Gaza, Onu avverte Israele: rischio “crimine di guerra” a Rafah
Le parole del responsabile per gli Affari umanitari delle Nazioni Unite, Martin Griffiths, mentre lo Stato Ebraico incrementa le operazioni militari nella città nel sud della Striscia
Qualsiasi attacco "indiscriminato" contro aree densamente popolate o il blocco degli aiuti di cui le persone hanno bisogno per "sopravvivere" può costituire un "crimine di guerra". Lo ha dichiarato il responsabile per gli Affari umanitari delle Nazioni Unite, Martin Griffiths, mentre Israele incrementa le operazioni militari nella città di Rafah, nel sud della Striscia, dove secondo l'Onu sarebbero ammassati circa metà di tutti gli abitanti dell'enclave palestinese.
La popolazione di questa città si è quintuplicata, "con famiglie stipate nei rifugi e che dormono all'aperto", ha denunciato Griffiths, mettendo in guardia da un possibile "disastro sanitario".
Griffiths ha anche avvertito che la guerra a Gaza porterà a un peggioramento della situazione in altre zone. "Il conflitto è un incendio che minaccia di consumare la Cisgiordania, il Libano e l'intera regione", ha affermato, sottolineando che "questa guerra deve finire".
Gli ordini di evacuazione di Israele ora coprono 246 chilometri quadrati ovvero due terzi di tutto il territorio della Striscia di Gaza, rende quindi noto l'ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli affari umanitari, precisando che nell'area interessata vivevano quasi 1,8 milioni di palestinesi (77% dell'intera popolazione) prima dell'invasione dell'enclave a seguito della strage di Hamas del 7 ottobre.
All'inizio della guerra, l'esercito israeliano chiese ai palestinesi di lasciare le loro case nel nord di Gaza per ridurre il numero di vittime causate dai raid e dai combattimenti di terra. Nel corso della guerra, gli ordini di evacuazione si sono estesi fino a diverse parti del sud, compresa la città di Khan Yunis e le aree circostanti, l'attuale epicentro dell'offensiva di terra israeliana. Più della metà della popolazione di Gaza, pari a 2,3 milioni di persone, si trova ora nella città di Rafah, al confine con l'Egitto.
Nyt: "Morti almeno 32 dei 136 ostaggi di Hamas"
Almeno 32 dei 136 ostaggi catturati da Hamas ed ancora sotto sequestro nella Striscia di Gaza sarebbero morti. Questa la conclusione cui sono giunti i militari israeliani sulla base dei dati di cui dispongono e delle conseguenti valutazioni. A riferirne è il New York Times, sottolineando come il dato corrisponda ad oltre un quinto degli ostaggi ancora in mano ad Hamas.
Israele: "Vicini a nascondiglio capo Hamas". Idf combattono nel sud di Gaza
Le truppe israeliane che operano nella Striscia di Gaza si stanno avvicinando al capo militare di Hamas Yahya Sinwar. Ad assicurarlo è stato il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant parlando con i giornalisti. "Sinwar è in fuga, si muove da un nascondiglio all'altro, è passato dall'essere capo di Hamas a terrorista in fuga", ha dichiarato, secondo quanto riportato dall'emittente i24news.
Parlando alla stampa, Gallant ha osservato che il prossimo punto decisivo per le Forze di Difesa Israeliane sarà Rafah, una volta che saranno state sconfitte le brigate di Hamas a Khan Yunis. E' probabile - ha infine concluso - che le ostilità continuino per diversi mesi.
Le truppe israeliane continuano intanto a combattere contro i miliziani di Hamas sopra e sotto terra a Khan Younis, nel sud, oltre ad effettuare incursioni nelle parti settentrionali e centrali della Striscia. Nel dare notizia dello svolgimento delle operazioni nelle ultime ore, l'Idf - citato dal Times of Israel - informa che nel corso di un attacco aereo notturno a Deir al-Balah, nel centro di Gaza, un terrorista palestinese della Jihad islamica che ha partecipato all'attacco a Nir Oz durante l'assalto del 7 ottobre, è stato ucciso. Nel corso delle ultime 24 ore, i militari hanno ucciso decine di miliziani di Hamas e catturato circa 80 sospetti terroristi, molti dei quali hanno partecipato al massacro del 7 ottobre.
Spari contro checkpoint Idf in Cisgiordania
Colpi d'arma da fuoco sono stati sparati contro un checkpoint dell'esercito israeliano a Nablus, in Cisgiordania. Lo riportano i media dello Stato ebraico, precisando che nessun militare è rimasto ferito. Secondo la prima ricostruzione, un assalitore - armato di coltello e pistola - è riuscito a sparare alcuni colpi contro i soldati, che hanno risposto al fuoco "neutralizzandolo".
Brugate Qassam: "Colpito centro comando israeliano"
Le Brigate Qassam hanno scritto su Telegram di aver sparato colpi di mortaio su un centro di comando delle operazioni israeliane a ovest di Tel al-Hawa, nella città di Gaza.
L'ala militare di Hamas ha aggiunto di aver preso di mira un gruppo di soldati israeliani che si erano barricati all'interno di una casa nella zona di al-Hawoz, a ovest di Khan Younis, nel sud di Gaza. Nel loro comunicato, le Brigate Qassam hanno dichiarato ci sarebbe un numero imprecisato di vittime.
Esteri
Trump e i contatti con Putin, il ‘no comment’...
Nessun commento dell'ex presidente alle rivelazioni di Bob Woodward sui contatti che avrebbe avuto, una volta lasciata la Casa Bianca, con il numero uno del Cremlino
Donald Trump e i rapporti con Vladimir Putin? Arriva il 'no comment' del tycoon riguardo alle rivelazioni di Bob Woodward sui contatti che avrebbe avuto, una volta lasciata la Casa Bianca, con il numero uno del Cremlino. Ma, intervistato durante un forum economico a Chicago, subito dopo ha aggiunto: "Se li avessi, sarebbe una mossa intelligente".
"Io ho rapporti amichevoli con le persone, e se ho una buona relazione con qualcuno è una cosa positiva non negativa, lui ha 2mila armi nucleari - ha poi aggiunto riferendosi sempre a Putin - e anche noi".
Dopo che sono state diffuse dai media americani le anticipazioni del libro di Woodward, "War", la campagna di Trump aveva dichiarato che "nessuna delle storie inventate da Woodward è vera". Il Cremlino ha quindi smentito le telefonate tra Trump e Putin, ma ha confermato che l'allora presidente americano inviò i kit per il test del Covid.
Trump-Putin, le rivelazioni di Woodward
Trump nel 2020 inviò segretamente a Vladimir Putin test per il covid, per suo uso personale, aveva rivelato Bob Woodward, leggendario giornalista dello scandalo Watergate, nel nuovo libro 'War', ricordando che allora i test negli Stati Uniti erano merce scarsa. Era stato Putin, terrorizzato dal covid, a raccomandare a Trump di non pubblicizzare la spedizione. "Non voglio che tu lo dica a nessuno altrimenti la gente si arrabbierà con te, non con me", avrebbe detto Putin a Trump.
Da allora, la relazione personale fra i due sarebbe rimasta in vita. All'inizio del 2024, l'ex presidente americano, ora candidato alle elezioni del prossimo novembre, ha mandato via un collaboratore dal suo ufficio nella residenza di Mar-a-Lago per poter parlare al telefono in privato con il leader russo. Sempre secondo la stessa fonte, il consigliere di Trump, l'ex presidente avrebbe parlato con Putin sette volte da quanto ha lasciato la Casa Bianca all'inizio del 2021.
Esteri
Usa e l’avvertimento a Israele, ultimatum su Gaza e...
L'avvertimento del segretario di Stato Blinken e del segretario alla Difesa Austin: "30 giorni per facilitare l'assistenza umanitaria nella Striscia o potrebbe scattare l'embargo sulle armi". Poi la condanna alle operazioni delle Idf nel Paese dei Cedri
Nei giorni dell'escalation in Medio Oriente, e dopo gli attacchi delle Idf all'Unifil, arriva l'avvertimento su Gaza e sul Libano degli Stati Uniti a Israele. Nel mirino degli Usa la situazione umanitaria nella Striscia e le operazioni delle Idf nel Paese dei Cedri. Sul primo punto il dipartimento di Stato americano e la Difesa lanciano un vero e proprio ultimatum, minacciando di far scattare l'embargo alle armi destinate allo Stato ebraico. Sul secondo, ecco quindi la condanna verso "l'ampiezza e la natura" della campagna di bombardamenti israeliani a Beirut, cui gli Usa si oppongono.
Ultimatum Usa su Gaza
Se entro un mese, quindi dopo le elezioni presidenziali in America, Israele non faciliterà l'assistenza umanitaria a Gaza, potrebbe scattare l'embargo sui trasferimenti di armi per la violazione delle norme Usa sull'assistenza militare ai Paesi stranieri, scrivono il segretario di Stato, Antony Blinken, e il segretario della Difesa, Lloyd Austin, in una lettera indirizzata domenica scorsa ai ministri israeliani Yoav Gallant e Ron Dermer.
"La mancata attuazione di queste misure potrebbe avere conseguenze sulla politica degli Stati Uniti", hanno scritto Blinken e Austin, esprimendo profonda preoccupazione per il "deterioramento della situazione umanitaria a Gaza nelle ultime settimane". Dopo le promesse fatte a marzo dal governo Netanyahu, a settembre è stato invece registrato l'ingresso nella Striscia di meno aiuti.
Il portavoce del dipartimento di Stato, Matthew Miller, ha poi confermato che Blinken e Austin hanno inviato la lettera al governo di Tel Aviv: "Stiamo chiarendo al governo israeliano che questi sono cambiamenti che devono essere fatti e diamo loro un periodo appropriato di tempo per farlo", ha detto Miller, sottolineando che si tratta di "cambiamenti che devono fare per vedere il numero degli aiuti che entrano a Gaz tornare su dai livelli bassissimi che vediamo ora".
Miller ha poi respinto l'idea che Washington "mandi una lettera e chieda che questo debba succedere dal giorno alla notte", difendendo il fatto che alle autorità israeliane viene dato il tempo "appropriato" per fare i cambiamenti necessari perché si abbia "un aumento drastico dell'assistenza umanitaria".
Infine, il portavoce ha ricordato che la legge per gli aiuti militari all'estero impone che l'amministrazione garantisca che i Paesi che li ricevono non stiano conducendo azioni per impedire arbitrariamente l'accesso ad aiuti umanitari statunitensi.
Nella lettera si chiede l'accesso a Gaza di 350 camion al giorno da tutti e quattro i valichi e l'apertura di un quinto, l'attuazione di pause umanitarie in tutta la Striscia per consentire l'azione umanitarie, almeno per i prossimo quattro mesi, consentire ai civili della zona umanitari di al-Mawasi di spostarsi verso l'interno prima dell'inverno. "Per invertire la tendenza negativa, Israele deve, in conformità con le sue promesse, adottare misure concrete entro 30 giorni", hanno puntualizzato Blinken e Austin.
Il Dipartimento di stato e quello della difesa, per legge, "devono valutare continuamente" il rispetto, da parte di Israele, delle garanzie fatte all'inizio dell'anno che non limiterà il flusso di aiuti. Per il momento tuttavia gli Stati Uniti continuano a fornire armi a Israele, incluso il prezioso sistema di difesa antimissile Thaad.
Gli Usa chiedono anche a Israele di aprire un nuovo canale di comunicazione con Israele per discutere degli incidenti contro i civili, con un primo appuntamento da tenersi alla fine del mese.
La condanna degli Stati Uniti alle operazioni di Israele in Libano
Ma nel mirino degli Usa non c'è solo la situazione umanitaria a Gaza. Gli Stati Uniti hanno infatti anche "detto chiaramente a Israele che ci opponiamo alla campagna di bombardamenti che ha lanciato nelle recenti settimane a Beirut. Stiamo vedendo negli ultimi giorni una diminuzione dei raid, e continueremo a seguire con molta attenzione", ha continuato il portavoce del dipartimento di Stato Usa, spiegando che Washington "nutre preoccupazioni per la natura di questa campagna", in particolare per il "numero di civili" coinvolti.
"Ci sono raid specifici che sarebbe appropriato per Israele condurre, ma quando vediamo l'ampiezza e la natura della campagna di bombardamenti a cui stiamo assistendo a Beirut nelle ultime settimane, questo è qualcosa che, abbiamo chiarito al governo israeliano, ci preoccupa e ci trova contrari", ha aggiunto Miller con quello che appare essere il primo commento ufficiale dell'amministrazione Biden di condanna alle operazione di Israele in Libano.
Carenza di missili intercettori, Israele smentisce il Financial Times
Intanto Israele smentisce l'articolo del Financial Times secondo cui lo Stato ebraico avrebbe carenza di intercettori. "L'articolo pubblicato questa mattina sul Financial Times non è corretto", ha precisato ieri Yair Katz, citato dal sito di Channel 14. "Israele ha una scorta di missili intercettori sufficiente per una guerra a lungo termine", le parole del presidente dell'Organizzazione dei lavoratori dell'Industria aerospaziale.
"Non so chi ci sia dietro l'articolo, so che nella migliore delle ipotesi è un irresponsabile e nella peggiore cerca di indebolire lo Stato di Israele", ha aggiunto Katz, sottolineando che "dallo scoppio della guerra, i lavoratori e gli impiegati dell'industria aerospaziale e di altre industrie della difesa lavorano 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per fornire alle Idf munizioni difensive e offensive per le esigenze della guerra e continueremo a farlo finché ci sarà necessità".
Esteri
Ucraina, pressing Usa su Zelensky: in guerra servono anche...
Leshchenko, consigliere del presidente: "Politici americani spingono ma non cediamo"
L'Ucraina deve mandare i ragazzi in guerra contro la Russia. Il pressing degli Stati Uniti su Kiev aumenta, secondo le news e le informazioni diffuse da Serhiy Leshchenko, consigliere del presidente Volodymyr Zelensky. "Posso confermare: poltici americani di entrambi i partiti stanno esercitando pressioni sul presidente Zelensky sulla questione relativa all'assenza di una mobilitazione di giovani della fascia 18-25 anni in Ucraina", scrive sui social in un post che trova ampio spazio sui canali Telegram ucraini.
"La posizione dei partner è questa: quando gli Stati Uniti sono entrati in guerra in Vietnam, sono stati arruolati ragazzi a partire dai 19 anni di età", dice Leshchenko evidenziando che, secondo i politici statunitensi, le armi occidentali non sono sufficienti per fronteggiare la Russia. "Il presidente Zelensky non ha ceduto e continua a convincere politici di entrambi gli schieramenti per ottenere armi senza modificare l'età di arruolamento", aggiunge il consigliere.
Le forze armate ucraine sono in sofferenza da mesi. La pressione della Russia lungo il fronte orientale è costante e costringe Kiev anche ad arretrare le proprie posizioni per ridurre le perdite.
Da oltre 2 mesi, inoltre, l'Ucraina ha invaso la regione russa di Kursk arrivando a controllare fino a 1200 km quadrati. L'operazione ovviamente ha richiesto l'impiego di unità su un secondo teatro bellico. Nelle ultime settimane, Zelensky ha cercato di ottenere il via libera all'utilizzo di armi a lungo raggio contro obiettivi militari in Russia: l'autorizzazione di Washington non è arrivata e la strategia di Kiev non si è potuta evolvere.
L'ampio ricorso ai droni non fa passare in secondo piano l'aspetto tradizionale della guerra. Nel Donetsk si combatte metro per metro, mentre l'inverno si avvicina e il meteo diventerà un fattore cruciale: prima la pioggia, poi la neve renderanno sempre più complessi gli spostamenti di uomini e mezzi.
In questo quadro, mentre Zelensky si appresta a presentare urbi et orbi il suo piano per la vittoria, Kiev non sembra intenzionata a cambiare linea: i giovanissimi non vanno in guerra. L'ultimo provvedimento in materia risale alla primavera, quando Zelensky ha firmato una nuova legge per la mobilitazione di migliaia di uomini, in particolare della fascia di 25-26 anni, destinati a integrare i reparti che contrastano i russi al fronte. L'impiego delle nuove risorse, però, spesso si è rivelato a dir poco laborioso come hanno sottolineato comandanti alle prese con un'emergenza costante. Di base, l'addestramento riservato ai nuovi arruolati è poco produttivo: i comandanti si trovano ad accogliere militari che non hanno nessuna esperienza e nessuna dimestichezza. "Abbiamo visto uomini che non sapevano nemmeno smontare e rimontare un'arma...", ha detto un 28enne vicecomandante di battaglione, identificato con il nome in codice Schmidt, al Washington Post.
Il comandante delle forze armate, il generale Oleksandr Syrsky, negli ultimi mesi ha cercato di utilizzare il personale in maniera più efficace e ha deciso di inviare al fronte anche il personale militare sinora utilizzato per sorvegliare ponti e infrastrutture. Al fronte, l'arrivo di nuovi elementi permette almeno di effettuare una parziale rotazione con chi combatte da mesi in prima linea.