Salute e Benessere
Leucemia acuta promielocitica, esperti: “Verso cura...
Leucemia acuta promielocitica, esperti: “Verso cura con sola terapia orale”
Ne hanno discusso durante l’ottavo Simposio internazionale sulla leucemia acuta promielocitica (Lap) a Roma il 10, 11 e 12 aprile
L’uso innovativo del triossido di arsenico (Ato) in compresse per via orale, e non più per via endovenosa, il miglioramento dei regimi terapeutici per il trattamento dei pazienti anziani, fino alle nuove scoperte sulle complicanze della malattia e post trattamento. Sono questi alcuni dei principali temi che ematologi italiani e internazionali hanno discusso durante l’ottavo Simposio internazionale sulla leucemia acuta promielocitica (Lap) a Roma il 10, 11 e 12 aprile. Al centro dell'incontro le ultime sfide da superare nel trattamento dei pazienti affetti da Lap oltre che per commemorare il professor Francesco Lo Coco, scomparso nel 2019, che con le sue ricerche ha cambiato la storia della Lap, conosciuta anche come leucemia fulminante.
In apertura dei lavori gli ematologi - riporta una nota - hanno discusso in particolare dell'ottimizzazione dei regimi terapeutici senza chemioterapia e della prevenzione delle ricadute a lungo termine. Maria Teresa Voso, professore ordinario di Ematologia al Policlinico universitario di Roma Tor Vergata, tra i coordinatori scientifici dell’evento, ha presentato i dati provenienti dal vasto database Apl Harmony che evidenziano fattori quali l'età avanzata e l'alto rischio (secondo la classificazione correntemente in uso) come associati a una minore sopravvivenza dei pazienti. La combinazione di acido all-trans retinoico (Atra) e Ato senza chemioterapia si è dimostrata la migliore opzione terapeutica per le fasce di rischio cosiddetto “standard”, con alti tassi di sopravvivenza a lungo termine e una ridotta probabilità di ricaduta rispetto ad altri regimi terapeutici.
Aggiornamenti significativi sono stati inoltre dedicati al trattamento di importanti complicanze della Lap. I risultati di studi recenti presentati durante il simposio suggeriscono che le cellule staminali leucemiche potrebbero giocare un ruolo significativo nella genesi della coagulopatia, una complicanza tipica per cui i pazienti presentano all’esordio emorragie anomale potenzialmente letali. È stato osservato - dettaglia la nota - che un sottogruppo specifico di queste cellule leucemiche potrebbe essere responsabile della regolazione della coagulazione, suggerendo così l'esistenza di nuovi bersagli terapeutici potenziali e lo sviluppo di strategie più efficaci per gestire questa complicanza.
Voso e Marco Vignetti, presidente Fondazione Gimema, hanno ripercorso il presente e il futuro della Lap. “Franco Mandelli fu il primo ematologo italiano a imparare a riconoscere questa strana forma di leucemia, imparando a Parigi dallo scopritore della malattia, l’ematologo Jean Bernard - ha raccontato Vignetti - Le ricerche di Mandelli sono state completate da Lo Coco, grazie anche alla sua grande capacità organizzativa, oltre che quelle proprie di valido ricercatore e laboratorista”.
La giornata di ieri invece è stata dedicata all’aggiornamento delle nuove terapie in fase di sperimentazione. Harry J Iland, professore di medicina all'Università di Sydney, Australia, e medico specialista al Royal Prince Alfred Hospital, ha presentato i risultati di uno studio rilevante sull’uso dell’arsenico per via orale. La terapia standard a base di Ato - si legge nella nota - richiede infusioni prolungate di due ore. Tale procedura, sebbene efficace, comporta un impatto sull'utilizzo delle risorse ospedaliere e sulla comodità del paziente. L’Ato orale potrebbe così rappresentare un'alternativa vantaggiosa dal punto di vista economico e forse anche in termini di sicurezza, ma attualmente la sua disponibilità per uso clinico è limitata principalmente alla Cina e a Hong Kong.
Lo studio di Iland si è concentrato sulla disponibilità di una nuova formulazione orale di Ato, sviluppata come parte della terapia di consolidamento standard del trattamento della Lap. La ricerca ha confermato la bioequivalenza tra la somministrazione orale e quella endovenosa, il che potrebbe aprire nuove prospettive nella gestione della malattia. Parallelamente, altri ricercatori, come Hongming Zhu dell'Istituto di Ematologia di Shanghai, stanno esplorando la possibilità di una terapia post-induzione senza chemioterapia per i pazienti affetti da Lap, a prescindere dalla classificazione del rischio. Si tratta di un trattamento post-remissione completamente privo di chemioterapia - è emerso dal simposio - che includa una terapia di mantenimento orale. Una nuova prospettiva che potrebbe portare a benefici significativi per un numero maggiore di pazienti.
Oggi la chiusura dei lavori con la riunione nazionale Gimema durante la quale i ricercatori hanno aggiornato medici e ricercatori in ematologia provenienti da tutta Italia sulle attività di ricerca in corso, gli studi e i progetti portati avanti dai 9 gruppi di lavoro (working parties) che abbracciano la gran parte delle patologie ematologiche, sia di natura neoplastica che non, e affrontano argomenti più “trasversali” come la qualità di vita e le complicanze infettive, che, come noto, sono molto frequenti in pazienti sottoposti a terapie come il trapianto di midollo.
Attualmente gli studi in corso promossi dalla Fondazione Gimema - conclude la nota - sono più di 50 e vedono la partecipazione attiva della quasi totalità dei centri ematologici italiani – diffusi su tutto il territorio nazionale - che afferiscono alla rete Gimema. Importante, in questa giornata, è stata anche la sessione dedicata alle attività di laboratorio sia per la parte assistenziale (Rete LabNet) sia per la parte di ricerca traslazionale.
I tre giorni di eventi sono stati realizzati grazie al supporto di Ail - Associazione Italiana contro Leucemie, linfomi e mieloma, Ail Roma, Ail Bari, European hematology association (Eha), l’Università di Tor Vergata; con il contributo non condizionante di Abbvie, Amgen, Novartis, Astellas, AstraZeneca, Bristol Myers Squibb, Roche, Incyte, Jazz Pharmaceuticals, Servier Italia e con il patrocinio della Società italiana di ematologia (Sie) e della Società italiana di ematologia sperimentale (Sies).
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Studio, immunoterapia a 2 braccia funziona su artrite...
Una rivoluzione per la terapia dell’artrite reumatoide. Potrebbe arrivare dai risultati di una ricerca italo-tedesca pubblicata su 'Nature Medicine' e siglata dal gruppo della professoressa Maria Antonietta D’Agostino, direttore della Uoc di Reumatologia della Fondazione policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs e ordinario di Reumatologia all’Università Cattolica, e del professor Georg Schett, dell’Università Friedrich-Alexander di Erlangen-Norimberga (Fau).
Lo studio ha esplorato un nuovo possibile approccio terapeutico a questa malattia autoimmune, che consiste nell’organizzare una sorta di appuntamento al buio tra le cellule B e le cellule T, le due protagoniste della risposta immunitaria. L'incontro si conclude con l’eliminazione delle cellule B malate (cioè quelle che producono gli anticorpi responsabili dell’infiammazione e della distruzione delle articolazioni), da parte delle cellule T suppressor. A organizzare questa sorta di 'imboscata immunitaria' è il blinatumomab (o Blina), un immunoterapico già usato per il trattamento di alcuni tumori del sangue. Nel caso dell’artrite reumatoide il suo impiego è sperimentale, ma in questa ricerca ha ottenuto un effetto straordinario e inedito sul piano del risultato terapeutico.
"Nei sei pazienti con artrite reumatoide multi-resistente al trattamento (tra i quali anche una paziente italiana), ai quali è stato somministrato in via compassionevole e sperimentale Blina - spiega D’Agostino - il farmaco ha prodotto un rapido declino dell’attività di malattia, riducendo il livello di anticorpi circolanti e migliorando l’infiammazione dei tessuti sinoviali, come abbiamo documentato all’ecografia, alla Fapi-Pet-Tac e con l’analisi trascrittomica dell’infiammazione della membrana sinoviale. La terapia è stata molto ben tollerata: i pazienti hanno presentato solo un temporaneo rialzo della temperatura alla prima infusione, ma nessun segno di sindrome da rilascio delle citochine". Sofisticate analisi di laboratorio (come la citometria a flusso ad alta dimensione) hanno confermato che il miglioramento clinico è dovuto ad un reset immunitario, consistente nell’eliminazione delle cellule B ‘cattive’ (cioè con la memoria ‘attivata’ a produrre continuamente auto-anticorpi), che vengono rimpiazzate da cellule B ‘buone’.
"Questi risultati, molto promettenti per l’entità della risposta e la tollerabilità del farmaco - commenta D’Agostino - suggeriscono la potenziale utilità di questo approccio terapeutico nelle forme più gravi di artrite reumatoide, resistenti alla terapia. Potrebbe essere l’inizio di una nuova era di trattamento per altre malattie autoimmuni mediate dalle cellule B, dal lupus, alla sclerodermia. La via del T-cell engager per distruggere i linfociti B, produttori di auto-anticorpi, che mantengono lo stato di attività di malattia e responsabili della mancata risposta ai farmaci attualmente utilizzati, potrebbe dunque portare a una nuova maniera di aggredire le patologie autoimmuni, sfruttando l’azione del nostro stesso sistema immunitario. È lo stesso concetto utilizzato dalla terapia con Car-T, nella quale i linfociti T vengono ‘attivati’ per distruggere i linfociti B auto-reattivi”.
Il Blina è un anticorpo monoclonale bispecifico, cioè ‘a due braccia', una forma di immunoterapia che provoca la distruzione delle cellule B ad opera delle cellule T suppressor, facilitandone l’incontro. È insomma un farmaco ‘facilitatore’, che avvicina tra loro queste due categorie di cellule, rendendo più efficace l’eliminazione da parte linfociti T nei confronti delle cellule B ‘deviate’, cioè con la memoria bloccata nella produzione incontrollata di anticorpi rivolti contro le articolazioni, nel caso dell’artrite reumatoide.
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Aviaria, negativi test su carne venduta in negozi Usa
Sono negativi i test per l'influenza aviaria H5N1 sulla carne venduta nei negozi al dettaglio in Usa. Lo ha riferito il Dipartimento dell'Agricoltura americano (Usda), che nei giorni scorsi aveva avviato dei controlli e delle verifiche su campioni di carne proveniente dagli allevamenti bovini dove erano stati segnalati casi di H5N1. I laboratori nazionali dei servizi veterinari del Food Safety Inspection Service (Fsis) hanno testato 30 campioni di carne macinata, acquistati nei punti vendita al dettaglio negli stati con mandrie di bovini da latte risultati positivi. I campioni sono stati inviati ai National Veterinary Services Laboratories (Nvsl) per i test Pcr. Ieri - si legge nella nota pubblicata sul sito dell'Usda - i Nvsl hanno riferito che tutti i campioni erano risultati negativi per il virus H5N1. Questi risultati riaffermano che l'approvvigionamento di carne è sicuro".
Gli esperti dell'Usda hanno ricordato come i processi messi in atto dal Fsis, che si occupa della fase operativa dei controlli sulla carne che poi arriva al consumatore (da prima della macellazione fino a quando l'animale è una carcassa), prevedono che l'esemplare superi l'ispezione e abbia determinate caratteristiche prima di entrare nella catena alimentare dell'uomo. "L'Agricultural Research Service (Ars) - conclude la nota - condurrà uno studio sulla cottura della carne e utilizzerà un surrogato del virus iniettato nella carne, portandola a temperature diverse per determinare i tempi di riduzione della quantità di virus. I risultati verranno pubblicati non appena saranno disponibili".
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Infezioni batteriche, da Shionogi antibiotico di nuova...
Al congresso Escmid presentati i dati di uno studio in real-world di cefiderocol in pazienti adulti critici
Shionogi, in occasione del 34.esimo Congresso europeo di Microbiologia clinica e malattie infettive (Escmid Global 2024), ha presentato nuovi dati clinici positivi tratti dal più ampio studio europeo in real-world evidence (Perseus) su cefiderocol (Fetcroja*), una cefalosporina siderofora di ultima generazione, nel trattamento delle infezioni batteriche da patogeni Gram-negativi resistenti ai carbapenemi in pazienti in condizioni critiche. Perseus - riporta una nota - è uno studio osservazionale retrospettivo multicentrico che valuta l’efficacia e la sicurezza in real-world di cefiderocol in pazienti adulti con infezioni batteriche causate da germi Gram-negativi.
L’analisi ha rilevato che i pazienti trattati con cefiderocol mostrano complessivamente una elevata percentuale di successo clinico (endpoint primario composito definito come la guarigione clinica e/o la sopravvivenza al giorno 28 del 78,5%) dell’84,3%, e una mortalità per tutte le cause del 21,5%. La maggior parte dei pazienti aveva infezioni del tratto respiratorio (47,9%) causate principalmente da Pseudomonas aeruginosa (66.7%), Klebsiella pneumoniae (10.0%) e Stenotrophomonas maltophilia (7.7). Inoltre, il 19,5% presentava infezioni polimicrobiche.
Lo studio - dettaglia la nota - ha incluso 261 pazienti adulti in condizioni critiche con opzioni terapeutiche limitate trattati con cefiderocol per non più di 28 giorni nell’ambito del programma Early access di Shionogi in Spagna. Di questi, il 64,8% era resistente a tutti gli antibiotici testati e il 44,4% aveva avuto un fallimento terapeutico con antibiotici utilizzati precedentemente. I pazienti hanno ricevuto cefiderocol per più di 72 ore consecutive dopo la diagnosi confermata di infezione batterica da germi Gram-negativi. I pazienti inclusi nell’analisi erano in condizioni critiche, con quasi due terzi (63,2%) in terapia intensiva, il 47,1% in ventilazione meccanica e il 28% in shock settico. In questi 261 pazienti, cefiderocol è stato generalmente ben tollerato, con sei pazienti che hanno presentato una reazione avversa al farmaco.
“La crescente resistenza delle infezioni batteriche da germi Gram-negativi alle terapie attuali ne rende difficile il trattamento – dichiara Carlo Tascini, direttore della Clinica di malattie infettive dell’Università di Udine - Le evidenze cliniche in real-world risultano particolarmente rilevanti quando si studia l'uso degli antibiotici nei confronti di patogeni multiresistenti ai farmaci, a causa delle difficoltà di condurre studi clinici randomizzati. Questi nuovi dati rafforzano l'importanza di cefiderocol e contribuiscono al numero crescente di evidenze real-world nel trattamento dei pazienti con infezioni da patogeni difficili da trattare e resistenti ad altri antibiotici in particolare nel contesto delle infezioni da P. aeruginosa”.
“Shionogi è impegnata da 60 anni nello sviluppo di farmaci antinfettivi e nel contrasto alla crescente minaccia dell’antibiotico-resistenza, una delle sfide riconosciute come prioritarie per la sanità pubblica – sottolinea Simona Falciai, General Manager di Shionogi Italia - Cefiderocol è incluso nell'elenco dei farmaci essenziali dell'Organizzazione mondiale della sanità e in Italia è il primo antibiotico ad aver ricevuto dall’Aifa la designazione di farmaco innovativo in forma piena. I dati appena presentati al Congresso Escmid confermano il suo importante valore terapeutico nel trattamento di quelle infezioni che ad oggi hanno ancora limitate opzioni di cura".