Salute e Benessere
Hiv: Gilead, l’innovazione punta a terapie da...
Hiv: Gilead, l’innovazione punta a terapie da somministrare 2 volte l’anno
Al Croi i risultati di studi che vogliono rispondere ai bisogni insoddisfatti dei pazienti
Alla 31esima Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections (Croi) che si è svolta a Denver negli Usa, Gilead ha presentato dati che evidenziano la vastità e l'innovatività della pipeline aziendale. Gli ultimi risultati esplorano: gli esiti clinici di uno studio che ha valutato un regime di combinazione sperimentale di bictegravir e lenacapavir una volta al giorno; i nuovi risultati di uno studio che ha valutato la combinazione sperimentale di lenacapavir con anticorpi neutralizzanti (bNAb) per 2 somministrazioni l'anno; nuovi dati proof-of-concept relativi a Gs-1720, un nuovo inibitore dell'attività di strand transfer dell'integrasi (Insti) con somministrazione una volta alla settimana.
I dati presentati - spiega una nota - dimostrano l'impegno della farmaceutica nello sviluppare la prossima fase di innovazioni biomediche nel campo dell'Hiv, al fine di rispondere ai bisogni insoddisfatti delle persone affette dal virus. La disponibilità di diverse opzioni di trattamento, infatti, è fondamentale per coloro che non sono in grado di aderire ai regimi attuali e questo può aiutare le persone con Hiv - a prescindere da dove si trovino nel continuum delle cure - a migliorare i loro esiti individuali e a far progredire la salute pubblica.
Si stima che fino al 10% delle persone con Hiv segua un regime terapeutico complesso, definito come 2 o più pillole/compresse al giorno. Sebbene i regimi a singola compressa siano disponibili da oltre un decennio, alcuni soggetti non possono beneficiare di tale opzione, sebbene gli studi abbiano riscontrato una maggiore aderenza per regimi basati su una pillola una volta al giorno. A tale proposito, lo studio Aristry-1 di fase 2/3, condotto in aperto, ha confrontato la combinazione sperimentale con somministrazione una volta al giorno di bictegravir, un inibitore dell'attività di strand transfer dell'integrasi, e lenacapavir, un inibitore del capside first-in-class (capostipite della sua classe), rispetto all'attuale terapia in persone con Hiv che raggiungono la soppressione virologica con regimi complessi. I risultati hanno dimostrato che tutti e 3 i bracci di trattamento avevano una solida soppressione virologica a 6 mesi, con cariche virali costantemente basse nel corso dello studio. I risultati contribuiscono a supportare il profilo di efficacia e sicurezza dello switch da parte di individui con Hiv da regimi complessi a una combinazione potenzialmente meno complessa di bictegravir e lenacapavir. Questa combinazione sperimentale viene ulteriormente valutata come regime a singola compressa nella porzione di fase 3 dello studio.
Sul dosaggio 2 volte all'anno con lenacapavir e bNAb, in un recente studio di fase 1b pubblicato su 'The Lancet Hiv', la combinazione sperimentale di lenacapavir + teropavimab (GS-5423, Tab) + zinlirvimab (GS-2872, Zab) ha dimostrato un'elevata efficacia e ha mantenuto la soppressione virologica per 6 mesi con dosaggio 2 volte l'anno. A 6 mesi, la combinazione sperimentale a lunga durata d'azione di lenacapavir + Tab + Zab era ben tollerata, aveva un profilo di sicurezza favorevole e manteneva la soppressione virologica in 8 dei 10 partecipanti. Inoltre, ciascuno dei 6 partecipanti del braccio Zab a dosaggio più elevato ha mantenuto la soppressione virologica a 6 mesi, dimostrando il potenziale di questo regime terapeutico sperimentale a lunga durata d'azione con dosaggio 2 volte l'anno. Dei 2 partecipanti che hanno manifestato un rebound virologico, a uno è stato diagnosticato un Covid-19 acuto al momento del rebound e uno ha avuto un rebound alla settimana 26. Entrambi avevano Hiv Rna inferiore a 100 copie alla settimana 26. Inoltre, un partecipante ha ripreso la terapia antiretrovirale di base, a causa a una violazione del protocollo, ed è stato escluso dall'analisi di efficacia.
La combinazione sperimentale di lenacapavir + Tab + Zab è progredita alla fase 2. Un ulteriore studio osservazionale del registro Prestigio ha esaminato la suscettibilità ai bNAb Tab e Zab in soggetti con Hiv multiresistente a 4 classi di farmaci e che avrebbero potuto avere opzioni limitate. In circa il 40% dei partecipanti il virus era suscettibile a Tab e Zab, a indicare che alcuni soggetti con Hiv multiresistente ai farmaci potrebbero essere candidati idonei per studi futuri su regimi a lunga durata d'azione contenenti Tab e Zab.
Infine, nuovi dati clinici di una presentazione orale 'late-breaker' alla conferenza Croi dimostrano che inibitore del trasferimento di filamento dell'integrasi ha un profilo farmacocinetico adatto per un intervallo di dosaggio settimanale. GS-1720 è un Insti selettivo in fase di valutazione come nuovo agente antiretrovirale sperimentale in combinazione con agenti a lunga durata d'azione, con l'obiettivo di fornire alle persone affette da Hiv nuove opzioni a lunga durata d'azione. Tab, Zab e GS-1720 - conclude la nota - sono composti sperimentali e non sono stati approvati dalla Food and Drug Administration statunitense o da qualsiasi altra autorità regolatoria per alcun uso. L'uso di questi composti da soli o in combinazione con lenacapavir è in fase di sperimentazione. La loro sicurezza ed efficacia non sono note. Bictegravir e lenacapavir in combinazione sono sperimentali e non sono stati approvati in alcuna parte del mondo e la loro sicurezza ed efficacia non sono state ancora stabilite.
Salute e Benessere
Scoperto interruttore che spegne il grasso bruno...
Allo studio contro l'obesità, scienziati al lavoro per una strategia che lo attivi in modo sicuro con dei farmaci
E' diverso dal solito grasso, 'nemico giurato' di molti, un tormento quando si accumula attorno alla pancia e alle cosce. Il grasso bruno, noto anche come Bat (tessuto adiposo bruno), è un altro tipo di grasso presente nel nostro corpo e ha una missione speciale: aiuta a bruciare le calorie degli alimenti che consumiamo trasformandole in calore, il che può essere utile, soprattutto quando siamo esposti a temperature fredde come durante il nuoto invernale o la crioterapia. Per molto tempo gli scienziati hanno pensato che solo i neonati e piccoli animali come i topi lo avessero. Ma una nuova ricerca mostra invece che un certo numero di adulti mantiene il grasso bruno per tutta la vita. E gli scienziati stanno cercando un modo per attivarlo in modo sicuro utilizzando farmaci che aumentino la sua capacità di produrre calore, e sfruttando questa sua efficacia nel bruciare calorie. Un nuovo lavoro svela un possibile 'interruttore'.
Nel dettaglio, i gruppi di ricerca di Jan-Wilhelm Kornfeld dell'University of Southern Denmark/Novo Nordisk Center for Adipocyte Signaling (Adiposign) e di Dagmar Wachten dell'University Hospital e dell'università di Bonn (Germania) hanno scoperto che un meccanismo integrato finora sconosciuto che spegne il grasso bruno subito dopo essere stato attivato. Ciò limita la sua efficacia come trattamento contro l'obesità, evidenziano gli esperti. Secondo la prima autrice dello studio, Hande Topel, la 'chiave' è una proteina responsabile di questo processo di spegnimento. Si chiama 'AC3-AT'.
"Guardando al futuro, riteniamo che trovare modi per bloccare AC3-AT potrebbe essere una strategia promettente per attivare in modo sicuro il grasso bruno e affrontare l'obesità e i problemi di salute correlati", afferma l'esperta. Il gruppo di ricerca ha trovato la proteina di spegnimento utilizzando una tecnologia avanzata: "Quando abbiamo studiato topi che geneticamente non avevano AC3-AT, abbiamo scoperto che erano protetti dal diventare obesi, in parte perché i loro corpi erano semplicemente più bravi a bruciare calorie ed erano in grado di aumentare i loro tassi metabolici attivando grasso bruno".
Gli scienziati hanno quindi nutrito due gruppi di topi con una dieta ricca di grassi per 15 settimane, cosa che li ha resi obesi. Il gruppo a cui è stata rimossa la proteina AC3-AT ha guadagnato meno peso rispetto al gruppo di controllo ed era metabolicamente più sano. "Questi topi hanno anche aumentato la massa magra rispetto ai topi di controllo", sottolinea la coautrice Ronja Kardinal. "Poiché AC3-AT si trova non solo nei topi, ma anche negli esseri umani e in altre specie, ci sono implicazioni terapeutiche dirette per gli esseri umani".
Anche se la prevalenza del grasso bruno diminuisce con l'invecchiamento, e nonostante gli adulti non ne abbiano tanto quanto i neonati, il grasso bruno può comunque essere attivato, ad esempio dall'esposizione al freddo e aumenta il tasso di metabolismo delle persone, il che può aiutare a stabilizzare la perdita di peso in condizioni in cui l'apporto calorico è (troppo) elevato. I ricercatori hanno anche identificato altre versioni sconosciute di proteine/geni, che rispondono all'esposizione al freddo, simili ad AC3-AT. "Tuttavia - puntualizza Wachten - sono necessarie ulteriori ricerche per chiarire l'impatto terapeutico di questi prodotti genetici alternativi e dei loro meccanismi regolatori" durante l'attivazione del grasso bruno.
"La comprensione di questo tipo di meccanismi molecolari non solo fa luce sulla regolazione del grasso bruno, ma promette anche di svelare meccanismi simili in altri percorsi cellulari. Questa conoscenza può essere determinante per migliorare la nostra comprensione di varie malattie e per lo sviluppo di nuovi trattamenti", conclude Kornfeld.
Salute e Benessere
Covid, caratteristiche genetiche influenzano risposta a...
Ricercatori italiani di diverse università hanno unito le proprie forze per studiare le basi genetiche delle differenze interindividuali nella risposta anticorpale alla vaccinazione anti-Covid-19 con il vaccino Pfizer-Biontech
La risposta al vaccino contro Covid-19 non è univoca ma individuale, influenzata dalle caratteristiche genetiche di ognuno. Lo rivela uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della Fondazione Irccs Istituto neurologico “Carlo Besta” (Fincb), dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs, dell’azienda ospedaliera Senese e della Fondazione Irccs Casa sollievo della sofferenza che, guidati dall’Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio nazionale delle ricerche di Segrate (Cnr-Itb), ha unito le proprie forze per studiare le basi genetiche delle differenze interindividuali nella risposta anticorpale alla vaccinazione anti-Covid-19 con il vaccino Bnt162b2 (Pfizer-Biontech).
Cosa rivela lo studio
Lo studio ha mostrato come alcuni soggetti con determinate varianti genetiche nei geni del complesso maggiore di istocompatibilità (proprietà delle cellule di un tessuto di essere riconosciute come proprie da parte dell'organismo e non essere quindi eliminate dal sistema immunitario), coinvolto nei principali meccanismi di difesa del nostro sistema immunitario, producevano differenti quantità di anticorpi diretti contro l’antigene del coronavirus Sars-CoV-2. Lo studio è disponibile in open access su 'Communications Medicine'.
I ricercatori hanno valutando la correlazione tra milioni di varianti genetiche germinali e i livelli anticorpali nel siero di soggetti vaccinati contro il Covid-19, a 30 giorni di distanza dalla vaccinazione. Infatti, sin dall’inizio della campagna vaccinale si era osservata una differenza sostanziale nelle quantità di anticorpi prodotti dai soggetti vaccinati. “Come per la maggior parte dei farmaci, così anche per i vaccini ogni individuo può rispondere in maniera più o meno efficace e questo è dovuto, almeno in parte, alla costituzione genetica individuale”, spiega Francesca Colombo, ricercatrice del Cnr-Itb, che ha guidato la ricerca. “Il nostro studio ha coinvolto 1.351 soggetti, (operatori sanitari vaccinati nei primi mesi del 2021, nei tre centri ospedalieri coinvolti nello studio) ai quali è stato prelevato un campione di sangue per l’estrazione del Dna e di siero per la misurazione degli anticorpi anti-Sars-CoV-2 dopo un mese dalla somministrazione della seconda dose del vaccino Pfizer-Biontech”.
“Con le analisi statistiche effettuate abbiamo scoperto che una particolare regione del genoma, sul cromosoma 6, era significativamente associata ai livelli anticorpali - prosegue Martina Esposito, primo autore dello studio e assegnista di ricerca presso il Cnr-Itb - In questa specifica regione genomica sono presenti dei geni che codificano per delle molecole presenti sulla superficie cellulare, coinvolte nei meccanismi di risposta immunitaria. Questi geni sono molto variabili ed esistono differenti combinazioni. Il nostro studio ha evidenziato che alcune combinazioni erano associate a livelli di anticorpi più alti, mentre altre a livelli più bassi, spiegando quindi dal punto di vista genetico le differenze nella risposta alla vaccinazione osservate tra individui diversi”.
“I modelli matematici usati e le analisi statistiche effettuate per arrivare a questi risultati sono molto complessi perché complessa è l’interazione tra i geni e dei geni stessi con il vaccino. L’expertise maturata negli studi genetici in molti anni di ricerca condotta a Casa Sollievo della Sofferenza ci ha permesso di gestire tale complessità nei dati, contribuendo a giungere a questi importanti risultati", sottolinea Massimiliano Copetti, responsabile Biostatistica della Fondazione Irccs Casa Sollievo della Sofferenza.
"L’identificazione di specifici alleli Hla che conferiscono una predisposizione ad un’alta o bassa produzione di anticorpi dopo la somministrazione del vaccino anti-Covid ci può permettere ora di differenziare e personalizzare la campagna vaccinale, fornendo a ciascun individuo il vaccino più adatto, cioè quello che gli permetterà di produrre più anticorpi possibili. Questo approccio può essere esteso anche ad altri vaccini ideati contro altre malattie, nell’ottica di una vaccinazione di precisione supportata dalla vaccinogenomica", afferma Massimo Carella, biologo genetista e vice-direttore scientifico della Fondazione Irccs Casa Sollievo della Sofferenza. La ricerca è stata finanziata dell’Istituto Buddista italiano Soka Gakkai.
Salute e Benessere
Infettivologi, ‘coperture vaccinali in calo, serve...
"C'è un problema di coperture vaccinali in Italia. E' emerso anche durante il congresso Escmid Global a Barcellona", l'evento annuale che riunisce i microbiologi e infettivologi da tutta Europa e non solo, "quella anti-Covid in Italia non è stata molto efficace, siamo arrivati al 12% dei soggetti a rischio immunizzati mentre il resto d'Europa è sopra il 50%. L'Italia deve rivedere la politica sulle vaccinazioni e tra pochi giorni uscirà un documento congiunto Simit-Siti per preparare la prossima campagna vaccinale autunnale che - secondo noi - dovrà raccomandare anche l'anti-Covid insieme all'antinfluenzale. C'è anche preoccupazione per l'epidemia di morbillo che sta creando diversi problemi in vari stati europei. Insomma, il tema delle coperture vaccinali deve tornare la priorità delle politiche sanitarie". Lo sottolinea all'Adnkronos Salute Massimo Andreoni direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e professore ordinario di Malattie infettive Università Tor Vergata di Roma, che ha partecipato al congresso Escmid Global.
Quali sono stati i focus principali dell'evento congressuale? "L'antibiotico resistenza rappresenta un problema di sanità pubblica in tutti i paesi - risponde Andreoni - All'Escmid sono stati presentati diversi studi su nuovi approcci per arrivare a combattere i super batteri. Tra queste strategie sembra interessante quella che usa i 'virus fagi' che aggrediscono i batteri in maniera molto specifica. Sono virus non in grado di infettare le cellulare umane ma di attaccare le cellule batteriche di pseudomonas o stafilococco, ad esempio".