’, e ricandidata alla guida della Commissione per il Ppe, partito che oggi a Berlino è all’opposizione e ha quindi le mani più libere, von der Leyen a Parigi ha espresso posizioni in linea con il discorso che aveva pronunciato il 30 marzo del 2023 al Mercator Institute, prima di una visita a Pechino a fianco del presidente francese Emmanuel Macron, che anche questa volta l’ha invitata, all’Eliseo, perché la presidente potesse confrontarsi con Xi.

Il segretario del Partito Comunista Cinese e presidente della Repubblica Popolare ha scelto di fare solo tre tappe in Europa, nella sua prima visita post-pandemia: Francia, Serbia e Ungheria. La selezione delle mete da parte del leader cinese parla da sola. Macron, che tra i capi di Stato e di governo è il ‘campione’ della linea federalista, ha capito subito dove Pechino voleva andare a parare e ha quindi invitato von der Leyen, che rappresenta l’Ue, e, secondo indiscrezioni, ha anche tentato, senza successo, di coinvolgere il cancelliere tedesco Olaf Scholz.

Von der Leyen ha detto di aver affrontato con Xi anzitutto il tema della guerra in Ucraina. Pechino, anche se ufficialmente non fornisce armamenti alla Russia, resta un grande fornitore di microchip, che consentono a Mosca di produrre armamenti e droni (grazie anche all’aiuto iraniano) e di altri prodotti a doppio uso, civile e militare. La presidente è stata piuttosto diretta: da parte di Pechino “serve - ha detto - uno sforzo maggiore per ridurre le consegne di beni a duplice uso alla Russia, che finiscono sul campo di battaglia" in Ucraina e, "data la natura esistenziale della minaccia derivante da questa guerra, sia per l'Ucraina che per l'Europa, ciò influisce sulle relazioni Ue-Cina".

La presidente ha tuttavia riconosciuto a Xi di avere “svolto un ruolo importante nel ridimensionare le irresponsabili minacce nucleari della Russia e sono fiduciosa - ha aggiunto - che continuerà a farlo”. In realtà Xi, come ha ricordato lo storico americano Stephen Kotkin a Foreign Affairs, è stato pubblicamente umiliato dall’’amico’ Vladimir Putin: subito dopo che la Cina aveva rassicurato il mondo sul fatto che la Russia non avrebbe usato l’atomica in Ucraina, Mosca ha annunciato lo spostamento di armi atomiche tattiche in Bielorussia, contraddicendo platealmente le rassicurazioni cinesi. Ma la presidente ha fatto finta di non saperlo, concedendo pubblicamente all’interlocutore quel ruolo di grande potenza cui Pechino aspira.

Von der Leyen ha anche auspicato che la Cina possa svolgere una funzione moderatrice nel Medio Oriente, augurandosi che “la Cina possa svolgere un ruolo importante nel limitare la proliferazione irresponsabile dei missili balistici e dei droni iraniani”. Anche qui, pur senza nominarli, è sembrata alludere ai microprocessori, che l’Iran importa in grandi quantità e senza i quali i suoi droni, usati contro Israele e forniti alla Russia affinché li possa scagliare contro l’Ucraina, non sarebbero in grado di volare.

Ma è sul piano dei rapporti economici tra Ue e Cina che von der Leyen è stata più che esplicita. All’Eliseo, ha detto von der Leyen, “abbiamo discusso anche degli squilibri” nei rapporti commerciali tra Ue e Cina, “che rimangono significativi, e questo è motivo di grande preoccupazione. Difenderemo le nostre aziende, difenderemo le nostre economie. Non esiteremo mai a farlo, se necessario”, ha promesso.

E ha indicato degli ambiti di preoccupazione molto precisi: “I prodotti sovvenzionati dalla Cina, come i veicoli elettrici o ad esempio l'acciaio, stanno inondando il mercato europeo”, ha detto. L’industria europea dell’automotive è in grave ritardo nella transizione all’elettrico: la Commissione intende gestire la transizione dando modo all’industria europea di compiere la transizione, ritenuta essenziale per la decarbonizzazione, avendo il tempo necessario. Si vuole evitare, in poche parole, quello è successo all’industria europea dei pannelli solari, spazzata via dalla concorrenza cinese, pesantemente sovvenzionata dallo Stato.

E’ una strategia che necessita di un’attenta calibratura, perché potrebbe avere effetti indesiderati: alcune grandi case automobilistiche europee hanno già annunciato un rinvio dell’elettrificazione dei propri listini, cosa che potrebbe far sospettare che scommettano sulla protezione ‘politica’ dalla concorrenza cinese. C’è chi, come il settimanale britannico The Economist, ha sostenuto recentemente che l’Ue dovrebbe semplicemente approfittare delle auto elettriche cinesi a basso costo per accelerare nella decarbonizzazione.

”Nello stesso tempo - prosegue - la Cina continua a sostenere massicciamente il suo settore manifatturiero. E questo, combinato con una domanda interna che non aumenta. Il mondo non può assorbire la sovrapproduzione della Cina”. In questo passaggio, von der Leyen ha mostrato una singolare consonanza con le posizioni dell’ex presidente della Bce Mario Draghi, che ha più volte ricordato come Pechino scarichi sul resto del mondo la propria sovraccapacità produttiva. Fonti Ue non confermano incontri particolari tra Draghi e von der Leyen, ma riferiscono che i contatti tra i due sono molto “frequenti”, dato che l’ex premier italiano sta preparando un rapporto sulla competitività dell’Ue per conto della Commissione.

Pertanto, ha continuato von der Leyen, “ho incoraggiato il governo cinese ad affrontare queste sovraccapacità strutturali". Per il presidente cinese Xi Jinping, il problema della sovraccapacità cinese semplicemente “non esiste”. L’Europa "non può accettare pratiche di distorsione del mercato che potrebbero portare alla deindustrializzazione qui a casa nostra”, ha continuato la presidente. “Affinché il commercio sia equo, anche l'accesso ai rispettivi mercati deve essere reciproco - ha continuato - abbiamo discusso di come realizzare progressi reali in materia di accesso al mercato. Rimango fiduciosa che si possano ottenere ulteriori progressi e, allo stesso tempo, siamo pronti a fare pieno uso dei nostri strumenti di difesa commerciale, se sarà necessario”.

Von der Leyen ha ricordato che la Commissione ha lanciato recentemente un’indagine sul mercato degli appalti pubblici relativi agli apparecchi medicali in Cina, la prima avviata usando lo strumento sugli appalti internazionali. La presidente con Xi è stata franca: “Quella tra Ue e Cina - ha detto - è una relazione complessa. Affrontiamo la questione in modo chiaro, in modo costruttivo e responsabile, perché una Cina che agisce in modo corretto è un bene per tutti noi. Nello stesso tempo, l'Europa non esiterà a prendere decisioni difficili, necessarie a proteggere la sua economia e la sua sicurezza". Perché, come ha detto lei stessa, nel rapporto tra Ue e Cina serve “rispetto reciproco”.

Mentre in campo commerciale l’Ue ha competenza esclusiva e può dunque essere risoluta e credibile, nella politica estera può solo coordinare e tentare di fare sintesi delle posizioni dei 27 Stati membri. E dunque, fatica a trovare una linea comune davanti all’invito inviato dal Cremlino, agli ambasciatori dell’Ue e dei 27 Paesi membri, a partecipare domani alla cerimonia di insediamento del presidente russo Vladimir Putin, per il suo quinto mandato presidenziale.

Gli eurodeputati del Ppe hanno scritto all’Alto Rappresentante Josep Borrell chiedendo che prenda una posizione chiara, invitando gli ambasciatori dei 27 a non partecipare. Ieri a mezzogiorno, a meno di 24 ore dalla cerimonia, gli Stati membri stavano ancora “discutendo” sul da farsi, ha spiegato il portavoce Peter Stano, aggiungendo però che Borrell è “contrario” a che l’Ue partecipi alla cerimonia. Non è affatto detto che tutti i 27 Paesi siano sulla stessa linea di Borrell. Se oggi i 27 ambasciatori davanti all’invito di Putin dovessero muoversi in ordine sparso, sarebbe l’ennesima conferma, malgrado gli sforzi di von der Leyen, che la strada da fare per una vera Unione ‘geopolitica’ è ancora molto lunga.

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Esteri

Gaza, ultimatum a Netanyahu: scontro con Gantz sul piano...

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L'ex ministro della Difesa e membro del gabinetto di guerra ha chiesto al premier di elaborare un piano contro Hamas entro l'8 giugno o, in caso contrario, si ritirerà dal governo. Durissima la replica

Netanyahu e Gantz - Fotogramma /Ipa

Ultimatum a Benjamin Netanyahu su Gaza e scontro aperto nel governo israeliano sul futuro della Striscia. A dettare le condizioni è l'ex ministro della Difesa e membro del gabinetto di guerra Benny Gantz, che ha chiesto ieri al premier di elaborare un piano per la guerra contro Hamas entro l'8 giugno o, in caso contrario, si ritirerà dal governo.

Il ritiro di Gantz dal gabinetto di guerra non scatenerebbe automaticamente il collasso del governo di Netanyahu. Tuttavia, nota la Cnn, il gesto potrebbe ribaltare l’immagine di unità in tempo di guerra che Netanyahu ha tentato di creare e sostenere finora, soprattutto di fronte alla comunità internazionale.

Il piano per Gaza: cosa ha detto Gantz, la replica

Per Gantz il piano dovrebbe prevedere l'eliminazione di Hamas, il ritorno degli ostaggi, un governo alternativo nella Striscia, ma anche riportare i residenti israeliani nel nord di Israele e sforzi per la normalizzazione con l’Arabia Saudita. Il primo ministro israeliano, insomma, deve scegliere tra "vittoria e disastro", ha spiegato. Se Netanyahu "scegliesse di condurre la nazione nell'abisso, ci ritireremo dal governo, ci rivolgeremo al popolo e formeremo un governo che possa portare a una vera vittoria", ha ammonito. Gantz ha tuttavia difeso le operazioni militari israeliane a Rafah, definendo la città una "porta" per il ritorno di Hamas e ha affermato che, per raggiungere la pace tra israeliani e palestinesi, Hamas non può rimanere a Gaza e deve essere allontanato da Rafah. Riconoscendo l'impatto devastante che la guerra sta avendo sui civili, ha però insistito sulla necessità di una "decisione".

"È necessario un cambiamento qui e ora" ha detto, assicurando che il suo partito di Unità nazionale "farà tutto il possibile per cambiare rotta, per evitare uno schianto contro il muro e per garantire che Israele navighi in sicurezza verso una vera vittoria". Gantz ha quindi denunciato che "mentre i soldati israeliani stanno dimostrando un coraggio incredibile al fronte, alcune delle persone che li hanno mandati in battaglia agiscono con codardia e mancanza di responsabilità. Mentre nei tunnel bui di Gaza gli ostaggi subiscono le agonie dell'inferno, ci sono alcuni che sono coinvolti in sciocchezze", ha accusato ancora il ministro, secondo cui "qualche politico pensa solo a se stesso".

L'ultimatum di Gantz arriva pochi giorni dopo che l'attuale ministro della Difesa Yoav Gallant ha pubblicamente chiesto un piano per il dopoguerra e ha avvertito che si sarebbe opposto al dominio israeliano a Gaza. Gallant ha messo in guardia sulle conseguenze di una presenza militare israeliana a lungo termine nella Striscia e ha denunciato direttamente Netanyahu.

Prevedibilmente, le parole di Gantz hanno provocato l'ira del premier israeliano. Benny Gantz "ha lanciato un ultimatum al primo ministro, invece, di lanciarlo ad Hamas" ha replicato duramente l'ufficio di Benjamin Netanyahu. Richieste che significano "la fine della guerra e la sconfitta per Israele, abbandonare la maggioranza degli ostaggi, lasciare Hamas al potere e creare uno Stato palestinese". L'ufficio del premier israeliano ha quindi rilanciato, ponendogli tre domande: "Gantz vuole vedere l'operazione a Rafah arrivare fino alla fine e, in tal caso, perché minaccia di rovesciare il governo di unità durante l'operazione delle Idf? Si oppone al governo dell'Autorità palestinese a Gaza, anche se Mahmoud Abbas non è coinvolto? Sarebbe favorevole a uno Stato palestinese come parte di un processo di normalizzazione con l'Arabia Saudita?".

"Il primo ministro Netanyahu - si legge ancora nella nota del suo ufficio - è determinato a eliminare i battaglioni di Hamas, si oppone a portare l'Autorità palestinese a Gaza e a creare uno Stato palestinese che sarà inevitabilmente uno Stato terroristico". Netanyahu, aggiunge, "si aspetta che Gantz chiarisca all'opinione pubblica le sue posizioni su questi punti".

Secca la controreplica di Gantz a Netanyahu: "Se il premier mi avesse ascoltato, saremmo entrati a Rafah mesi fa e avremmo concluso la missione. Dobbiamo finirla e creare le condizioni per farlo". Sull'Autorità nazionale palestinese a Gaza, l'ex ministro della Difesa ha affermato che l'Anp non dovrebbe governare la Striscia, mentre potrebbero farlo altri palestinesi, con il sostegno dei Paesi arabi e degli Stati Uniti: "Il primo ministro dovrebbe occuparsi di questo e non boicottare questi sforzi", le parole di Gantz.

lntanto il leader dell’opposizione israeliana, Yair Lapid, ha esortato i ministri del gabinetto di guerra a "uscire" dal governo, suggerendo che il loro addio all'esecutivo potrebbe portare alla rimozione del primo ministro Netanyahu. "Basta con le conferenze stampa, basta con gli ultimatum vuoti, fuori! Se non fossi al governo, saremmo già nell’era post-Netanyahu e Ben-Gvir", ha detto Lapid rivolgendosi direttamente a Gantz e aggiungedo: "Il fatto che Netanyahu sia ancora al potere è già registrato a tuo nome", ha aggiunto.

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Esteri

Ucraina, Lavrov: “Conflitto tra Occidente e Russia al...

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Secondo il ministro degli Esteri russo l'Europa non tornerà ad avere buoni rapporti con Mosca "per almeno una generazione"

Sergei Lavrov (Afp)

Il conflitto tra l'Occidente e la Russia per la guerra in Ucraina è ora "al suo apice" e l'Europa non tornerà ad avere buoni rapporti con Mosca "per almeno una generazione". A dichiararlo è stato oggi il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, assicurando che a pensarla in questo modo non sono solo molti russi ma che lo stesso Cremlino "considera questa valutazione corretta".

"Dopo il fallimento della controffensiva ucraina, i Paesi occidentali hanno iniziato a diffondere la tesi, apertamente falsa, che non ci fermeremo in Ucraina", ha dichiarato Lavrov durante la 32esima Assemblea del Consiglio per la politica estera e di difesa.

Lavrov ha quindi criticato la retorica dei Paesi occidentali, per i quali Putin vincerà la guerra in Ucraina "e poi attaccherà la Nato, quindi tutti devono urgentemente armarsi fino ai denti". Il ministro russo ha criticato "questa retorica" come parte di un discorso sempre più duro contro la Russia.

Presidente Duma: "Ue viola libertà di stampa ed espressione"

Il presidente della Duma, Vyacheslav Volodin, ha accusato l'Unione Europea di censura e di violare la libertà di stampa e di espressione all'indomani della decisione del Consiglio Ue di sospendere le attività radiotelevisive di quattro media che "diffondono e sostengono la propaganda russa e la guerra di aggressione contro l'Ucraina" ovvero Voice of Europe, Ria Novosti, Izvestia e Rossiyskaya Gazeta.

In un post su Telegram, Volodin - stretto alleato del presidente russo Vladimir Putin - ha accusato l'Occidente di doppi standard, sostenendo che l'Unione Europea abbia bloccato media che diffondono quelli che ha definito "punti di vista alternativi". In Russia, molti media dell'opposizione e che criticano le politiche di Putin sono bloccati.

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Georgia, presidente ha posto il veto su legge agenti...

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La legge era stata approvata nei giorni scorsi in via definitiva dal Parlamento di Tblisi

Salome Zurabishvili (Afp)

Come atteso, la presidente della Georgia Salome Zurabishvili ha posto il veto sulla legge sugli agenti stranieri, approvata nei giorni scorsi in via definitiva dal Parlamento di Tblisi. "Ho posto il veto sulla legge 'russa'", ha dichiarato Zurabishvili.

“Oggi ho posto il veto alla ‘legge russa’, una legge che, in sostanza, contraddice la nostra Costituzione e tutte le norme europee e rappresenta un ostacolo al cammino europeo”, ha detto la presidente georgiana in un discorso al Paese e pubblicato sul sito ufficiale, sottolineando come il veto sia "legalmente giustificato".

La legge sulla trasparenza dell'influenza straniera, voluta con forza dal partito di governo Sogno georgiano e contestata dall'opposizione, che ha portato in piazza migliaia di persone, obbliga le organizzazioni, i media ed entità simili che ricevano almeno il 20% di finanziamenti dall'estero a registrarsi come "agenti che difendono gli interessi di forze straniere". Sul modello di quanto fatto dalla Russia, che ha così giustificato la repressione e la chiusura di ong e mezzi di comunicazione dell'opposizione.

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