

Sostenibilità
Oli minerali usati, nel 2022 raccolte 181mila tonnellate
'Se non ci sono imprese che in maniera corretta vanno a raccogliere i rifiuti, non ci sarà mai economia circolare'

"Nel 2022 abbiamo raccolto 181mila tonnellate di olio minerale usato. Lo abbiamo rigenerato al 98%, solo una piccolissima parte l'abbiamo dovuta destinare alla combustione perché non idonea" alla rigenerazione. Così Riccardo Piunti, presidente del Conou - Consorzio Nazionale Oli Minerali Usati a margine del XII Congresso nazionale di Legambiente.
"Il Consorzio - ricorda - si occupa di raccogliere e rigenerare tutto l'olio minerale usato in Italia. Si tratta di lubrificanti usati, quelli che noi mettiamo nei nostri motori, ma anche quelli, in grande misura, che noi utilizziamo in tutti i macchinari delle fabbriche. Ed è un rifiuto pericoloso, cioè l'olio minerale, una volta che è stato utilizzato, contiene inquinanti, sostanze cancerogene, sostanze dannose alla salute umana, e quindi non può essere riutilizzato così; noi lo portiamo in impianti idonei che lo rigenerano completamente, gli ridanno nuova vita e può essere infinite volte riutilizzato ed ha le stesse esatte caratteristiche delle basi che vengono direttamente dal petrolio".
Il Conou partecipa al XII Congresso nazionale di Legambiente come protagonista della mostra congressuale dedicata a 'I cantieri della transizione ecologica'. Un viaggio itinerante che si è snodato lungo la Penisola per raccontare, tappa dopo tappa, cantieri, progetti ed esperienze che possono indicare la rotta verso una vera transizione ecologica del Paese. L’economia circolare degli oli minerali usati è stato il focus della settima tappa di questo lungo viaggio che è approdato in Puglia, a Modugno (BA) presso l'impianto della Nicola Veronico S.r.l., una delle 60 aziende raccoglitrici della filiera del Conou.
"Per me oggi è la festa dei raccoglitori perché l'economia circolare richiede impianti, norme, richiede tante cose, ma se non si vanno a raccogliere i rifiuti, se non ci sono imprese che in maniera corretta, etica, legale e seria vanno a raccogliere i rifiuti, non ci sarà mai economia circolare", rimarca Piunti.
Sostenibilità
I cinque punti di non ritorno dell’ambiente

Presentato alla Cop28 il rapporto sui Global Tipping Points

"E se fossimo in ritardo?" Questo è il sentiment comune che travolge almeno due generazioni che si ritroveranno, in un futuro non molto lontano, a fare i conti con una dura realtà. Esistono già, infatti, dei punti considerati di “non ritorno” dell’ambiente. Punti che, anche quando meno lo si possa prevedere, potranno generare delle vere e proprie catastrofi. Per evitare allarmismi, però, il monitoraggio e l’attenzione puntata alla prevenzione è quanto di più importante ci sia al momento, oltre che l’assumere tutta una serie di comportamenti che facciano della “sostenibilità” non uno slogan, ma una pratica quotidiana.
Scopriamo insieme di quali punti si tratta.
Global Tipping Points
Presentato il 6 dicembre alla Cop28, il Global Tipping Points Report è una valutazione autorevole dei rischi e delle opportunità dei punti di svolta sia negativi che positivi nel sistema Terra e nella società.
Secondo il report, cinque importanti punti critici sono già a rischio di essere superati a causa del riscaldamento in questo momento e altri tre sono minacciati nel 2030 mentre il riscaldamento globale supera 1,5 gradi.
Il danno totale causato dai punti di non ritorno negativi sarà di gran lunga maggiore del loro impatto iniziale. Gli effetti si riverseranno sui sistemi sociali ed economici globalizzati e potrebbero superare la capacità di adattamento di alcuni paesi. I punti di non ritorno negativi mostrano che la minaccia posta dalla crisi climatica ed ecologica è molto più grave di quanto comunemente si pensi e ha una portata mai affrontata prima dall’umanità.
Attualmente non esiste una governance globale adeguata alla portata delle minacce poste dai punti di non ritorno negativi. Superare un punto critico, addirittura potrebbe innescarne altri, causando un effetto domino di cambiamento accelerato e ingestibile ai nostri sistemi di supporto vitale. Prevenire ciò – e farlo in modo equo – dovrebbe diventare l’obiettivo principale e la logica di un nuovo quadro di governance globale. La prevenzione è possibile solo se le società e i sistemi economici vengono trasformati per ridurre rapidamente le emissioni e ripristinare la natura.
L’attuale approccio del cambiamento incrementale lineare, favorito da molti decisori, non è più un’opzione. Le istituzioni di governance esistenti e gli approcci decisionali devono adattarsi per facilitare il cambiamento trasformazionale.
Fondamentali per raggiungere questo cambiamento trasformativo sono le opportunità di punti di svolta positivi, in cui i cambiamenti desiderabili nella società diventano auto promotori. Le azioni concertate possono creare le condizioni abilitanti per innescare una trasformazione rapida e su larga scala. La storia umana è ricca di esempi di bruschi cambiamenti sociali e tecnologici. Esempi recenti includono l’aumento esponenziale dell’elettricità rinnovabile, la portata globale dei movimenti per la giustizia ambientale e l’accelerazione della diffusione dei veicoli elettrici. Le minacce di punti di svolta negativi potrebbero essere mitigate se ci fosse un grande sforzo per innescare altre opportunità di punti di svolta positivi.
I punti critici
Se la temperatura globale dovesse superare di 1,5 gradi quella del periodo preindustriale (usata come riferimento negli accordi internazionali come quelli di Parigi) potrebbero verificarsi delle serie criticità: sciogliersi le piattaforme di ghiaccio della Groenlandia e dell'Antartide occidentale, le enormi aree di permafrost nordamericane, cambiare la corrente nel Mare del Labrador e danneggiarsi gran parte delle barriere coralline tropicali. Tra i 2 e 4 gradi di aumento perderemmo altri meccanismi cruciali che regolano il clima, come quelli che generano le piogge torrenziali nel Sahel e in qualche modo limitano la desertificazione a sud del Sahara, mentre oltre i 4 gradi perderemmo definitivamente anche tutti i ghiacci antartici e la corrente Atlantica.
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Politiche alimentari assenti alla Cop28

La denuncia di Slow Food Italia

Un’altra Cop28 con delle tematiche che sembrano “grandi assenti” nello scenario futuro: questa è ciò che si è notato negli ultimi giorni. La Conferenza delle Nazioni Unite si è riunita a Dubai per discutere delle politiche dedicate al cambiamento climatico, ma pare non aver soddisfatto, neanche quest’anno, le aspettative dei cittadini di tutti i Paesi coinvolti. Si è sottolineata la mancanza di coraggio nelle scelte, la difficoltà di indirizzare le politiche verso dei binari fino ad oggi non ancora intrapresi e l’assenza di alcune tematiche di rilevanza non trascurabile.
E mentre si capisce cosa farne dei combustibili fossili, le politiche alimentari continuano a non essere una priorità. Ma scopriamo meglio di cosa si tratta.
Le politiche alimentari
A denunciare l’assenza delle Politiche alimentari dalla Cop28 è la presidente di Slow Food Italia durante la presentazione della ventesima edizione di Terra Madre Salone del Gusto, la più rilevante manifestazione internazionale dedicata al cibo salutare e pulito organizzato da Slow Food, Città di Torino e Regione Piemonte. “Le politiche alimentari – ha affermato la presidente - sono assenti alla Cop28. Abbiamo visto le dichiarazioni provocatorie rilasciate sull’impossibilità di fare a meno dei combustibili fossili, quando invece probabilmente è l’unica strada seria e in tempi brevi per incidere al contrasto della crisi climatica”.
E sulla carne sintetica ha aggiunto: “La posizione di Slow Food accoglie la complessità. Il nostro ragionamento non è solo sulla carne coltivata in sé, ma un ragionamento più ampio che riguarda gli allevamenti intensivi e lo spreco alimentare, dato che nel mondo sprechiamo un terzo del cibo prodotto. Abbiamo più che altro bisogno di fonti proteiche vegetali, una soluzione in linea con la conversione ecologica e dentro la natura, non in laboratori o nelle industrie”.
A darne rilevanza, però, è stata la premier italiana Giorgia Meloni, che, intervenuta all’inizio della Cop28 nel panel sulla sicurezza alimentare, ha dichiarato “vogliamo essere impegnati anche nella sicurezza e incolumità alimentare, che significa non solo alimenti per tutti, ma assicurare alimenti sani per tutti. Questo significa - ha sottolineato - che non vogliamo considerare la produzione alimentare come sopravvivenza, ma un mezzo per vivere una vita sana e il ruolo della ricerca è essenziale in questo contesto. Tuttavia, non per produrre alimenti in laboratorio, e magari andare verso un mondo in cui i ricchi possono mangiare alimenti naturali e i poveri cibi sintetici, con un impatto sulla salute che non possiamo prevedere: non è mondo che voglio vedere”. Ma, purtroppo, sembra proprio la direzione più plausibile che si intraprenderà se non si cambierà la rotta.
Una proposta alternativa
Intanto, a proporre delle iniziative in merito è ancora una volta l’Università e l’ambito della formazione e dell’istruzione. Nello specifico ci troviamo a Parma, città in cui, Università e OnFoods, la rete italiana di ricerca e innovazione per il cibo e la nutrizione sostenibili, hanno lanciato un bando.
La dotazione finanziaria del bando è di cinque milioni di euro, destinati a progetti di ricerca avviati da imprese e organizzazioni di ricerca pubbliche e private che non fanno parte del partenariato ma che sono interessate agli argomenti affrontati da OnFoods.
L'obiettivo è coinvolgere organizzazioni esterne interessate a realizzare progetti di ricerca fondamentale e applicata e trasferimento tecnologico nel campo dell'alimentazione e della nutrizione che siano originali, innovativi e di dimensioni medio-grandi.
“I bandi a cascata di OnFoods – ha commentato il docente dell’Università di Parma Filippo Arfini, coordinatore dello Spoke 1 - rappresentano una grande opportunità, aperta a tutti, di fornire il proprio contributo per rendere più sostenibile il nostro sistema alimentare. I food systems – cioè il modo in cui il cibo viene prodotto e consumato – sono responsabili, infatti, di un terzo delle emissioni globali di gas serra, con un impatto negativo sulla salute dei consumatori. Occorre cambiare paradigma e abbiamo bisogno di idee, strumenti e proposte innovative da parte di tutti i soggetti interessati a realizzare una nuova visione sostenibile dei sistemi alimentari.”
La call for action dello Spoke 01 "Global Sustainability”, coordinato dall’Università di Parma, punta a migliorare l'efficienza delle catene del valore alimentare combinando produttività e sostenibilità, promuovendo il trasferimento tecnologico e fornendo accesso al cibo sostenibile per le persone più vulnerabili della società. L'obiettivo è quello di incidere sulla sostenibilità sociale, economica e ambientale dei sistemi alimentari attraverso strategie che rispettino le scelte dei consumatori, diano priorità alla qualità e alla stagionalità degli alimenti e promuovano l'equità socioeconomica per ridurre la disuguaglianza sociale. Filiere dunque efficienti e sostenibili insieme.
“Questo primo bando a cascata – ha dichiarato il docente dell’Università di Parma Daniele Del Rio, Presidente della Fondazione OnFoods e coordinatore del progetto – inaugura una nuova stagione per la Fondazione, nella quale ciascuno degli Spoke finanzia enti di ricerca pubblica e aziende che, nella forma di piccolo partenariato costituito da 3 a 6 entità, metteranno a terra un progetto che complementi le attività degli affiliati, ma in tutto e per tutto indipendente. L’Università di Parma, che è anche l’ente proponente del nostro progetto PNRR e sede della Fondazione, è il primo Spoke ad emanare un bando a cascata e sarà a breve seguita da tutti gli altri.”
Sostenibilità
Cambiamento climatico, solo il 50% dei giovani conosce la...

Secondo i risultati di un sondaggio Unicef-Gallup, l’85% dei giovani fra i 15 e i 24 anni in 55 paesi afferma di aver sentito parlare del cambiamento climatico, ma solo il 50% di loro ha indicato la definizione corretta

La maggior parte dei bambini e dei giovani dicono di aver sentito parlare del cambiamento climatico ma solo la metà comprende cosa sia. E' quanto emerge dai risultati di un sondaggio Unicef-Gallup, lanciato mentre i leader mondiali si riuniscono alla Cop28 di quest'anno. Il sondaggio globale, che ha raggiunto più di 55mila persone in 55 Paesi, ha rilevato che in media l’85% dei giovani fra i 15 e i 24 anni in 55 paesi afferma di aver sentito parlare del cambiamento climatico, ma solo il 50% di loro ha indicato la definizione corretta secondo lo United Nations Framework Convention on Climate Change (Unfccc) quando è stato chiesto di scegliere fra "cambiamenti stagionali del clima che si verificano ogni anno" ed "eventi meteorologici più estremi e un aumento delle temperature medie mondiali derivanti dall'attività umana".
La conoscenza del cambiamento climatico fra i giovani è minore nei paesi a reddito basso e medio basso, i più vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico, come Pakistan (19%), Sierra Leone (26%) e Bangladesh (37%).
"I giovani sono stati tra i più grandi eroi nel guidare l'azione per affrontare l'impatto dei cambiamenti climatici. Hanno chiesto un'azione per il clima nelle strade o nelle sale riunioni, e dobbiamo fare ancora di più per garantire che tutti i bambini e i giovani comprendano la crisi che incombe sul loro futuro - ha dichiarato la Direttrice generale dell'Unicef Catherine Russell - Alla Cop28, i leader devono impegnarsi a garantire che i bambini e i giovani siano istruiti sul problema, presi in considerazione nelle discussioni e coinvolti nelle decisioni che influenzeranno le loro vite per i decenni a venire".
Le richieste ai leader riuniti alla Cop28
In occasione del Vertice sui cambiamenti climatici Cop28, in corso a Dubai, l'Unicef chiede ai leader mondiali di "garantire che le decisioni siano consapevolmente in grado di proteggere e investire nell'infanzia, anche per quanto riguarda la formazione sul clima. Questo include: valorizzare i bambini nella decisione finale di copertura della Cop28 e convocare un dialogo tra esperti su bambini e cambiamenti climatici; inserire i bambini e l'equità intergenerazionale nel Global Stocktake (Gst); includere i bambini e i servizi essenziali resilienti al clima nella decisione finale sull'Obiettivo globale per l'adattamento (Gga); garantire che il Fondo per le perdite e i danni e gli accordi di finanziamento rispondano alle esigenze dei bambini, con i diritti dei bambini integrati nella governance del Fondo e nel processo decisionale".
Al di là della Cop28, l'Unicef chiede alle parti di agire "per proteggere la vita, la salute e il benessere dei bambini, anche adattando i servizi sociali essenziali, mettendo ogni bambino in condizione di essere un campione per l'ambiente e rispettando gli accordi internazionali sulla sostenibilità e sul cambiamento climatico, compresa la rapida riduzione delle emissioni".
"Avendo constatato la forza del movimento giovanile per il clima, sono certa che informare e coinvolgere un numero ancora maggiore di giovani sulla crisi climatica potrebbe contribuire a dare un impulso al senso collettivo di urgenza di cui il mondo ha disperatamente bisogno", ha aggiunto Russell.