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Salute e Benessere

Allo studio sensori ‘spray’ per diagnosi...

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Allo studio sensori ‘spray’ per diagnosi precoce cancro polmoni

L'idea di scienziati Usa che l'hanno testata per ora sui topi

(Fotogramma)

Uno 'spray' per innescare un processo che potrebbe portare a rilevare precocemente il tumore ai polmoni. E' la strategia a cui lavora un team di ricercatori del Mit (Massachusetts Institute of Technology): nanosensori inalabili, che possono essere erogati da un inalatore o da un nebulizzatore. Se queste particelle intelligenti incontrano proteine ​​legate al tumore, producono un segnale che si accumula nelle urine, dove può essere rilevato con un semplice test, di quelli eseguiti con una striscia di carta reattiva.

L'approccio, basato su una nuova tecnologia sviluppata al Mit, potrebbe potenzialmente sostituire o integrare l'attuale gold standard per la diagnosi del cancro del polmone, cioè la tomografia computerizzata (Tc) a basso dosaggio, prospettano gli esperti presentando i risultati del loro lavoro pubblicati sulla rivista 'Science Advances'. Missione: rendere la diagnosi facile come l'uso di uno spray. Ciò potrebbe avere un impatto particolarmente significativo nei Paesi a basso e medio reddito che non hanno un'ampia disponibilità di macchinari per le Tac, riflettono. "In tutto il mondo, il cancro diventerà sempre più diffuso nei Paesi a basso e medio reddito. L'epidemiologia di quello ai polmoni è legata all'inquinamento e al fumo, quindi sappiamo che questi sono ambienti in cui l'accessibilità a questo tipo di tecnologia potrebbe avere un grande impatto", afferma Sangeeta Bhatia, autrice senior dello studio (che ha come autori principali Qian Zhong ed Edward Tan).

Bhatia ha trascorso gli ultimi dieci anni sviluppando nanosensori da utilizzare nella diagnosi del cancro e di altre malattie e, in questo studio, lei e i suoi colleghi hanno esplorato la possibilità di utilizzarli come alternativa più accessibile allo screening Tc per il cancro ai polmoni. Questi sensori sono costituiti da nanoparticelle polimeriche rivestite con una sorta di 'codice a barre' del Dna, che viene staccato dalla particella quando il sensore incontra enzimi chiamati proteasi, che sono spesso iperattivi nei tumori. Questi codici a barre alla fine si accumulano nelle urine e vengono eliminati dall'organismo.

Le versioni precedenti dei sensori, che miravano ad altri siti tumorali come il fegato e le ovaie, erano progettate per essere somministrate per via endovenosa. Per la diagnosi del cancro al polmone, i ricercatori hanno voluto creare una versione che potesse essere inalata, elemento che potrebbe facilitarne l'implementazione in contesti con risorse inferiori. "Quando abbiamo sviluppato questa tecnologia, il nostro obiettivo" era "anche di abbassare la soglia di accessibilità, in un modo che si spera possa migliorare la disparità e l'iniquità delle risorse nella diagnosi precoce del cancro ai polmoni", osserva Zhong. Sono state così create due formulazioni: una soluzione che può essere aerosolizzata e somministrata con un nebulizzatore, e una polvere secca che può essere somministrata utilizzando un inalatore.

Una volta che le particelle raggiungono i polmoni, vengono assorbite nei tessuti, dove incontrano le proteasi eventualmente presenti. Le cellule umane possono esprimere centinaia di proteasi diverse e alcune di esse sono iperattive nei tumori. Queste proteasi cancerose scindono i codici a barre dai sensori, consentendo loro di circolare nel flusso sanguigno fino a quando non vengono escreti nelle urine. Nelle versioni precedenti di questa tecnologia i ricercatori utilizzavano la spettrometria di massa per analizzare il campione di urina. Nella nuova versione hanno creato un test a flusso laterale, che consente di rilevare i codici a barre utilizzando una semplice striscia reattiva di carta progettata per rilevare fino a 4 diversi codici a barre del Dna, ciascuno dei quali indica la presenza di una proteasi diversa. "L'idea era di poter mettere il campione direttamente sulla carta e leggerlo in 20 minuti", dice Bhatia.

I ricercatori hanno testato il loro sistema diagnostico su topi geneticamente modificati per sviluppare tumori polmonari simili a quelli osservati nell'uomo. I sensori sono stati somministrati 7,5 settimane dopo che i tumori avevano iniziato a formarsi, un momento temporale che sarebbe probabilmente correlato allo stadio 1 o 2 del cancro negli esseri umani. La combinazione dei 4 che avrebbero potuto fornire risultati diagnostici accurati è stata testata scoprendo che poteva rilevare con precisione tumori polmonari allo stadio iniziale. Per l'uso nell'uomo è possibile siano necessari più sensori per una diagnosi accurata, ma potrebbe essere ottenuto utilizzando più strisce di carta reattiva, dicono i ricercatori che ora intendono analizzare campioni di biopsia umana per vedere se i pannelli di sensori che stanno usando funzionerebbero. A lungo termine, sperano di eseguire studi clinici su pazienti. "L'idea sarebbe quella di ricevere una risposta sulla necessità o meno di un test di follow-up, e potremmo inserire nel sistema i pazienti che presentano lesioni precoci in modo che possano ricevere un intervento chirurgico curativo o farmaci salvavita", conclude Bhatia.

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Pressione alta, il ruolo del Dna: lo studio

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Maxi-studio internazionale apre a diagnosi di precisione, cure su misura e all'identificazione di nuovi bersagli terapeutici

Uno sfigmomanometro per misurare la pressione - FOTOGRAMMA

La pressione alta dipende certo dai cattivi stili di vita, ma sulla probabilità di ammalarsi di ipertensione - un fattore di rischio chiave per le patologie cardiovascolari - pesa anche il Dna. In un maxi studio sui dati di oltre un milione di persone, il più grande mai condotto finora sull'argomento, ricercatori e collaboratori dei National Institutes of Health-Nih americani hanno scoperto oltre 2mila regioni del genoma umano (loci genomici) legati alla pressione sanguigna, comprese 113 nuove regioni. Il lavoro è pubblicato su 'Nature Genetics' e secondo gli autori permetterà di capire meglio come viene regolata la pressione del sangue, nonché di identificare possibili bersagli per nuovi farmaci.

"Il nostro studio aiuta a spiegare una percentuale molto maggiore di differenze tra la pressione sanguigna di due persone rispetto a quanto precedentemente noto", afferma Jacob Keaton, sezione Informatica sanitaria di precisione del National Human Genome Research Institute (Nhgri), primo autore della ricerca alla quale hanno contribuito più di 140 scienziati di oltre 100 università, istituti e agenzie governative. I ricercatori sono riusciti anche a calcolare un punteggio di rischio poligenico, che combina gli effetti di tutte le varianti genomiche presenti in una persona, per prevederne la pressione e il pericolo ipertensione. "Conoscere il rischio di un paziente di sviluppare ipertensione potrebbe portare a trattamenti su misura, che hanno maggiori probabilità di essere efficaci", sottolinea Keaton.

Tra i nuovi loci genomici scoperti, molti si trovano in geni che svolgono un ruolo nel metabolismo del ferro, confermando precedenti evidenze secondo cui alti livelli di ferro possono contribuire alle malattie cardiovascolari, precisano gli autori. Gli scienziati hanno inoltre confermato l'associazione tra pressione sanguigna e varianti del gene Adra1A, che codifica per un recettore cellulare detto adrenergico, già target di farmaci per la pressione. Ecco perché gli autori ritengono che altre varianti genomiche individuate nella nuova ricerca potrebbero diventare bersagli farmacologici per sviluppare nuove terapie.

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Cardiologi: “Ecg con Ai è salto in avanti, screening...

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Cardiologi:

Lo studio sull'efficacia dell'uso di nuovi Ecg con intelligenza artificiale nel prevenire i decessi individuando pazienti ad alto rischio mortalità, "ci dice che non si deve avere paura e non si deve essere scettici rispetto all'uso dell'Ai nella pratica clinica. Questa ricerca e altre del genere forniscono una indicazione importante sul tema della prevenzione. Se un medico, grazie appunto all'Ai, riceve un alert su un paziente specifico può dedicargli più attenzione, si può identificare uno scompenso cardiaco, si possono usare farmaci antiaritmici in modo selettivo, ma anche individuare aritmie maligne. L'Ecg intelligente ci permette un salto in avanti con uno screening più approfondito rispetto a quello che si esegue di routine, riducendo anche i costi e l'inappropriatezza". Così all'Adnkronos Leonardo De Luca, vice presidente Anmco, l'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri, e direttore della struttura complessa di Cardiologia del Policlinico San Matteo di Pavia.

Rispetto alle innovazioni, in Italia "c'è un problema culturale", avverte De Luca. "Secondo un nostro censimento di tutte le strutture cardiologiche pubbliche, convenzionate e private presenti in Italia - spiega - parliamo di 790 strutture, solo nel 20% sono presenti strumenti di telemedicina, teleconsulto e telerefertazione. Il Pnrr doveva intervenire proprio su queste settore e sull'ammodernamento del parco tecnologico".

Il balzo tecnologico, favorito anche dall'Ai, può essere un rischio nel far aumentare la richiesta di offerta sanitaria 'hi-tech'? "C'è il rischio, come c'è un rischio di esagerare con l'interpretazione dei dati che arrivano dai vari software oggi a disposizione - risponde il primario di Cardiologia - Questo studio dimostra che proprio l'Ai applicata a un esame importante e ormai consolidato come l'Ecg può ridurre la mortalità del paziente ospedalizzato, ma c'è da considerare anche l'effetto Hawthorne, che accade quando c'è una variazione del comportamento in presenza di qualcuno che ti osserva. Questo - chiarisce - potrebbe essere accaduto nello studio quando il medico, che sa di partecipare a un ricerca, è più attento ai dati e all'osservazione clinica del paziente. Magari è più sensibile all'alert dell'Ai e interviene istantaneamente. Ma al di là di questa considerazione, davvero ormai con intelligenze artificiali che passano in rassegna milioni di dati e immagini in pochissimo tempo, siamo in presenza di una rivoluzione nel campo della cardiologia, e non solo".

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Nuovo cancro seno ereditario, Aiom: “Passo avanti per...

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Nuovo cancro seno ereditario, Aiom:

E' "un passo avanti importante sulla strada della diagnosi di precisione" lo studio dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano, pubblicato su 'Jama Network Open', che ha scoperto una nuova forma ereditaria di cancro al seno, associata al gene Cdh1. A spiegare all'Adnkronos Salute il valore del lavoro dei senologi Ieo è Francesco Perrone, presidente dell'Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) e direttore dell'Unità Sperimentazioni cliniche dell'Istituto nazionale tumori Fondazione Pascale di Napoli.

In donne operate per un tumore lobulare del seno, gli autori hanno definito una nuova sindrome chiamata 'carcinoma mammario lobulare ereditario', associata a mutazioni patogenetiche del gene Cdh1. Una forma di cancro e che si differenzia integralmente - sottolineano i ricercatori - dalla classica sindrome del carcinoma mammario ereditario causata dalle note mutazioni dei geni Brca1 e Brca2. I cosiddetti 'geni Jolie', che hanno spinto l'attrice americana e più di recente la supermodella Bianca Balti a ricorrere alla chirurgia preventiva per scongiurare il rischio cancro. Per i senologi Ieo, "le donne con un tumore lobulare, con età sotto i 45 anni, o con storia familiare positiva o con tumore lobulare bilaterale, dovrebbero essere tutte testate per il gene Cdh1".

Su questo punto Perrone precisa: "Non faccio anticipazioni sui contenuti delle future linee guida Aiom, che sono frutto di un processo lungo e complesso, e che sono valide una volta approvate dall'Istituto superiore di sanità e pubblicate". Ciò premesso, lo studio dell'Irccs fondato da Umberto Veronesi indica "una nuova potenziale possibilità di fare diagnosi di precisione", afferma l'oncologo. Le conclusioni del lavoro, puntualizza, aprono all'eventualità di "aggiungere, nei prossimi anni, qualcosa all'armamentario diagnostico già disponibile per cercare di identificare tumori che hanno una causa ereditaria". Un'opportunità molto importante per i pazienti con mutazioni genetiche a rischio cancro, ma anche per i loro familiari, sui quali potrà essere cercata la stessa mutazione, valutando strategie personalizzate di prevenzione.

La nuova ricerca dell'Ieo, commenta il presidente Aiom, "è uno studio sicuramente importante su un tema molto importante che è quello delle forme ereditarie di cancro. In questo caso una forma di cancro della mammella, il carcinoma lobulare, che non è la più frequente", rimarca Perrone. L'oncologo si complimenta pertanto con gli autori anche "per la capacità di mettere insieme una grande casistica, iniziata prima del 2000", così da produrre risultati abbastanza 'pesanti' da poter sperare di orientare in futuro la diagnosi oncologica di precisione.

"Al momento - ribadisce il numero uno dell'associazione oncologi medici - mi sembra che il senso di questa pubblicazione possa essere quello di aggiungere potenzialmente, nei prossimi anni, qualcosa all'armamentario diagnostico di cui disponiamo per individuare i tumori con una causa ereditaria. Che ciò si potrà tradurre in una modifica della terapia o della prognosi è molto presto per dirlo, però è una cosa importante. Con i più noti e importanti 'geni Jolie' - ricorda infatti Perrone - quello che accade" già oggi "è che si fa una diagnosi di un tumore che è legato a un'anomalia di questi geni, e quindi si può poi discutere e ragionare anche per la prevenzione del cancro nei familiari che potrebbero avere la stessa mutazione. Un elemento, questo, molto importante".

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