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Sostenibilità

Madrid ha più chilometri di metro di tutta Italia, la...

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Madrid ha più chilometri di metro di tutta Italia, la denuncia di Legambiente

Il rapporto di Legambiente “Pendolaria 2024 – Speciale aree urbane” fotografa il grave ritardo del Belpaese sul trasporto pubblico

Metropolitana a Milano - Canva

Diventare un Paese sostenibile senza alternative al trasporto su gomma è una sfida ardua, ed è quella che deve affrontare l’Italia, maglia nera tra le economie avanzate europee per quanto riguarda il trasporto pubblico. Mai come in questo caso, si può dire che il Belpaese è in clamoroso ritardo rispetto ai partner europei, e non solo per collegarsi all’argomento del rapporto di Legambiente “Pendolaria 2024 – Speciale aree urbane”.

I numeri del trasporto su ferro in Italia sono drammatici. Basti pensare che la città di Madrid, da sola, ha più chilometri di metro di tutta l’Italia. Le istituzioni si stanno impegnando per ridurre le emissioni, spesso a suon di restrizioni sui cittadini, ma per creare delle alternative efficaci al trasporto su gomma, il principale responsabile delle emissioni di CO2, si fa ancora troppo poco. Nell’ultimo anno, quasi nulla: “In Italia – denuncia Legambiente – non è stato inaugurato nemmeno un chilometro di nuove tranvie mentre l’unica aggiunta alla voce metropolitane riguarda l’apertura di un nuovo tratto della M4 a Milano”, che corrisponde a pochi chilometri di copertura in più in una città dove lo smog si fa sentire, anche attraverso le polemiche.

Un paradosso italiano

Per contrastare il surriscaldamento climatico, negli ultimi anni, viene richiesto un impegno crescente nella sostenibilità ambientale, con imprese e cittadini italiani costretti a fare i conti con regole sempre più restrittive, ma necessarie. Restrizioni che darebbero i propri frutti se fossero parte di una strategia. E invece, nonostante i limiti alla circolazione delle auto Euro 5 anche nei comuni limitrofi, Milano è ancora tra le città più inquinate al mondo e il Nord Italia è la zona più inquinata d’Europa.

Ma perché succede questo? Perché dal 2016 l’Italia ha registrato uno brusco stop nella implementazione dei binari per treni e trami: da allora e fino al 2023, sono stati realizzati appena 11 km di tranvie e 14,2 km di metropolitane, con una media annua rispettivamente di 1,375 km e 1,775 km. Numeri lontanissimi dal concetto di transizione ecologica e dalle altre realtà europee.

Per quanto riguarda le tranvie, nel Regno Unito sono stati realizzati 5,2 km nel Regno Unito (a Edimburgo e Birmingham), 3,5 km in Germania (a Berlino, Bochum e Mannheim), 2,4 km in Spagna (a Vitoria/Gasteiz) e ben 40 km in Francia (a Parigi, Angers e Bordeaux). Il tutto nel solo 2023.

Nel nostro Paese sono in esercizio 397,4 km totali di tranvie, molto lontani dagli 875 km della Francia e soprattutto dai 2.042,9 km della Germania.

Il ritardo sulle metro

Le tramvie sono un canale interessante per ridurre il trasporto su gomma perché necessitano di investimenti molto più bassi rispetto a quelli richiesti per allungare o costruire una linea di metro che resta il mezzo più veloce e più efficace all’interno delle città. Anche sotto questo profilo, Legambiente fotografa un ritardo colossale dell’Italia rispetto a Francia, Germania, Regno Unito e Spagna.

Ecco come è distribuita la dotazione di linee metropolitane nei vari Paesi europei:

- Italia: 255,9 km;

- Regno Unito: 680,4 km;

- Germania: 656,5 km;

- Spagna: 615,6 km.

La dotazione di linee metropolitane delle città italiane messe assieme si ferma a 255,9 km totali, ben lontano dai valori di Regno Unito (680,4 km), Germania (656,5) e Spagna (615,6). Basti dire che il totale di km di metropolitane in Italia è inferiore, o paragonabile a quello di singole città europee come Madrid (291,3) o Parigi (225,2), che mostrano numeri impressionanti e progetti di sviluppo per aumentare il numero di utenti. Analoga situazione per le ferrovie suburbane, utilizzate ogni giorno da molti pendolari, dove l’Italia conta una distribuzione totale di 740,6 km contro i 2.041,3 quelli della Germania (che aumentano grazie all’apertura di 3,1 km a Hannover nel 2023), 1.817,3 km nel Regno Unito e 1.442,7 km in Spagna.

Si potrebbe pensare, o sperare, che questo distacco sia motivato dalla differenza di abitanti, ma si resterebbe delusi. Il rapporto “Pendolaria 2024 – Speciale aree urbane” offre anche uno spaccato delle diverse città più importanti italiane con quelle degli altri Paesi europei confrontati:

Critiche alla legge di Bilancio

Nel suo report, Legambiente critica apertamente la legge di Bilancio 2024 che definisce “inadeguata a rispondere alla sfida della mobilità del futuro”.

L’associazione spiega che per la prima volta dal 2017 non sono previsti fondi né per il trasporto rapido di massa, né per la ciclabilità e la mobilità dolce. Una problematica tipica del Belpaese è la mancata conclusione di opere già avviate a suon di milioni o miliardi di euro. Sul punto Legambiente ricorda come l’ultima manovra non abbia previsto fondi neanche per il rifinanziamento del fondo destinato alla copertura del caro materiali per i progetti finanziati, in via di realizzazione e neanche per il fondo di progettazione, con gravi conseguenze sui lavori.

Viene anche ridotto di 35 milioni lo stanziamento previsto dalla legge di Bilancio precedente per il Fondo per le infrastrutture ad alto rendimento (Fiar) e per gli interventi di sicurezza stradale vengono allocati appena 29,3 milioni per il 2024, 30,3 per il 2025 e 26,3 per il 2026.

“In questo contesto – scrive Legambiente – è impossibile immaginare di potenziare il servizio di trasporto pubblico italiano senza rifinanziare i fondi svuotati dal governo Meloni o senza incrementare la dotazione del fondo nazionale trasporti per finanziare il servizio. I finanziamenti destinati alle infrastrutture urbane in questi anni hanno preso corpo in buona parte su progetti che hanno tempi lunghi di realizzazione e che continuano ad essere in ritardo, o che hanno criticità evidenti. Ammontano a oltre 16 miliardi di euro, spalmati però su oltre 10 anni di lavori e progetti (quindi meno di 2 miliardi l’anno reali). Complessivamente sono in cantiere o finanziati 144,2 chilometri di metro tra linee nuove, prolungamenti e riconversioni, 248,5 di tranvie, 183,9 di filobus e busvie”.

Quante auto ci sono nelle varie città italiane

Con la copertura di piste ciclabili del tutto precaria e mal concepita, la conseguenza di questa grave insufficienza del trasporto pubblico italiano può essere solo una: molti utilizzano la propria auto privata per spostarsi, tanto che l’Italia è il Paese europeo con più auto rispetto agli abitanti.

L’elevato utilizzo del mezzo privato si associa ad altrettanto elevati tassi di motorizzazione: 666 auto ogni mille abitanti, il 30% in più rispetto alla media di Francia, Germania e Spagna.

Qualche numero dal rapporto di Legambiente: sono 780 le auto ogni 1.000 abitanti a Catania, 760 a Perugia, 680 a Cagliari e Reggio Calabria, alcune addirittura in aumento negli ultimi anni. Elevatissimi anche i numeri di Messina (670), Roma (640) e Torino (610).

Numeri molto diversi nelle altre ricchezze europee: a Madrid il tasso di motorizzazione è di 360 veicoli ogni 1.000 abitanti, a Londra 351, a Berlino di 337 e a Parigi 250. “Tutte grandi capitali dove, al contrario, la tendenza è in deciso calo” osserva Legambiente che riporta Parigi come esempio virtuoso. Infatti, nella capitale francese dal 1990 a oggi:

- l’utilizzo dell’auto privata è diminuito del 45%;

- l’utilizzo del trasporto pubblico è aumentato del 30%;

- l’utilizzo della bicicletta è cresciuto di 10 volte.

Questa la fotografia delle varie città italiane offerte dal rapporto “Pendolaria 2024 – Speciale aree urbane”

Non mancano delle note positive: come emerge dai dati raccolti da Ecosistema Urbano di Legambiente, nei capoluoghi di provincia cresce l’attenzione degli amministratori e dei tecnici per una mobilità più sostenibile, anche se le emergenze urbane sono grossomodo le stesse di 30 anni fa. Continua ad aumentare anche la ciclabilità (km di piste e infrastrutturazione) e, dopo molto tempo, crescono anche le superfici pedonali. Anche il progetto 'Bologna città 30' va nella direzione di rendere la città più a misura d’uomo anche se non mancano le critiche.

Come più volte sottolineato su queste pagine, infatti, l’unico modo per attuare concretamente la transizione green è far conciliare le esigenze ambientali con quelle economiche, convincendo anche gli scettici. Una rivoluzione che applica restrizioni alla circolazione privata senza offrire valide alternative non va in questa direzione.

Le soluzioni secondo Legambiente

Per l’associazione l’unico modo per vincere la sfida della mobilità moderna è implementarla con una visione integrata, oltre che innovativa. Legambiente sottolinea come nei Piani urbani di mobilità sostenibile (Pums) avanzati sul territorio nazionale ci siano diversi spunti interessanti. I Pums, insieme ad altre forme di investimento, rappresentano la via per creare una rete di trasporto su rotaia moderna e interconnessa, includendo tram, metro, treni regionali, e mobilità dolce ed elettrica.

Favorire l'intermodalità

- Introdurre treni urbani e tram adatti al trasporto di biciclette, monopattini elettrici.

- Sviluppare app e tecnologie per analizzare i flussi di spostamento e rendere più facile il passaggio da un mezzo all’altro.

Più bici e mobilità elettrica

- Adattare strade, piazze e spazi pubblici alle persone, privilegiando la bicicletta che Legambiente definisce “il mezzo che può guidare questo cambio” concettuale che mette al secondo posto le auto e al primo il trasporto sostenibile;

- Creare percorsi ciclabili lungo gli assi prioritari, con protezioni e passaggi esclusivi;

- Implementare ampie Low Emission Zones (“zone 30” e “zone 20” e Ultra Low Emission Zones con dossi stradali, restringimenti di carreggiata, sensi unici alternati o alterazioni della pavimentazione;

- Incentivare il noleggio gratuito di biciclette elettriche e/o pieghevoli che favoriscono l’intermodalità;

- Offrire incentivi alla condivisione di micro, bici, auto, van e cargo bike, anche nelle periferie e anche realizzando programmi di mobilità attiva come "bike to work" e "bike to school".

- Istituire corsi di educazione stradale che educhino i cittadini a un nuovo concetto di trasporto e di spostamenti

“In questo senso – spiega Legambiente – rientra il ragionamento delle “città dei 15 minuti” (in cui tutto ciò che serve sta a pochi minuti a piedi da dove si abita), e quello della sicurezza stradale (Vision Zero incidenti gravi, a cominciare dai minori), con quartieri liberi da auto, slow streets, incentivazione della ciclopedonalità e micromobilità elettrica”.

Il ruolo delle auto elettriche in Italia

Per Legambiente è, infine, “indispensabile” istituire distretti Zed (Zero Emissions Distribution), dove possono entrare solo veicoli merci elettrici (dalle cargo bike ai camion), come già fatto a Santa Monica in California e in vari comuni olandesi.

Sul punto va però segnalata la scarsa diffusione delle auto elettriche in Italia e tutti i dubbi sollevati sul settore dopo il crollo registrato in Germania a fine 2023, anno in cui comunque il mercato delle auto elettriche in Italia è cresciuto del 18,87%.

Nonostante i vari incentivi per passare alle auto elettriche, in Italia le auto elettriche sono solo il 4% del totale contro il 14% della media europea come evidenziato dal white paper “La mobilità sostenibile e i veicoli elettrici” di Repower Italia.

Tante le cause di questo ritardo a partire dalla carenza di colonnine di ricarica presenti sul territorio, ma anche la diffidenza degli italiani. D’altra parte, c’è anche un discorso di risorse economiche dato che gli italiani devono fare i conti con i salari più immobili dell’area Ocse e sono poco ottimisti sugli scenari futuri.

In un contesto del genere, le risposte devono arrivare dalle istituzioni: gli sforzi richiesti ai cittadini devono essere affiancate dall’esempio e dagli investimenti pubblici nel trasporto sui binari.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Sostenibilità

Al via il Festival dello Sviluppo Sostenibile

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Le principali tappe e iniziative dell'evento organizzato da Asvis dal 7 al 23 maggio

Festival Sviluppo Sostenibile

Tutto pronto per l'ottava edizione del Festival dello Sviluppo Sostenibile, organizzato dall'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS): un evento imperdibile per coloro che mirano a un futuro migliore attraverso azioni concrete nel presente. Con tappe in sei città principali - Ivrea, Torino, Bologna, Milano, Palermo e Roma - dal 7 al 23 maggio, questo festival offre un'opportunità unica per esplorare e promuovere la sostenibilità sotto molteplici aspetti.

Sei tappe

Sotto il motto "Guardare a un futuro migliore per agire con consapevolezza nel presente", ASviS sottolinea l'importanza critica di affrontare le sfide contemporanee con una mentalità orientata al futuro. Il Festival, distribuito su sei città italiane nell’arco di 17 giorni (tanti quanti sono gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030), sarà un'opportunità per coinvolgere il pubblico su temi cruciali legati alla sostenibilità. Attraverso conferenze, workshop e spettacoli, i partecipanti potranno approfondire la comprensione delle sfide ambientali e sociali del nostro tempo e scoprire soluzioni innovative.

  • L'itinerario del Festival si apre ad Ivrea il 7 maggio con una riflessione sul ruolo cruciale del settore privato nella transizione verso modelli di produzione e consumo più sostenibili.
  • Il Salone del Libro di Torino ospiterà la seconda tappa, dal 9 all'11 maggio, con un focus sul legame tra cultura, comunicazione e sostenibilità.
  • A Bologna, il 14 e il 15 maggio, il festival si concentrerà sul futuro delle città e sul ruolo delle aziende nella transizione urbana.
  • Milano sarà il palcoscenico del 17 maggio, con un'attenzione speciale sui territori come motori di cambiamento.
  • Il 21 maggio, a Palermo, le tematiche sociali saranno al centro dell'attenzione.

Tra una tappa e l'altra, numerosi eventi avranno luogo a Roma, presso il Palazzo delle Esposizioni, sede principale del Festival. Qui si terranno appuntamenti dedicati ai singoli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite. L'evento conclusivo si svolgerà il 23 maggio presso l'Aula dei Gruppi della Camera dei Deputati, illustrando alle istituzioni i risultati e le proposte emerse durante il Festival.

Il programma 2024

Il Festival ospiterà una vasta gamma di iniziative, superando la soglia dei mille eventi organizzati in collaborazione con le principali organizzazioni della società civile italiana. Questi eventi, distribuiti tra il programma ufficiale del Festival e gli appuntamenti "gemellati", coinvolgeranno attivamente il pubblico durante la manifestazione e nelle settimane adiacenti.

Una delle novità più significative di quest'anno è la partnership con il quarto Heroes Festival, che porta la musica a sostenere la causa della sostenibilità. Da Ivrea a Roma, le esibizioni di musicisti di fama internazionale trasmetteranno un messaggio di impegno ambientale in tutte e sei le tappe del Festival.

I Festival territoriali rappresentano un'opportunità fondamentale per coinvolgere attivamente le comunità locali. In città come Delta sul Po, Garda, Modena, Monza, Parma e Sardegna, il confronto e la condivisione di soluzioni sostenibili su scala locale saranno incoraggiati attraverso una serie di attività coordinate da diverse realtà, inclusi istituti scolastici e atenei, che promuoveranno l'apprendimento e la consapevolezza ambientale.

La società civile si impegna attivamente per promuovere la sostenibilità attraverso iniziative innovative come illuminazioni artistiche, proiezioni cinematografiche, playlist tematiche e campagne di sensibilizzazione. Queste iniziative, supportate da attori provenienti da vari settori, contribuiscono alla realizzazione degli obiettivi dell'Agenda 2030.

Grazie alla collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il Festival mira a diffondere il suo messaggio di sostenibilità anche oltre i confini nazionali, coinvolgendo sedi diplomatiche, istituti culturali italiani all'estero e organizzazioni internazionali.

Con oltre mille iniziative promosse dalla società civile in tutto il mondo durante il mese di maggio, il Festival offre non solo un'opportunità di riflessione, ma anche di azione concreta verso un futuro più sostenibile. Attraverso il coinvolgimento delle istituzioni, delle aziende e della società civile, il Festival mira a catalizzare il cambiamento e a promuovere un'impronta positiva sul nostro pianeta e sulle generazioni future.

L'ampia partecipazione di manifestazioni e iniziative gemellate, tra cui European Youth Event, Salone della CSR, Codeway, Innovation Village, Platea2030 e Forum PA, testimonia l'entusiasmo crescente per la sostenibilità e l'impegno comune verso un cambiamento culturale positivo.

L'entusiasmo e l'attenzione verso la sostenibilità si riflettono nelle oltre mille iniziative che animano il Festival dello Sviluppo Sostenibile 2024, dimostrando la crescente radicazione e trasversalità dei temi legati alla sostenibilità in ogni ambito della vita nazionale, sia pubblico che privato. "Il Festival del 2024 testimonia l'impegno crescente verso la sostenibilità, coinvolgendo attivamente cittadini, istituzioni e aziende", afferma Enrico Giovannini, direttore scientifico dell'ASviS.

"L'importanza delle aziende come protagonisti nella transizione verso una sostenibilità economica, sociale e ambientale è sempre più evidente", aggiunge Giovannini. L'apertura del Festival presso le ex officine Olivetti di Ivrea vedrà la presentazione di un Rapporto sugli scenari per l'Italia al 2030 e al 2050. "Questo rapporto evidenzierà le scelte cruciali da compiere oggi nel campo delle politiche industriali e degli investimenti per assicurare un futuro di prosperità per l'Italia, evitando scenari catastrofici e il peggioramento delle condizioni socioeconomiche", spiega Giovannini.

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Sostenibilità

Limiti più stringenti e risarcimento per i cittadini, ok...

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La norma prevede anche un controllo più frequente e indici omologati tra i Paesi membri

Bambino con mascherina per aria inquinata - Canva

L’Ue prepara una nuova stretta contro l’inquinamento dell’aria e prevede la possibilità per i cittadini di essere risarciti dallo Stato in caso di danni alla salute.

Il Parlamento ha infatti adottato in via definitiva un accordo politico provvisorio con i governi europei su nuove misure per migliorare la qualità dell’aria nell’Ue con 381 voti favorevoli, 225 contrari e 17 astensioni.

La direttiva prevede una stretta sull’emissione degli agenti più pericolosi per la salute umana come il Pm 2.5, il Pm 10, l’ossido di azoto e l’anidride solforosa, da rispettare entro il 2030. In presenza di determinate condizioni e di un impegno concreto, i Paesi potranno chiedere una deroga di dieci anni per rispettare i nuovi limiti entro il 2040.

La strategia

Nel testo adottato dal Parlamento Ue, si legge che: “Il piano d’azione per l’inquinamento zero definisce una visione per il 2050, in cui l’inquinamento atmosferico è ridotto a livelli non più considerati nocivi per la salute e per gli ecosistemi naturali. A tal fine, si dovrebbe perseguire un approccio graduale alla definizione delle norme attuali e future dell’Unione in materia di qualità dell’aria, stabilendo standard di qualità dell’aria per il 2030 e oltre e puntando a raggiungere l’allineamento con i più recenti orientamenti dell’OMS sulla qualità dell’aria al più tardi entro il 2050, sulla base di un meccanismo di revisione periodica per tenere conto dei più recenti dati scientifici”.

A tal fine, gli europarlamentari hanno stabilito di aumentare i punti di campionamento della qualità dell’aria nelle città. Per una analisi e un confronto più chiaro, inoltre, si prevede che gli indici di qualità dell’aria, attualmente frammentati nei 27 Paesi, diventino omologati e quindi comparabili, chiari e disponibili al pubblico.

Il testo emendato dal Parlamento Ue prevede che i risultati della valutazione della qualità dell’aria per le zone in cui sono utilizzate applicazioni di modellizzazione della qualità

dell’aria o una stima obiettiva sono indicate le seguenti informazioni:

- descrizione delle attività di valutazione svolte;

- metodi specifici utilizzati e loro descrizione;

- fonti dei dati e delle informazioni;

- descrizione dei risultati, comprese l’incertezza e, in particolare, l’estensione di qualsiasi area o, se del caso, la lunghezza della strada all’interno di una zona in cui le concentrazioni superano uno dei valori limite, dei valori-obiettivo o degli obiettivi a lungo termine, e di ogni area in cui le concentrazioni superano la soglia di valutazione;

- popolazione potenzialmente esposta a livelli superiori rispetto ai valori limite per la protezione della salute umana.

Il diritto al risarcimento

Una delle novità più grandi proposta dalla Commissione e accolta dall’Europarlamento riguarda il principio del “chi inquina paga”. In caso di violazione delle nuove norme nazionali di applicazione della direttiva, sia essa “commessa intenzionalmente o per negligenza delle autorità competenti”, si prevede che i cittadini possano intraprendere azioni legali e ricevere un risarcimento se la loro salute è stata danneggiata. Non solo: la direttiva obbliga gli Stati membri a trovare un modo affinché le norme e le procedure nazionali relative alle richieste di risarcimento siano concepite e applicate “in modo da non rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto al risarcimento dei danni”.

Nel determinare l’ammontare della sanzione, gli Stati dovranno considerare, a seconda dei casi:

- la natura, la gravità, la portata e la durata della violazione;

- l’impatto della violazione sulla popolazione, compresi i gruppi sensibili e le

categorie vulnerabili, o sull’ambiente, tenendo presente l’obiettivo di conseguire

un elevato livello di tutela della salute umana e dell’ambiente;

- il fatto che la violazione sia stata commessa una sola volta o ripetutamente,

compreso l’eventuale previo ricevimento di un ammonimento o di una sanzione

amministrativa o penale;

- i vantaggi economici derivanti dalla violazione da parte della persona fisica o

giuridica ritenuta responsabile, nella misura in cui possano essere determinati.

Il contesto

La stretta sulla qualità dell’aria si è resa necessaria a fronte dei numeri: come riporta lo stesso Parlamento Ue sul proprio sito, l’inquinamento atmosferico continua ad essere la prima causa ambientale di morte prematura nell’Ue, con circa 300.000 morti all’anno.

Situazione particolarmente grave nel nostro Paese, anche a causa dell’elevatissima presenza di auto, tanto che a marzo scorso la Commissione europea ha inviato una lettera formale di messa in mora all’Italia , evidenziando la persistente mancata conformità del Paese alla sentenza della Corte di Giustizia del 10 novembre 2020, degli standard imposti dalla direttiva europea sulla qualità dell’aria.

Dopo la votazione, il relatore Javi López (S&D, ES) ha dichiarato: “Aggiornando gli standard di qualità dell’aria, alcuni dei quali sono stati stabiliti quasi due decenni fa, l’inquinamento sarà dimezzato in tutta l’UE, aprendo la strada a un futuro più sano e sostenibile. Grazie al Parlamento, le norme aggiornate migliorano il monitoraggio della qualità dell’aria e proteggono in modo più efficace i gruppi vulnerabili. Quella di oggi è una vittoria significativa nel nostro costante impegno a garantire un ambiente più sicuro e più pulito per tutti i cittadini europei.”

Prossimi step

La direttiva deve ora essere formalmente adottata dal Consiglio, prima di essere pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Ue ed entrare in vigore 20 giorni dopo. Da allora i Paesi avranno due anni di tempo per applicare le nuove norme.

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Sostenibilità

Illusione green: in Italia le rinnovabili aumentano ma...

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Nel 2023 coperto il 43,8% del fabbisogno ma la vera sfida arriva adesso

Pannelli solari energia rinnovabile Italia - Canva

La prima cosa che viene da dire è che ci si è mossi tardi. Forse troppo tardi. Nel corso del 2023, in Italia le rinnovabili sono cresciute come mai nell’ultimo decennio arrivando a coprire il 43,8% della domanda di energia, ben oltre le medie della Ue, anche se al di sotto delle altre potenze europee. La crescita si è registrata anche nei primi mesi del 2024.

Allora qual è la brutta notizia?

Che anche se la crescita dovesse continuare a questo ritmo, il Belpaese non riuscirebbe comunque a raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione che l’Unione europea ha fissato per il 2030 e che il governo italiano ha confermato alla Cop 28 di Dubai e di recente al G7 dell’Energia che si è tenuto a Torino.

“L’Italia si è svegliata dal suo torpore”

In materia di rinnovabili l’Italia “si è svegliata dal suo torpore”, ha scritto in uno dei suoi ultimi report Ember, il think tank indipendente con sede a Londra che vuole contribuire ad accelerare i tempi della transizione energetica.

L’obiettivo fissato da Bruxelles è ottenere il 70% di elettricità da fonti rinnovabili entro il 2030. Per raggiungerlo, la produzione eolica e solare italiana dovrà crescere del 17% all’anno, rispetto al 13% circa del 2023. A prima vista non si tratta di un gap insanabile, ma due elementi gettano ombre sul futuro rinnovabile dell’Italia. Entrambi nascono dal fatto che, mentre aumentare la produzione di energia rinnovabile all’inizio è piuttosto “facile”, farlo quando alcune risorse sono già utilizzate è più complicato.

In particolare, se si guarda all’energia solare, va tenuto che conto che le nuove installazioni sono per il 90% piccoli impianti fotovoltaici destinati all’autoconsumo, mentre per raggiungere i grandi numeri, occorrono distese di pannelli solari grandi almeno come 2-3 campi di calcio. Scenari ancora rari in Italia, seppure le distese e il sole non manchino.

Discorso analogo per l’energia eolica, anche se i siti più ventosi sulle creste dell’Appennino sono già stati occupati e per aumentare la produzione serviranno operazioni di “repowering”. In pratica, più che fare nuovi impianti bisognerà rinforzare quelli esistenti con impianti più alti, pale più grandi e rotori più efficienti.

Resta ancora un grande potenziale inesplorato nelle aree marine al largo di Sardegna, Sicilia e Puglia dove non a caso si concentrano i progetti in corso. Secondo le stime di The European House-Ambrosetti - think tank economico italiano – le opere potrebbero sviluppare investimenti per 250 miliardi. Al momento, però, le richieste sono ancora in fase di istruzione.

Le prospettive future

Diversi indizi portano ad attenuare l’entusiasmo sul tema rinnovabili in Italia:

- il governo nel Piano per il Clima ha previsto un obiettivo di 2 Gigawatt per il 2030, ben distante dalla Germania che punta a 30 Gw, dal Regno Unito (obiettivo 50 Gw) e dalla Cina addirittura (obiettivo 60 Gw);

- il dato secondo cui, lo scorso anno, il 43,8% dell’energia richiesta in Italia sia derivato dalle fonti green è relativo. Nel 2023, infatti, si è registrato anche un crollo della domanda e della produzione di energia, stimata sotto i 260 Gw, ai minimi dal 1999.

- nel 2014 il nostro Paese produceva tra eolico e fotovoltaico 37 Gw e nel 2023 54 Gw; nello stesso periodo la Francia è passata da 24 a 68 Gw e la Gran Bretagna addirittura da 36 a 109 Gw. Anche la Spagna supera i 100 GW, mentre la Germania domina con quasi a 200 Gw.

Nel 2023, Germania e Spagna, anch’esse “favorite” dal calo della produzione non green, hanno superato la fatidica soglia del 50% di energia green, e la Gran Bretagna si è fermata al 47%. Situazione particolare per la Francia che è ancorata al 27% ma potrebbe fare un enorme balzo in avanti riclassificando le fonti low carbon con il nucleare. In questo modo i cugini francesi potrebbero ottenere energia pulita per circa il 93% del fabbisogno nazionale.

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