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Meloni in Senato: “Fiera di dati su occupazione femminile. Reddito famiglie nostra priorità”
La seduta a Palazzo Madama per il question time della premier si apre con il ricordo di Giulia Cecchettin, in piedi l'intera Aula
Si apre con il ricordo di Giulia Cecchettin la seduta dell'Aula del Senato, riunita per il question time della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. A ricordare la giovane barbaramente uccisa dal suo ex, il questore Antonio De Poli con un'interrogazione sull'occupazione femminile. In piedi l'intera Aula, che tributa alla giovane un applauso. In piedi anche Meloni e i ministri presenti sugli scranni del governo a Palazzo Madama.
Proprio i dati sull'aumento dell'occupazione femminile sono "forse il risultato che mi rende più fiera di questo primo anno di governo", esordisce la premier al question time. Sul lavoro in generale, "dal 2012 ci sono stati trend di crescita molto lenti, ora è cambiata l'impostazione" con il governo impegnato "ad incentivare l'occupazione, a mettere più soldi in busta, con un'attenzione sui rinnovi contrattuali". E' "record di occupazione, con mezzo mln di lavoratori in più", ma anche "record di occupazione femminile. Per quel che attiene il lavoro femminile, credo che questo aumento sia frutto anche delle misure volte a incentivare l'occupazione favorendo tempi di vita e di lavoro, non costringendo le donne a scegliere tra il lavoro" e una vita famigliare. "Abbiamo lavorato su questo, abbiamo lavorato per favorire il lavoro delle mamme - dice ancora Meloni -: questi strumenti li potenzieremo e ne affiancheremo di nuovi. C'è molto da fare perché continui" questo trend "e spero che avvenga col contributo del Parlamento".
Governo
''E' sotto l'occhio di tutti come in questi mesi sia cresciuta la fiducia, per esempio, degli investitori e dei mercati. Penso alla promozione di 4 agenzie di rating che di solito non sono buone su queste materie. Penso al fatto che le famiglie comprino volentieri i titoli dio Stato, allo spread che è ai minimi, alla borsa italiana che cresca più delle altre borse. Sono dati che dicono qualcosa in più rispetto alle valutazioni legittime dell'opposizione'', dice quindi la premier, replicando a Matteo Renzi.
Il Parlamento, spiega rispondendo al senatore di Fdi Lucio Malan che la ringrazia per la sua 'insolita' presenza al question time, "mi manca molto, ho avuto una lunga carriera parlamentare - e si vede anche dalla passione che metto nei miei interventi - mi manca questo luogo e vengo sempre volentieri".
''Anche stavolta, a prova di telecamera, non c'è una Meloni privata e una pubblica... C'è una Meloni che dice sempre quello che pensa, con chiarezza e per questo consente all'Italia oggi di essere rispettata e ascoltata quando governavate voi...'', le parole per rispondere a una interrogazione sul caso della telefonate fake dei comici russi.
Sindacati
"Sull'attenzione messa per i rinnovi contrattuali, devo dire che questo ha portato un cambio di atteggiamento da parte di alcune organizzazioni sindacali. Prima avevano una mobilitazione contenuta - ho registrato dal 2012 al 2022 circa 6 scioperi generali - ora se ne fanno due ogni anno, ma anche questa è una buona notizia", ha detto Meloni.
Fisco
Quello fatto finora sul fisco, aggiunge la premier, "è un lavoro che chiaramente racconta una visione" un lavoro "che va fatto immaginando una legislatura che è quella che abbiamo a disposizione, per cercare di fare sempre dei passi avanti. Il prossimo passo immediato è l'attuazionedella delega fiscale, dopo un attesa durata decenni si consentirà finalmente di riformare profondamente il fisco italiano, rendendolo più giusto, rendendolo più efficiente e rendendolo capace di fare la sua parte nel ricostruire il rapporto che serve tra lo Stato e gli italiani che noi non consideriamo sudditi ma vogliamo considerare cittadini", spiega rispondendo sul tema delle iniziative a sostegno di lavoratori e famiglie.
"Sostenere il reddito delle famiglie e ridurre la pressione fiscale per famiglie e imprese sono stati dall'inizio una priorità di questo governo" si tratta di "una visione che noi avevamo già intrapreso con la legge di bilancio 2023 e che confermiamo con la legge di bilancio 2024", dice Meloni.
Pensioni
"A differenza di quanto fatto finora noi sappiamo che questa nazione ha bisogno, sul tema delle pensioni, di un intervento strutturale, non di misure estemporanee, tra i nostri obiettivi c'è anche quello di procedere nell'arco della legislatura a una riforma adeguata, strutturale, per dare ai cittadini le certezze dovute sul diritto d'accesso alla pensione secondo il principio di equità", ha detto sul tema delle norme pensionistiche.
Sul tema delle pensioni "a differenza di quanto fatto finora, noi non intendiamo proseguire nella prassi un po' cinica di aggravare oltre ogni limite di decenza la futura pensione di chi oggi è giovane, perché penso che un cittadino sia un cittadino indipendentemente dall'età che ha e che come sempre le tutele debbano essere più alte possibili ma debbano essere uguali per tutti", ha aggiunto.
"Per quello che riguarda l'articolo 33 della manovra, che coinvolge anche alcuni medici, come è stato chiarito in più sedi si tratta di una misura che interviene su un particolare regime pensionistico di una parte di dipendenti pubblici, rispetto alla quale era stata evidenziata da più parti l'esistenza di un trattamento che era disomogeneo tra dipendenti e anche disomogeneo tra gli stessi medici, su questa linea del resto ci sono espresse anche economisti non sospettabili di essere dei sostenitori del governo, ma in ogni caso rivedremo la norma sulle pensioni dei medici", ha continuato.
Autonomia
Sulle richieste delle regioni a statuto speciale "siamo aperti e voglio dire anche di più, abbiamo il vantaggio di poter contare sulla specifica sensibilità e specifica attenzione maturata dal nostro ministro per gli affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli, che nella scorsa legislatura c'è stato presidente della commissione paritetica per Bolzano e componente della commissione paritetica per il Trentino Alto Adige quindi mi pare che siamo in ottime mani".
Alluvione
"Ne approfitto per annunciare che nell'ambito della revisione del Pnrr, il governo ha proposto un intervento per le zone alluvionate di Emilia Romagna, Marche e Toscana pari a un ulteriore miliardo e duecento milioni" oltre alle risorse già messe in campo, per un "totale di 6,5 miliardi", dice la premier.
Sull'alluvione in Emilia Romagna, "da parte del governo non c'è stata nessuna promessa mancata o distrazione. Segnalo sommessamente che la piattaforma Sfinge, per presentare le domande di risarcimento e di competenza della Regione Emilia Romagna, è operativa solo dal 15 novembre scorso, due mesi dopo l'ordinanza del commissario Figliuolo. Senza operatività" della piattaforma "è impossibile quantificare il fabbisogno finanziario. Il governo sta ancora aspettando, inoltre, la ricognizione dei danni dell'Emilia Romagna. Il governo ha agito con il massimo sforzo, senza polemica, guardando ai bisogno di cittadini e non al colore politico dell'interlocutore istituzionale, ma mi rendo conto che non è costume diffuso". Punge così la premier Giorgia Meloni durante il question time.
Ucraina
''Non torno sulle ragioni e gli errori che purtroppo hanno consentito a due comici russi di spacciarsi per il presidente dell'Unione africana. Utilizzo il mio tempo per rispondere molto volentieri sui contenuti della telefonata, banalmente perchè sono fiera di aver dimostrato ancora una volta la coerenza delle posizioni mie e del governo italiano in tema di politica estera. E sono fiera di essere lontana anni luce dal modello di chi prima di me si mostrava accondiscendente in privato salvo poi mostrare i denti a favore di telecamera o votava il sostegno militare a Kiev finchè si trattava di mantenere il proprio posto al governo per poi decidere di sostenere che l'Ucraina non andasse più aiutata quando è passato all'opposizione per guadagnare il consenso facile. In questo caso, però, il consenso facile si guadagna sulla pelle e sulla libertà di una nazione sovra'', ha detto Giorgia Melonial.
Nella telefonata'' ai comici russi ''ho detto quello che ripetuto tante volte in questo Parlamento. Primo, ho detto che noi siamo al fianco dell'Ucraina. Ho detto che cerchiamo una pace giusta, in linea con il diritto internazionale e che siamo pronti a fare le nostre proposte: proposte che confronteremo anche con Parlamento quando ci dovessere essere i margini per quella pace giusta''.
"Per arrivare a una opzione di questo tipo, ovvero alla pace giusta, è mantenere l'equilibrio tra le forze in campo, ovvero sostenere l'Ucraina. Perchè se noi avessimo fatto quello qualcuno ci chiedeva in questa Aula, ovvero smettere si sostenere Kiev, noi purtroppo non avremmo avuto la pace come qualcuno va dicendo in giro ma un'invasione... E io non sono così cinica di scambiare le due cose. L'unico modo possibile per arrivare eventualmente anche una soluzione diplomatica del conflitto è sostenere l'Ucraina.Questo è quello che ho sempre detto in Aula, è quello che faccio e ho detto nella telefonata'' ai comici russi. ''Questo non vuol dire che non mi renda conto della difficoltà anche nella nostra opinione pubblica: anche questo ho detto in Aula. Sono perfettamente consapevole della stanchezza dell'opinione pubblica, perchè ascolto la gente perchè sono capace di farlo. Quello che fa la differenza tra la mia scelta e quella degli altri è questa: penso che la responsabilità della politica sia guidare la società e non rincorrerla...''.
''Continuo e continuerò ad essere convinta che aiutando Kiev e sostenendo gli ucraini che combattono stiamo difendendo il nostro interesse nazionale...''., ha aggiunto.
Sicurezza
L'ultimo provvedimento sulla sicurezza varato dal governo "non è una scatola chiusa, ma un ddl a disposizione del Parlamento. Io sono convinta che, con il contributo del Parlamento, possa essere rafforzato e diventare ancora più organico di come uscito dal Cdm", dice la premier Giorgia Meloni.
Sulla sicurezza il governo ha adottato "diversi provvedimenti, un lavoro puntuale e che portiamo avanti con determinazione. Bisogna garantire la sicurezza, che non ci consente solo di difendere i cittadini", a partire dai "più fragili e i più deboli", ma anche di "garantire in Italia un ambiente favorevole alla crescita economica. La sicurezza - rimarca Meloni - è anche un tema di crescita economica". La premier snocciola alcuni esempi. "Le norme antiborseggio, contenute nell'ultimo provvedimento sulla sicurezza, è una norma di buon senso che non solo è tesa a difendere i cittadini che prendono i mezzi pubblici, ma" serve da incentivo "anche al turismo, che è un asset economico. La nostra reputazione", con mezzi di trasporto più sicuri, "è migliore, i flussi turistici aumentano, il che si traduce in ricchezza e posti di lavoro".
Altro esempio "le norme sulle case abusive: dire che la proprietà privata è sacra, che le case non si possono occupare e se lo fai la polizia interviene immediatamente anziché restare per anni ad attendere, significa dare certezza non solo a chi vive ma anche chi considera la un investimento. Anche questo diventa una misura economica", si liberano "più immobili, con ripercussioni anche sui prezzi. Puntare sulla sicurezza vuol dire tornare a fare di questa nazione una nazione seria, poiché le regole vengono rispettate" e creando un ambiente favorevole "per l'economia".
"Togliere alla criminalità le sue zone franche, le Caivano di turno, vuol dire rimettere interi territori nelle condizioni di tornare a lavorare nel rispetto delle regole. Vuol dire rafforzare l'economia contrastando la mafia, la camorra, la 'ndragneta e chi ha continuato a vivacchiare su uno Stato debole", aggiunge.
Economia
Ue, in vigore il nuovo Patto di stabilità: ecco cosa prevede
La riforma si fonda sulla proposta che la Commissione Ue ha avanzato formalmente nell’aprile del 2023, dopo aver ripetutamente sondato il terreno e aver discusso con gli Stati per molti mesi
La riforma del Patto di stabilità entrata in vigore martedì scorso si fonda sulla proposta che la Commissione Europea ha avanzato formalmente nell’aprile del 2023, dopo aver ripetutamente sondato il terreno e aver discusso con gli Stati per molti mesi. La proposta della Commissione è stata modificata in misura significativa dal Consiglio, complicandola non poco, e in misura molto minore dal Parlamento Europeo, nel corso dei negoziati in trilogo. I testi sono frutto di un compromesso raggiunto tra il fronte dei nordici, guidati in particolare dalla Germania del ministro delle Finanze Christian Lindner, che aveva bisogno di irrigidirla per recuperare consensi nel suo elettorato (i Liberali dell’Fdp sono in caduta libera nei sondaggi), e i Paesi mediterranei, in particolare Italia e Francia, che hanno entrambi debiti pubblici cospicui.
Tecnicamente, si tratta di tre atti legislativi: un regolamento che rimpiazza il braccio preventivo del patto di stabilità, un regolamento emendato sul braccio correttivo del patto e una direttiva emendata, che definisce nei dettagli le regole di bilancio cui gli Stati membri si devono attenere per rispettare le norme Ue in materia di conti pubblici. Il compromesso raggiunto non produce comunque, si apprende a Bruxelles, un quadro regolatorio tale da consentire a tutti i Paesi Ue di effettuare gli enormi investimenti che sarebbero necessari per migliorare le capacità nel campo della difesa e per compiere la transizione verde e digitale. Gli Stati Ue ad alto debito dovranno fare scelte nella spesa, probabilmente dolorose, ma comunque meno pesanti di quelle che sarebbero state necessarie se fosse tornato in vigore il ‘vecchio’ patto di stabilità.
Per questo l’Italia ha accettato l’accordo, sia pure senza troppo entusiasmo, come segnalato più volte dal governo. Nel negoziato, comunque, la Germania aveva il coltello dalla parte del manico perché, se non fosse stato trovato un'intesa, il primo gennaio 2024 sarebbero ritornate in vigore le vecchie regole. E per Italia e Francia sarebbe stato peggio. La riforma mira a rendere relativamente più semplice e prevedibile il quadro regolatorio Ue in materia di conti pubblici, che per convenzione viene chiamato patto di stabilità, ma che è in realtà un coacervo a più strati, che si sono sovrapposti e integrati nel tempo, come ricorda un briefing del think tank del Parlamento Europeo: tra questi, il trattato di Maastricht del 1992, il patto di stabilità e crescita del 1997 e il trattato intergovernativo del gennaio 2013, approvato dopo la crisi del 2011, che va sotto il nome di Fiscal Compact.
Protocollo 12 del Trattato sull'Ue cuore del sistema
Il cuore del sistema è stato fissato dal protocollo 12 del Trattato sull'Ue, con i cosiddetti criteri di Maastricht: un Paese non dovrebbe avere un deficit superiore al 3% del Pil né un debito pubblico superiore al 60% del Pil (questi due parametri non vengono toccati dalla riforma). Per evitare una spesa pubblica eccessiva, il Trattato di Maastricht definiva una procedura volta a correggere le situazioni di deficit eccessivo, la procedura per deficit eccessivo, appunto (Edp in gergo). Nel 1997 è stato poi creato il braccio preventivo, per gli Stati non in procedura, il cui nocciolo è costituito dall’Mto (obiettivo di medio termine), definito in termini di saldo strutturale (vale a dire, al netto di elementi una tantum e misure straordinarie). La riforma elimina elementi del 'vecchio' quadro come l’Mto, il parametro per la riduzione del debito (in ragione di un ventesimo annuo della differenza tra il debito/Pil e il 60%) e la procedura per deviazione significativa.
Dopo il 1997 il patto è stato modificato, in più fasi: nel 2011 il Six-Pack ha introdotto una procedura per correggere gli squilibri macroeconomici; nel 2013 il Two-Pack, con due regolamenti, ha introdotto una maggiore enfasi sul controllo del debito e della spesa. Un'altra riforma, nel 2015, sotto Jean-Claude Juncker, ha reinterpretato come la Commissione valuta gli investimenti pubblici, le riforme strutturali e le condizioni cicliche, quando giudica i bilanci degli Stati membri. Malgrado tutti questi sforzi, il rispetto delle regole nell'Unione è stato assai diseguale: secondo lo European Fiscal Board, un organo indipendente di consulenza della Commissione, la compliance in termini di numeri è stata appena del 54%.
Inoltre, malgrado le riforme avessero flessibilizzato, in qualche misura, il quadro, lo hanno per contro reso molto più opaco, complicato e meno prevedibile. Questo ha creato anche un problema di comunicazione, e quindi politico: l’ex commissario all'Economia Pierre Moscovici confessò pubblicamente di provare imbarazzo a dover scendere in sala stampa a comunicare decisioni basate su regole incomprensibili ai più. L'ex premier Matteo Renzi, che da Juncker aveva ottenuto la flessibilità in cambio dei voti per il lussemburghese nella nomina in Parlamento (forte di una folta delegazione di eurodeputati), accusò la Commissione di mandare "ridicole letterine" per chiedere aggiustamenti nei conti.
Un colpo serio alla credibilità delle regole era arrivato nel 2003, quando la Commissione non sanzionò, e neppure minacciò di sanzionare, Francia e Germania, che avevano sforato le soglie. La Commissione von der Leyen, raggiunta la piena consapevolezza che le norme erano ormai inadeguate, ha lanciato nel febbraio 2020, poco prima che la pandemia di Covid-19 sconvolgesse la vita degli europei, una revisione del quadro di governance economica. Nel marzo 2020, quando Covid-19 falcidiava le popolazioni europee, a partire dall'Italia Settentrionale, il patto di stabilità è stato sospeso, attivando la clausola generale di salvaguardia, per dar modo ai Paesi di poter sostenere le proprie economie, paralizzate dalle misure necessarie a contenere il contagio.
Fu per primo David Sassoli, il presidente del Parlamento Europeo scomparso all'inizio del 2022, a dire apertamente che il patto di stabilità non avrebbe potuto tornare in vigore così com'era. La clausola di salvaguardia è stata estesa a tutto il 2023, a causa della guerra in Ucraina, ma è stata disattivata alla fine del 2024. I Paesi membri sono riusciti poi a trovare un accordo il 20 dicembre 2023, nel corso di un Ecofin in videoconferenza, sotto la presidenza spagnola guidata dalla ministra Nadia Calvino, che poco dopo, con l’appoggio decisivo della Germania, è diventata presidente della Bei.
Il cuore della riforma, presentata dopo un lungo lavoro di consultazione e di dibattito, segue gli orientamenti annunciati dalla Commissione nel novembre 2022: la sostenibilità del debito verrebbe assicurata attraverso un monitoraggio stretto da parte della Commissione, basato su un percorso di aggiustamento fiscale specifico per ogni Paese, ancorato ad un quadro per l'analisi della sostenibilità del debito (Dsa in gergo). In particolare, la Commissione dovrebbe negoziare bilateralmente con ogni Stato membro un piano a medio termine basato su un percorso della spesa primaria netta, pluriennale, un po' sul modello dei Pnrr usati per i fondi di Next Generation Eu, con un orizzonte temporale minimo di quattro anni. I quattro anni possono essere estesi a sette, a condizione che vengano effettuati determinati investimenti e riforme, da negoziare con ogni Paese.
La possibilità di allungare temporalmente il percorso di aggiustamento è concepita come incentivo a fare investimenti e riforme, vista l'inefficacia del vecchio patto di stabilità al riguardo. Le vecchie regole hanno prodotto, o non hanno impedito, una "crescita molto, molto bassa" e un aumento dei debiti pubblici dei Paesi membri, come ha ricordato più volte il commissario Paolo Gentiloni. E hanno depresso gli investimenti, tanto che Juncker dovette inventarsi un piano ad hoc, basato sull'effetto leva, per tentare di porre rimedio alla cronica carenza di investimenti dell'area euro.
La riforma mira anche a promuovere una maggiore 'ownership', titolarità, dei piani, prevedendo un ruolo maggiore per le autorità nazionali indipendenti (Ifis in gergo). Come detto, i parametri per il deficit/Pil (3%) e debito/Pil (60%) rimangono invariati. Vengono introdotti, su richiesta della Germania, requisiti numerici orizzontali e un aggiustamento fiscale minimo pari allo 0,5% del Pil all'anno, se il Paese in questione ha un deficit superiore al 3%. Alla base dei piani nazionali sta il parametro unico della spesa netta finanziata a livello nazionale, vale a dire la spesa pubblica al netto delle misure discrezionali, esclusa la spesa per interessi e la spesa ciclica per la disoccupazione.
Questo indicatore, osservabile e misurabile, sostituisce altri parametri centrali del 'vecchio' patto di stabilità, non osservabili e soggetti a revisioni ex post anche consistenti. In particolare, il tasso di crescita della spesa primaria netta è definito al netto delle nuove misure sul fronte del gettito. In pratica, se uno Stato vuole spendere di più, può farlo, a patto che finanzi adeguatamente questa spesa aggiuntiva con misure sul gettito (cioè alzando le tasse).
La Commissione fissa una traiettoria tecnica della spesa, che assicuri una riduzione plausibile del debito, per i Paesi che 'sforano' i parametri di debito e deficit, con l'obiettivo di far sì che il debito venga messo su un percorso di riduzione plausibile, che il deficit rientri entro il 3% del Pil e che la crescita della spesa rimanga al di sotto della crescita del Pil nel medio termine. Lo Stato in questione dovrà anche assicurare che alla fine del periodo di piano il debito/Pil sia inferiore rispetto all'inizio e che lo sforzo fiscale non sia 'caricato' sugli ultimi anni del piano, per evitare che i governi 'scarichino' gli oneri sui successori.
Il periodo di aggiustamento può andare da 4 a 7 anni: più il piano viene esteso, minore sarà il peso dell’aggiustamento annuo richiesto. Il sistema è concepito così per incentivare investimenti e riforme in linea con le priorità Ue. Ogni anno lo Stato membro deve produrre un rapporto sui progressi fatti, mentre le autorità nazionali indipendenti hanno un ruolo maggiore nel controllo.
Deviazioni dal percorso fissato per la spesa netta sono possibili in circostanze eccezionali, grazie ad una clausola in caso di recessione severa e anche ad una clausola specifica per Paese (quest’ultima è una novità, perché il quadro precedente prevedeva solo clausole a livello Ue, non a livello di Paese). Il Parlamento Europeo, in tutto il processo, viene costantemente informato, ma non ha un ruolo nel processo di monitoraggio. La riforma del braccio preventivo del patto lascia invariati i parametri di deficit e debito, ma il superamento del 3% per il deficit/Pil non innesca automaticamente una procedura per deficit eccessivo (Edp). Per gli Stati membri con debito sopra il 60% del Pil, il rispetto del percorso fissato per la spesa netta è sufficiente ad evitare una procedura per deficit eccessivo.
Tuttavia, per i Paesi più indebitati e che deviano dal percorso, può essere aperta una procedura per deficit eccessivo basata sul debito (Debt-Based Edp), che con il vecchio patto veniva talora ventilata, ma non è mai stata attuata. Viene attuato un percorso correttivo per la spesa netta. E, finché uno Stato soggetto a Edp non corregge la rotta, paga una multa per un importo fino allo 0,05% del Pil, ogni sei mesi, fino a una pena cumulativa pari allo 0,5% del Pil. In questo modo, le sanzioni massime vengono ridotte, ma nello stesso tempo rese più praticabili ed efficaci. Le Ifis, in tutto questo, dovrebbero validare le previsioni di bilancio, valutare le analisi di sostenibilità e l'impatto delle politiche.
La procedura per deficit eccessivo rimane invariata, con la preparazione di un rapporto ex articolo 126.3 e la raccomandazione al Consiglio di aprire la procedura per chi sfora la soglia del 3%: questo dovrebbe accadere il prossimo 19 giugno per i Paesi al di sopra della soglia, tra cui Francia e Italia. E’ previsto che gli investimenti fatti per la transizione verde e digitale e per le altre priorità Ue, come la difesa, vengano tenuti in conto come fattori mitiganti, quando si valuta l'avvio di una procedura per deficit. Non è lo scorporo che chiedeva l'Italia, ma va nella direzione delle richieste italiane (e francesi).
Grazie alle insistenze del Parlamento, poi, viene esclusa dai principali indicatori monitorati la spesa nazionale per i programmi cofinanziati dall’Ue, per evitare che, come successo negli anni dell’austerity seguiti alla crisi finanziaria, gli Stati finiscano per tagliare anche la spesa legata ai programmi Ue, cofinanziata dall’Unione.
Le tempistiche
Ora, entro il 21 giugno prossimo, la Commissione dovrebbe condividere con gli Stati membri linee guida tecniche, che includono le traiettorie di riferimento della spesa). In estate, gli Stati avranno un dialogo tecnico con la Commissione, dopodiché, entro il 20 settembre dovranno inviare a Bruxelles i piani a medio termine. La scadenza può essere prorogata di qualche settimana, in caso di bisogno, in accordo con la Commissione.
Nell’autunno di quest’anno, poi, la Commissione presenterà le proprie valutazioni dei piani nazionali e formulerà raccomandazioni al Consiglio sugli stessi, appoggiandoli o, eventualmente, chiedendo revisioni. Il 2025 sarà il primo anno di applicazione dei piani nazionali a medio termine. Ogni anno, poi, lo Stato membro dovrà mandare a Bruxelles, entro il 30 aprile, un rapporto annuale, che conterrà anche una valutazione delle deviazioni annue e cumulative dal percorso di spesa concordato, sulla base del conto di controllo.
La segretaria al Tesoro Janet Yellen, nello scorso ottobre, era stata chiara, a Lussemburgo: "Spero che l'accordo finale, incentivando livelli di debito sostenibili, permetta anche di perseguire investimenti favorevoli alla crescita", aveva detto. Si vedrà nei prossimi anni se, con la riforma entrata in vigore due giorni fa, l'Ue sarà riuscita a seguire il consiglio della ex presidente della Federal Reserve.
Esteri
Ucraina, pressing di Macron per invio truppe europee: la...
Il presidente francese insiste: "Non escludo nulla, perché siamo di fronte a qualcuno che non esclude nulla"
Emmanuel Macron torna a "porre la questione" di un invio di truppe occidentali in Ucraina se la Russia dovesse sfondare la linea del fronte nella guerra in corso da oltre 2 anni. In un'intervista all'Economist, che solleva lo stesso polverone già provocato nelle settimane scorse, con gli alleati europei contrari a questa ipotesi, il presidente francese ribadisce che "nulla può essere escluso".
Perché il messaggio di Macron pesa di più adesso
Le parole di Macron assumono un significato particolare in un momento cruciale del conflitto. L'Ucraina, che attende di sfruttare le armi stanziate dagli Usa nell'ultimo pacchetto approvato dal Congresso, negli ultimi mesi è stata costretta a ripiegare per gestire la carenza di armi e munizioni.
La Russia, secondo analisti e esperti, potrebbe sferrare una nuova massiccia offensiva tra la fine della primavera e l'inizio dell'estate: la pressione di Mosca sul fronte orientale è costante, il ministero della Difesa russo rivendica progressi quasi quotidiani dopo la presa di Avdiivka, la città al centro delle ostilità durante l'inverno. L'ipotesi che la nuova spallata dell'esercito di Vladimir Putin si riveli efficace non può essere esclusa.
La situazione sul campo
Il ministero della Difesa russo nelle ultime ore ha annunciato di aver assunto il controllo di due villaggi situati vicino ad Avdiivka, nell'oblast di Donetsk, nell'Ucraina orientale. Le truppe di Mosca hanno conquistato Berdychi e Ocheretyne. Il primo è situato a circa 10 chilometri a nord-ovest di Avdiivka (da cui gli ucraini si sono ritirati a febbraio), il secondo è poco più distante, ma nella stessa direzione.
Le news dal campo confermano in sostanza le previsioni del comandante in capo delle forze ucraine, Oleksandr Syrsky, che pochi giorni fa haaveva anticipato il ritiro da Berdychi e da altri due villaggi vicini per proteggere "la vita dei nostri difensori". Fonti militari ucraine, citate dall'agenzia Dpa, hanno precisato che ora gli scontri più pesanti nel Donetsk si registrano nelle zone di Pokrovsk e Kurakhove. Pezzo dopo pezzo, il muro dell'Ucraina rischia di sfaldarsi. Il cedimento spalancherebbe alla Russia le porte verso il cuore dell'Ucraina.
Analisi Usa conferma l'allarme di Macron
La prospettiva non può essere esclusa, come dice Avril Haines, direttrice della National Intelligence, alla Commissione Forze Armate del Senato a Washington. C'è la possibilità che i russi mettano a segno "break tattici".
"Le tattiche sempre più aggressive di Putin contro l'Ucraina, compresi gli attacchi alle infrastrutture elettrice, mirano a impressionare l'Ucraina: portare avanti la guerra", è il messaggio del Cremlino, "porterà altri danni all'Ucraina senza dare speranza di vittoria a Kiev. Queste strategie aggressive sono destinate a proseguire, la guerra non finirà presto". Inutile, dice, sperare per ora in negoziati produttivi: "La Russia negli ultimi mesi ha mostrato disponibilità a discutere con Kiev e Washington sul futuro dell'Ucraina. Ma difficilmente farà concessioni significative".
Le parole di Macron e la reazione di Mosca
"Se i russi dovessero sfondare le linee del fronte, se ci fosse una richiesta ucraina - cosa che oggi non avviene - dovremmo legittimamente porci la domanda", dice Macron, secondo cui "escluderlo a priori significa non imparare la lezione degli ultimi due anni", con i Paesi della Nato che avevano inizialmente escluso l'invio di carri armati e caccia a Kiev prima di cambiare idea.
"Come ho detto, non escludo nulla, perché siamo di fronte a qualcuno che non esclude nulla", ribadisce Macron al settimanale britannico, in un riferimento a Putin. "Probabilmente siamo stati troppo esitanti nel fissare dei limiti alla nostra azione nei confronti di qualcuno che non ne ha più e che è l'aggressore", afferma il presidente, indicando il suo "chiaro obiettivo strategico: la Russia non può vincere in Ucraina".
"Se la Russia vince in Ucraina, non avremo più sicurezza in Europa - scandisce - Chi può pretendere che la Russia si fermi lì? Quale sicurezza ci sarà per gli altri Paesi vicini, la Moldavia, la Romania, la Polonia, la Lituania e tanti altri? E oltre a questo, che credibilità abbiamo noi europei che avremmo speso miliardi, che avremmo detto che era in gioco la sopravvivenza del continente e che non ci saremmo dati i mezzi per fermare la Russia? Quindi sì, non dobbiamo escludere nulla".
L'ipotesi prospettata dal leader francese non scuotono Mosca. La prima risposta ufficiale è affidata alle parole di Maria Zakharova, portavoce del ministro degli Esteri. Le dichiarazioni del presidente, dice, "sono in qualche modo legate ai giorni della settimana, è una sorta di ciclo".
Sport
Europa League, Marsiglia-Atalanta termina 1-1
Gol di Scamacca e Mbemba. Il 9 aggio il ritorno a Bergamo
Una bolgia, ma la Dea c'è. Marsiglia e Atalanta si affrontano al Velodrome per un posto nella finale di Europa League e il primo atto termina 1-1. Il secondo si giocherà a Bergamo il 9 maggio. Giusto il tempo per studiare ancora meglio gli avversari che stasera si sono dimostrati tosti tosti. Ma ad andare in vantaggio per prima è l'Atalanta all'11' con Scamacca che capitalizza un passaggio di Koopmeiners e insacca alle spalle di Pau Lopez. Al Velodrome scende il gelo, però il Marsiglia non sbanda e tre minuti dopo sfiora il pari con un lancio che scavalca il portiere Musso. Idea buona, ma Kolasinac e soprattutto la sua testa dicono no spedendo il pallone sul fondo. Il pareggio però è nell'aria. E dopo l'infortunio allo stesso Kolasinac sostituito da Pasalic, il Marsiglia segna e fa esplodere il Velodrome al 21' con Mbemba. E a due minuti dalla fine del primo tempo è ancora il Marsiglia a farsi pericoloso e a sfiorare il gol con Aubameyang.
Nella ripresa iniziano i cambi tattici. Al 59' entra Lookmann ed esce Scamacca. Nessuna delle due squadre riesce però a sfondare la difesa avversaria, anche se il Marsiglia si vede annullare un gol per fuorigioco al 64'. Al 65' Gasset si gioca la carta del doppio cambio entrano Merlin e Moumbagna, escono Clauss e Sarr. Poi una manciata di minuti dopo l'allenatore della squadra francese cambia ancora: Murillo e Harit fuori, dentro Ounahi e Ndiaye. La traversa di Ounahi al 74' e la spinta dei francesi sembrano far propendere Gasperini per una doppia sostituzione: all'85' Fuori Zappacosta e De Ketelaere dentro Hataboer e Miranchuk. Scelta che viene premiata con un palo al 90' dallo stesso Miranchuk. I due minuti di recupero non cambieranno il risultato.