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Israele smentisce notizia fuga in Egitto di Sinwar, leader...

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Israele smentisce notizia fuga in Egitto di Sinwar, leader di Hamas a Gaza

Media: il 7 ottobre un 'errore tecnico' impedì assalto Hamas a carcere israeliano. Israele smentisce notizia fuga Sinwar in Egitto

Ismail Haniyeh (Fotogramma/Ipa)

Ismail Haniyeh, capo dell'ufficio politico di Hamas, è arrivato stamani al Cairo alla guida di una delegazione del gruppo per colloqui con i funzionari egiziani. Hamas parla di "colloqui con i funzionari egiziani incentrati sulla situazione politica e sul campo" dopo più di quattro mesi di operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza, scattate a seguito dell'attacco del 7 ottobre in Israele. La delegazione, riferiscono le tv satellitari arabe, vuole anche parlare degli "sforzi" per un cessate il fuoco con Israele. Ma l'arrivo di Haniyeh al Cairo non è un segnale di svolta nei negoziati, precisa un funzionario del gruppo palestinese a Haaretz, definendo "difficile" la situazione relativa ai negoziati.

Veto Usa a risoluzione Onu su cessate il fuoco immediato

Gli Stati Uniti hanno messo il veto su una bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu presentata dall'Algeria che chiedeva un cessate il fuoco immediato nella Striscia di Gaza. Tredici Paesi hanno votato a favore della bozza, mentre il Regno Unito si è astenuto. E' la terza volta che gli Stati Uniti usano il loro diritto di veto all'Onu dall'inizio della guerra. "Un voto a favore di questo progetto di risoluzione è un sostegno al diritto alla vita dei palestinesi. Al contrario, votare contro implica un'approvazione della brutale violenza e delle punizioni collettive inflitte loro", aveva dichiarato davanti al Consiglio di Sicurezza l'ambasciatore algerino all'Onu, Amar Bendjama.

Il monito di Hamas a Israele

Hamas intanto ha lanciato un monito a Israele: se verranno imposte restrizioni all'ingresso dei fedeli musulmani nella moschea di al-Aqsa durante il Ramadan, "la cosa esploderà in faccia all'occupazione". Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha confermato che sarà "consentita la libertà di culto nei limiti delle esigenze di sicurezza", sostenendo di aver preso una "decisione equilibrata". Non sono stati forniti dettagli sui limiti considerati. Israele spesso stabilisce dei limiti entro i quali i fedeli possono raggiungere la moschea di al-Aqsa, come ad esempio l'età.

Ma Hamas, secondo quanto riporta il sito di Haaretz, ha messo in guardia Israele anche dall'avvio di un' "avventura militare" a Rafah, accusando il governo di "ingannare i familiari sostenendo che gli ostaggi possono essere liberati con la forza". Secondo Axios, un'operazione militare a Rafah, più volte ventilata dalle autorità israeliane, potrebbe essere lanciata solo "a metà aprile".

Dove si trova Sinwar?

Israele ha smentito le notizie del sito saudita Elaph secondo cui il leader di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, la mente dell'attacco del 7 ottobre, sarebbe fuggito in Egitto attraverso i tunnel sotterranei della Striscia di Gaza. "Non siamo a conoscenza di quanto riportato nella notizia", ha dichiarato un funzionario, citato da Channel 12.

Secondo 'Elaph' l'apparato di Difesa israeliano riterrebbe che membri della leadership di Hamas, tra questi Sinwar e il fratello Muhammed, avrebbero recentemente raggiunto il Sinai provenienti da Rafah. Secondo la stessa - unica - fonte, potrebbero aver portato con sé alcuni ostaggi da usare come scudi.

La settimana scorsa l'Idf aveva diffuso immagini video di Yahya Sinwar in un tunnel a Gaza assieme a diversi membri della sua famiglia il 10 ottobre. "La caccia a Sinwar non si fermerà fino a quando non lo avremo preso, vivo o morto", aveva detto in quell'occasione il portavoce delle Forze di difesa israeliane, Daniel Hagari, nel corso di una conferenza stampa. Le forze di sicurezza continuano nella ricerca di Sinwar, del comandante militare di Hamas Mohammad Deif e del suo vice Marwan Issa. A riferirne è Times of Israel.

Wfp sospende consegna aiuti a nord di Gaza per mancata sicurezza

Il World Food Program (Wfp) ha annunciato la sospensione della consegna di aiuti alla popolazione nel nord della Striscia di Gaza, bombardata per mesi. In una nota il Wfp ha spiegato che la consegna riprenderà solo quando ci saranno le condizioni di sicurezza adatte, aggiungendo che cercherà di continuare con la distribuzione di beni essenziali il più rapidamente possibile. Perché ''la situazione sul terreno sta peggiorando e sempre più persone stanno morendo di fame'', si legge nel documento.

Dopo tre settimane di sospensione, il Wfp aveva ripreso domenica la consegna di aiuti nel nord dell'enclave palestinese. Da allora si è creata una situazione caotica e di disordini durante la distribuzione del cibo, prosegue il testo. Alcuni palestinesi sono entrati nei camion che trasportavano aiuti alimentari e li hanno saccheggiati, spiega l'agenzia delle Nazioni Unite.

Media: il 7 ottobre un 'errore tecnico' impedì assalto Hamas a carcere israeliano

Intanto spunta un retroscena sull'attacco del 7 ottobre. Il carcere di Shikma, nella città israeliana di Ashkelon, sarebbe stato uno degli obiettivi, ma i piani di Hamas, di assaltare la struttura e liberare centinaia di prigionieri palestinesi, sarebbero saltati per un "errore tecnico". E' quanto ha scritto il quotidiano Asharq Al-Awsat, in un articolo rilanciato oggi dai media israeliani che cita fonti delle "fazioni palestinesi della Striscia di Gaza".

Secondo le fonti, uno dei primi gruppi di uomini armati che è riuscito a infiltrarsi in territorio israeliano la mattina del 7 ottobre avrebbe puntato al carcere, ma non avrebbe raggiunto l'obiettivo per un "errore tecnico" che viene collegato alla "guida", incaricata di 'gestire' il commando sulla base di "mappe e dispositivi Gps". La 'cellula' diretta ad Ashkelon sarebbe stata composta da "23 combattenti". Il carcere si trova ad appena 13 chilometri a nord rispetto al punto più vicino del nord della Striscia di Gaza.

Wafa: "Decine di civili uccisi in un bombardamento a Gaza City"

Decine di persone sono rimaste uccise nel bombardamento israeliano di Gaza City. Lo rende noto l'agenzia di stampa palestinese Wafa, precisando che l'Idf ha preso di mira diverse abitazioni civili nel quartiere Zeitoun della città, provocando decine di morti e decine di feriti. Il corrispondente dell'agenzia riferisce che la maggior parte dei feriti sono rimasti intrappolati sotto le macerie, mentre gli equipaggi della Protezione civile sono al lavoro per salvarli e trasportarli in ospedale. Resta tuttavia difficile raggiungerli a causa dell’intensità del bombardamento israeliano.

Forze israeliane fanno irruzione a Jenin, scontri

Militari israeliani hanno preso d'assalto il campo profughi di Jenin, in Cisgiordania, dove si sono scontrate con palestinesi armati. Lo riporta al Jazeera, citando fonti locali, secondo le quali ci sarebbero stati combattimenti feroci. Almeno tre palestinesi sono rimasti feriti nel raid, ma, secondo testimoni oculari, le forze israeliane hanno impedito ai medici di raggiungerli.

Unrwa: "Israele deve ancora fornire prove accuse contro nostri dipendenti"

L'Unrwa sta ancora aspettando che Tel Aviv fornisca le prove a sostegno delle sue accuse secondo cui dipendenti dell'Agenzia per i rifugiati avrebbero preso parte agli attacchi del 7 ottobre contro Israele. Lo ha detto il capo dell'Unrwa Philippe Lazzarini, ripreso da al Jazeera. Diversi importanti Paesi sostenitori, tra cui gli Stati Uniti, hanno congelato gli aiuti vitali per Gaza. L’Unrwa ha affermato che, se non verranno ripristinati i finanziamenti, potrebbe essere costretta a chiudere le sue attività a Gaza e in tutta la regione. "L'Onu non ha mai, mai e poi mai ricevuto alcun dossier scritto, nonostante i nostri ripetuti appelli alla cooperazione alle autorità israeliane" conclude Lazzarini.

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Putin, atto quinto: governo Russia può cambiare, le...

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Ipotesi rimpasto, possibile un cambio generazionale: Lavrov e Shoigu in pensione?

Vladimir Putin

Vladimir Putin, atto quinto. Il presidente della Russia, dopo il prevedibile trionfo alle elezioni di marzo, si è insediato al Cremlino per aprire il nuovo capitolo. E' ''un periodo difficile'' quello che sta attraversando la Russia, ma ''insieme lo attraverseremo con dignità e diventeremo ancora più forti'', ha detto Putin. ''Supereremo tutti gli ostacoli e daremo vita a tutti i nostri progetti'', ha aggiunto, affermando che ''guardiamo avanti con fiducia, pianifichiamo il nostro futuro, stiamo già realizzando nuovi progetti per renderci ancora più dinamici, ancora più potenti''.

Il messaggio all'Occidente

Putin si è detto favorevole a ''un dialogo con gli Stati occidentali'', ma che sia ''alla pari''. "Noi non rifiutiamo il dialogo con gli Stati occidentali'', anzi ''siamo stati e saremo aperti a rafforzare buone relazioni con tutti i paesi che vedono nella Russia un partner affidabile e onesto'', ha affermato, rilanciando la palla nel campo avversario.

Per quanto riguarda i paesi occidentali ''la scelta è loro'' e ''un dialogo, anche su questioni di sicurezza e stabilità strategica, è possibile''. Ma a condizione che questo dialogo non sia condotto ''da una posizione di forza'', ma ''senza alcuna arroganza, presunzione ed esclusività personale, ma solo ad armi pari, nel rispetto degli interessi reciproci''. Putin ha invece parlato di dialogo non possibile se i Paesi occidentali ''intendono continuare a cercare di frenare lo sviluppo della Russia, continuare la politica di aggressione''.

Cambiamento, possibilità o utopia?

Le politiche di Putin non cambieranno per il suo quinto mandato al Cremlino, ha affermato l'analista Tatyana Stanovaya, fondatrice di R-Politik, in una intervista a Politico. "L'obiettivo fondamentale di Putin è quello di produrre più armi, mantenere stabile l'economia, proteggerla da sanzioni e ridurre l'inflazione. Non ci dobbiamo aspettare una revisione di tale politica", ha aggiunto.

Anche se probabilmente ci sarà un rimpasto di governo da cui forse potranno emergere indicazioni su come intenderà portare avanti i suoi obiettivi, vale a dire la guerra in Ucraina, la repressione interna e l'antagonismo contro l'Occidente.

Alcuni dei ministri più fidati di Putin sono avanti con l'età, da Sergei Lavrov, agli Esteri, che ne ha 74, a Sergei Shoigu, alla Difesa, 68 anni. Il direttore dell'Fsb (Servizio federale di sicurezza), Aleksandr Bortnikov, ha 72 anni. Stessa età più o meno per il numero 1 dell'Svr (Servizi esteri), Sergei Naryshkyn, 69 e il direttore del Comitato investigativo, Aleksandr Batrykin, 70 anni.

"Se Putin vuole mantenere il suo sistema, deve cambiarlo", ha affermato l'analista politico Abbas Gallyamov, indicando nel recente arresto del vice ministro della Difesa, Timur Ivanov, per corruzione, come un segnale della possibilità che Putin "mini le fondamenta del sistema". Fra i favoriti per eventuali promozioni, sono Dmitry Patrushev, ministro dell'Agricoltura e segretario del Consiglio di sicurezza nazionale. Ma sorprese potrebbero arrivare, evidenzia Stanovaya, da chi si è distinto in Ucraina che Putin ha già definito "la nuova elite".

Per il Washington Post, rimpasti o meno, Putin pone al cuore pulsante dell'illiberalismo occidentale. Il discorso politico che ha maturato negli ultimi anni, e che probabilmente continuerà a cavalcare nei prossimi sei anni, è quello che vede la Russia non solo impegnata in una guerra contro l'Ucraina ma in una battaglia di civiltà di dimensioni molto più grandi.

Il conflitto oltre confine, per come la pone lui, non è solo una questione territoriale, o politica, ma è la punta dell'iceberg di uno scontro più ampio fra gli effetti corrosivi del liberalismo e i valori più tradizionali incarnati dal suo regime. Putin non è isolato nel suo progetto. Nell'Unione europea può contare sul sostegno del Premier ungherere Viktor Orban, di "despoti" del Sud Globale, e di esponenti di spicco della destra americana. "Hanno tutti una avversione per quello che viene percepito come establishment illiberale occidentale e apprezzano che Putin lo respinga", sottolinea il quotidiano americano.

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Italia-Nato, Meloni oggi vede Stoltenberg: sul tavolo aiuti...

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L'Italia si appresta a varare il nono pacchetto a favore di Kiev

Jens Stoltenberg  e Giorgia Meloni - Fotogramma

Oggi, 8 maggio, il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg sarà a Roma, ricevuto dalla premier Giorgia Meloni alle 11.30. Tanti i dossier sul tavolo, dalla polveriera mediorientale alla crisi in Ucraina, con l'avanzata dei russi nel Donetsk e la crescente paura di un tracollo ucraino. Timori che alimentano le tensioni tra Mosca e i Paesi occidentali, con il Cremlino che evoca il rischio di un'"escalation diretta" dopo che il Presidente francese Emmanuel Macron è tornato ad avanzare la possibilità di inviare truppe al fronte e il ministro degli Esteri britannico David Cameron ha giudicato lecito per gli ucraini impiegare armi fornite da Londra per attaccare il territorio russo.

Focus sull'Ucraina

L'allarme è altissimo e incendia la campagna elettorale per le europee, mentre l'opzione di un intervento diretto dell'Alleanza in caso di coinvolgimento di uno Stato terzo nelle ostilità è ormai entrata a pieno titolo nel dibattito pubblico. Ma soprattutto nelle stanze della Nato.

Il tema degli aiuti militari all'Ucraina sarà tra i focus dell'incontro tra Meloni e Stoltenberg, mentre il governo italiano si appresta a varare -prima del G7 a Borgo Egnazia- il nono pacchetto di aiuti militari che dovrebbe includere, condizionale d'obbligo visto che il decreto è secretato, il sistema di difesa aerea e antimissile a medio-lungo raggio Samp-T, una batteria resa disponibile dopo la 'smobilitazione' dello scorso marzo dalla Slovacchia. E che risponde alla richiesta del ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, perché unico mezzo, assieme ai Patriot americani, per fermare i missili balistici russi.

Il nodo 2% Pil per le spese militari

La mano tesa che l'Italia si appresta a tendere è una delle leve che Meloni, con ogni probabilità, userà nell'incontro con Stoltenberg per affrontare uno dei dossier più annosi sul tavolo: il raggiungimento del 2% del Pil per le spese militari. Per la Nato è una pregiudiziale di cui si parlerà anche a Washington, nella riunione dei premier dei Paesi dell'alleanza atlantica in programma la seconda settimana di luglio. E che vede l'Italia in affanno, fanalino di coda: gli States sono ben oltre il 3%, la Gran Bretagna punta a superare il 2,5%, la Polonia è al 4, la Francia e la Germania hanno raggiunto il 2. Roma è sotto l'1,5%, nonostante abbia 'conteggiato' tutte le spese per le missioni, anche quelle non strettamente attinenti alla difesa. Una scelta che, a ben guardare, la Nato potrebbe anche contestare.

L'obiettivo del 2% doveva essere centrato per l'anno in corso, ma per l'Italia la deadline è slittata al 2028 per un compromesso siglato dal governo Draghi: un rinvio all'epoca reso necessario per sedare fibrillazioni e malumori che avevano messo a dura prova la maggioranza, terremotata dal guanto di sfida lanciato da Giuseppe Conte. Da allora lo scenario internazionale si è fatto ancor più fosco, e visti i tempi difficili il traguardo del 2% appare un 'must' non più rinviabile.

Non ne fa mistero il ministro della Difesa Guido Crosetto. "Senza bisogno che arrivi Trump alla presidenza americana - ha rimarcato a Pescara, alla conferenza programmatica di Fdi -, vedrete quanto saranno duri con chi non arriverà al 2% del Pil per la spesa per la difesa, a quel punto" chi non adempierà alla percentuale "diventerà una nazione non di serie B ma addirittura che non potrà sedersi ai tavoli internazionali", perché “nessuno passerà più sopra questa cosa e diventerà una parte fondamentale per avere credibilità nel mondo”.

Ma le casse a Roma languono e il tentativo, fallito, di scorporare le spese militari dai parametri del Patto di stabilità ha reso ancor più ardua la partita. Qualche limatura al rialzo rispetto agli impegni presi nel Documento programmatico della difesa 2023-2025 non viene escluso: "vedremo", aprono fonti di governo, non escludendo uno sforzo, una piccola dote politica anche in vista del G7 in Puglia a guida italiana. Accompagnata a un'altra, ben più sostanziosa, che dimora nel nono decreto di aiuti a Kiev che il governo si appresta a varare.

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“C’è un coccodrillo”, arriva la polizia:...

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Nel Buckinghamshire scatta l'allarme...

Un coccodrillo (vero)

La polizia britannica è stata chiamata a intervenire dopo che un coccodrillo era stato avvistato in una piccola palude vicina a un villaggio nel Buckinghamshire, in Gran Bretagna. Gli agenti si sono così trasformati in cacciatori di coccodrilli - scrive Walesonline - dopo aver risposto a una segnalazione secondo cui il rettile era stato avvistato in un acquitrino.

La polizia della Thames Valley è arrivata subito dopo una chiamata che avvertiva di aver avvistato un cucciolo di coccodrillo nei pressi del villaggio di Cholesbury. Ma alla fine, gli agenti hanno scoperto che il 'coccodrillo' in questione non era altro che la testa di plastica di un giocattolo. Le foto scattate dai poliziotti mostrano la testa che spunta fuori dall'acqua accanto alla loro macchina e un agente che lotta con la testa del rettile.

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